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Autore: Lusty_Archivio    03/01/2012    6 recensioni
Una raccolta AU incentrata sull'amorevole (non troppo) Bardack e i suoi tranquilli (non troppo) figli, Goku e Radish. Piccoli scorci di vita tra passato e presente, tra pannolini da cambiare e discutibili problemi adolescenziali (?) da gestire.
[Toma/Seripa; Goku/Vegeta; Turles/Radish]
5. / Radish & Goku.
Conosceva un sacco di torture terribili a cui sottoporre i criminali, qualcosa tipo una frustata, un sacco di botte, l’iniezione letale o la sedia elettrica, ma quello... quello no. Santo cielo, no.
[Partecipante alla 3O Hugs Challenge su Livejournal]
[Partecipante alla "Pannolini Challenge" di Makichan]
Genere: Fluff, Generale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Bardack, Goku, Radish, Un po' tutti, Vegeta | Coppie: Goku/Vegeta
Note: AU, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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Blatereggiando.

Salve! Ecco un nuovo capitolo fluffoso per questa raccolta! Non ho molto da dire in verità, se non i miei soliti ringraziamenti per il seguito di questa raccolta. Grazie soprattutto per le belle recensioni, che fanno sempre piacere. Devo dire che questi tre li amo in una maniera mostruosa, anche se non si è mai vista una scena originale tra loro. Ma vabbUò, in questa benedetta serie sono talmente tante le cose che mi piacciono e che non si vedono che potrei fare un elenco chilometrico, LOL. Shame on you, Akira! Radish nella serie è un individuo bastardo e profondamente carogno, eppure nelle fan art e nelle doujinshi, per qualche oscuro motivo, appare sempre come un personaggio carino e relativamente coccoloso. In pratica per i giapponesi è una sorta di fratellone perfetto, nonostante tutto. E quindi... Uhm... che dire? RADISH, SEI ADORABILE. Sì, anche se in realtà nella serie è sostanzialmente, un bruto, un cattivone, un babbeo eccetera eccetera... TI AMO. Potrei rapirlo e costringerlo a farmi da fratello. Penso che passerei le giornate a fare la caccia al tesoro tra i suoi capelli (DDDDDDD:). Anyway, tutta questa pappardella per dire, sostanzialmente, che in questo capitolo è lui il protagonista. <3 Tanto amore per lui e il suo fratellino combinaguai. E per il padre gnocco, of course. *perv-face*. Ancora, grazie per le recensioni, i vari preferiti/seguiti/ricordati. Alla prossima! *nii-chan = nii-chan significa ''fratellino'',viene usato dai fratelli (o sorelle) minori per chiamare i fratelli maggiori.

 

Disclaimerchemidimenticosempre » Dragon Ball © Akira Toriyama.


 

 

P A S T (3)

Gli orsi di peluche fanno piangere più delle persone.

{Radish, Bardack & Goku}

Hug 4. Teddy bear.

 

Radish tirò su col naso. Una, due, tre volte. Sentiva gli occhi pizzicare, come se tanti piccoli, fastidiosi insettini gli stessero mordicchiando i bulbi oculari. Il mento era increspato e le labbra stoicamente serrate, premute l’una contro l’altra a formare una bianca linea sottile, piatta come il nulla che in quel momento gli stava attraversando la mente. Ogni fibra del suo corpo tremava, ogni lineamento del suo volto era contratto in una smorfia, nel disperato tentativo di non piangere.

Suo padre gli aveva sempre detto che i veri uomini non dovevano mai abbandonarsi alle lacrime. “Solo le femminucce piangono!”, grugniva, quando intravedeva un luccichio sospetto nei suoi occhi scuri e rotondi quanto due grandi bottoni, affibbiandogli poi uno scappellotto in testa. Diceva che piangere era fastidioso, faceva venire un gran mal di testa – “A te e a chi ti sta intorno!” – ed era soltanto una palese dimostrazione di debolezza. E lui no, non doveva mostrarsi debole.

Solo che in quel momento le lacrime pizzicavano tanto. Davvero tanto. E più tentava di trattenerle al di sotto delle palpebre, più quelle pungevano, pungolandogli gli occhi come sottilissimi spilli. Non scendete, ringhiò loro contro, mordendosi un labbro. Non osate scendere.

