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Autore: Midnight Sun_    08/01/2012    2 recensioni
E' il 1989. Bella ha diciassette anni quando una sua amica la presenta ad un gruppo di ragazzi che sono i componenti di una band in cerca di un batterista. Bella ama suonare la batteria. E' una ragazza dell'Upper East Side, ricca, ma non ha nulla di cui ha bisogno. Ha delle grosse divergenze con sua madre e sua sorella maggiore, e suo padre è il suo unico amico, peccato che i suoi siano divorziati.
Edward ha vent'anni ed ha fatto della musica una ragione per cui continuare. E' inglese e si è trasferito all'East Village quando aveva diciassette anni per scappare da sua madre e dalla sua vita. E' abbastanza misognino.
Lui e Bella si Incontreranno quando Bella decide che è il caso di cambiare vita ed entrare nel gruppo in cui lui suona. Ma l'inizio è al quanto turbolento!
Ma vi avverto, questa non è la solita storia romantica!
Genere: Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio | Coppie: Bella/Edward
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun libro/film
Capitoli:
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In ogni scuola c'è sempre la ragazza più popolare e le sue amiche.
Nella mia scuola questa ragazza si chiamava Lauren, e le amiche che camminavano al suo fianco, chi da una parte e chi dall'altra, si chiamavano Jessica e Angela. Loro, a detta della maggior parte di questa scuola, erano le ragazze più belle e simpatiche della scuola, ma soprattutto erano le più invidiate da quasi tutte le ragazze, quasi tutte perché c'era ancora qualcuno di intelligente, come me e un altro paio di persone. Io non le invidiavo. Non mi ero mai reputata una bellissima ragazza, ma non ero nemmeno orribile. Stavo bene con me stessa. Quando volevo e con chi volevo ero simpatica. Loro avevano tutti i ragazzi ai loro piedi... Be', non poteva interessarmi, tanto in quella scuola tutti i ragazzi erano uguali, come se fossero stati tutti creati da computer, quindi non mi piaceva nessuno in quella scuola. Il denaro... Ne avevo quanto loro, o forse anche di più. Io non avevo nulla da invidiare. 
L'unico motivo per cui pensavo a loro era perché stavano sfilando proprio davanti a me, con la solita aria da VIP, inutile e orribile. Non le avevo mai odiate, anche perché non hanno mai avuto modo di insultarmi, o anche parlarmi, visto che ogni volta che ci provavano le evitavo.
Le guardai un attimo, poi chiusi l'armadietto e mi diressi verso l'aula di letteratura. 
Le ore scolastiche erano senza dubbio le più tragiche della giornata. Non perché dovevo studiare, o ascoltare o prendere appunti, semplicemente perché odiavo la mia scuola. La scuola privata Julian* di Manhattan, forse la più costosa della città, mia madre pagava una retta di dodicimila dollari l'anno per costringermi a frequentare questa prigione. La didattica era ottima, organizzazione e servizi. Tutto ok. Ma io la odiavo. La gente lì non faceva altro che giudicare e sembrare perfetta per piacere per forza. Non si faceva altro che seguire le mode e a fare a gara a chi aveva il reddito più alto. Ma più di tutto odiavo quella stupida, inutile, bruttissima divisa! Io vestita in quel modo ero ridicola! Camicia a maniche corte in primavera e maglioncino verde d'inverno, gonna scozzese verde e grigia, calze di lana d'inverno e creme de la creme... Un piccolo papillon verde che non faceva altro che strozzarmi! La odiavo! Ma per fortuna le scarpe potevo sceglierle io, quindi d'inverno, come in quel momento, andavo a scuola con la divisa e gli anfibi neri, mentre in primavera indossavo le mie Converse. Una figura tutta da gustare, visto che ero l'opposto di quello che la scuola voleva in quel modo, soprattutto quando indossavo una delle mie giacche di pelle. E io mi divertivo a guardare quella gente nella mia scuola che mi guardava mentre passavo tranquillamente in quello stato. Per loro era inaccettabile. 
<< Bella! Bella aspetta! >>, mi voltai per vedere chi mi chiamava. Diane è una delle poche amiche che ho in questa scuola, questo non perché io fossi una sfigata, solo perché era una delle poche ragionevoli. Aspettai che arrivasse. << Sai che giorno è oggi? >>, mi chiese entusiasta.
Ci pensai un attimo. << Il diciassette dicembre 1989? >>.
<< Sì genio! >>, alzò gli occhi al cielo. << Questo è il giorno più bello della tua vita >>, mi disse battendo le mani.
