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Autore: taemotional    02/01/2012    3 recensioni
[JinDa]
"Il contrasto che c’era tra la sua voce e il viso era sconvolgente. E, in effetti, a Jin era venuto un colpo nel momento in cui, dopo aver sentito quella voce profonda, si era ritrovato davanti uno dei visi dai lineamenti più dolci che avesse mai visto. Il taglio degli occhi non era troppo allungato e le iridi erano nerissime. Il naso all’insù seguiva armoniosamente la curva del mento... I capelli corvini leggermente più corti dei propri gli circondavano dolcemente il viso finendo in delle punte bionde, e quando portò una mano per allontanare la frangia dagli occhi, Jin notò che le nocche erano un po’ rovinate. Come di chi pratica qualche sport simile alla boxe."
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Jin, Tatsuya, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Dopo aver percorso pochi metri, Tatsuya si liberò dalla presa dell’altro.
“Dove mi stai portando?” domandò con quel tono di voce pungente.
Non appena il polso dell’altro gli era sfuggito dalla presa, anche Jin si era fermato. Ma era rimasto di spalle.
“Guarda che avrei potuto cavarmela anche da solo,” continuò Tatsuya secco. “Era solo un uomo ubriaco.”
Jin si voltò lentamente, lo sguardo inizialmente a terra si alzò per accarezzargli il viso. Tatsuya rimase paralizzato.
“C-che c’è?” mormorò, iniziando ad agitarsi.
“Non hai notato che anche oggi c’è la nebbia? Come quella sera...”
“Eh?”
Jin mosse un passo un avanti e tornò ad afferrargli il polso.
“Non ti ricordi proprio nulla di quello che successe quella sera, vero? Quando ti portai in discoteca...”
Tatsuya non rispose, gli occhi si posarono sul viso dell’altro e guizzarono agitati da una pupilla all’altra. Jin sorrise e gli prese anche l’altro polso.
“Ora te lo mostro,” mormorò e tirò l’altro verso di sé. Chiusero gli occhi.
 
Uno scatto e il portone della casa di Jin si chiuse. Nessun altro rumore se non quello emesso dalle labbra di Jin che, lentamente, succhiavano il collo di Tatsuya.
In un primo momento, gli era venuto l’istinto di portarlo nel solito motel, nella solita stanza di vetro. Ma qualcosa l’aveva bloccato. Eppure, come sarebbe stato bello aspettare l’alba sospesi nel cielo. Sorrise contro il suo collo, e lo morse con più foga. Tatsuya gemette e strinse la stoffa della giacca sulla sua schiena. Però non poteva portarlo là. O sarebbe stato come tutte le altre volte. E Jin non voleva essere spiato mentre assaporava quella terra inesplorata.
“Jin...” mormorò Tatsuya mentre l’altro iniziava a togliersi la giacca. “...non capisco...”
“Io invece capisco fin troppo bene...” sussurrò l’altro, poi gli slacciò il cappotto, “...finalmente.”
“Ma... hai detto che...” cercò di dire Tatsuya mentre Jin infilava le dita sotto la sua maglia e risaliva il petto. Ebbe un brivido e la voce gli si strozzò in gola.
“Non credere a tutto quello che dico,” disse Jin con un mezzo sorriso, mentre accarezzava quegli addominali perfetti e provava ad immaginarseli visivamente, “Devi imparare a capire quando sto mentendo.” Quindi gli prese le mani e le portò al proprio petto. “Toccami anche te.”
Tatsuya chiuse gli occhi con forza e Jin tornò sulla sua bocca. La lingua cercò avida quella dell’altro.
“Tatsuya...” ansimò poi allontanandosi leggermente per poterlo guardare negli occhi. Si specchiò un secondo in quella superficie acquosa, ma non ne ebbe paura. Era dolce perdersi nel mare nero delle sue iridi. “Mi piaci,” gli disse, “Capisci che non è una bugia, vero?”
“Non dirlo... in maniera così diretta...”
“Perché?”
Tatsuya abbassò lo sguardo e le dita scesero con esso. Lungo il suo petto, si fermarono all’altezza dell’ombelico. Poi le braccia caddero inerte lungo i fianchi.
“Io... non ce la faccio a dirlo.”
Jin sorrise e gli prese una mano. “Va bene, non c’è fretta.”
“Prima o poi te lo dirò!”
Jin soffocò una risata. Gli andava bene anche solo così.
“Vieni...” disse solo, facendogli strada all’interno della casa fino alla propria stanza. Lo spinse sul letto.
Tatsuya lo guardò spaesato. I suoi capelli neri e lisci sparsi sul lenzuolo bianco gli ricordarono l’immagine di un buco nero. La luce viene risucchiata e non si sa dove finisce. Jin gli morse il labbro inferiore con un sorriso. Avrebbe voluto vederla, la luna, alle prese con un buco nero. Così brillante e bianca, non avrebbe avuto scampo.
Quell’immagine nella propria testa lo eccitò. Quali sensazioni si provano ad entrare in quel buco?
Jin scese fino all’orlo dei pantaloni e li slacciò in meno di un secondo.
“Sai...” sussurrò Jin avvicinando le labbra all’orecchio dell’altro, “...quella notte in cui sei rimasto a dormire sul divano... io, in questo letto, mi sono eccitato nell’immaginare il tuo corpo nudo.”
Tatsuya avvertì le dita dell’altro scivolare nei propri boxer. Trattenne il fiato. Non riusciva a parlare, il suo cervello non era più in grado di formulare delle frasi sensate.
Schiuse le labbra ma ne uscì solo un gemito.
“Ti va bene?” chiese Jin, “Se ti tocco così?”
Tatsuya chiuse gli occhi lentamente, poi li riaprì. Va bene.
“Posso andare più in profondità?”
Nessuna risposta dalle sue labbra mute. Jin ci passò sopra un dito, lo bagnò con la saliva e lo infilò nella sua apertura. Fuori, era il novilunio.
 