Strizzò le palpebre per qualche istante, sentendo le ciglia impercettibilmente bagnate premere contro lo zigomo, poi le sollevò di nuovo, stringendo convulsamente i pugni. Attorno a sé tutto era liquido, deformato dalla sottile patina salata che gli avvolgeva lo sguardo. Fissò stoicamente dinanzi a sé, rabbioso e paonazzo di rabbia, lì dove una minuta figura stava immobile contro il muro scrostato della cucina.

Goku, a differenza sua, non piangeva mai. Non piangeva se si sbucciava un ginocchio, nè se rompeva la macchinina nuova. Non piangeva nemmeno in quel momento, anche avrebbe dovuto farlo.

Si limitava a stare acquattato a terra come un riccio, con le dita dei piedini accartocciate tra loro e un’espressione colpevole dipinta in faccia, una mano premuta a stropicciare un ciuffo di capelli corvini sulla fronte e l’altra stretta attorno alla vita di un viola orsetto di peluche, abbandonato inerme tra le sue braccia. Teneva lo sguardo colpevole fisso su di esso, mordendosi piano il labbro, e il pupazzo lo guardava a sua volta, coi suoi grandi e vitrei occhi a bottone che fissavano tutto e non vedevano niente. Forse stava urlando, ma come avrebbero potuto saperlo? La sua bocca era di pezza, serrata da una sottile cucitura a zigzag bianca che spezzava la scura monocromaticità della stoffa. Dal suo ciompo pancione strappato straripavano batuffoli di imbottitura al posto di sangue. Forse voleva urlare, o forse voleva piangere, ma i suoi occhietti neri erano asciutti e sgranati come quelli di un cieco, e da essi non usciva alcuna lacrima. Era solo un pupazzo, d’altronde. Il pupazzo di Radish.

« Mi dispiace, nii-chan », pigolò Goku, abbassando rattristato lo sguardo. « Mi dispiace tanto! ».

Radish indugiò su di lui solo per qualche istante, fremendo di rabbia. Poi posò gli occhi sul suo orsacchiotto, ora ridotto ad un ammasso informe di stoffa vuota, e si morse un labbro. Per qualche istante rimase così, totalmente immobile; poi, come se quell’ultimo batuffolo di imbottitura caduto a terra fosse stato il suo detonatore, esplose. « Chi ti ha dato il permesso di toccare le mie cose?! ». A dispetto dell’altissimo tono, la sua voce tremava ed era spezzata dagli spasmi. Fissò suo fratello con astio per qualche secondo, affannando appena, dopodiché sbatté rabbiosamente il piede a terra e stravolto chinò con uno scatto il capo. Le lacrime iniziarono a rotolargli copiose lungo le guance, scivolando sugli zigomi e cadendo a terra, picchiettando come pioggia sulle piastrelle traslucide. Immediatamente le braccia, fino a quel momento mantenute rigide come pezzi di legno lungo i fianchi, scattarono a nascondere il volto.

Goku lo guardò mortificato, alzandosi e facendo per avvicinarglisi cautamente. Appena osò poggiargli la manina sul lembo stropicciato della maglia, Radish sollevò la testa e con uno scatto d’ira lo spintonò violentemente lontano da sé, facendolo incespicare sui suoi stessi piedi e cadere a terra con un tonfo sordo. Il piccolo non seppe dire cosa fece più male, se l’urto violento contro il pavimento o lo sguardo gonfio ed astioso del fratello che lo trafisse come una spada.

« Tu... »,  Radish strinse i denti, tanto forte da poterli udire scrocchiare l’uno contro l’altro. « Non hai rispetto per niente e per nessuno. Devi sempre rompere tutto con le tue brutte manacce, anche le cose che non sono tue! ». Trattenne il fiato per qualche istante, tirando su col naso e strizzando dolorosamente gli occhi. Poi scoppiò, in un tono di voce ancora più rabbioso del precedente: « Quell’orsacchiotto me l’aveva regalato la mamma! Non avevi alcun diritto di romperlo! ».