Ricominciai a camminare mentre lei mi seguiva. << Wow, e perché io non lo sapevo? >>. Non mi interessava molto, Diane era quasi sempre entusiasta.
<< Perché io sono la prima a saperlo! >>.
<< Hai sbirciato le prove di matematica e sono riuscita a raggiungere almeno B? >>, in realtà ci speravo.
<< No, non è ancora quel giorno! >>.
<< Allora parla! >>.
<< Ok... Ti ho fissato un appuntamento! >>. Mi bloccai e la guardai.
<< Cosa? >>. 
<< Sì un appuntamento con un gruppo punk/rock. Il leader è un mio amico e hanno bisogno di un batterista, e tu sei bravissima! >>. Era orgogliosa di quello che diceva, ma non sapevo come potevo prenderla.
<< Diane non pensi che avresti dovuto chiedermi il permesso? >>. In realtà era molto meglio di un appuntamento e basta. Ma forse non avevo preso la notizia col piede giusto.
<< Oh andiamo Bella, non fare la melodrammatica! Lo so che questa occasione l'aspetti da quando hai preso le bacchette in mano per la prima volta. Ti ho fatto solo un favore! >>. Era orgogliosa di sé stessa e di quello che avevo fatto. Sorrisi. Non aveva torto. La prima volta che presi le bacchette in mano riuscii a farle passare tra le dita appena dieci minuti dopo e mi sentii già potente. Avevo dieci anni. Il primo vero accordo riuscii a comporlo una settimana dopo. Insomma, suonare la batteria era la cosa che mi riusciva meglio e che mi faceva sentire meglio. Era un punto di sfogo inesauribile e inoltre mi rendeva le braccia più forti, non si sapeva mai se dovevo difendermi da qualche feccia. Era anche vero che sognavo una cosa del genere da quando toccai le bacchette. Sentii una sensazioni di completamento e dissi precisamente << Da grande suonerò la batteria >>.
<< Ok... >>, dissi più calma e docile. << E come si chiama questa band? >>.
<< WarmGun >>, sembrava esserne fan visto che rispose con un certo entusiasmo.
<< E che razza di nome è? >>. Era un nome così... Brutto? Ricominciai a camminare velocemente.
<< Bella c'è tutta una logica! Dovresti sentirli suonare per capire! Sono una forza! Si chiamano così perché ogni volta che cantano o che finiscono di cantare, sono come una pistola calda che ha appena sparato un proiettile >>.
Alzai gli occhi al cielo. Sapevo che se non fossi andata a quell'incontro mi avrebbe tormentata per sempre. << Ok, dove e quando? >>. Mi arresi.
<< Oggi alle sei passo a prenderti! >>, se ne andò tutta contenta e saltellando. Perché dovevo frequentare questo tipo di gente? Forse una volta tanto dovevo ascoltare mia madre che mi diceva di cambiare amicizie.
Continuai a camminare verso l'aula. Mi aspettava un'ora interminabile. Quando entrai in aula andai a sedermi verso il solito posto, infondo, lontano da tutti. Lo facevo di proposito, escludermi non era una presa di posizione anticonformista, perché non avevo bisogno di prese di posizione, ma  più stavo lontano da quella gente e meglio era per la mia condotta scolastica e per i miei nervi. 
Non sono mai stata una studentessa modello, ma mi impegnavo quel che potevo. Ovviamente potevo fare di più di quello che facevo, ma ognuno aveva le proprie croci.
Il professore di letteratura entrò. << Prendete il quaderno degli appunti, oggi iniziamo con un nuovo argomento >>. Quel professore si comportava tutti i giorni così, entrava, prendeva un gesso e scriveva alla lavagna. Solo che quello che scrisse quel giorno non mi piacque molto: "Cime Tempestose".
<< Oh ma andiamo! >>, dissi spontaneamente, con il tono di voce non troppo alto.
<< Qualcosa che non va... >>, disse ancora con il volto rivolto alla lavagna, << Signorina Swan? >>. Ah sì, era un alieno!
<< No, è che non amo particolarmente quest'opera >>. Dissi sinceramente.
<< E per quale motivo? >>. Ma lui cosa importava? Tanto me la sarei dovuta sorbire ugualmente.
<< Perché non amo le storie d'amore così... Finte. "Se tutto il resto rimanesse e lui fosse annientato", l'universo per qualsiasi persona normale sarebbe lo stesso e identico posto! >>, ecco come la pensavo.
<< Mia cara signorina asociale, si vede che lei non è mai stata innamorata >>, disse sorridendo e sembrava che volesse cambiare discorso.
<< Ma lei cosa ne sa? Io non sono asociale >>, sulla seconda parte aveva ragione.