Qualcosa continuava insistentemente a squillare. Jin cercò di voltarsi per raggiungere il cellulare sul comodino ma il braccio destro era stranamente bloccato. Con parecchia fatica, aprì gli occhi e vide Tatsuya addormentato tra le sue braccia. Poco a poco le memorie del giorno prima tornarono al loro posto e Jin sorrise, stringendo più forte quel corpo.
“Ora scusami,” mormorò, “Ma devo rispondere altrimenti impazzisco.”
Non fece in tempo a liberare il braccio dal peso dell’altro che il cellulare si azzittì. Tatsuya mugugnò qualcosa raggomitolandosi e tirò a sé il lenzuolo, lasciando l’altro completamente scoperto.
“Ah!” disse Jin a bassa voce cercando di non svegliarlo, “Ma guarda un po’...”
Poi volse la testa verso il comodino: sopra non c’era niente. Si guardò un po’ intorno cercando di ricordarsi dove potesse aver messo il cellulare la sera prima. Non ricordava nulla di quel particolare, eppure era abituato a rimettere la sveglia ogni sera, prima di addormentarsi. In effetti, era pure abituato a salutare il santuario di famiglia ogni sera. Guardò il viso addormentato di Tatsuya, semi-nascosto dal lenzuolo.
“E’ tutta colpa tua,” sussurrò sorridendo. Per colpa di quel ragazzo stava modificando ogni abitudine, e la sua vita aveva preso una piega da cui non si poteva più tornare indietro.
Tornare indietro, ultimamente mi ritrovo spesso a pensare a questa frase. Ma è inutile, il tempo non va all’indietro, procede inevitabilmente verso il futuro.
Si sporse oltre il letto e notò i propri vestiti sparsi a terra. Allungò un braccio e acciuffò i jeans. Il cellulare era ancora nella tasca anteriore. Lo prese e guardò la chiamata persa.
“Nakamaru-sensei?”
Ovvio, quello era l’ultimo giorno del festival ed era già mezzogiorno. Dopo quello che è successo ieri sarà sicuramente preoccupato.
Per una buona decina di minuti, Jin rimase seduto sull’orlo del letto, immobile. La pelle iniziava a lamentarsi per il freddo ma lui non ci faceva caso. Dentro di sé aveva troppi pensieri da rimettere a posto prima di potersi alzare e affrontare quella giornata.
Ricordò con una lucidità impressionante il sangue che usciva dal naso di quel ragazzo dalla maglia numero 3. D’ora in poi, cosa ne sarà del mio futuro? Quel cartellino rosso gli aveva inevitabilmente macchiato il presente. E di sicuro il manager ha visto tutto.
Non ha senso che il tempo continui verso il futuro, se io un futuro non ce l’ho più. Perché il tempo non si può fermare? Perché non si può tornare indietro? Guardò ancora una volta il viso dell’altro.
“Peccato,” disse, “Avrei voluto fare il bagno con te questa mattina. Mi dispiace, ma devo andare.”
Raccolse distrattamente tutti i vestiti da terra e prese un cambio dall’armadio. Si sarebbe fatto una doccia veloce. Se non poteva tornare indietro, allora avrebbe assecondato quel flusso inarrestabile, e sarebbe andato avanti con esso.
Mentre era in cucina e stava scegliendo a caso qualcosa da mettere sotto i denti, qualcuno suonò alla porta. Jin tirò fuori la testa dal frigo e, con aria interrogativa, andò ad aprire.
“Akanishi...! Sei a casa...”
“Sensei...”
Yuichi tirò un sospiro di sollievo. “Posso entrare?”
Jin annuì.
 
