- Capitolo 1. Omicidio sul Tamigi
- La
porta si chiuse con un tonfo sordo, sospettava una reazione simile e
non si
stupii, ma il dolore acuto alla bocca dello stomaco che avvertii quasi
istantaneamente, invece, lo sorprese parecchio.
- Sprofondò
maggiormente nella poltrona e accese la sua pipa d'argilla, fissando le
fiamme
nel camino che danzavano freneticamente.
- La
lite era durata solo pochi minuti, ma a lui erano sembrate ore. Non
riusciva
ancora a credere di aver detto ciò che, di fatto, aveva detto. Espirò una
nuvoletta di fumo che si disperse nell'aria
e spostò il suo sguardo sulle macchie d'umidità
sul soffitto. La sua era stata
una reazione logica, si disse inspirando il tabacco, Watson lo aveva
provocato
e lui si era solo prontamente
difeso.
Chiuse gli occhi, espirò di nuovo. Allora perché
si sentiva così tremendamente
in colpa? Perché si pentiva di ciò che aveva
detto? Si portò una mano sugli
occhi, era in quei momenti che si rammaricava di aver smesso di
assumere la sua
soluzione al sette per cento. Registrò solo marginalmente
che stavano suonando
alla porta, così come registro le voci soffuse e i passi su
per le scale. La
porta si aprì, ma non era Watson, questo lo poteva capire
anche senza voltarsi.
Quello non era il suo modo di camminare, non poggiava così
ì piedi, le sue
scarpe non facevano quel rumore.
- «Holmes».
- La
voce di Lestrade lo raggiunse nella fitta nebbia dei suoi pensieri, ma
non
bastò a riscuoterlo da essi, troppe domande senza risposta
gli affollavano la
mente.
- «Holmes,
mi serve il suo aiuto, è stato rinvenuto il cadavere di un
uomo e... »
- Ma
lui non stava ascoltando, nella sua mente c'era spazio solo per Watson.
Di
norma, scoprire i pensieri dell'amico era sempre stato molto
elementare, ma
negli ultimi giorni c'era qualcosa, qualcosa di pesante e indefinito
che se ne
stava aggrappato al suo torace, impedendogli anche la più
semplice delle
deduzioni. Mentre riportava lo sguardo sul camino si chiese dove fosse
andato
Watson, aveva preso la giacca? Fuori nevicava. A che ora sarebbe
tornato?
Decise che lo avrebbe aspettato in piedi. Ma
Tornerà?
- Questa
domanda lo risvegliò come una secchiata d'acqua gelata.
- «Holmes?
»
- Finalmente
Sherlock Holmes si voltò verso il suo ospite, si sentiva
scombussolato e fuori
posto, ma cercò di non darlo a vedere all'ispettore
nascondendo il tutto con la
sua solita maschera d'indifferenza.
- Si
fissarono per alcuni istanti, poi Lestrade tossicchiò e
ripeté.
- «E'
stato trovato un cadavere sulla riva nord del Tamigi. Maschio, uno e
ottantasei. La
causa del decesso è un colpo di pistola dritto in mezzo alla
fronte».
- «Dove?
» Chiese Holmes, senza entusiasmo. Non aveva voglia di quel
caso, non aveva
voglia di vedere nessuno, voleva solo riflettere sul suo sconvolgimento
emotivo.
- «Chelsea
Embankment, all'incrocio con Swan Walk».
- Holmes
espirò l'ultimo sbuffo di fumo, spense la pipa e la
pulì, appoggiandola
delicatamente sul tavolino al suo fianco. Sollevandosi evitò
con cura quasi
maniacale di lasciare che il suo sguardo si soffermasse anche solo per
un
istante sulla poltrona vuota davanti a lui. Senza dire una sola parola
superò
Lestrade, si infilò la giacca e uscì
dall'appartamento, discese le scale e
spalancò la porta di casa. Fu investito dal freddo gelido di
metà Dicembre, si
strinse nella giacca e si guardò intorno nella speranze di
intravedere una
figura familiare, ma niente. Abbassò lo sguardo nella
speranza di intravedere
le impronte di Watson sulla neve, ne vide un paio vicino casa, sotto la
tettoia
riparata, poi più nulla, la neve aveva cancellato ogni traccia
del suo
passaggio. Il peso sul suo torace sembrava appesantirsi minuto dopo
minuto. Nel
suo cuore, in un angolo, iniziava ad aleggiare il sospetto che qualcosa
di
orribile stesse per succedere. Ma la sua mente razionale e deduttiva si
rifiutava di crederci, così montò in carrozza con
Lestrade e dirigendosi verso
Chelsea Embankment.