<< Già, e il fatto che lei è l'unica in questa classe che è seduta sempre da sola e infondo è tutto dire >>. Il professore non sapeva con chi aveva a che fare.
<< Professore... Vuole sapere perché lo faccio? >>, mi alzai, forse perché sapevo che mi avrebbe cacciata. << Lo faccio per evitare la gente antipatica, senza cuore, con un mucchio di soldi da spendere in cavolate e cornuto fin sopra al soffitto come lei >>, Gli passai davanti e gli sorrisi.
<< Brava, vada via e non torni più qui ragazzina insolente! >>, quando finì di urlare io ero già in corridoio.
Quegli episodi mi succedevano spesso, ma la fortuna voleva che riuscissi a cavarmela sempre. Ma quando le cose mi venivano offerte su un piatto d'argento non potevo far altro che accettare. Tutti sapevamo che il professor Berty veniva tradito spesso dalla moglie, una professoressa di matematica che insegnava in quella scuola, e per giunta con il preside, uomo ricco e affascinante. Un classico.
A volte, per colpa di quegli episodi, risultavo alla gente antipatica, ma non lo ero, solo che in alcuni casi le rotelle nel mio cervello giravano troppo velocemente e si scaldavano, ed ero capace di dire cose cattive su chiunque mi capitasse a tiro, e quel giorno era stato il turno del professore. Sì, avevo ferito il suo ego, perché nessuno aveva mai osato parlargli in quel modo. Meglio per lui, così si sarebbe svegliato un po'.
Decisi di andare via, completamente via. Uscii dall'istituto e raggiunsi la mia macchina. Poca gente veniva a scuola con la propria macchina, la maggior parte degli studenti veniva trasportata da un'autista personale, alcuni accettavano la brutta sorte e prendevano un taxi o un autobus.
Acesi il motore della mia Mustang del '70 che rombò. Io amavo la mia macchina, era un pezzo invidiato, ed era di mio padre.
Iniziai a guidare nella città. Non conoscevo molto Manhattan, se non le zone principali e il mio quartiere. Andai in un ristorante piccolo, fuori dall'Upper East Side, lì ci andavo spesso perché conoscevo della gente. Era ora di pranzo e avevo fame. Entrai e non era molto affollato, a quell'ora la gente già lavorava. Andai a sedermi, vicino alla vetrata che dava sulla strada.
<< Buongiorno >>, mi disse Ben, il cameriere, con un tono ammiccante.
<< Buongiorno >>, risposi a tono.
<< Nuova fuga da scuola? >>.
<< Esattamente >>.
<< Con chi sei stata cattiva oggi? >>, sapevano come mi comportavo spesso.
<< Con il professore di Letteratura... E' una femminuccia! Gli ho detto che è una cosa... Non l'ha presa bene... >>.
<< Sei sempre la solita! >>, mi disse sorridendo. << Ti porto il solito? >>.
<< Sì grazie >>. Andò verso la cucina. Mi tolsi il papillon e guardai fuori. Osservavo la gente che passava, in silenzio, che camminava con passo spedito, con una valigetta tra le mani mentre pensava a chissà cosa. Alla famiglia, al lavoro. Più al lavoro che alla famiglia. Da quelle parti funzionava così, se non avevi un buon lavoro non eri niente, non importava se avevi comunque una bella famiglia che ti amava, il buon lavoro era quello che contava. Benvenuto nella Manhattan migliore! Sembrava che ce lo avessero scritto sulla fronte. Io, almeno, lo vedevo. Quegli uomini che vedevo passare erano esattamente il biglietto da visita di quel posto. L'importante era apparire, non essere.
<< Ehi, a cosa pensi? >>. La voce di Ben entrò nella mia testa e trasalii. Guardai mentre sedeva di fronte a me. La clientela era poca, quindi poteva prendersi una pausa.
<< Che Babbo Natale non mi porterà nessun regalo quest'anno >>, dissi facendo finta di essere triste.
<< Ma mia piccola Bella, sei troppo cattiva, Babbo Natale non può passare a casa tua. Ora che lo sai, però, l'anno prossimo sarai più brava! >>, era facile scherzare con Ben. Eravamo due persone completamente diverse, ma riuscivamo a stare insieme benissimo.
<< Ma io voglio i regali! >>, dissi imbronciata.
<< Povera piccola! >>, mise una mano sulla mia, la scenetta era convincente. << E cosa hai scritto sulla lettera a Babbo Natale? >>.
