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Autore: EverybodyHurts    04/01/2012    5 recensioni
Nina Dobrev, ricca diciannovenne cresciuta tra libri e vestiti firmati. Ian Somerhalder, ventiquattrenne disoccupato che per guadagnare qualcosa si dedica ad ogni genere di lavoro. I due s'incontrano per puro caso, chiamatelo se volete destino, e Nina dovrà fare i conti con la madre che vorrebbe che lei sposasse un ragazzo "alla sua altezza": ricco e che possa garantirle un futuro sicuro. Quali saranno le sue scelte? L'Amore, quello con la "A" maiuscola, è davvero in grado di vincere su tutto?
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Ian Somerhalder, Nina Dobrev
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Salve, popolo di Efp! (:
Ho deciso di scrivere una nuova Fan Fiction dedicata a Ian Somerhalder e Nina Dobrev. Mi piacciono molto insieme e, questa volta, ho deciso di scrivere qualcosa meno schematico e più personale. Eh già, perché in questa storia non saranno due attori a parlare, saranno due persone normalissime che s’incontrano un giorno così per caso e s’innamorano.  Spero davvero che questo primo capitolo vi piaccia e spero in una vostra recensione. Amo leggere ciò che la gente pensa delle mie storie: mi aiuta a fare sempre di più e soprattutto a migliorare. Aspetto con ansia i vostri pareri e.. buona lettura! :3
 
 
Mi ero appena svegliata quando qualcuno bussò alla porta. Chi poteva essere se non mia madre?
« Buongiorno tesoro mio! » esclamò appena mi vide. Indossava un completo color albicocca che le donava moltissimo, l’avevamo scelto insieme qualche mesetto prima. Aveva una borsa perfettamente intonata con le scarpe, una borsa che non le avevo mai visto, una borsa che ovviamente non poteva sfuggire al mio sguardo attento ad ogni cosa che riguardasse la moda.
« Ciao mamma. » risposi teneramente con voce impastata dal sonno. Non dovevo dare una buona impressione a giudicare dallo sguardo di mia madre.
« Santo cielo tesoro, ancora in queste condizioni? » chiese lei acidamente con il solito tono esagerato. Erano appena le nove, poteva anche smetterla di fissarmi con quegli occhi indagatori.
« Mi sono appena svegliata. » dichiarai timidamente, come spaventata dalla sua successiva reazione.
« Corri a lavarti, pettinarti e vestirti! Sbrigati, non posso vederti in queste condizioni. » ordinò lei entrando in casa, visto che fino a quel momento l’avevo tenuta sulla soglia senza invitarla ad entrare. Posò la sua borsa sul tavolo nel salone e si accomodò sul divano.
« Che disordine! Dovresti imparare ad essere più ordinata! » esclamò dopo aver visto una forcina lasciata sul tavolo. Una forcina. Una forcina.
Si alzò spazientita, la prese e la mise nel cassettino del bagno insieme alle altre e poi si risedette.
« Ancora non sei pronta? » domandò lei irrequieta.
« Ė nuova la borsa? » chiesi ignorando le sue parole.
« No, non è nuova, l’ho comprata la settima scorsa.. ti piace? »
Annuii.
Mi diressi verso il bagno, mi feci una doccia, mi pettinai accuratamente e tornai da mia madre la quale, nel frattempo, stava sfogliando una rivista di moda.
« Sai tesoro, ho rivisto quel ragazzo.. come si chiama? Ah, sì! Jake.. il figlio dell’avvocato.. sai, dovresti farci un pensierino! » disse lei senza togliere gli occhi dalla rivista.
Scossi il capo: Jake era uno dei tanti ragazzi che mi aveva presentato. Voleva a tutti i costi che sposassi un ragazzo perché aveva il desiderio di organizzare il mio matrimonio dal momento della mia nascita.
« Mamma, lascia stare. »
Lei alzò lo sguardo e rimase a fissarmi per un po’.
« Quel vestito? Lo indossavi anche ieri! » esclamò inorridita.
Doveva criticare ancora per molto? Mi guardai: era uno dei miei vestiti preferiti e ogni volta che lo indossavo, lo indossavo volentieri.
« A me piace! » sbottai.
« Va bene, va bene, stai calma. Comunque, hai sentito? » chiese lei d’un tratto.
« Cosa? »
« Tuo padre si sposa con un’altra donna. » disse lei con un pizzico di risentimento. Si erano lasciati da tantissimi anni, io ero piccolissima. La notizia non mi stupiva affatto: dal loro divorzio aveva frequentato tante altre donne. L’unica cosa che mi lasciava sconcertata era: sarebbe stato in grado di impegnarsi con una sola donna?
