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Autore: solocate    31/12/2011    0 recensioni
Questa non è la prima storia che scrivo, anche se in questo momento mi sento come se non avessi mai scritto niente in vita mia.
Questa storia prende ispirazione dal libro "Il Corpo" di Stephen King, o dal film "Stand By Me" di Rob Reiner.
Mi sono chiesta: "E se in quel gruppo di amici ci fosse stata una ragazza? E se quella ragazza fosse partita prima dell'avventura raccontata, e tornasse improvvisamente a casa?"; questo racconto è il risultato delle mie domande.
Sono cosciente delle mie scarse capacità, ma spero comunque di coltivare in qualcuno di voi un minimo di curiosità per questa storia.
Buona lettura
Genere: Avventura, Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Era l’ultimo giorno di scuola e la campanella risuonava nei corridoi della Conseel High: quell’anno era ufficialmente finito.
Una studentessa del terzo anno, Jamie Wright, abbracciò forte le sue due migliori amiche.
«Ci vediamo stasera?» le chiese Elizabeth. Jamie fece di no con la testa e Natalie le sorrise mestamente: i suoi genitori non le avrebbero mai permesso di andare a quella festa.
Si salutarono con un gesto della mano ed ognuna prese la propria strada. 
La ragazza uscì dall’edificio e salì sul grande autobus giallo, gremito di studenti del primo e secondo anno; fu obbligata a sedersi in seconda fila, circondata dal caos che proveniva dalle matricole.
Alla settima fermata scese e percorse il resto del tragitto – circa 500 metri – a piedi.
Arrivata al numero 49 di Westwheel Road entrò in casa per poi riuscire dalla porta sul retro, dove i suoi l’attendevano in giardino.
«Ciao Jamie» dissero in coro i suoi genitori.
La signora Wright era una donna di bell’aspetto, sempre ordinata ed impeccabile: i lunghi capelli biondi erano puntualmente raccolti in un ordinato chignon, ed il corpo sottile avvolto in vestiti di seta o lunghe gonne di lino.
Il signor Wright, invece, era un uomo un po’ maldestro, con uno scarso senso dello stile – soprattutto perché soffriva di daltonismo.
Era alto e robusto, intelligente ma poco permissivo riguardo la vita sociale della sua unica figlia.
In quel momento, stava lucidando la sua preziosa Mustang del ’46, mentre sua moglie Linda aveva appena svuotato la cassetta delle poste.
Jamie ricambiò il saluto e tornò dentro casa; salì velocemente in camera e lasciò cadere lo zaino sulla sedia di faggio.
Sentiva lo strano bisogno di stare un po’ da sola, come se avesse sofferto tutto il giorno.
 Ogni volta che un compagno le camminava a fianco, o quando le voci della gente si sovrapponevano oscurando i suoi pensieri, lei si sentiva turbata.
Spesso pensava di odiare non tanto la gente, ma il modo in cui sembrava essere ovunque: lei non si sentiva al sicuro.
Passarono alcuni minuti prima che si decidesse a scendere le scale; arrivata al pianterreno, tolse la carne dalla griglia e la portò sul tavolo in giardino.
I suoi l’aspettavano seduti a tavola, presi a sfogliare insieme delle carte: entrambi sembravano felici e soddisfatti.
Jamie appoggiò la pentola e si sedette, aspettando che qualcuno iniziasse a mangiare. 
«È fantastico» esclamò sua madre, quasi stritolando il braccio del marito.
La ragazza non si mosse ed aspettò pazientemente affinché qualcuno gli dicesse cosa stava accadendo.
«Hanno accettato la mia proposta» spiegò poco dopo suo padre  «L’azienda ha accettato la mia proposta. Costruiranno una fabbrica a Castle Rock, ed io tornerò a lavorare lì..» «Noi tutti torneremo a casa» aggiunse sua madre.
Non era troppo contenta di lasciare Saint Andrew, ma l’idea di tornare nel posto in cui era cresciuta, tra vecchi amici e vecchie abitudini, era allettante.