<< Che voglio un finanziamento per aggiustare la carrozzeria della mia gattina >>, o comunemente chiamata Mustang. Sì, aveva qualche ammaccatura, ma era lo stesso stupenda.
<< Ma per quello basta scrivere una letterina a tua madre >>, disse sorridendo, conoscendo la mia risposta.
<< Preferisco farmi un bagno nell'acido nell'acido >>, dissi con il suo stesso sorriso. Intanto arrivò un'altra cameriera con il mio piatto e una caraffa in cui c'era del caffè che mi versò nella tazza di fronte a me. Il mio solito piatto a quell'ora erano i ravioli ai funghi.
<< Comunque... Cosa farai per Natale? >>, mi chiese restando in tema natalizio. Natale era vicino, lo si capiva dai decori lungo le strade e nei locali. Non capivo questa frenesia. Ormai il Natale aveva valore solo per quello: addobbi e regali. E comunque io non ci avevo mai visto nulla di religioso. Iniziai a mangiare prima di rispondere.
<< Mah... Il solito, sarò costretta a sorbirmi un po' di cena, vestita rigorosamente elegante, insieme a mia madre, quella cretina di mia sorella maggiore, la piccolo, per fortuna che c'è lei, e George >>, dissi con un ironico accento inglese, perché George era l'inglese fidanzato di mia madre. << E i suoi cari colleghi. E pensa ci saranno i genitori dei più odiosi alunni della mia scuola, e verrano anche i loro figli. Sarà un disastro. Ma quando inizieranno a parlare della società dei giorni nostri che è sbagliata, andrò pian piano in camera mia, indosserò qualcosa di decente e andrò a prendermi una bella sbronza in pub in uno dei quartieri più fighi della città >>. Sì, era davvero il mio programma per quella sera.
<< Ma quanti anni hai tu? >>.
Mangiai qualche boccone. << Duecentotrentacinque >>, risposi in fine e Ben scoppiò in una piccola risata.
<< Penso che tu abbia bisogno di uno bravo psicologo >>.
<< Nah. Io sono sicura che ho solo bisogno di bere molto alcool la notte di Natale >>, ingurgitai altri bocconi velocemente. << Anche per la notte di Capodanno! >>, perché sarebbe stata la stessa manfrina. A un tavolo di distanza c'era un ragazzo che rideva divertito dalle mie parole. << Wow, sono davvero simpatica >>, dissi a Ben, << Quel ragazzo ride delle mie battute>>. Non parlai a bassa voce, poteva anche sentirmi.
Ben si voltò a guardare. << Eh, sì, forse perché ti somiglia >>. In effetti aveva ragione. Era vestito come me quando non ero a scuola. Giacca di pelle, rigorosamente nero e i capelli alla "mi sono appena svegliato", anche se quelli io li pettinavo.
Finii di mangiare i miei ravioli e sorseggiai il caffè, tirai fuori i soldi che avevo nelle tasche e li misi sul tavolo. << Resto mancia >>, dissi alzandomi. << Vado a spiegare a mia madre perché ho dato del cornuto al professore di letteratura e poi sono scappata >>.
<< Hai dato del cornuto al tuo professore? >>, mi chiese incredulo.
<< Per forza, se lo è meritato! Ha detto che sono una ragazzina asociale >>.
<< Sei un disastro! >>. Mi abbassai verso di lui e gli diedi un bacio sulle labbra, poi andai verso la porta.
<< Ah, oggi alle sei ho un incontro con una band, faccio una prova per suonare la batteria >>, dissi disinvolta prima di andare definitivamente.
<< Davvero? Wow! >>.
<< Sì, ma sarà un fiasco, quindi stasera aspettami a casa tua >>. Gli feci l'occhiolino e uscii, raggiunsi la mia gattina, entrai dentro e iniziai a farla miagolare. Era eccitante mettere in moto la mia auto, ogni volta. Entrai nel traffico e mi fermai ad un semaforo rosso. 
Il mio rapporto con Ben era strano. Lo avevo conosciuto proprio in quel ristorante l'anno prima, quando un giorno ero scappata ed ero rimasta seduta tutto il giorno lì dentro, poi mi versò da bere e mi chiese di andare via perché dovevano chiudere, quando lo guardai capii che non volevo tornare a casa. Mi chiese quanti anni avevo ed io ne avevo sedici, mi disse di aspettare lui. Quando staccò mi chiese se volevo andare con lui, mi avrebbe accompagnata perché a quell'ora, di lunedì, quella città non era raccomandabile per una ragazzina di sedici anni. E così fu. Gli raccontai cosa era successo e alla fine mi accompagnò a casa. Iniziai ad andare in quel ristorante quasi tutti i giorni, lui iniziò a sedersi al mio tavolo e poi iniziammo ad uscire insieme e poi successe tutto. Con lui avevo perso anche la verginità. Ma mai si era parlato di amore. Lui aveva sette anni in più di me. Di sicuro non volevo una storia seria. Con lui stavo bene e mi divertivo, e di sicuro era molto meglio del resto dei ragazzi che conoscevo.