- Da
un primo esame della vittima Sherlock Holmes era riuscito a dedurre ben
poco,
con i pensieri sempre rivolti al dottore, e la cosa lo irritava.
Arrivati sulla
scena del crimine Sherlock si era subito messo ad analizzare il
terreno, che
come sempre era stato ampiamente contaminato dagli agenti di Scotland
Yard, vide
diverse impronte interessanti, due paia di uomo e un paio di donna, ma
l'unica
cosa che riusciva a dedurre era che quelle
non erano le impronte di Watson. Si inginocchiò
accanto al cadavere e lo
osservò.
- Gli
agenti non lo avevano toccato, sospettava sotto ordine di Lestrade,
visto che
era quasi completamente ricoperto di neve. L'uomo era riverso sul dorso
e non
indossava alcun tipo di soprabito. Chissà
se Watson ha preso la giacca. Holmes gli sollevò
le braccia, sul dito
indice della mano sinistra portava due anelli, una fede e un altro
anello, più
fine rispetto alla fede ma ugualmente prezioso. Glieli sfilò
entrambi e li
esaminò più da vicino. Dentro entrambi erano
state incise le iniziali J & S
e due date diverse. J e S ... John e
Sherlock. Quando si accorse di ciò che aveva
appena pensato capì che non
sarebbe mai stato in grado di concludere quel caso se prima non si
chiariva con
Watson. Senza farsi vedere da nessuno si infilò gli anelli
in tasca e passò ad
esaminare il volto, scostò la neve che vi si era depositata
e vi si chinò
sopra. Non puzzava di alcool, né di fumo. Gli occhi e la bocca erano
spalancati
e sul suo volto si leggeva ancora chiaramente sia lo stupore che il
terrore. Il
colpo era stato sparato a bruciapelo, da una pistola di piccolo calibro.
- «La
vittima si chiamava Jeremy Court, ventisette anni, residente al 13 di
Redesdale
Street».
- Lestrade
gli si affiancò, sperando di riuscire a scovare immediatamente il
colpevole, ansioso di tornarsene a casa al caldo.
- Sherlock
Holmes si risollevò e guardò per l'ultima volta
l'uomo, poi sollevò gli occhi
al cielo e sospirò. Una nuvolina di vapore si
innalzò nell'aria fino a
disperdersi quasi immediatamente.
- «Può
dirmi nulla? »
- Holmes
si voltò e ripercorse i suoi passi, chiamò una
carrozza.
- «Holmes!
»
- Lo
chiamò Lestrade raggiungendolo, ma lui era già
entrato nella vettura e dato le
indicazioni al cocchiere affinché lo riportasse a casa.
- «Holmes,
mi dica qualcosa! »
- Lestrade
affiancava la carrozza che ancora procedeva lenta, Sherlock si
voltò a fissarlo
per un breve istante, poi alla fine parlò.
- «Non
si è trattato di una rapina».
- Lestrade
lo guardò aggrottando le sopracciglia, visibilmente deluso
dalla risposta
dell'uomo, stava per dire qualcosa quando la carrozza, finalmente,
accellerò e
lui non riuscì più a starle dietro.
- «Questo,
mi da una chiara visione dell'ovvio!
»
- Lo
schernì Lestrade, urlando a pieni polmoni in direzione della
carrozza già
lontana.
- Arrivato
a casa spalancò la porta e corse su per le scale, salendo i
gradini due per
volta. Watson doveva esserci, Watson
c'era! Spalancò la porta con il cuore gonfio di
aspettativa. La stanza era
vuota. Tuttavia non si demoralizzò più di tanto,
infondo, il suo buon amico
poteva essere andato già a letto. Ma niente gli lasciava
avanzare una simile ipotesi.