Goku incassò la testa nelle spalle, spaventato da quella reazione. Poi tornò a guardarlo con sguardo crucciato, le labbra tremanti e il cuore martellante nel piccolo petto, fragile come quello di un uccellino. « Mi dispiace, nii-chan! Non l’ho fatto apposta! ».

Radish scosse il capo e lo guardò per un ultimo, sofferto istante, senza dare nemmeno più peso al viso rosso e bagnato. Nonostante gli occhi fossero pieni di lacrime, essi ardevano ugualmente come braci. « Ti detesto », ringhiò. Poi scappò via, lasciandolo da solo, senza nemmeno accorgersi della torva presenza di Bardack, poggiato silenzioso contro l’entrata della cucina.

Goku non piangeva mai.

Quella volta, però, pianse.

 

 

 

***

 

 

 

Due improvvisi colpi, secchi e cadenzati come solo quelli di suo padre potevano essere, bussarono alla porta della cameretta solo un’ora più tardi. Radish, rannicchiato come un feto tra le lenzuola e con la faccia immersa nel cuscino umidiccio di lacrime salate, non si premurò nemmeno di rispondere. Dopo un paio di muti secondi Bardack entrò nella stanza ugualmente, come di consuetudine. Non era un tipo che si faceva troppi riguardi circa la privacy dei figli, lui.

« Oi », mormorò, cercando di assumere il tono più indulgente possibile, sebbene la tonalità naturale perennemente scontrosa della sua voce glielo impedisse. Radish s’irrigidì maggiormente sul materasso, ingoiando i singulti che ancora gli tremavano nella gola nel tentativo di far finta di dormire. « Stai ancora piagnucolando? Non ti ho sempre detto che solo le femminucce frignano? ». In risposta ottenne solo uno statico, pesante silenzio.

Sospirò irritato e, divorando con pochi passi l’esigua distanza che li divideva, si lasciò cadere a peso morto sul ciglio del letto, accanto al corpicino caldo e tremante del figlio. Nonostante non fiatasse, che il marmocchio non stesse dormendo era più che palese. Poteva sentire chiaramente il suo respiro spezzato e raschiante, quello che solo un pianto prolungato poteva causare. In condizioni normali si sarebbe limitato a dargli il solito scappellotto in testa e a lasciarlo sbrodolare tra le lacrime e il moccio fino a quando non si fosse dato una calmata, ma stavolta era diverso. Bardack era consapevole di quanto quello stupido orsacchiotto di pezza fosse importante per suo figlio; era stato un regalo di Taanipu tanti, tanti anni prima, un regalo di compleanno ai tempi in cui c’erano tanti motivi per sorridere e nessuno per piangere. Radish aveva sempre custodito quel peluche come un piccolo tesoro, accogliendolo sul letto come il più ragguardevole degli ospiti, portandoselo costantemente appresso quando era ancora un poppante e lasciandolo a malincuore a casa quando, diventato più grandicello, se ne separava per andare a scuola. Rompendolo, seppur involontariamente, era come se Goku avesse spezzato una parte di suo fratello, un qualcosa che da sempre gli era stato insito dentro, che gli scaldava il petto e che lo faceva sorridere al ricordo vacuo di sua madre.

Si massaggiò stancamente le tempie, sospirando nuovamente.

« Radish », mormorò, con voce roca. Erano poche le volte in cui lo chiamava col suo nome.

Il bambino stavolta si voltò lentamente verso di lui, stendendo le gambette tenute fino a quel momento abbracciate al petto. Il volto era chiazzato di rosso, solcato da due profonde striature umide. Aveva gli occhi gonfi e lo sguardo stanco, il moccio sotto al naso. Doveva aver smesso di piangere da poco. O forse aveva smesso nell’esatto istante in cui lui aveva valicato la porta della cameretta.

« Stai colando come un rubinetto », constatò atonamente Bardack, « Soffiati quel naso ». Gli porse un fazzoletto e lui glielo strappò di mano con uno scatto rabbioso, affondando nella carta con quasi tutta la faccia, come se in essa avesse visto un nuovo posto in cui seppellire le lacrime. Dopodiché, ficcato distrattamente sotto al cuscino, si mise lentamente a sedere e mantenne lo sguardo accollato al pavimento, onde evitare quello totalmente impenetrabile del genitore.

