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Autore: Iolyna92    03/01/2012    2 recensioni
I capelli biondi profumavano ai fiori di lavanda e stavano ancora bagnati e scompigliati sulla testa.
Il viso dai lineamenti eleganti era leggermente più roseo per l’ambiente caldo che aveva abbandonato e gli occhi leggermente lucidi e arrossati.
Le larghe spalle, nude e umide, insieme alle braccia possenti e il petto, dove scolpiti c’erano muscoli sviluppati dai frequenti allenamenti, brillavano invitanti sotto le luci del pomeriggio.
Sulla pelle calda e profumata, una brillante goccia d’acqua attirò il suo sguardo.
Questa era partita dalla giuntura dei capelli sopra la tempia e pian piano scivolava sul bel fisico di lui, seguendo i contorni perfetti fino all’addome, dove fu assorbita dalla tovaglia che copriva il resto del corpo fin sopra le ginocchia.
Dorothy non si fermava spesso ad osservare la fisicità dei ragazzi e mai ad osservare quella di Seifer, almeno non fino ad adesso.
°*°*°*°*°*°*°*°*°*°*
Spero di avervi incuriosito con questo pezzo tratto dalla mia storia^^
Vi sarei davvero grata se deste un occhiata e, anche se poi decideste di non leggerla, lasciare comunque una recensione. Accetto ben volentieri sia critiche che apprezzamenti xP grazie in anticipo^^
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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*°*°*@Note della scrittrice@*°*°*
Buenas Dias a todos!!! >.< E  già, come promesso, eccovi il 7° Capitolo!!! E un po’ lunghetto ma iniziamo a conoscere meglio la protagonista ^^!!! =) Dopo di ciò non mi resta che augurarvi un Felicissimo Anno Nuovo e vi consiglio di leggerlo in fretta perché non passerà molto tempo per pubblicare l’ottavo capitolo che è già pronto xP Sisi… Sono moooooolto legati tra loro!!!! In realtà lo volevo fare tutto unico… solo che poi sembrava non finisse mai! :D Quindi non vi preoccupate se il finale è un po’ sospeso!!! Dopo di che ringrazio Jo che è sempre il primo (e post’ora l’unico D: ) a recensire!!!!
Buona lettura Ioly :3:3

Capitolo 7°
Madame Cortes

 
 
“Ecco cosa ci voleva …” pensò Dorothy, sotto l’acqua calda che le batteva sulle membra stanche del corpo.
Era da ore sotto la doccia e il suo corpo si ribellava all’idea di abbandonare la piacevole sensazione che l’avvolgeva.
Il calore la aiutava a rilassare i muscoli tesi e indolenziti mentre, il profumo del bagno schiuma ai frutti di bosco, alleviava il mal di testa che continuava a tartassarla.
 
La mattinata che aveva trascorso era stata abbastanza pesante e le aveva richiesto un enorme sforzo fisico.
Era fuori forma: due mesi di fermo le avevano tolto davvero tanto. E Seifer se n’era accorto.
La vedeva più pallida del solito, tutta dolorante e a tratti stringeva forte la spalla.
Forse lo voleva nascondere, ma sapeva che quest’ultima risentiva dell’eccessivo sforzo: la ferita era stata più grave di quando lei stessa pensasse e ci sarebbe voluto del tempo per abituarsi agli acciacchi di vecchi traumi come quello.
Così, un po’ leggendole nel pensiero, subito dopo pranzo avevano salutato tutti, e tirandola per un braccio, l’aveva trascinata a casa.
-Sei esausta…- le aveva detto strada facendo –Non te lo propongo nemmeno di fare l’allenamento pomeridiano. Quello lo inizieremo la settimana prossima.- aggiunse.
 
Si dette l’ultima sciacquata.
Passò le mani tra i capelli puliti ed eliminò gli ultimi residui di sapone; poi chiuse l’acqua e, a malincuore, uscì avvolgendosi nell’accappatoio.
 
Il piccolo bagno aveva la doccia nascosta in un angolino dietro la porta, con accanto il lavandino sovrastato da uno piccolo specchio a muro.
Era caotico e molto disordinato: asciugamani e scarpe erano sparsi per terra, le mensole straripavano di creme e prodotti per l’igiene personale, mentre il lavabo era spesso sporco di dentifricio e la carta igienica srotolata sul pavimento.
Dorothy odiava quel disordine, ma per quanto lei e Mia s’impegnassero a sistemarlo, il sesso maschile aveva la meglio.
 