Continuai a guidare nel traffico snervante, senza preoccuparmi di quello che sarebbe successo una volta tornata a casa, anche perché non ero sicura che mia madre ci fosse, visto che passava davvero poche ore a casa. 
Anche il rapporto con mia madre era strano. Sempre se poteva chiamarsi rapporto. Diciamo che litigavamo continuamente. Tutto iniziò quando lei e mio padre divorziarono perchè per lei era un fallito e lo aveva mandato in rovina, praticamente. Era un po' come la matrigna in Cenerentola o la regina in Biancaneve. Forse un po' esagerato, ma si avvicinava parecchio. Ma la situazione peggiorò quando il caro, vecchio Gorge venne a vivere a casa nostra. George era il classico inglese che camminava velocemente per strada per non ritardare al suo tè delle cinque. Era un grosso imprenditore. Un buon a nulla, mio padre era molto meglio. Comunque, dal momento in cui George mise piede in quella casa non c'era mai un attimo di pace tra me e mia madre, e mia sorella maggiore, Sharon, era la sua fotocopia. Stesso fisico e stesse abitudini snob. Per fortuna nella stessa casa, nella camera accanto alla mia, c'era la piccola Erika, la sorellina buona. 
La mia era davvero un'altra favola. Guadagnerei davvero un sacco di soldi pubblicandola.
Uscii dal traffico e arrivai a casa velocemente. Parcheggiai l'auto e scesi. La mia casa era la classica casa di quelle zone, enorme e lussuosa. Entrai nello stabile. << Ciao Jimmy >>, salutai il portiere, povero uomo, e presi l'ascensore. Io ero al quinto piano. Dalla finestra della mia camera c'era una vista spettacolare. Arrivai in casa e mia madre, stranamente, era lì, seduta su una poltrona. Forse mi stava aspettando.
<< Penso che tu sappia che ha chiamato la scuola perché hai dato del cornuto al tuo professore e poi sei scappata >>, domanda retorica.
<< Oh, sì. C'ero anche io, sai? >>. Io amavo la mia ironia, soprattutto quando faceva arrabbiare mia madre.
<< Volevano sospenderti! >>, disse alzandosi di scatto dalla poltrona.
<< Per così poco? >>, alzai gli occhi al cielo. I soliti permalosi. Pensai. << E... Quanto gli hai offerto per non farmi sospendere? >>. Lei risolveva sempre i suoi problemi con il denaro. Andai verso la mia camera.
<< Vai in camera tua e non uscire più! >>, disse urlando.
<< Wow, sei una veggente. Stavo andando proprio lì! >>. Non era mancanza di rispetto. Si chiamava vendetta, per tutte le cose che aveva fatto a mio padre, e per tutte le menzogne che voleva farci bere.
<< E quando dico non uscire più intendo che sei in punizione! >>.
<< Sì, sì >>, dissi sbattendo la porta. Le sue punizioni avevano un effetto su di me simile all'effetto che mi fa la visione di un cartone animato per bambini: nullo. Quel pomeriggio sarei uscita ugualmente, anche perché dovevo incontrare quella band. 
Entrai in camera e lasciai cadere la borsa a terra. La mia camera era in ordine solo grazie alla governante e i suoi assistenti, altrimenti sarebbe stata un'enorme casino.
Mi sdraiai sul letto. Chissà cosa ne sarebbe venuto fuori dall'incontro con quella band. Forse erano davvero bravi come diceva Diane. Però non avevo mai sentito parlare di loro, e conoscevo tanti gruppi della città. Forse erano degli sfigati che ci provavano, ma mi sarei accontentata. Capii che avevo voglia di far parte di qualcosa, e perché non far parte di qualcosa facendo la cosa che più mi appassionava? Sarebbe stato fantastico. Avrei sfogato anche un po' di rabbia repressa, e ne avevo parecchia.
Cosa faccio fino alle sei? Continuavo a ripetermi. In casa non avevo mai niente da fare, anche perché non c'ero quasi mai. Mi alzai dal letto, presi dei vestiti nell'armadio e mi cambiai vestendomi come una persona normale, cioè niente divisa.