Il professore si sedette sul divano in salotto e si guardò intorno. La casa, in stile occidentale, aveva un solo piano, ma era piuttosto grande. In verità quello non è il posto in cui Jin era nato.
 Dopo che il padre ebbe ottenuto un aumento e un posto fisso in parlamento, la famiglia aveva deciso di trasferirsi a Tōkyō, lasciando la vecchia casa di campagna in affitto. Dalla morte dei genitori di Jin, però, nessuno si era più occupato di quella vecchia casa ed era ormai disabitata da tempo.
“Stavi uscendo?” domandò Yuichi continuando a guardarsi intorno.
Jin osservò il proprio professore su quel divano e gli fece uno strano effetto. Tranne Tatsuya, nessun’altro era mai entrato nella sua casa di famiglia, nemmeno Kazuya.
“Veramente... pensavo di andare a scuola.”
“Non è tardi ormai?”
“Ecco...”
Yuichi, dopo quel lungo peregrinare, posò lo sguardo sull’alunno. “Dove sei stato ieri sera?”
Jin si sedette su una piccola poltrona di fronte all’altro.
“Perché lo vuole sapere?”
Yuichi sembrò pensarci su, poi decise che forse era meglio essere chiari:
“Ho parlato con Kamenashi Kazuya.”
Jin alzò un sopracciglio. Quindi?
“L’ho costretto a parlarmi un po’ dei tuoi fatti personali - non prendertela con lui - e ho saputo della tua abitudine ormai radicata di andare in discoteca. Anche quel ragazzo a cui hai quasi spaccato il naso ha bofonchiato qualcosa al riguardo.”
Jin iniziò ad agitarsi, “Non sono stato in discoteca ieri, se è questo che vuole sapere.”
Non ci torno più da parecchio tempo ormai.
“Dove sei sparito allora? Sono venuto qui dopo la partita ma non c’era nessuno,” commentò Yuichi fissando il proprio allievo con insistenza.
“In un izakaya, poi son-” e si azzittì, il rumore di una porta che sbatteva lo fece voltare. Anche Yuichi tese le orecchie. Oltre al fatto della discoteca, Kazuya gli aveva pure detto che Jin viveva da solo da parecchio tempo ormai.
Tatsuya apparve nel salotto con indosso una vecchia tuta di Jin che gli stava visibilmente larga. I capelli erano completamente in disordine ed avevano perso quella piega liscia che aveva disorientato Jin la sera prima. 
“Ah,” mormorò con la voce impastata, “Buongiorno.”
Yuichi chinò leggermente il capo, poi si rivolse a Jin:
“Chi è?”
“Ehm...” iniziò Jin per prendere tempo. “Si chiama Tatsuya Ueda. E lui è il mio professore Nakamaru.”
Yuichi lo guardò un po’ meglio. “Io ti conosco...”
Tatsuya inclinò la testa, “Sì?”
“Sì... ma non è possibile...”
“Cosa?”
“Sarai forse... un boxeur?”
Tatsuya annuì con noncuranza.
“Ma non sei tu quello che dovrebbe essere in ospedale? I tuoi occhi non...?”
“Già, sono scappato da lì,” lo interruppe Tatsuya passandosi le dita tra capelli spettinati. Non avrebbe voluto dirlo in questo modo, lo avrebbe spiegato a Jin in maniera più consona prima o poi. Lo guardò - era seduto con le braccia incrociate di fronte al proprio professore - ma da quell’angolatura non riusciva a vederne l’espressione sul viso.
“Sensei,” disse Jin con uno strano tono di voce, “Ormai non credo di andare a scuola oggi. Da domani comunque iniziano le vacanze invernali, vero?”
Yuichi guardò i due e captò che, improvvisamente, qualcosa non era al posto giusto. Pensò che, forse, fosse opportuno andarsene.
“Ehm... sì... ma volevo parlarti di un’ultima cosa che riguarda la partit-”
“Non ora, professore,” sentenziò secco Jin, “La chiamerò questa sera. Mi scusi.”
Yuichi aprì la bocca per ribattere, poi osservò meglio il viso del proprio allievo e cambiò idea. Non aveva mai visto i suoi occhi così privi di vita prima d’ora.
“Allora scusate per essere venuto senza avvertire,” disse facendo finta di nulla e si alzò, “Akanishi, ricorda che ci sono gli esami al rientro. Arrivederci.”
 
Dopo che il portone si chiuse, la casa calò nel silenzio.
Tatsuya esitò qualche secondo, poi - con discrezione - si sedette di fronte all’altro, nel punto in cui qualche momento prima c’era stato il professore.
“Idiota!” esclamò ad un certo punto mettendosi a ridere, “Dovevi ascoltare quello che aveva da dirti sulla partita! Ne va del tuo futuro...”
“Non mi importa ora,” disse Jin freddamente, “Qui l’idiota sei te.”
Non stava guardando l’altro, aveva la testa leggermente chinata e i capelli - sciolti - gli avrebbero impedito di vederlo anche se avesse alzato lo sguardo. Li raccolse con le dita e li legò con un elastico che teneva al polso. Poi lo guardò negli occhi. Ma quale futuro.
“Non ti staranno mica cercando?”
Tatsuya evitò quello sguardo, “Immagino di sì.”
“Idiota.”
“Parli bene te!” scoppiò di colpo Tatsuya, le sopracciglia arricciate in un espressione di disperazione, “Non sei tu quello che sta perdendo la vista ad un occhio!”
Jin rimase immobilizzato. Strinse forte i pugni nel vedere le lacrime scivolare copiosamente sulle guancie dell’altro.
Tatsuya chiuse forte gli occhi, “Me n’ero già accorto che stavo peggiorando... ma... sentirmi dire apertamente che, se dovessi continuare a praticare la boxe, perderei sicuramente la vista dell’occhio, e che forse anche l’altro... io... non ce l’ho fatta a restare in quell’ospedale.”
Jin si alzò di colpo e si sedette sul divano di fianco all’altro. Gli prese un braccio e fece per avvicinarlo.
“Smettila! Lasciami stare!” gridò di nuovo Tatsuya cercando di divincolarsi, “Non volevo dirtelo per questo! Non voglio la tua pietà, lasciami!”
“Tatsuya,” disse Jin senza mollare la presa, “Non è pietà questa, è egoismo.”
L’altro si calmò un secondo e lo guardò. Solo le lacrime continuavano ad uscire.
“Vederti così mi fa star male,” continuò Jin, “Mi hai cambiato la vita, ormai non puoi più permetterti di dirmi: Lasciami stare, come se non fosse affar mio. Prenditi le tue responsabilità.”
Tatsuya socchiuse un po’ gli occhi e con le dita della mano libera si asciugò le guancie.
“Posso esserlo anche io, allora, un po’ egoista?”
Jin annuì e Tatsuya lasciò che l’altro lo abbracciasse. Pianse anche le ultime lacrime rimaste, poi si calmò e fu come se, da quel momento in poi, una sordina iniziò ad attutire ogni suono. Quando Tatsuya parlò di nuovo, la sua voce era flebile, quasi inudibile.
“Ho paura...”
Jin gli accarezzò la testa, “Cosa farai ora?”
Tatsuya tirò su con il naso e scosse la testa, “Non possono dirmi di smettere con la boxe...”
“Io vorrei vederlo, un tuo incontro di boxe...” disse Jin, con un sorriso amaro. Perché il suo futuro stava diventando nero, quando lui invece avrebbe voluto che fosse più bianco della luna? Possibile che a quell’età dovesse decidere una cosa così dolorosa? Ma forse non c’era già più la possibilità di scegliere.
“So che la tua carriera di boxeur è appena iniziata, ma lo capisci anche te che...” continuò Jin senza concludere la frase. Tatsuya non era affatto un idiota come gli aveva detto prima, sapeva benissimo quello che Jin stava cercando di dirgli. E infatti annuì.
“Ma se ti dicessi che,” iniziò Tatsuya sciogliendo l’abbraccio, “Voglio continuare lo stesso?”
Jin si rattristì di colpo. Lo sapeva. Lo sapeva che avrebbe risposto così, eppure...  
“Tatsuya...”
“Non mi capisci? Non posso mollare. Sarà difficile andare avanti così, per questo mi dovrò allenare ancora più duramente. E quando quel giorno arriverà, spero di aver già visto tutto quello che c’è di bello da vedere in questa vita.”
Perché un ragazzo di venti anni doveva dire una cosa simile? Non era giusto.
Tatsuya sorrise lievemente. “Va bene così, non c’è altro che voglio fare.”
Jin scosse la testa e poggiò la fronte sul piccolo petto dell’altro, avvertì quegli addominali che l’altro stava tentando di preservare a costo dei colori del mondo.
“Devo dirti anche un’altra cosa,” mormorò Tatsuya, “Ho parecchi piccoli incontri programmati per gennaio e febbraio, e, se li vincerò, dovrò affrontare un incontro decisivo in marzo. Ma... a questo punto, non so se riuscirò a resistere fino ad allora, per questo pensavo di andare a trovare i miei genitori per festeggiare il capodanno insieme.”
Jin annuì con il capo ma non disse nulla.
 