Ignorando quel disastro che si ritrovava per bagno, si avvicinò allo specchio appannato, a causa dell’acqua calda con cui si era lavata.
Stese il braccio con il palmo rivolto verso specchio e le bastò un pensiero per asciugarlo.
 
Assorbire il suo elemento così per lei era solito. Lo faceva spesso e, quel poco che assorbiva, era capace di trasformarlo in un minimo di energia.
Le sembrava ieri quando la sua mamma la rimproverava perché assorbiva metà dell’acqua con cui aveva riempito la vasca.
Era un dispetto che le faceva spesso solo per vederla diventare rossa in viso mentre agitava il dito esortandola di finirla. Era bellissima …
Distolse il pensiero.
E con la rabbia nel cuore sapeva che invece c’erano persone che quando la osservavano rimanevano stupiti da questi semplici “trucchi”.
Odiava quella reazione.
 
Si osservò attentamente allo specchio: il riflesso mostrava la pelle rosea del suo viso, un po’ arrossata sugli zigomi a causa del caldo.
Gli occhi blu, invece, erano solo più socchiusi dalla stanchezza e leggermente arrossati.
Le labbra sottili erano di un rosa appena più scuro della sua pelle e i capelli mossi, sotto l’effetto dell’acqua, erano perfettamente lisci e di un rossopiù intenso del solito.
E mentre, a fatica, si pettinava, voltò la testa prima da un lato e poi dall’altro: sui lineamenti sottili ed eleganti notò che non aveva macchie sulla pelle, né nei. Era perfettamente liscia e morbida.
Pregio ereditato da mamma Adelaide.
 
Posò la spazzola e si allontanò.
 
Si trovava diversa, ecco cosa non andava.
Non si era ancora abituata alla sua visione ma era lì.
Una cicatrice appariva tra la spalla e il collo, di medie dimensioni e leggermente arrossata.
Per l’ennesima volta a guardarla le venne un brivido lungo la schiena.
Aveva paura perfino di toccarla.
Si morse appena l’angolo della bocca.
 
“Sei una stupida” si disse.
Come poteva credere che da un giorno all’altro quel segno sarebbe sparito nel nulla; come poteva credere che un giorno avrebbe dimenticato come se lo era procurato.
 
… Uno sparo.
Un dolore atroce coinvolse la sua spalla sinistra.
Il comandante del gruppo aveva un asso nella manica e lo aveva appena utilizzato.
Dorothy, appena subì il colpo, rallentò.
Dal foro che trafiggeva la spalla, proprio dove il proiettile l’aveva perforata, un fiume di sangue rosso e denso fuoriusciva senza sosta.
La stringeva ma inutilmente perchè all’improvviso si sentì debole, senza forze.
Avrebbe tanto voluto sdraiarsi a terra e morire lì, sotto la pioggia che le batteva sul viso.
Ma non poteva arrendersi, non poteva fermarsi ...
 
E non si era fermata.
Se era li, a guardarsi allo specchio, era grazie alla sua forza di volontà e alla lucidità con cui lottò fino alla fine.
Ma doveva comunque rassegnarsi: quella cicatrice era lì per ricordarle la vita che aveva scelto, o peggio, che era stata costretta a scegliere.
 
Abbassò lo sguardo, in preda ai ricordi.
 
Provava disgusto per se stessa: era un mostro per tutti quelli che aveva ucciso e avrebbe ucciso, un mostro per i segni che il corpo le avrebbe mostrato per farla sentire in colpa.
E già sapeva quante lacrime avrebbe versato ogni volta che ci avesse pensato.
 
