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Autore: Hikari93    05/01/2012    6 recensioni
[Seto X Jono]
«Ti va un’offerta di lavoro?»
«Cosa?» spalancai ridicolmente la bocca.
Lui scosse il capo. «L’avevo detto che avevi problemi di udito… ti serve un lavoro sì o no?»
La domanda era diretta e la risposta anche. Era indubbio che avessi bisogno di soldi. Il mio ultimo lavoro, ovvero consegnare i giornali, era finito nel momento esatto in cui avevo mandato in malora la maggior parte dei quotidiani, dato che ero caduto rovinosamente dalla bicicletta. Il mio ego mi diceva di rifiutare, ma quel minimo di coscienza mi consigliava di accettare. «Di che si tratta?» Sempre meglio informarsi, prima.
«Niente che ti ammazzerà Katsuya, lo scoprirai a tempo debito. Ma voglio una risposta adesso. Accetti?» Mi porse la mano.
Ci riflettei su, ma mi pareva di avere una sola possibilità, anziché due, almeno se volevo sopravvivere dignitosamente. Strinsi la mano al mio peggior nemico, preparandomi al peggio.
Genere: Comico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Joey Wheeler/Jounouchi Kazuya, Seto Kaiba
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 4: Pianificazioni


 

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  «Ora sì che va bene!» esclamai.
Mokuba, al mio fianco, annuiva convinto e contento. Gli occhi ridenti e azzurri brillavano alla vista di un semplice alberello messo su in fretta e furia, che dava già un viso nuovo e allegro alla mogia Villa Kaiba. Non era nemmeno troppo torreggiante: considerata l’altezza del soffitto, avremmo potuto allestire l’albero di Natale più maestoso del paese; nemmeno quello al parco ne sarebbe stato all’altezza. Eppure, quel misero addobbo, ricco però di luci colorate che si accendevano e spegnevano a ritmo e di palline che ne venivano illuminate a loro volta, calzava proprio a pennello nell’angolo dell’atrio, accanto alle scale.
«Manca solo la punta» notai, e mi guardai intorno per cercarla. Trovatala me la rigirai tra le dita, osservandone il luccicare dei brillantini puntiformi e ridendo nel vedere le mani che, a contatto con l’oggetto, si tingevano di una curiosa tonalità rosso natalizia. «Perché non la metti tu, Kaiba?» urlai, fermando la marcia militare – in netto contrasto con l’atmosfera di una delle feste più dolci dell’anno – del padrone di casa. «Non hai fatto altro che guardarci, mentre sgobbavano per abbellire un po’ questo postaccio vuoto e spento!» Allargai le braccia. «Non trovi anche tu che sia bastato un piccolo simbolo, per farci entrare direttamente nell’atmosfera natalizia?» Effettivamente, io ero entusiasta: non esisteva alcuna festività capace di farmi sentire libero e felice come il Natale; e poi c’erano i panettoni – che adoravo persino più dei giorni di vacanza da scuola.
«Non dire sciocchezze.» E riprese a salire.
Ebbene, calma, sangue freddo, respiri profondi e pugni saldi ai fianchi. «Senti, riccastro, te l’hanno mai detto che a Natale si è tutti più buoni?» bofonchiai, le braccia al petto.
«Queste cose le lascio agli stupidi senza speranza come te.» Si avviò per le scale, e ancor prima che potessi richiamarlo il suono ritmico dei suoi passi si bloccò, e la sua voce tornò a farsi sentire: «E magari scrivi anche una letterina a Babbo Natale, chiedendogli di donarti un cervello, babbeo» mormorò le ultime frasi, che però sentii lo stesso.
«E tu chiedigli di portarti una sottospecie di cuore, anche non originale, così che tu possa somigliare quantomeno lontanamente a un umano, stupido!» Avevo gridato, mettendoci tutta l’anima in quelle parole forse senza senso. Perché cominciavo veramente a odiare Seto Kaiba, in quanto era un’entità al di fuori della mia comprensione; usciva da tutti gli schemi, ingannava gli altri, mostrandosi per quello che non era. Per quanto cercassi di non pensarci, infatti, non riuscivo ad allontanare il benessere interiore che avevo provato quando Seto, giorni prima, mi era parso diverso.
Umano.
Amico.
Dovevo riuscire a capire se si era trattato di un caso, oppure di un avvenimento vero e proprio; un fuoco di paglia o una scintilla scoppiettante e veloce?
L’avrei saputo.
La prima cosa da fare era entrare in camera di Seto, buttare giù a calci – anche se probabilmente era meglio evitare metodi tanto drastici – quella maledetta porta che allontanava il Signor Kaiba dal mondo reale. Lì dentro doveva esserci la soluzione al mio problema: una stanza è sempre arredata secondo il gusto personale, rispecchia l’anima dell’individuo in un certo senso. Non ero più così sicuro di volerla aprire, allora… cosa poteva esserci in un agglomerato di indefiniti metri quadrati – non sapevo quanto fosse grande la camera – che riuscisse a rispecchiare Seto Kaiba? Il fatidico mostro sotto al letto cui credono i bambini? Beh, valeva la pena di incontrarlo, se fosse servito per ottenere la mia risposta. Peccato che non sapessi di preciso nemmeno la vera domanda.