Rimasero così, abbracciati sul divano per l’intera giornata, senza fare nulla. Come se tutte le loro energie si fossero prosciugate, risucchiate da un vortice e scaraventate chissà dove.
Ogni tanto uno dei due si alzava per andare in bagno o in cucina. Poi tornava sul divano, riprendendo la posizione di prima. Non parlarono nemmeno molto. A turno - e ad intervalli piuttosto ampi - si ponevano l’un l’altro delle domande di carattere generale, poco impegnative.
“Dove abitano i tuoi genitori?” domandò Jin.
“A Chiba.”
“Uhn...”
“Ma non sono i miei genitori biologici, mi hanno adottato che io avevo solo due anni. I miei veri genitori hanno perso la vita in un incidente d’auto. Solo io sono sopravvissuto. E questa coppia, che era loro amica, ha deciso di prendermi nella loro famiglia.” 
Jin, che fino a quel momento stava pettinando i capelli di Tatsuya con le dita, si bloccò. La luce entrava debolmente dalle ampie finestre del salotto e, in base a quella, non si riusciva a dire che ore fossero. Il cielo doveva essere proprio cupo là fuori. Le previsioni, in effetti, avevano annunciato che avrebbe nevicato.
“Però devi volergli bene lo stesso.”
Tatsuya annuì e Jin riprese a pettinargli i capelli con le dita. Chissà come sarebbe stata la sua vita se avesse lasciato che i suoi zii lo avessero preso nella loro famiglia. Probabilmente, a differenza di Tatsuya, Jin era già troppo grande per poter ricominciare. O forse no.
 
“Ho una piccola casa nella prefettura di Shiga...”
“Ah, davvero?” domandò Tatsuya, gli occhi chiusi.
“Sì, magari, prima di capodanno possiamo andare a stare lì per un paio di giorni. Ci sono le terme a Kusatsu[1], no?”
“Ah... sarebbe bello.”
 