La coprì, nel tentativo di allontanare i malvagi pensieri, e …
 
- Insomma hai finito!- disse spalancando la porta del bagno, Seifer.
Dorothy spaventata, si strinse addosso l’accappatoio, che le stava abbastanza largo: le lasciava le spalle di fuori ed era costretta a stringere con le mani le giunture davanti al petto onde evitare spiacevoli imbarazzi.
- Ti sembra normale entrare nel bagno così di botto mentre io mi sto facendo la doccia?- lo rimproverò severa.
-E a te sembra normale tirati due ore per lavarti?- rispose furioso – Insomma, anch’io vorrei lavarmi!!!!- aggiunse gesticolando vorticosamente.
-Scusa, ma avevo proprio bisogno di una bella doccia rilassante. - provò a giustificarsi colta da improvvisi sensi di colpa.
-Anche io ne ho bisogno!!!- le disse il ragazzo, premendo una mano sul petto.
Abbassò lo sguardo, imbronciata.
- Mi dai il tempo di asciugarmi?- gli chiese gentilmente Dorothy, mentre tentava con le mani di coprirsi le spalle con l’accappatoio.
Seifer la guardò prima furioso, poi scettico.
-Vedi che lo so, che se tu vuoi, ti puoi asciugare in cinque secondi. - la cantilenò, poggiando la spalla sulla soglia dalla porta e incrociando le braccia sul petto.
Era una posizione che Seifer assumeva spesso.
-E se io non volessi asciugarmi in cinque secondi?- lo provocò stringendo a sé ancor di più l’accappatoio.
- Ti asciugo io! Semplice no!- le rispose con fare un po’ malizioso, ricominciando a gesticolare, così perdendo la posizione iniziale.
- E magari ti bruciacchio un pochino!!!- aggiunse scherzosamente.
- E va bene!- cedette alla fine la rossa.
Sbuffò, alzò la mano all’altezza della spalla e roteò il polso, mettendo la mano a coppa verso l’alto.
I pochi secondi, tutta l’acqua che si ritrovava addosso al corpo e assorbita dai suoi capelli si ritrovò a forma di una piccola sfera sulla mano; mentre lei era completamente asciutta.
Roteava vorticosamente e non dava assolutamente l’impressione che fosse solida.
La osservò compiaciuta, la fece rimbalzare due volte e poi sparì.
-Contento?- chiese, sfottendolo.
-Si molto.- rispose secco il biondo. - E ora fuori!- aggiunse indicando severo il soggiorno.
Dorothy sbuffò ancora una volta e si avviò verso la porta.
Passandogli accanto, gli dedicò una graziosa linguaccia.
-Non mi disturbare per almeno due ore!- le riferì, chiudendo la porta del bagno in maniera alquanto brusca.
- Non ne avevo l’intenzione!- gli rispose immediatamente.
 
“Antipatico” fu l’unica parola che le venne per descriverlo prima di entrare nella sua camera.
 
“Antipatica” fu quella che pensò Seifer, iniziandosi a spogliare, per entrare nella doccia.
 
Aprì la porta di legno di noce, che conduceva alla sua stanza; a causa della stanchezza le sembrava pesantissima.
La sua camera era bellissima, soprattutto quando la inondavano i raggi focosi del sole di quel pieno pomeriggio estivo.
 
Le mura erano bianche; un bianco candido e puro che il primo sole, al suo risveglio, la faceva sentire in paradiso.
 
Adorava quella sensazione: rendeva quella stanza l’unico posto, al mondo, dove poteva rifugiarsi e sentirsi al sicuro.
Sapeva che, li dentro, poteva perdersi nei suoi pensieri senza che nessuno la venisse a cercare; poteva godere della solitudine che spesso la vita le aveva vietato.
 
Il pavimento, invece, era formato da mattonelle grandi in ceramica azzurra, che splendeva e profumava dalle pulizie, fatte fino al giorno primo.
Aveva scelto lei stessa come arredare la sua camera e l’aveva sistemata proprio come l’avrebbe sempre voluta.
E pensare che prima non possedeva neanche una casa …
 
Come si stava scomodi nell’appartamento della signora Cortes.
Era costituita solo da tre stanze, tra l’altro molto piccole e poco arredate.
La ricordava ancora alla perfezione: la porta di entrata era nel soggiorno, la stanza più grande dell’appartamento, ed era arredato solo con un tavolino rotondo e traballante con due sedie intorno, tutto di un legno così vecchio che era buono solo per bruciarlo.
Sempre nel soggiorno c’era una cucina malandata, per questo risiedeva anche una puzza di fritto e pesce che provocava la nausea.
E intanto la prima volta che lo aveva visto le era sembrata magnifica.
 
Era cresciuta in un orfanotrofio, dove l’unica sala da pranzo conteneva una cinquantina di ragazzi di età diverse e cibo disgustoso.
La scoperta di come si stava comodi a mangiare in due in un gigantesco tavolo, l’aveva entusiasmata.
 
In quel piccolo e buio soggiorno, aveva fatto i suoi primi esperimenti di cucina, riuscendo per la gran parte del tempo solo ad appiccare piccoli incendi o a far bruciacchiare qualche vivanda prima commestibile.
Ma si divertiva a impiastricciarsi le mani imparando qualcosa di nuovo.
E la signora Cortes l’appoggiava sempre, in qualsiasi “esperimento” si volesse cimentare.
 