Bardack poteva sentire il suo senso di vergogna a pelle, come se stesse vibrando nell’aria come una scarica elettrica. Radish, a differenza di Goku, era davvero incredibilmente orgoglioso. Piangere dinanzi a suo padre doveva causargli un’umiliazione davvero incredibile.

Lo sentì tirare piano su col naso, quasi nel timore di fare troppo rumore, lo vide stropicciarsi freneticamente gli occhi e stringere con forza le labbra, nell’ostinato tentativo di farle smettere di tremare. Nonostante tutto, gli somigliava in parecchie cose.

Radish aveva un po’ di freddo. Suo padre emanava sempre un gran calore, ma non osò avvicinarglisi ulteriormente. Aprì la bocca per dire qualcosa, poi la richiuse. Artigliò il lenzuolo come se stesse pendendo da un baratro e da esso dipendesse la sua salvezza. Poi, finalmente, la sua voce squarciò il silenzio: « Non voglio più vedere quello stupido di Goku ». La sua voce era flebile e tremante, come un eco in mezzo al nulla.

Bardack incassò la testa nelle spalle, sospirando. « Ci vivi, con quello stupido di Goku. Lo devi vedere per forza, anche se la cosa non ti comoda ».

Per qualche istante, calò il silenzio. Radish fissò immobile dinanzi a sé, posando l’attenzione sul muro scarabocchiato della stanza. Fece ciondolare un po’ le gambe, facendole sbattere contro il bordo in legno del letto. « E allora non esco più dalla mia cameretta », sbottò.

Bardack schioccò irriverente la lingua contro il palato. « Ti ricordo che nella tua cameretta non ci sono né il frigo né il water ».

Ancora silenzio.

Radish incrociò le braccia al petto, gonfiando le guance. « Allora non mangerò più niente e non andrò mai in bagno! ».

« Ora che ci penso, saresti anche senza televisione. Quindi niente cartoni né videogiochi ». A quelle parole il bambino entrò in una sorta di crisi mistica, mugugnando frustrato.

Bardack si concesse una manciata di secondi per osservare quella divertente espressione contrariata, dopodiché riprese la parola. Non vi era alcun riverbero ironico nella voce, stavolta. « Tuo fratello è ancora piccolo », esordì, austero, « Non voleva rompere il tuo orsacchiotto, lo sai ». Radish scrollò le spalle, sentendo gli occhi riprendere ignominiosamente a pizzicare. Rimase a fissare il pavimento, senza dire nulla. Lui continuò. « Capisco che era importante per te, ma anche se eri arrabbiato, non avresti dovuto dirgli quelle cose. Hai fatto frignare pure lui » – e solo dio sapeva quanto ci avesse messo a farlo smettere di piangere, rassicurandolo che presto “nii-chan” sarebbe tornato da lui per giocare insieme ai pirati e ai guerrieri, o per staccare la testa alle bambole di Chichi, e che quindi non c’era motivo di inondare la casa con le sue lacrime. « Dovresti scusarti per come l’hai trattato ».

Radish balzò in piedi, improvviso come una saetta, fulminando per la prima volta suo padre con lo sguardo. « Ha rotto il regalo che mi aveva fatto la mamma! Ha toccato e preso le mie cose senza permesso! », esclamò, arrabbiato, « È lui che deve chiedermi scusa! ».

Bardack lo guardò imperturbabile, senza scomporsi. Si alzò lentamente dal letto, sovrastandolo in tutta la sua imponente stazza, minaccioso. « Tuo fratello ti ha già chiesto scusa » spiegò, asciutto. « Due volte ». Vide suo figlio reclinare frustrato il capo e borbottare qualcosa, un mormorio soffocato che gli parve indistintamente un “non me ne importa niente”. Sospirò e, dandogli le spalle, si avviò verso l’uscita della stanza. « Scusarsi non significa sempre che tu hai sbagliato e l’altra persona ha ragione », disse, prima di aprire la porta con un cigolio lamentoso, « Significa semplicemente che il vostro rapporto vale più del tuo ego, bamboccio ».