Non proveniva nessun rumore dall’esterno, come se la neve che effettivamente aveva iniziato a cadere all’esterno li avesse avvolti, e separati dal mondo reale. Sembrava proprio che i fenomeni atmosferici avessero deciso di proteggere quella strana coppia. Chissà se anche il sole, prima o poi, li avrebbe scaldati.
“Perché ti sei trasferito a Tōkyō?”
Tatsuya si strinse un po’ di più all’altro. Iniziava a fare freddo.
“Perché ho deciso di partecipare a questo campionato nazionale under 25... e gli incontri si sarebbero svolti tutti qui, a Tōkyō... quindi ho preso una piccola casa in affitto.”
“E l’università?”
“Ho ricevuto una borsa di studio... e posso frequentare la Tōkyō Daigaku[2] per un anno.”
Jin annuì. Questo significava che, a prescindere da come sarebbero andate le cose, finito questo anno scolastico Tatsuya sarebbe tornato alla sua casa natale. Sospirò. Iniziava anche ad avere fame ma i muscoli delle gambe sembravano non voler collaborare.
“Tu invece,” domandò Tatsuya allungando la testa all’indietro per guardarlo negli occhi, “Continuerai gli studi?”
Se gli avessero posto questa domanda appena il giorno prima avrebbe avuto la risposta pronta. In quel momento, invece, esitò.
“Le cose sono andate in maniera inaspettata...” iniziò Jin non sapendo bene nemmeno lui cosa avrebbe fatto.
“Se inizi a prendere a pugni la gente senza motivo è ovvio che le cose vadano in un certo modo!” esclamò l’altro ridendo. “Non è affatto inaspettato!”
“Hey, non l’ho fatto senza un motivo!”
Tatsuya si incuriosì e socchiuse gli occhi.
“Cioè?”
“Non lo sto a dire a te.”
“Eddai!” esclamò Tatsuya allungando le braccia all’indietro e gli pizzicò le guancie. “Dimmelo!”
Lentamente, stava tornando il bambino vitale di sempre. Jin sorrise.
“E’ stato sempre per egoismo.”
“Ehh?”
“Non voglio darti a nessuno, ecco perché l’ho picchiato.”
Tatsuya sembrò non capire.
“Non fa niente, ora è tutto apposto,” mormorò Jin e posò le labbra sui suoi capelli neri. “Comunque non credo che frequenterò l’università. Perché... sai, mi hanno offerto un posto in una squadra di calcio di serie D.”
Tatsuya lasciò stare la questione di prima e spalancò gli occhi, “Wow! Fico!”
“Già...” sorrise Jin, “Ma... dopo quello che è successo ieri...”
“Aspetta...” lo interruppe Tatsuya aggrottando le sopracciglia, “Mi stai dicendo che è colpa mia se non ti prenderanno nella squadra?”
“Eh? No! Non ho detto questo...”
“Dimmi con chi devo parlare, devono prenderti assolutamente nella squadra.”
“Calmati,” disse Jin ridendo, “E’ solo colpa mia se l’ho colpito, qualunque sia stato il movente.”
“Giusto, il professore voleva dirti qualcosa al riguardo, o sbaglio?”
“Ah, sì...” annuì Jin, me n’ero completamente dimenticato. “Poi lo chiamerò.”
Tornò il silenzio.
 
“Fuori deve essere già notte.”
“Già.”
“Sai, Jin, nella mia casa a Chiba ho un pianoforte a mezza-coda,” disse Tatsuya guardando verso un angolo del salotto dove un bianco pianoforte a coda iniziava ad adombrarsi per la mancanza di luce.
“Sì?”
“Mia madre mi ha insegnato a suonarlo, chissà se ancora mi ricordo...”
“Suonami qualcosa,” disse Jin.
“Prima mangiamo, ho fame.”
“Approfittatore, non hai una casa tu?”
Tatsuya si mise a ridere e fece la linguaccia, “Guarda che me ne torno in ospedale.”
Jin non ci trovava nulla da ridere, “Avanti, ti preparo dei soba[3].”
Gli venne voglia di chiedergli se sarebbe tornato in ospedale sul serio. Avrebbe voluto sapere se almeno avesse intenzione di fare qualcosa di concreto. Magari esisteva un qualche intervento per ripristinare la vista. Che ne so, siamo nel ventunesimo secolo! Entrò in cucina e iniziò a tirare giù dagli scaffali gli ingredienti. Se fosse stato necessario, avrebbe speso tutto il patrimonio familiare per salvare i suoi occhi.
 
“Ora mi suoni qualcosa?”
“Devi chiamare il tuo professore, gliel’hai promesso,” disse Tatsuya non appena ebbero finito il pasto.
“Ahh...” sbuffò Jin, “Hai finito di ricattarmi? Lo chiamo solo se resti a dormire da me anche questa notte.”
“Ehh? Guarda che devo andare in facoltà domani mattina verso le undici. A differenza tua ho lezione fino a dopodomani.”
“Ti sveglio io in tempo, tranquillo.”
Tatsuya sembrò pensarci su e la bocca si arricciò nello sforzo.
“Intanto chiama,” commentò avviandosi in sala.
Jin recuperò il cellulare e si sedette su di una sedia in cucina. Fece il numero di Yuichi.
“Professore...”
“Akanishi, tutto bene?”
“Sì, perché? Mi ha visto questa mattina, non è cambiato molto.”
“Ah, perché... quel ragazzo... vabé lascia perdere. Devo dirti una cosa che riguarda il manager.”
Jin chinò il capo fino a poggiare la fronte sul tavolo, “La ascolto.”
“Lui non era a vedere la partita.”
“Eh?” Jin alzò la testa di scatto.
“Se non facciamo trapelare la notizia che è interessato a farti entrare nella squadra, non credo che qualcuno glielo possa riferire. Se siamo fortunati leggerà solo il referto di gara. E gli spiegherò che sei stato espulso per un fallo lieve. Può succedere. Metterò comunque l’accento sul goal che hai segnato nei primi minuti.”
Jin annuì, “Sì! Grazie mille, professore!”
“Che non riaccada. Ci rivediamo il secondo semestre. Buone feste, Akanishi.”
“Buone feste anche a lei!” esclamò Jin, poi riagganciò.
“Mi sembri felice!” gridò Tatsuya dal salotto.
Jin spense la luce in cucina e si affacciò nella sala, Tatsuya si alzò dal divano e lo raggiunse.
“Allora?”
“Ha detto che il manager della squadra non era a vedere la partita e che non crede che verrà a sapere di quello che ho fatto.”
“Potrai ancora entrare in quella squadra?”
“Vedremo.”
Tatsuya sorrise, “Per festeggiare ti suono qualcosa al piano.”
 