« Dopo tutti questi anni.. »
« Vorresti insinuare che fa bene a risposarsi? » mi domandò.
« Mamma, vorresti non averlo mai lasciato? »
« Certo che no.. » dichiarò lei portando le braccia al petto.
« E allora che si sposi con chi vuole. » conclusi infilandomi i guanti di lana che avevo acquistato il giorno prima.
« Sai, mi si è fulminata la lampadina del bagno e non so proprio come fare. » le dissi dopo un po’. I lavori pratici non facevano per me: avevo vissuto per tutti quegli anni tra i miei amati libri, tra la mia amata teoria, tra i miei studi e mai mi ero curata della praticità delle cose. Pian piano ne stavo pagando le conseguenze: non riuscivo a cambiare un piccolissima lampadina.
« Ah, non dirlo a me! – disse lei – La settimana scorsa ho dovuto chiamare l’elettricista per farmi smontare e rimontare le due lampadine del salone. Vuoi che ti lasci il numero di cellulare? »
« Sì, va bene. » le dissi prendendo un foglio di carta. Appuntai il numero, presi il cellulare e chiamai. Attesi in silenzio la risposta mentre mia madre si stava dirigendo verso il mio armadio per vedere i miei nuovi acquisti.
« Pronto? » chiese una voce non molto giovane.
« Ehm, pronto? Mi servirebbe un aiuto.. » dissi balbettando.
« Mi dica pure. »
« Dovrei smontare e rimontare una lampadina e non so come fare. Lei potrebbe aiutarmi? » chiesi gentilmente.
« Ci mancherebbe altro, sono un elettricista. Posso passare questo pomeriggio? » lo sentii ridacchiare leggermente.
« Certamente, verso che ora? »
« Verso le 15, se per Lei va bene. Mi lasci pure l’indirizzo. »
Gli dissi l’indirizzo e riattaccai.
« Nina, dove hai comprato questi meravigliosi stivali? » chiese mia madre. La raggiunsi velocemente. « In una boutique, al centro.. »
« Poi mi ci porti. Allora, andiamo? » chiese lei ed io annuii.
La mattinata trascorse velocemente: come sempre mia madre mi trascinò di vetrina in vetrina, di negozio in negozio. Non che la cosa mi dispiacesse: quando ero con lei riuscivo a portare a casa ancora più buste colme di vestiti, accessori e scarpe. Se gli affari di quei negozi andavano a gonfie vele era solamente grazie a noi.
Quando tornai a casa la cameriera aveva già apparecchiato. Mangiai velocemente visto che le 15 stavano arrivando. Alle 15 precise mi sedetti sul divano per rilassarmi in attesa che qualcuno bussasse. Alle 15.30 ancora non si era presentato nessuno. La puntualità dov’era finita? Decisi di leggere qualche pagina del libro che la sera prima avevo lasciato sul comodino ma nel momento in cui l’aprii qualcuno bussò. Finalmente!
Aprii di scatto la porta. Il tizio stava voltato e riuscivo ad intravedere una sigaretta che sporgeva dalla sua bocca e la mascella pronunciata. Aveva un po’ di barba e i capelli scompigliati e scurissimi. Indossava una camicia bianca spiegazzata e un paio di jeans scuri. Le scarpe erano un insulto per i miei occhi critici: degli scarponi, neri?, malridotti.
« Non le hanno insegnato che.. » interruppi le mie accuse non appena il tizio si voltò. I suoi occhi, oh mio Dio, i suoi occhi! Erano azzurri, di un azzurro che non avevo mai visto. Erano davvero spettacolari. Non riuscivo a concentrarmi su qualcos’altro in quel momento; c’erano i suoi occhi. I suoi occhi e basta.
« Mi scusi, sono in ritardo. » disse mortificato. La voce? Non era quella che avevo sentito al telefono!
« Non fa niente. » balbettai.
« Posso entrare? » chiese gentilmente sporgendo il viso verso la porta.
« Certamente. » gli feci strada verso il bagno.
« Non sono l’elettricista con cui ha parlato questa mattina. »
Inarcai le sopracciglia. « Sono un suo amico. Non è potuto venire purtroppo e mi ha chiamato. » disse guardando il lampadario.
« E.. è in grado di farlo? Cioè.. non.. non è un elettricista. » dissi confusamente. Arrossii: stavo facendo una figuraccia tremenda. Non capivo che l’unica che non è in grado di montare una lampadina ero io?
