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Autore: peppe24487    23/08/2006    0 recensioni
Cosa è la libertà?
Genere: Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il luogo in cui vivo è uno stanzino di nemmeno quindici metri quadrati. Non ci sono né vetri né finestre, eccetto una piccola grata in alto, vicino al soffitto, che permette ogni tanto ai raggi del sole di entrare e proiettare ombre sul pavimento. Il luogo in cui vivo è sporco: sporco è il pavimento, coperto da uno spesso strato di polvere, sporchi sono i muri, imbrattati e umidi. Sporco sono io, che vivo in condizioni davvero miserevoli. Sono vecchio ormai e posso dire con certezza di aver vissuto qui la maggior parte della mia vita. Sono in questa prigione da trentasette anni. Come trascorro le giornate? Beh, ho imparato a non trascorrerle. Di solito mi sto seduto in un angolo e conto i secondi, o guardo passare i topi e gli scarafaggi, oppure dormo. La maggior parte delle persone crede che chi è in prigione passa il suo tempo a pensare al passato. Io non lo faccio più da tantissimi anni ormai. Diciamo pure che il passato me lo sono dimenticato. Qui ho imparato a dimenticare di essere un uomo. Un uomo tende alla libertà, alla soddisfazione dei piaceri non elementari, quindi al divertimento e alla socialità. Ma chi entra qui dentro non potrà mai essere libero né potrà mai soddisfare certi piaceri. Quindi ho aberrato la mia condizione di essere umano e sono divenuto una specie di macchina, apatica, priva di bisogni. Questa è la mia forza. Eppure ricordo i primi anni del mio soggiorno qui. Ero il contrario di adesso: avevo fame di vita. Passavo le notti piangendo, perché mi mancava tutto: il cielo azzurro che sa tanto di libertà, le persone a cui volevo bene, il mio lavoro e così via. Pertanto quando veniva un nuovo detenuto a dividere la cella con me io lo tartassavo di domande sul suo passato, sulla sua vita fuori di qui, per bere dell’esistenza altrui, per vivere di seconda mano praticamente. Peccato che se ne andavano quasi subito, o a casa o a morire, poiché era scritto che io dovessi rimanere solo… Sento un rumore, mi giro: è la porta che si apre. La sagoma di un secondino si scaglia in controluce. Io non sono abituato a una tale invasione di luminosità e mi copro gli occhi. Tiene per il colletto un corpo inerte. “Tieni vecchio, hai compagnia!”. Lancia l’uomo vicino ai miei piedi, poi ride e se ne va. La mia nuova compagnia è un vecchio all’incirca della mia età, pesto e livido. Emette solo deboli lamentii, ma per il resto è immobile. Lo prendo dalle ascelle e lo appoggio sulla branda. Già dorme della grossa, probabilmente perché sta talmente male che è bastato il mio tocco a farlo svenire. E così ho un compagno di cella dopo così tanto tempo. Osservo il muro opposto alla porta. In un angolo ho segnato il tempo: i giorni con le ics e gli anni con le astine. Le ics cerchiate sono i giorni in cui ho avuto compagnia. Calcolo che vivo da solo da quindici anni. Quando si sveglia è lui che attacca discorso, no io, che ormai non mi frega più niente di niente. Comincia a parlare di tutto, di sé stesso, della sua famiglia, della sua vita fuori da qui etc. Io all’inizio non gli do retta ma poi non riesco a non ascoltare. Il suo discorso è appassionato, piange dalla malinconia quando ricorda le belle cose di fuori, piange dalla contentezza perché è certo che suo nipote, appena nato, emigrerà con la famiglia tra poco tempo e avrà così speranza per un futuro felice, piange dalla tristezza in quanto all’indomani lo ghigliottineranno. Adesso il vecchio dorme e io sono sveglio a pensare. Il vecchio ha parlato della vita, e io alla fine mi sono lasciato trasportare da lui nei suoi fatti, proprio come succedeva tanto tanto tempo fa. Ho assaggiato nuovamente il sapore della vita e l’ho trovato talmente buono da starci male. Sicché mi vengono in mente i ricordi di quasi quarant’anni fa, quando ero giovane e quando ero un essere umano, perché vivevo. Ricordo la mia famiglia, i miei amici, il mio lavoro. Ritorna a mancarmi tutto: dall’affetto dei miei cari alle più piccole cose, come il cielo azzurro che sa tanto di libertà o il mio letto. Mi manca perfino la povertà, la miseria in cui vivevo, ma almeno era una miseria semplice, che bastava un niente per renderla felice. Adesso sì che sto male, tutti gli sforzi di decenni per annichilire la mia anima sono andati in fumo in poche ore, sicché i muri sembrano restringersi, le pareti avvicinarsi a me, il soffitto abbassarsi, e io mi sento soffocare. Comincio a piangere in silenzio, rannicchiato in angolo, accovacciato su me stesso. Tra le lacrime intravedo il volto del vecchio che dorme. Interrompo il pianto e mi avvicino a lui. Mi pongo sopra di lui e lo scruto. Mi viene in mente un’idea che forse vuol dire salvezza. Mi siedo sul pavimento spalle al muro e comincio a toccarmi. Non ho specchi, per cui non posso fare altrimenti. Appoggio la mano sul naso e poi lo tocco: è lungo, sembrerebbe aquilino. Va bene. M strofino le mani sulle guance e scopro che sono scavate e finiscono con un mento appuntito. Okay pure questo. La bocca mi appare sottile al tatto, gli occhi alla stessa maniera infossati verso dentro. Perfetto. I miei capelli sono invece lunghissimi, mi arrivano fin sotto le spalle, prendo un ciuffo tra le dita e vedo che è grigio. Devo trovare una soluzione per la capigliatura. Non ho forbici, mi serve qualcosa di affilato. I piedi del letto sono collegati tra loro da una sbarra di ferro arrugginito e tagliente. Mi metto in ginocchio e comincio e spezzare la mia chioma a ciocca a ciocca, fino ad avere una chioma molto più corta. E’ mattino, non ho dormito per tutta la notte per l’eccitazione. Può darsi che mi scoprano, però è sempre meglio rischiare, e poi è strano che i secondini di un carcere in cui entrano decine di persona al giorno ricordano per bene la faccia di un detenuto che sarà giustiziato presto. Aspetto che il mio compagno si svegli, e appena lo fa lo prendo per la nuca e lo sbatto al muro, riportandolo nel mondo dei sogni. Dopo un’oretta circa, la porta si apre… “Owen, a morire!” Io mi alzo stando attento a rimanere a testa bassa. Poi seguo il secondino verso la luce abbagliante di fuori, verso la libertà…
  
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