Jin si lasciò andare sul divano e chiuse gli occhi. La melodia che Tatsuya aveva iniziato a creare non era troppo complessa, ma aveva un non so che di profondo, e dolce. Sembrava proprio una canzone d’amore.
Che strano, averlo in casa sembra la cosa più normale di questo mondo. Come se ci conoscessimo da sempre, come se Tatsuya abitasse qui da anni. Quel giorno il tempo sembrava essersi fermato, e solo il sole aveva osato lasciare che scorresse, tramontando e facendo sprofondare la casa nel buio. Non avevano nemmeno acceso le luci, e solo il tenue chiarore dei lampioni all’esterno conferiva un po’ di forma agli oggetti.
Tatsuya aveva continuato a passare le dita sui tasti per più di dieci minuti ormai, quando Jin si alzò e raggiunse il pianoforte. Poggiò le proprie mani su quelle dell’altro e la melodia d’amore si concluse con un accordo stonato.
Jin gli prese il mento tra le dita e gli alzò il viso. Si chinò a baciare le sue labbra con dolcezza.
Tatsuya chiuse gli occhi e schiuse la bocca. Le loro lingue si cercarono e si intrecciarono più volte con una lentezza estenuante.
Jin lo spinse di più verso il pianoforte e Tatsuya dovette appoggiarsi con i gomiti sui tasti. Un altro accordo sgradevole rimbombò nel salone.
“Questa situazione,” mormorò Jin, “Mi ricorda una storia... che mi leggeva sempre mia madre. E’ l’unico ricordo felice che mi rimane di lei.”
“Davvero?” domandò Tatsuya mentre le dita dell’altro si insinuarono sotto la maglia della tuta.
“Sì, la sua voce era davvero bella mentre leggeva.”
“Raccontamela.”
Jin smise di accarezzargli il petto e tornò sul divano, trascinando Tatsuya con sé.
“Era la storia di un pianista cieco. La sua villa era costantemente avvolta dalle tenebre, ma per lui non era un problema. Le forme, i colori... lui non sapeva cosa fossero. La bellezza, non l’aveva mai vista. Passava il suo tempo a suonare e ad impartire lezioni di pianoforte ai bambini. Un cane, invece, nero come la sua vita, lo aiutava a spostarsi al di fuori di quell’enorme villa. Non aveva amici al di fuori di quella cagna, di nome Aki[4].
Scrisse un pezzo però, Racconto d’Autunno[5], che fu proprio il mezzo che gli permise di incontrare l’amore. Successe d’autunno, in una giornata di routine come le altre.”
Jin rise, “Quando mia madre arrivava al punto in cui leggeva: Racconto d’Autunno era una canzone d’amore, io non capivo mai. Come si poteva comporre una canzone d’amore senza avere mai amato? Eppure aveva fatto incontrare quelle due persone. Non è strano?”
Tatsuya annuì, sorridendo tristemente.
“Quel ragazzo cieco... è stato fortunato. Oppure, aveva un desiderio così forte d’amare, che quella canzone conteneva gli stessi sentimenti di una persona veramente innamorata. Ed ha poi mandato quel pezzo all’esterno come suo messaggio d’aiuto.”
“Può essere,” commentò Jin.
“Io però... posso dire di essere stato più fortunato?” domandò Tatsuya. Jin lo guardò interrogativo.
“Niente, lascia stare,” concluse l’altro sorridendo.
“Qual è l’occhio...?” domandò Jin prendendogli il viso tra le mani.
Tatsuya si indicò il destro.
“Possiamo provare a fare qualche operazione? Conosco un buon chirurgo che...”
“Non ho abbastanza soldi,” lo interruppe Tatsuya voltando la testa.
“Io ce li ho!”
Tatsuya lo guardò freddamente.
“Ah...” iniziò Jin capendo al volo: non voleva la sua pietà, figuriamoci i suoi soldi. “Sarà un prestito, me li ridarai con calma.” Poi fece un grande sorriso, “Quando diventerai un campione non avrai problemi a farlo, no?”
Tatsuya scoppiò a ridere, poi gli diede un pugno sul braccio e si alzò dal divano.
“Idiota,” disse raggiungendo la porta del salotto, “Stai prendendo questa mia situazione troppo a cuore, pensa piuttosto a impegnarti per entrare in serie D. Jin restò in silenzio e Tatsuya, allarmato, si volse. Lo trovò immobile lì, sul divano, che lo guardava con una strana espressione del viso.
“Vederti con la mia tuta ha un che di erotico.”
Tatsuya sgranò gli occhi, “Idiota...”
“Resti, allora?” domandò Jin inclinando la testa.
L’altro sospirò. “Se domani non mi svegli in tempo ti farò vedere che sono già abbastanza campione per prenderti a calci.”
Jin si mise a ridere.
“Quindi,” mormorò ancora Tatsuya, “Il nostro... sarebbe un... Racconto d’Inverno?”
 

- 5 anni dopo -

 
Cosa poteva fare un boxeur cieco in una città come Tōkyō?
 
“Tatsuya! Sono a casa!”
Non appena Jin si fu richiuso la porta di casa alle spalle, le note che si erano diffuse per il salotto fino all’uscio cessarono.
“Jin?” chiese Tatsuya e si voltò verso l’ingresso.
“Sono tornato prima del previsto,” disse Jin mollando la valigia in un angolo e raggiungendo l’altro al pianoforte. Come suo solito gli accarezzò la testa.
“Com’è andata?” chiese Tatsuya allungando le mani fino al suo viso. Passò le dita sulle guancie e poi sugli occhi. “Sei stanco...”
“Il viaggio in aereo mi ha un distrutto... comunque abbiamo vinto.”
Tatsuya sorrise, “Come sempre.”
“Non dire così che porti sfortuna!” esclamò Jin ridendo, poi lo aiutò ad alzarsi.
 