Nadì, così era il suo nome, le era sempre sembrata una buona e cara persona: possedeva degli occhi grandi e verdi come due smeraldi rarissimi, i capelli lunghi e grigi sempre legati in una coda disordinatamente.
Aveva la gobba, le mancava qualche dente e la pelle le cadeva dal viso, dalle mani, e da qualsiasi altra parte del corpo molto rugosa; ma nei suoi tempi d’oro era davvero una ragazza bellissima.
Era stata sempre dolcissima, e da quando l’aveva adottata dall’orfanotrofio, non le aveva fatto mancare nulla.
Nel tempo che era stata con lei, aveva sempre sognato di passare tutta la vita con una così graziosa nonnetta.
Anche quella volta si sbagliava.
 
Alla destra del soggiorno c’era la stanza da letto: al centro della camera c’era un letto a due piazze senza rete, buttato per terra in mezzo alla polvere e abbastanza consumato, dove lei e Nadì dormivano insieme.
 
Agli inizi dormire insieme alla signora Cortes le era sembrato strano; oltretutto in orfanotrofio, anche se condivideva la stanza con tutte le ragazze, non aveva mai condiviso il letto con qualcuno, il che la imbarazzava.
Le servirono un paio di mesi per adeguarsi alla nuova situazione.
 
Di fronde al letto c’era situato una “specie di armadio” dove non aveva mai osato mettere naso.
Aveva sempre preferito tenere il suo guardaroba in un borsone e aveva sempre pensato di aver fatto la cosa giusta.
Solo una volta le era capitato di trovarlo semi-aperto e, sbirciando all’interno, aveva notato solo vestiti neri, quelli che usualmente indossava Madame Cortes, e una forte, fortissima puzza di ammuffito.
 
Infine, alla sinistra del soggiorno, c’era il bagno, che conteneva solo la tazza del water e una doccia senza tendina con un solo foro da scarico sul pavimento; tra l’altro quest’ultimo s’intasava spesso, provocando un allagamento nella stanza, che spesso coinvolgeva anche il soggiorno.
 
Col passare del tempo iniziò a odiare vivere in quell’appartamento ripugnate e, per quando provasse a pulirlo e a renderlo decente, non ci riusciva mai.
 
Ma, per fortuna, il destino aveva percorso la sua strada e nella sua nuova casa tutto era completamente diverso.
Non solo ogni stanza era molto grande, luminosa e ben arredata; ma anche il fatto stesso che aveva un luogo dove nascondersi dagli occhi e dalle orecchie di qualcun altro, la faceva sentire bene.
 
Aveva sistemato la sua stanza con i colori e lo stile che desiderava; e questo la faceva stare ancora meglio, dato che rispecchiavano le sue sensazioni e la forma del suo animo.
 
Il suo letto a due piazze, ricoperto da cuscini merlettati di raso, era sistemato di fronte alla porta d’ingresso.
Le lenzuola che lo ricoprivano, come i cuscini, erano azzurre e bianche, e s’intonavano perfettamente con tutto l’ambiente.
 
Dormire in quel letto, le era sembrato come dormire su una soffice nuvola gigantesca.
E, per la prima volta, forse in tutta la sua vita, il suo non era un sonno leggero e allerta, nell’attesa di un attacco, ma pesante e tranquillo, sicura che non le sarebbe successo nulla.
 
Accanto al letto c’erano due comodini azzurri, di color pastello.
Su di uno c’era una piccola lampada da tavolo; sull’altro invece c’era una graziosa sveglia, regalo gentilissimo di Seifer, per il suo arrivo.
 -Ti servirà, vedrai.- le aveva detto, anche se fino ad ora non l’aveva usata.
 
Alla sua destra gran parte della parete era occupata da un armadio intonato con i comodini, che Dorothy aveva trovato grande e spazioso.
Aveva portato solo con pochi vestiti che con sé e ancora doveva fare un po’ di shopping dato che ne era a corto.
Di fronte ad esso, nella parete sinistra, sotto la grande finestra che la occupava per metà e ornata da splendide tende azzurre, vi stava la graziosa e spaziosa scrivania azzurra, intonata anch’essa con il resto dell’arredo.
Ancora questa era completamente vuota, a parte una piccola lampada da lettura.
 
Un po’ ovunque c’erano delle mensole ancora vuote.
“Ben presto le riempirò” si promise quando osservò la stanza completata.

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