La stanza era esattamente come l'aveva lasciata lui alcune ore prima,
fatta
eccezione per il camino che ormai era quasi del tutto spento. Non
c'erano segni
di nessun tipo. La morsa dolorosissima alla bocca dello stomaco
tornò a farsi
sentire, così come il peso aggrappato al suo torace. Con
ancora il soprabito indosso
percorse a grandi passi la stanza, diverse volte, cercando inutilmente,
un modo
per acquietare il suo animo tormentato. Alla fine, sfilandosi
velocemente la
giacca tornò a sedersi sulla sua poltrona, evitando ancora
una volta, di
guardare quella posta di fronte a lui. Una volta che ebbe ravvivato il
fuoco
afferrò il suo violino, che se ne stava appoggiato ad un
lato della poltrona, e
iniziò a pizzicarne le corde, in attesa del rientro del
dottore. Le ore
passavano lente, fuori la neve cadeva sempre più fitta, le
ombre diventavano
sempre più grandi e le persone in strada iniziavano
velocemente a tornare alle
proprie abitazioni. Solo il dottore sembrava volersi attardare fuori.
Più il
tempo passava, più il clima, e l'umore di Sherlock Holmes,
peggioravano.
Ormai nella sua mente deduttiva si erano dipanate le più
assurde motivazioni
per giustificare il ritardo di Watson, un incidente, un rapimento, un
mancamento; tuttavia, si rifiutava categoricamente di uscire per
cercarlo. Il
suo orgoglio era ancora troppo risentito per la lite di diverse ore
prima.
Holmes, o meglio, la sua parte razionale e orgogliosa, era
assolutamente
convinta di essere nel giusto e che quindi, se Watson si era sentito
offeso per
le parole da lui pronunciate, doveva incolpare soltanto se stesso. Ma
l'altra
parte, quella più piccola, quella che viveva rilegata in un
angolino del suo
cuore, gli sussurrava che forse, per quanto logica la sua risposta
fosse stata,
la scelta del tono e della parole con cui si era espresso non erano
state delle
migliori, gli suggeriva, inoltre, che Watson era un uomo semplice ed
ingenuo,
poteva offendersi facilmente, ma che era una delle qualità
che Holmes tanto
adorava in lui. Alla fine, stravolto da tutti questi sentimenti e
pensieri
discordanti tra di loro Sherlock Holmes si addormentò, con
il violino sulle
gambe e la pipa in bocca.
- Fu
svegliato dal rumore della porta che si apriva.
- Spalancò
gli occhi e scattò in piedi, facendo rovinare a terra
violino e pipa. Watson.
- Mrs.
Hudson entrò con in mano la sua colazione, appena lo vide
gli elargì un sorriso
di circostanza, che però non fu ricambiato.
- «Buon
dì, signor Holmes».
- Lo
salutò la donna andando a posare il vassoio sul tavolino e
iniziando ad
apparecchiare.
- Sherlock
Holmes attraversò in quattro falcate la stanza,
salì i pochi gradini che lo
separavano dalla stanza del dottore e spalancò la porta. Il
letto era intatto.
Non era tornato. Deluso, richiuse la porta, scese lentamente le scale,
si
riaccostò al camino risollevando pipa e violino.
- «Mrs.
Hudson, potrei approfittare della sua gentilezza e chiederle di farmi
un favore?
»
- Disse
mentre riadagiava il violino sulla poltrona e la pipa sul tavolino. La
donna lo
guardò sorpresa e sorrise di nuovo.
- «Oh,
Mr. Holmes, certamente».
- Sherlock
si sedette al tavolo per la colazione e afferrò il Times, poi guardò la Signora
Hudson per un breve istante.
- «Se
oggi qualcuno verrà a chiedere di me, può essere
così cortese da riferire che
non sono in casa? »
- Mrs.
Hudson parve molto sorpresa per la richiesta del suo inquilino,
tuttavia annuì.
- «Certo,
farò come desidera».
- La
donna si avviò verso la porta dell'appartamento, ma Sherlock
Holmes riprese a
parlare.