Vado da mio padre! Alla fine decisi così. Presi le bacchette e le misi in un piccolo zaino che mi portavo in giro quando andavo a suonare. Uscii dalla camera e non feci caso a mia madre che era seduta a leggere. << Dove stai andando? >>.
<< Da papà >>.
<< Ti ho detto che sei in punizione >>.
<< Tu lo dici sempre, e oggi devo anche andare a suonare quindi devo uscire per forza >>. Sospirò e continuò a leggere.
<< Bella?! >>, era la voce da dieci anni della mia sorellina.
<< Ehi piccolina, tu sei già a casa? >>, di solito usciva alle cinque ed erano solo le due.
<< Sì mi sono fatta firmare un permesso perché avevo mal di pancia >>.
<< Povera piccola >>, le accarezzai i capelli lunghi e biondi.
<< Posso venire con te da papà? >>, mi chiese con gli occhi dolci. Non si poteva dire di no ad un visetto così bello.
<< Certo, corri a metterti qualcosa di pesante perché fa davvero freddo! >>, corse in camera. << Ti aspetto giù >>. Così mi avviai, scesi, salutai di nuovo il portiere e entrai di nuovo in macchina, lei è l'unica che non mi abbandona mai. Misi in moto e andai proprio davanti alla porta ad aspettare Erika che non mi fece aspettare molto.
<< Fa davvero tanto freddo! >>, disse entrando in macchina di corsa.
<< Se non avessi mal di pancia ti porterei a bere una bella cioccolata calda per riscaldarti >>. Feci retromarcia e uscii dal parcheggio di casa.
<< Ma io non ho mal di pancia >>. Voleva la cioccolata.
<< E allora perché ti sei fatta firmare un permesso? >>.
<< Perché non volevo più stare a scuola, c'era l'ora di matematica e sai quanto la odio! >>.
<< Hai preso tutto da tua sorella >>, dissi sorridendo. << Quella più intelligente ovviamente! >>. C'era una caffetteria proprio vicino casa nostra, parcheggiai poco più avanti e andammo dentro. Anche io volevo una cioccolata calda. Mi piacevano le caffetterie, erano sempre calde d'inverno e sempre fredde d'estate e la gente era sempre gentile. Mi avvicinai alla cassa. << Cioccolata calda... Due, e... >>, guardai la vetrina dei dolci. << Vuoi un muffin, o un pezzo di torta? >>, chi a Erika.
<< Sì, voglio il muffin con la marmellata >>.
<< E due muffin con la marmellata >>, dissi alla cassiera.
<< Sono sette dollari e cinquanta >>, presi i soldi, pagai e la cassiera mi diede lo scontrino.
<< Vai a sederti, io prendo la cioccolata e arrivo >>. Andò a cercare un tavolo e io aspettai il mio ordine. Fu pronto in due minuti, il cameriere mise su un vassoio le tazze e i muffin e andai a cercare mia sorella. << Ecco qui la cioccolata per la povera bambina malata >>, lasciai il vassoio sul tavolo e mi sedetti.
<< E tu perché sei tornata presto? Mal di pancia? >>.
<< No, direi di no >>.
<< E allora cosa hai combinato? >>.
<< Mi sono fatta rispettare! >>, infondo era vero.
<< Hai preso a botte qualcuno? >>, la bambina era davvero molto intelligente.
<< No, le parole sono meglio dei pugni... >>, restai in silenzio, ma lei voleva una risposta seria. << Ho insultato un professore. Cioè, non insultato, risposto male >>. Insultato.
<< Perché lui ti ha detto una cosa brutta? >>.
<< Esattamente >>.
<< Anche io devo farmi rispettare >>. Sì, era tutta sua sorella.
<< Sì... Ma non farlo adesso, inizia quando sarai alle superiori >>, metterla nei pasticci già dalle elementari sarebbe stato inopportuno.
<< Io dovrò andare nella tua scuola? >>.
<< Se la mamma costringerà anche te sì >>. Povera piccola, già prevedevo un futuro tragico per lei.
<< Io non voglio andare in quella scuola, a te non piace! >>. Sì, tutta, tutta, sua sorella.
<< Sì è vero, ma se non piace a me non vuol dire ch non debba piacere a te >>, non volevo che si trasformasse in uno di quei cyborg in gonnellina che vigevano in quella gabbia di snob, ma era una buona scuola per lei. << E' la scuola migliore della città, con i migliori corsi >>.
<< Sì ma mi troverò malissimo, perché mi trovo malissimo anche qui >>. La sua scuola non era molto diversa dalla mia, solo che lì c'erano mini cyborg.
<< Però forse le cose cambieranno >>. 
<< Speriamo >>.