 

 
Avvicinarsi a quella stanza era ancora più difficile che battere Seto in qualche gioco, perché sì, anche se poteva non sembrare, perdevo sempre per un “tanto così”, a prescindere da quante ne dicessero e pensassero Honda e Anzu. Seto non era un cane da guardia, non si ergeva a difesa della porta combattendo con le unghie e con i denti, anzi, per la maggior parte delle volte era lontano… in apparenza; arrivava sempre quando le dita erano sul punto di combaciare alla maniglia. Piuttosto, allora, era la mia sfortuna a essersi svegliata dal lungo letargo tutta in una volta.
Una volta che ero stato particolarmente preso in considerazione dalla dea bendata, riuscendo così ad aprire addirittura il desiderato uscio, la figura di Seto Kaiba mi si era stagliata di fronte, e mi aveva surclassato solo con lo sguardo. Mormorando un “ops” fuori luogo e inchiodante mi ero dileguato alla velocità della luce.
Probabilmente, il padrone di casa avrebbe chiuso un occhio, oppure non si sarebbe accorto del mio piano, se non avessi, stupidamente, messo in scena tutti i miei – fallimentari – tentativi nell’arco di un pomeriggio. Potevo sperare che Seto fosse tanto idiota e ottuso da non capire la mia curiosità? Probabilmente no.
«Jounouchi, si può sapere che cavolo ti prende?» sibilò lui senza nemmeno alzare gli occhi dal portatile. «Sembri un animale chiuso in gabbia.»
Ennesimo boccone amaro, rospo mandato giù a fatica. Avevo finito per quel giorno e trascorrevo il resto del mio tempo guardando il pavimento, quasi catturato da quei disegni strani che le mattonelle, disposte curiosamente, partorivano. Frattanto, riflettevo riguardo qualche nuova azione offensiva, possibilmente non fallimentare. «Taci Kaiba» riuscii a dire, tranquillo e canzonatorio insieme, mentre staccavo e riattaccavo il cerotto dall’indice tagliuzzato a causa di un coltello birichino che mi era scivolato da mano.
«Che cosa hai in mente, testa bacata? E’ semplice capirti, non elabori mai pensieri al di sopra di una certa soglia.»
Alzai le spalle, indifferente, e per un attimo il ticchettio delle dita sui tasti fu l’unico suono nella stanza. Era piacevole a modo suo, sembrava che Seto ne fosse completamente abituato, come a una leggera musica di sottofondo. Guardava lo schermo senza soffermarsi sulla tastiera nemmeno per un secondo, segno che lui e la macchina era una cosa sola. Strana coincidenza: avevo sempre considerato Seto come un automa, e ora che iniziavo a vederlo diversamente mi veniva in mente quel paragone simpatico.
Ci avrei riso sopra soltanto una settimana prima. Era molto più semplice guardarlo in faccia e inarcare le sopracciglia in un’espressione contrariata e schifata, mentre tentare di capirlo era qualcosa di più. Era da adulti, invece io mi ero sempre comportato da bamboccio in quel campo. Non mi ero mai veramente interessato a Seto Kaiba perché per farlo bisognava capirlo, e comprenderlo davvero era molto più difficile di quanto lo era stato con Anzu, Yugi o Honda. Il presidente della KaibaCorp non era soltanto un involucro, ma tirare fuori ciò che componeva il suo io non era uno scherzo. Piuttosto una sfida.
«Niente» mi decisi a rispondere infine «che ti possa interessare. Che stai combinando, piuttosto? Tartassi quella tastiera in un modo incredibile!» risi leggero dando il via alla mia personalissima battaglia contro Seto Kaiba, anche se l’altro contendente ne era all’oscuro.
«Lavoro.» Non mi aspettavo qualcosa di molto diverso da lui.
«Oh, ma insomma, Seto, domani è la Vigilia, datti un giorno di respiro!» Sventolai la mano di fronte al naso in un gesto di obiezione.