Lui si voltò verso di me e mi sorrise. « E’ solo una lampadina, so cavarmela perfettamente. »
Ricambiai il sorriso. « Ha bisogno di una scala? » chiesi.
« Va bene anche una sedia, il soffitto non è poi così alto. » sorrise di nuovo.
Mi diressi verso la cucina, presi una sedia e gliela portai. Salì sulla sedia e smontò la lampadina in un batter d’occhio.
« Lei è sempre così elegante in casa sua? » mi chiese mentre fissava attentamente l’innesto della nuova lampadina che aveva in mano. Fissai il mio meraviglioso vestito e le mie bellissime scarpe.
« Ehm.. e Lei è sempre così – feci una pausa alla ricerca della parola giusta – poco elegante quando si presenta in casa d’altri? » chiesi con un pizzico d’acidità nella voce. Lui distolse lo sguardo dalla lampadina e mi fissò.
« Non credo che per montare una lampadina bisogna vestirsi elegantemente. » rise.
« Bisogna sempre essere eleganti, bisogna sempre avere stile! » esclamai.
Lui si concentrò nuovamente sulla lampadina. L’avvitò in pochi secondi e scese dalla sedia. Mi fissò intensamente negli occhi e poi disse: « Terrò conto del Suo consiglio, signorina.. »
« Nina! » conclusi.
« Piacere, mi chiamo Ian. » disse porgendomi la mano. Gliela strinsi educatamente e sorrisi.
Ricambiò con il suo sorriso così solare.. Non ero in grado di dargli un’età: da una parte sembrava un ragazzino con i suoi occhioni azzurri e i suoi capelli scompigliati, dall’altra sembrava un uomo con la sua mascella pronunciata e i suoi lineamenti maturi.
« Quanti anni ha? » chiesi senza rendermene conto. Erano domande da fare, quelle? Sperai con tutta me stessa che la sua risposta non fosse stata “Quanti me ne dai?” perché davvero non avrei saputo come rispondergli.
Lui mi guardò stupito. « ahahah, bella domanda. Presumo che dopo quest’informazione, sia inutile darsi ancora del Lei. 24, e tu? » Tirai un sospiro di sollievo.
« Quanti me ne dai? » risi.
« mm.. non più di 42. » affermò deciso.
« Cosa? » scoppiai a ridere.
« Seriamente.. mm, non più di 19. »
« Indovinato.. 19. »
« E’ stato un piacere conoscerla, ora devo proprio scappare. » disse lui dopo aver controllato l’orologio.
« Mi sembrava che tu avessi precisato qualcosa a proposito del Lei.. » gli dissi incrociando le braccia e accompagnandolo alla porta.
« Hai ragione. Ciao Nina! »
Sorrisi e ricambiai il saluto. Chiusi la porta alle mie spalle e la cameriera, Bells, mi raggiunse.
« Bel ragazzo, eh?! Su di lui.. sì che dovresti farci un pensierino! »
Scoppiai a ridere. « Ma no, Bells. Non lo rivedrò mai più, tanto.. »
« Chissà se si è scordato del conto.. » mi disse ricordarmi del pagamento.
Oh mio Dio, il conto! Non potevo lasciarlo andare senza neanche dargli una mancia. Presi il portafogli dalla mia borsa e mi precipitai fuori. Fortunatamente non era andato molto lontano (correre con i tacchi non era il massimo).
« Hey, Ian! » lo chiamai. Lui si voltò. « Che succede? »
« Mi sono proprio dimenticata di pagarti.. » feci per aprire il portafogli ma lui mi bloccò.
« Offre la casa. » dichiarò sorridendo.
Io lo guardai. « Ma no, dai.. »
« Non preoccuparti. E’ una lampadina, niente di che. »
« Davvero, voglio pagarti! »
« Sei testarda come un mulo, a quanto vedo. »
Sorrisi.
« Se proprio vuoi.. – mi feci attenta – un giorno mi offrirai un caffè. » disse lui.  
« Con piacere.. »
« E’ arrivato l’autobus, ora devo andare. Ciao, a presto! » dichiarò allontanandosi. Poi si bloccò. « Ah, e non correre con quei tacchi, potresti farti male. » mi fece l’occhiolino. Gli sorrisi e lui salì sull’autobus. Rientrai in casa e mi misi a leggere quel libro che prima avevo lasciato sul comodino. Non lo rivedrai mai più, eh Nina?
   
 
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