Due mesi prima, l’intervento per salvare gli occhi di Tatsuya non aveva avuto successo e la sua vita era stata privata della luce per sempre.
Jin aveva fatto il possibile per convincere l’altro a sottoporsi all’intervento. Gli ci erano voluti cinque anni, e, alla fine, non era servito a niente.
“Mi dispiace,” aveva detto la dottoressa che si era occupata di Tatsuya durante il ricovero, “E’ ad uno stato troppo avanzato, non si può fare nulla con la medicina di oggi.”
Eppure Tatsuya era felice così. Quattro anni prima era riuscito a posizionarsi al primo posto del torneo under 25 e, in seguito, era andato avanti sulla la via del boxeur, riportando vittorie e sconfitte, finché aveva potuto.
Quando il dottore aveva chiamato Jin informandolo sull’esito dell’intervento, questi si era catapultato nella stanza dell’altro. E l’aveva trovato con la testa fasciata, gli occhi coperti da una benda bianca. Un colore che Tatsuya non avrebbe mai più potuto riconoscere. Le gambe gli avevano iniziato a tremare convulsamente, e aveva stretto talmente forte i pugni da conficcarsi le unghie nei palmi. “Tatsuya...”
Poi le lacrime gli avevano rigato il viso, silenziose, finché l’altro non ebbe voltato il suo viso, sorridendo: “Jin, non fa niente.”
 
“Tu come stai?”
“Bene,” rispose Tatsuya, “Ultimamente sono venuti più bambini a lezione.”
Jin lo condusse fino al divano, quindi Tatsuya allungò le mani, percepì la stoffa dei cuscini e si sedette.
“Cominci ad orientarti qui?” domandò Jin sedendosi al suo fianco. Dopo che Tatsuya aveva deciso che avrebbe potuto ripagare Jin impartendo lezioni di piano per principianti, Jin lo aveva costretto a trasferirsi da lui. Non poteva certo spostarsi ogni giorno per andare da lui a dare lezioni. E i suoi genitori sarebbero stati pure più tranquilli sapendo che Tatsuya non avrebbe vissuto da solo.
Jin lo tirò a sé, poi lo avvolse con le braccia e chiuse gli occhi, come cinque anni prima.
“Sì,” rispose Tatsuya, “Ma non riesco ancora a cucinare... i miei genitori sono venuti spesso per portarmi cibi da scaldare al microonde.”
Jin sorrise, “Ora c’è la pausa campionato e non avrò trasferte per un bel pezzo, cucinerò io.”
Tatsuya sospirò.
“Sei triste?”
“Un po’.”
Jin lo strinse più forte. “Domani sera non hai lezioni vero? Ti porto in un posto.”
“Dove?”
“Segreto.”
“Ehhh!” si lamentò Tatsuya, “Dimmelo!”
“No,” rispose Jin ridendo, poi gli passò le dita sul petto. Quegli addominali perfetti iniziavano a sparire. Scese fino al bordo dei pantaloni.
“Vieni a fare il bagno con me?” 
 
Sotto la prima neve dell’anno, camminavano in direzione dello Shiba Park[6].
Mentre avanzava, Tatsuya teneva stretto il braccio dell’altro. Sul viso, un grosso paio di occhiali da sole marroni gli copriva gli occhi.
“Non capisco dove siamo... sento solo un sacco di chiacchiericcio.”
“Proprio in questo momento stiamo passando sotto la Tōkyō Tower, c’è un sacco di gente!”
Tatsuya alzò meccanicamente il viso verso l’alto. “E’ sempre decorata con le luci?”
“Come ogni anno,” rispose Jin rallentando il passo. Sentiva che l’altro faticava a tenere quell’andatura.
Poi, improvvisamente, si ricordò della discoteca. Di come il pavimento nero sembrasse invisibile. Solo che ora Tatsuya non aveva dei tubi al neon ad indicargli la strada. C’era solo il vuoto, e la voce di Jin come guida. “Parlami,” di diceva spesso Tatsuya dal salotto, sebbene sapesse che lui era là, a pochi metri da lui. In cucina magari. E allora Jin lo raggiungeva e gli recitava di nuovo il Racconto d’Autunno, aggiungendo ogni volta un particolare nuovo, che la volta prima non aveva ricordato.
Quando un passante gli andò a sbattere ad una spalla, Tatsuya strinse di più il braccio di Jin.
“Tranquillo, ci siamo.”
“Dove?” domandò Tatsuya volgendo il viso verso l’altro. Jin sorrise.
“Ascolta.”
La neve era finissima e si posava sul viso scoperto dei due come goccioline di pioggia. Jin gli sfilò lentamente gli occhiali.
“Pattini?” domandò Tatsuya trattenendo il fiato.
“Esatto,” rispose Jin con un grosso sorriso, “Hanno istallato nel parco questa pista di pattinaggio all’aperto solo da qualche settimana.”
“Ehh?” si agitò Tatsuya, “Ma io non so pattinare!”
“Non c’è problema, ti porto io. Ti fidi?”
Tatsuya chinò il capo e sorrise, “Come potrei non fidarmi.”
 