«Sarà una giornata come tutte le altre, e la mia azienda non può fermarsi per un misero giorno segnato in rosso sul calendario» rispose, e il problema principale era che si trattava di una risposta alla Seto, seria. Signori, non avevo mai creduto nel Grinch* prima di quella serata accanto al fuoco, stile indiani.
«Accipicchia, dovresti rilassarti un po’ di più» commentai. «Esiste qualcosa a cui tieni oltre tuo fratello? Qualcosa che non sia materiale, dunque la tua azienda è esclusa a priori.» Domandargli di parlare di sé era come sperare di prendere un dieci in un compito dopo aver consegnato in bianco, ma un ostinato proverbio continuava, nonostante lo scorrere del tempo, a recitare sempre allo stesso modo: tentar non nuoce.
«Non ti pago per impicciarti degli affari miei.» Tombola: Jounouchi uno, proverbi zero.
Alzai le spalle. «Come non detto.» Feci appello a chissà quale forza interiore sconosciuta per alzarmi e muovere qualche passo verso di lui. Emanava radiazioni negative di una colorazione viola veleno; queste assumevano le sembianze di faccine stile horror che a bocca spalancata e mostrando i denti, suggerivano vivamente di non avanzare oltre. Mi chinai fino a sbirciare tanti strani codici sullo schermo del portatile. L’alfabeto-Kaiba, magari!
«Non è di tua competenza. Non ci capiresti un’acca nemmeno se te lo spiegassi cento volte.» Grazie mille, davvero gentile. E’ sempre gratificante sentirsi apprezzati.
«Probabilmente è vero» ridacchiai prendendo posto al suo fianco, pronto a essere consumato dalla sua aura negativissima. Mi sembrava di sentire già dei pizzicori sulla pelle. «Ma sono bravo in altro.»
«Per esempio?» O fingere di essere interessato gli riusciva male, oppure era sarcastico. Il mio sesto senso – facoltà meglio conosciuta da me medesimo come “Kaibasensismo” – mi suggeriva la seconda opzione.
«Che so…» mi finsi vago ma una mezza ideuzza stava nascendo piccola piccola nella mia testa, e non potevo ignorarla. Il problema era convincere il mister. «Magari nell’organizzare feste, nel far divertire la gente…»
«Devo dartene ragione, basta guardarti in faccia.»
Strinsi i denti e mi agitai sul posto, sperando di reprimere la voglia di prenderlo a pugni e a calci. E a testate: tante e tante testate, così da dimostrargli quanto male potesse fare una “testa bacata”. «Ma come siamo divertenti» digrignai i denti, a ogni sillaba la pianta del piede aderiva con forza al pavimento. «Mettimi alla prova, se non mi credi.»
Sospirò e, finalmente, l’esimio si decise a dedicarmi più attenzione, smettendola di scrivere e guardandomi in faccia. «Non servono questi trucchetti: puoi scordarti di allestire una festa sfigata per un gruppo di sfigati in casa mia.»
Non so se divenni rosso, fatto stava che le orecchie mi dolevano sulle punte e lo sguardo fu basso in un istante. «Ma che hai capito, era uno stupido esempio» borbottai.
E adesso come avrei fatto? Il mio semplicissimo piano consisteva nell’approfittare del casino che gli invitati – alias i miei amici – avrebbero fatto e sgattaiolare furtivamente in camera di Seto. Diamine, sembravo sempre più un ladro!
«Mi spiace di averti rovinato il piano» enunciò, falso, probabilmente riferendosi alla festa, senza ovviamente sapere che la mia vera intenzione era un’altra, rovinata egualmente.
«Possiamo organizzarla a casa mia, allora» dissi d’un getto. «Ci verresti così?» lo provocai.