La sua famiglia si era trasferita in Ohio alla fine del ’55, quando Jamie aveva 13 anni: il lavoro del signor Wright non pagava abbastanza.
Scrivendo spesso al fratello, Linda aveva scoperto che il suo migliore amico aveva un posto da offrirgli nella fabbrica di jeans della città.
Per la loro unica figlia era stato un duro colpo abbandonare tutto con così poco preavviso: ora sarebbe stato un altro paio di maniche con Saint Andrew.
[…]
Jamie si svegliò appena il motore si spense, aprendo d’istinto gli occhi.
Scese dalla macchina per prima e guardò la casa; era proprio come se la ricordava: la veranda era due scalini più in alto rispetto al terreno, le due finestre ai lati dell’entrata lasciavano intravedere cucina e sala.
Le finestre al piano di sopra corrispondevano alle camere da letto.
Indecisa, si avvicinò alla porta e girò la maniglia, trascinando la valigia dietro di sé.
Quando entrò, trovò davanti a se le scale, alla sua sinistra il piano cottura e alla sua destra un televisore ed un piccolo divano.
«Casa dolce casa» borbottò suo padre varcando la soglia.
Jamie abbozzò un sorriso e salì le scale, girò a destra ed aprì la porta.
La sua vecchia camere era piena di scatoloni ed oggetti imballati: ricoprivano la superficie del tavolo, il letto di fronte e l’interno dell’armadio – sistemato accanto alla porta.
Appoggiò la valigia sopra il letto e cominciò a svuotarne il contenuto, sistemandolo nella stanza.
I suoi libri preferiti presero posizione sulla mensola sovrastante la scrivania, i vestiti furono ripiegati e sistemati nel mobile di olmo; tutti gli altri oggetti vennero sistemati al loro vecchio posto.
Alla fine si guardò intorno soddisfatta, e decise di uscire per fare un giro nel quartiere.
Iniziò a camminare verso nord, ed osservò con attenzione il proprio vicinato dal piccolo marciapiede: i giardini delle case erano verdi o inariditi, ciò distingueva a grandi linee le famiglie ricche e quelle meno agiate.
Le macchine, lei lo notò poco dopo, erano notevolmente aumentate nel giro di cinque anni: Castle Rock sembrava solo un po’ più rustica di Saint Andrew e delle altre grandi città.
Quando arrivò alla fine dell’isolato fece retro-front e lungo il ritornò cercò di ricordarsi i cognomi delle famiglie che vi abitavano: Stuart, Green, Jones.. Tomson, Philips, Heltics, Mercury..
Alcune erano ancora in quelle case, altre avevano cambiato residenza, ed il nome sulla cassetta delle lettere era stato verniciato e sostituito.
La stessa sorte era toccata alla loro, che prima del ritorno portava il cognome “Kingston” a grandi lettere dorate.
Prima di rientrare in casa, Jamie raccolse la bottiglia di latte dal pavimento e varcò la soglia.
Tornò rapidamente in camera, ignorando i genitori ipnotizzati davanti alla televisione; prese carta e penna, iniziando a scrivere di getto.
“Care Elizabeth e Natalie,
Mi mancate già. Mi dispiace di non essere lì con voi, di non mantenere le promesse e i programmi che avevamo fatto.
Domani inizierò la scuola.. Mio padre ha organizzato tutto, ha lasciato a me solo la scelta dei corsi da frequentare.
Ho scelto: storia americana, arte, musica, matematica, inglese, filosogia e letteratura.
Pensate di poter riuscire a scrivermi almeno ogni due settimane? Sarebbe fantastico.
Vi voglio bene, davvero.
Con affetto, Jamie”
La ragazza chiuse la lettere nella busta e la ripose sulla mensola: l’avrebbe spedita il pomeriggio seguente, non aveva voglia di uscire di nuovo.
Non era felice di quello che era successo, odiava dover fare cose che gli altri volevano: ma era troppo giovane e decidere, e troppo grande per fare capricci.
Una sola cosa la teneva tranquilla, la faceva pensare prima di agire e fare stupidaggini: “tutto accade per una ragione”, continuava a ripetersi.
  
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