La luna era sempre lassù, come una vecchia amica, e non appena i due entrarono in pista Jin la notò tra le nuvole bianche. Chissà, dopotutto, potresti pure aver vegliato su di noi durante questi anni.
Di colpo Tatsuya si mise a ridere e si aggrappò quasi di peso al braccio dell’altro.
“Hey!” esclamò Jin cercando di tenerlo in piedi, “Non riesci nemmeno a stare dritto?”
Tatsuya continuava a ridere e cercò di concentrarsi sulle gambe per non cadere.
“Scusa, ma...”
“Mi stai strangolando un braccio!” esclamò Jin, ridendo pure lui.
“Okay, okay,” commentò allora Tatsuya, “Dovrei esserci.”
Jin iniziò a pattinare lentamente e l’altro si lasciò trascinare.
“Muovi le gambe a zig-zag!” esclamò Jin dopo aver fatto il giro di mezza pista. Tatsuya provò a staccare i pattini dal ghiaccio ma perse l’equilibrio e cadde a terra. Jin invece rimase in piedi per miracolo.
“Niente da fare,” disse Tatsuya mettendosi a ridere, “Sono negato!”
Jin scosse la testa sorridendo e lo aiutò a rialzarsi.
“Tieniti,” disse, e fece un altro giro. Sebbene fosse quasi natale non c’era molta gente sulla pista, e la maggior parte di queste erano coppie felici. Jin si guardò intorno, poi rallentò fino a fermarsi in un angolo.
Tatsuya si voltò verso di lui e aprì la bocca per domandare quale fosse il problema. Jin lo precedette e gli rubò un bacio.
“Jin!” esclamò Tatsuya arrossendo di colpo, “Siamo in pubblico!”
“Non importa. Senti,” disse, quindi gli prese le dita e le portò ai propri occhi. Erano chiusi.
Tatsuya non capì.
“Ora non li vedo nemmeno io,” disse Jin stringendogli i fianchi, “Ci siamo solo tu e io in questo momento.”
Tatsuya si lasciò baciare una seconda volta. Questa volta, più intensamente. Poi si abbracciarono.
“Sono in astinenza,” gli sussurrò Jin ad un orecchio con tono lascivo.
“Devi sempre rovinare l’atmosfera!” esclamò Tatsuya dandogli un pugno. Jin si mise a ridere e gli passò le dita nei capelli.
“Si sono allungati parecchio.”
“Già.”
“Domani metterò a frutto le mie doti da parrucchiere e te li spunterò un po’.”
“Non ci provare nemmeno!” disse Tatsuya arricciando le labbra, “I miei poveri capelli...”
Jin si mise a ridere e lo tirò di nuovo a sé.
“Hai ancora gli occhi chiusi?”
“Uhn...” annuì Jin. Intorno a loro, il mondo continuava a girare senza notare la loro esistenza, ma ormai non importava più.
“Grazie...” mormorò Tatsuya con voce talmente flebile che Jin stentò a sentirla. Poi fece un respiro profondo.
“Anche tu mi piaci.”
Sul volto di Jin comparve un sorriso: il buio non era mai stato così luminoso.
 “Lo so.”

***

Mi domando se colui che ci ha fatti incontrare quel giorno in quell’odioso izakaya di periferia,
non fosse proprio il destino.



[1] Città della prefettura di Shige. Le sue terme risalgono all’era Edo (1603-1868) e sono conosciute per essere le terme in cui scorre la maggior quantità d’acqua termale del Giappone: in particolare, 32.300 litri al minuto.
[2] L’Università di Tōkyō.
[3] I soba sono un piatto della cucina giapponese consistente di sottili tagliatelle di grano saraceno, serviti caldi d’inverno e freddi d’estate. Data la loro lunghezza, sono simbolo di longevità e per questo, solitamente, si mangiano a capodanno.
[4] Aki, in questo caso, significa autunno.
[5] (n.d.a) Racconto d'Autunno è una storia di Eos_92. Mentre decidevo quale sarebbe stato il destino di Ueda ho voluto rileggerla. In quel periodo avevo pure rivisto Yuuki, ma questa è un'altra storia xD
[6] Lo Shiba Park è un parco pubblico che si trova a Minato - uno dei quartieri speciali di Tōkyō - che è stato costruito intorno ad un famoso tempio buddista, lo  Zōjō-ji. Da ogni viale del parco è inoltre possibile avere una vista della Tōkyō Tower, una torre televisiva che, con i suoi 322,6 metri d’altezza, è la più alta struttura d'acciaio autoreggente del mondo.

Commento:  Come??? Come? E’ finita? O.O PARTY HARD!!!
Era ora!!! Ma che cavolo! 20 mila parole O.o Scritte in un mese e un giorno! (Le “un mese e una notte” xD) Devo essermi fusa il cervello... l’università mi fa male, l’ho sempre detto xD (nevvero!)
Comunque *coff coff* Questa volta i ringraziamenti sono fondamentali:
Prima di tutti, ringrazio la mia editrice Vittoria!! Della casa editrice LaBetti x°D Davvero grazie per averla letta pagina dopo pagina e per avermi rotto le pall- scatole fino a cinque minuti fa xD Speriamo che ti piaccia anche la fine perché non c’ho intenzione di rifarla! A meno che tu non abbia un’idea concreta xD
Poi, grazie anche a Raky che ha ascoltato i miei riassunti orali schifosi e che mi ha aiutata con l’ultima scena. Great idea :P Chu!
Infine ringrazio le altre che l’hanno letta a pezzi e bocconi, soprattutto Koko-chan ^^ Spero che il finale piaccia anche a voi!
Dal canto mio, mi sono divertita molto a mettermi alla prova con questo racconto. A questo punto si può solo scendere di livello! Ahah xD Sìsì, direi che questa è di gran lunga la mia ficci preferita ^^ E solo una scena hot poi!!! E nemmeno tanto hot!! No, no, non va bene .-.
Basta chiacchiere, vado a nanna! Un bacio a tutti e buone feste!! <3 Mata ne!
   
 
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