Restai in silenzio a guardare lo sconforto nei suoi occhi. Una bambina di dieci anni non poteva avere questi problemi. << Allora, cosa vuoi per Natale? >>, le chiesi per farle tornare il sorriso.
<< Mh... Non lo so, non mi serve niente >>.
<< Oh, su, non mi dire che non c'è niente che ti piace! >>. Era una bambina di dieci anni!
<< In realtà sì... Ma costa troppo >>. 
<< E dai dimmelo, non ho detto che ti comprerò qualsiasi cosa tu dica! >>.
<< E va bene... Io vorrei una polaroid >>.
<>, che cosa carina.
<< Sì. Papà ne ha una e l'ho provata e mi piace tanto >>.
<< Interessante >>. Ovviamente glie l'avrei regalata, se la meritava! 
Restammo in silenzio mentre mangiavamo i muffin. << Secondo te perché Sharon non vuole stare con papà? >>, disse all'improvviso.
<< E a te chi ha detto questa cosa? >>, non mi stupivo. Sharon era la nostra sorella maggiore.
<< Lo ha detto lei ieri >>.
<< Sharon non vuole stare con papà perché è troppo uguale a mamma >>.
<< Non sanno cosa si perdono >>.
<< Oh no, loro hanno George >>, dissi col solito accento inglese che usavo per perderlo in giro. 
Rise insieme a me.
<< Ok, io ho finito, andiamo da papà? >>, disse impaziente.
<< Da quanto tempo non lo vedi? >>.
<< Da una settimana >>. Ci alzammo e uscimmo. Continuai a parlare in macchina.
<< Come mai è passata una settimana? >>, chiesi curiosa.
<< Mamma mi ha detto che era meglio se non andavo perché lui non stava molto bene >>.
<< Io sono stata da lui l'altro giorno ed era in ottima forma >>.
<< Allora mamma è una bugiarda! >>.
<< Buongiorno! >>, dissi ironicamente. << Sai lo faceva anche con me quando ero più piccola, ma io non ci ho mai creduto >>.
<< E perché lui non è venuto prendermi? >>. Chiese delusa.
<< Sicuramente lei gli avrà detto la stessa cosa, cioè che tu stavi poco bene >>, non era molto convinta. << Papà ci adora e lui vorrebbe stare con noi tutti i giorni e tutto il giorno, ma non comanda lui, se la mamma dice che non può vederti o chiama un avvocato o aspetta che a lei passi la... >>, la che? << la qualsiasi cosa sia. Ma visto che lui non ha la possibilità di chiamare un avvocato aspetta che le passi. Sai funziona così >>. 
<< Io voglio diventare subito grande, per stare sempre con papà >>.
<< Quando sarai grande vorrai tornare piccola >>.
<< Non rimpiangerò mai l'infanzia se continua così >>. La guardai un attimo, ero in pena per lei. Ecco cosa succede ad avere una madre come la nostra. << Tu rimpiangi quando eri piccola? >>.
Ci pensai un po'. << A volte sì >>, i miei genitori divorziarono quando Erika aveva appena due anni, quindi lei non ricorda niente di come era. << Sai non è sempre stato così, prima, quando mamma e  papà si amavano era tutto molto più bello. Mamma non era una bacche... Ehm, non era così >>, stavo per dire bacchettona davanti a una bambina di dieci anni, che cattivo esempio. Peccato che fosse vero. << Prima che nascessi tu si amavano così tanto, sorridevano sempre e giocavano con me e Sharon, andavamo in vacanza insieme... Sai facevamo tutto quello che faceva una famiglia normale >>.
<< E' colpa mia se hanno iniziato a litigare? >>. Non risposi, mi fermai in un spazio e la guardai.
<< Come puoi pensare una cosa simile?! Tu sei la cosa più bella che sia capitata ad entrambi >>, aspettai un sorriso e quando arrivò, anche se forzato, ricominciai a guidare. << Non è colpa di nessuna di noi tre, loro non andavano più d'accordo. Sai capita spesso ultimamente >>.
<< Non è giusto che sia capitato proprio a noi >>.
<< No infatti, ma è capitato, e noi siamo delle donnine forti, vero? Andiamo avanti >>.
<< Sì, siamo forti >>, sorrise, finalmente.
<< Ascolta, io resto un po' con voi poi devo scappare perché devo andare a suonare, chiama mamma e dille che restiamo per cena, così resti con papà. E se la mamma fa storie dille che io non ho intenzione di tornare per cena, ok? >>.
<< Va bene >>.
Arrivammo a casa di nostro padre e parcheggiai la macchina, entrammo e quando Erika lo vide gli saltò addosso. 