Si concesse di guardare indietro solo per un istante, scorgendo le iridi scure di suo figlio brillare umide nella penombra della stanza.

Poi, senza aggiungere altro, uscì.

 

 

 

***

 

 

 

Radish non seppe dire con esattezza quanto tempo fosse trascorso. Forse dieci minuti, forse trenta, forse un’ora. Gettò uno sguardo alla foto di sua madre, che sorridente lo guardava da dietro il vetro limpido della cornice. Lentamente strisciò verso i bordi del letto, s’inforcò le ciabattine ai piedi e, sospirando, raggiunse la porta della cameretta. Le parole di suo padre gli erano cadute sulla testa come massi, facendogli venire un gran mal di testa. O forse erano semplicemente gli effetti postumi del pianto, chissà.

Beh, non gli importava.

Decise di occupare la mente di pensieri più rilevanti.

Con fatica, con estrema fatica ed un pizzico di sacrificio, aveva deciso di andare a parlare con Goku. Non voleva davvero chiedergli scusa, però. Semplicemente... semplicemente insultarlo in maniera meno pesante, ecco.

Abbassò la maniglia ed aprì la porta. Non fece nemmeno in tempo a spalancarla del tutto che un “tonk” secco lo fermò a metà movimento, facendolo sobbalzare. Sporse il naso sul corridoio, perplesso, ritrovandosi faccia a faccia proprio con suo fratello, il quale stava con una smorfia di dolore dipinta in volto, il naso arricciato e un tantino rosso. Doveva avergli aperto la porta sul muso. Non ci volle molto, comunque, prima che il piccoletto si ristabilisse come se nulla fosse.

« N-nii-chan! », pigolò Goku, accortosi con scoppio ritardato che il fratello lo stava fissando, sbucando appena dall’entrata della camera. Immediatamente entrambe le mani scattarono dietro alla schiena, nell’alquanto palese intento di nascondere qualcosa.

Radish aggrottò le sopracciglia, perplesso. Goku fece qualche passetto indietro e gli permise di aprire completamente la porta. Ora si ritrovavano esattamente faccia a faccia, con solo alcuni centimetri a separarli.

Per qualche istante, nessuno dei due fiatò. Poi Radish si grattò imbarazzato la zazzera scura, arrossendo un pochino imbarazzato. « O-okay, senti... io... ».

Non fece in tempo a concludere la frase.

Goku fece scattare le braccia avanti, rivelando stretto tra le mani nientepopodimeno che il suo caro peluche color melanzana, sul cui prorompente stomaco spiccava ora un’enorme, sfilacciata pezza arancione, cucita alla bell’e meglio sullo squarcio di stoffa. « Papà ha detto che si poteva riparare... C-così mi ha aiutato a ricucirgli il pancione! ».

Radish non poté fare altro che sgranare gli occhi, incredulo. Fissò sbalordito l’orsacchiotto messo a nuovo, poi le piccole mani di suo fratello che lo reggevano ora come se fosse stato di cristallo. Sulle dita spiccavano innumerevoli cerotti, la pelle era tinteggiata qua e là di piccoli puntini rossi, segni di un ago utilizzato in modo frenetico ed inesperto. « Scusami, nii-chan. Mi dispiace tanto! ».

Radish rimase immobile, pietrificato dalla sorpresa. Improvvisamente il mento s’increspò e le sopracciglia si aggrottarono, stampandogli un buffo solco sulla fronte.  

« A-accidenti a te, brutto stupido! », esclamò, tirando con forza su col naso mentre gli occhi si inondavano di nuovo di lacrime, « Devi smetterla di farmi piangere, maledizione! ». E non disse nient’altro, limitandosi ad afferrare il fratellino e ad avvolgerlo in un abbraccio convulso e stritolante, soffocando la testa tra i suoi capelli.

Goku fece altrettanto, affondando il visino caldo nella stoffa della sua maglietta e tenendo l’orsacchiotto per una zampa, seminascosto nella nicchia tra i loro due corpi.

Dal piano di sotto, Bardack li sentì frignare come due femminucce per quasi mezz'ora.

Nonostante tutto, non poté fare a meno di sorridere.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

   
 
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