- «Però,
ripensandoci, prima di dire che non ci sono, si faccia dire da chi sono
stati
mandati o il motivo della visita, se il mandante è il dottor
Watson allora li
faccia passare».
- La
signora Hudson sembrava sul punto di chiedere qualcosa, ma Holmes
aprì
velocemente il Times e finse di
immergersi nella lettura, senza lasciare speranze alla donna di
soddisfare,
almeno in parte, la sua curiosità sul perché quel
mattino Mr. Holmes fosse così
garbato e quieto.
- Sherlock
Holmes rimase in casa tutto il giorno, nell'arco del dì il
campanello suonò ben
otto volte, ma nessuno salì da lui. Stette seduto sulla
poltrona tutto il
tempo, perso nei suoi pensieri e nei suoi dubbi, con la speranza nel
cuore di
sentire i passi del dottore su per le scale, se lo immaginava mentre
entrava
tutto arruffato e si scusava per l'assenza prolungata e a quel punto
lui si
sarebbe alzato dalla poltrona, avrebbe sussurrato un «Bentornato»,
gli sarebbe corso incontro e lo avrebbe stretto tra
le sue braccia, si sarebbe scusato per ciò che la sua bocca
aveva osato
pronunciare, offendendolo, e gli avrebbe sussurrato all'orecchio di non
lasciarlo mai più solo per così tanto tempo.
Sherlock andò avanti a sviluppare
questa fantasia tutto il giorno. Alle volte l'immagine era
così nitida nella
sua mente da sembrare reale, riusciva persino a sentire la pelle liscia
di
Watson sotto il tocco delle sue mani, ne percepiva il profumo, ne
assaporava il
gusto. Ormai, conscio d'aver usato toni non adatti ad una conversazione
con il
suo fido Boswell era pronto a scusarsi e a farsi perdonare, utilizzando
qualsiasi mezzo a sua disposizione e pregustando già la
faccia sorpresa del suo
dottore quando, rientrando, magari triste e sconsolato, lo avrebbe
trovato
sorridente e pronto a far pace.
- La
giornata volse al termine, lasciando nuovamente spazio alle ombre della
notte,
ma Watson non tornò.
Continua...
- Ed eccomi di nuovo qui, la connessione che fa schifo non mi ha impedito di postare quest'ultima schifezza venuta fuori da chissà dove (un luogo l'avrei in mente, ma sono una signorina di buone maniere *ridacchia dietro il ventaglio* non dico certe parole). Vi prego di essere clementi con me, ho da poco iniziato a leggere il canone (vabbè diciamo pure che ho letto solo il primo romanzo e i racconti posti cronologicamente prima e durante) quindi questa storia sarà sicuramente piena di errori da quel punto di vista (e sono sicura ci saranno anche un sacco di orrori grammaticali...perdonatemi anche quelli, se me li indicate li correggerò immediatamente!). Inoltre mi scuso anche se i personaggi sono (e lo sono, io lo so) OOC.... questo credo sia uno dei miei più grandi difetti, cioè parto con il voler scrivere seguendo il più possibile i pensieri del personaggio poi alla fine mi ritrovo con le tipiche frasi che invece direi io =.= Infine dovrete scusarmi anche per la semplicità del caso. Insomma ho pensato che essendo un racconto di Sherlock Holmes non poteva mancare il delitto, ma la mia mente è semplice ho provato ad arroverlarla alla ricerca di qualcosa che potesse essere almeno un pochino avvincente, ma credo di aver miseramente fallito. Una mia conoscenza, e non faccio nomi sennò mi arriva a casa con una mannaia in mano, *coffcoffHellycoffcoff* avrà sicuramente già scoperto vita morte e miracoli della vittima, del colpevole e del gatto della donna che abita sopra il fornaio da cui si serve la vicina del lattaio che portava il latte alla vittima. Però mi farebbe piacere, mano a mano che la storia continua, sapere chi è il vostro sospettato. I nomi dei luoghi sono tutti autentici (sono stata più di mezz'ora su google maps per cercare il luogo adatto) però non sono sicura che si chiamassero così anche nel 1800 ._.