«Dovresti chiedere un giorno di permesso. Ti ricordo che sei alle mie dipendenze giorno e notte, Vigilia e Natale inclusi.» Uffa, a quanto pareva non dovevo rinunciare soltanto alla mia idea – eh sì, all’epoca era sembrata sensazionale – ma anche al consueto festino coi miei amici. Pur volendo non potevo fargliene una colpa, però: erano i patti. «Però, potrei acconsentire a un’unica condizione.» Seto che scendeva a compromessi con me? O erano compromessi subdoli, oppure la fine del mondo era vicina. «Continuerai a lavorare per me, anche davanti ai tuoi amici.»
Risi, passandomi l’indice sotto al naso. «E questo è tutto?» Non riuscirai a mettermi in ridicolo, Seto.
«Dovrai organizzare tutto da domani pomeriggio in poi, però. Per il resto dovrai lavorare come sempre» sentenziò chiudendo il portatile in un gesto sicuro e alzandosi.
«Tu ci verrai allora!» Non era proprio una domanda, quanto una richiesta di conferma; in ogni caso non rispose nulla.
Non riuscivo a smettere di sorridere: avevo realizzato almeno metà della mia impresa, mentre per l’altra parte… avrei dovuto aspettare ancora. Anche perché l’intrufolarvisi dentro quando Seto era alla festa implicava l’arrampicarsi su per il cancello e forzare chissà quante porte. Finire in galera la notte di Natale per dare uno sguardo alla camera di un riccastro viziato? Non ne valeva la pena.
Se avessi seguito Seto in quel momento? Avrei potuto sbirciare?
Lo pedinai furtivo, come quel ladro che non smettevo di sentirmi, misurando i passi come fossero macigni e regolando il respiro. Ma probabilmente avevo a che fare con creature sovrannaturali, ipersensibili e con orecchie simili a reti paraboliche. Seto Kaiba, infatti, comparve appena dietro l’angolo, con le braccia incrociate al petto e il labbro contratto in una smorfia di disappunto. «La smetti con questo teatrino?»
Negare era alquanto inutile. «Voglio solo sapere che ci tieni in quella stanza, nient’altro!» Sapevo, però, di non avere il diritto di pretendere qualcosa di tanto personale come poteva essere una stanza.
Sbuffò e senza che potessi impedirlo mi afferrò per il braccio con forza, sembrava che le sue dita si stessero fondendo con la mia pelle. Sebbene mi divincolassi non riuscivo a impedire che Seto mi trascinasse dietro di sé: era forte, e più di me; non era da escludere che l’avessi sempre sospettato, ma trovarsi di fronte all’evidenza mi faceva andare su tutte le furie.
«Contento ora?» sibilò fermando la sua folle avanzata, con me al suo seguito, solo quando arrivammo all’entrata ed ebbe aperto. «Una normale stanza» continuò.
E in effetti era vero: facendo una panoramica veloce, potevo vedere un discreto numero di oggetti vari, ma mai superflui, che occupavano una posizione specifica, come in una scacchiera. Niente fuori posto, tutto schematico. C’era Seto lì dentro, come avevo pensato.
«Ora riuscirai a trovare un po’ di pace?» domandò tranquillo, con quella calma che odiavo perché sapeva di presa in giro.
Non gli augurai la buonanotte quando si sbatté la porta alle spalle, né risposi alla sua domanda a voce. Però no, non ero in pace con me stesso, perché un oggetto aveva attirato la mia intenzione. Avevo trovato l’ago nel pagliaio.
Due per Jounouchi, zero per proverbi.

 
   

 


 







* Paragonare Seto al Grinch non è stata opera mia, ma bisogna ringraziare la mitica Soe! Me lo disse in una recensione, e mi sembrò un’idea talmente perfetta che non potevo non aggiungercela! Cx
 
Per il resto... non credo ci sia troppo da dire riguardo al capitolo. Non succede niente di troppo, niente di particolare. E’ un capitolo di stallo che serve, come tutti i capitoli di transizione, a collegare diverse parti della storia! ^___^
Beh, spero che vi sia piaciuto almeno un pochino! .///.
Grazie mille! <3
 

  

 

   
 
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