<< Le mie bambine! Vieni qua >>, abbracciò anche me. Il mio povero padre ne aveva passate tante. << Che fine hai fatto tu piccoletta? >>, chiese a Erika quando sciolse l'abbraccio. 
<< Mamma mi ha detto che sei stato poco bene, così non mi ha fatto venire >>.
<< Ah, quella donna, è sempre la solita! >>. Il mio uomo con i baffi. Lo guardavo sempre con gli occhi pini d'amore. Diciamo che nella mia vita gli unici scogli di salvezza erano il modo in cui riuscivo a ironizzare tutto, la mia Mustang, la batteria, lui e Erika.
<< Devo andare al bagno >>, Erika si allontanò.
<< Allora, cos'è questa storia del poco bene? >>, chiese mentre andavamo a sederci sul divano.
<< Non lo so, io l'ho saputo poco fa >>.
<< Le farò causa un giorno o l'altro >>.
<< Sì, così poi ti ritroverai davvero in mutande >>. Diciamo che la loro separazione non è stata molto pacifica.
<< Oh, io ho i miei contatti >>.
<< Ma lei ha un sacco di soldi >>.
<< Come sta tua sorella Sharon? >>, chiese cambiando discorso, lo sapeva che avevo ragione.
<< Ne dobbiamo proprio parlare? >>.
<< Nah! >>.
<< Piuttosto è Erika che mi preoccupa... E' troppo giù moralmente per un bambina di dici anni >>.
<< Sì, l'ho notato anche io. secondo te ha bisogno di uno psicologo? >>.
<< Sì, secondo me sì. Uno di quelli che lavorano con i bambini. Ha pensato che la causa del divorzio sia stata lei >>.
Si passò una mano sul viso nervosamente. << Quella vita le fa male >>.
<< Poi a scuola non si trova bene >>.
<< Papà, dov'è la polaroid? >>, chiudemmo il discorso appena la sentimmo arrivare.
<< E' nella mia camera >>.
<< Comunque sei dimagrito parecchio >>, dissi guardandolo bene.
<< E' perché io lavoro parecchio. Non sono come voi scansafatiche dei quartieri alti! >>, l'ironia l'avevo presa da lui. Si vedeva che era stanco. Guardai l'orologio, erano le quattro. 
<< Uso un attimo il telefono >>, mi alzai e lo raggiunsi, composi il numero e aspettai che qualcuno rispondesse.
<< Pronto? >>.
<< Diane... >>.
<< Sì? >>.
<< Sono Bella, ascolta non sono a casa, quindi passo a prenderti io tra poco >>.
<< Va bene! Non sei ansiosa? >>, lei lo era più di me.
<< No >>, risposi secca.
<< Ok... Allora ci vediamo tra poco >>.
<< Sì a dopo >>. Riattaccai e andai di nuovo a sedermi.
<< Ma come già vai via? >>, chiese mio padre.
<< Una band sta cercando un batterista e la mia amica ha fatto il mio nome, quindi vado a questa prova >>.
<< Ah, wow. Spacca tutto mi raccomando! >>.
<< Ovviamente! >>, Erika venne da noi e ci scattò una foto all'improvviso. << Comunque restiamo a cena. Poi se io non faccio in tempo passo a prenderla >>.
<< Puoi anche non passare e lasciarla qui >>. Che dolce.
<< Piacerebbe a tutti, ma domani deve andare a scuola >>, era orrendo distruggere le sue speranze.
<< Ah, già >>.
Erika continuava a scattare foto ovunque. Quella polaroid sarebbe stato il regalo perfetto. Era bello vederla sorridere mentre faceva qualcosa. Sembrava gratificante per lei e si divertiva, come una bambina di dieci anni dovrebbe fare.
<< Cosa farete a Natale? >>, mi chiese papà.
<< Io scapperò >>, dissi senza indugio.
<< Ok, ti aspetto >>, disse ridendo.
<< Ok, scappo anche adesso >>, diedi un bacio a mio padre, << Ci vediamo dopo >>, dissi prima di uscire. Scesi le scale, entrai in macchina e feci di nuovo la stessa strada. Che vita faticosa.
Arrivai sotto casa di Diane quando mancava qualche minuto alle cinque. << Ciao! >>, mi salutò entusiasta. Sembrava che quella prova dovesse farla lei.
<< Dove andiamo? >>, chiesi senza salutare.
<< All'East Village >>.
<< Ah, allora sono proprio dei tipi tosti >>. Dissi alzando gli occhi al cielo, e al solo pensiero che dovevo attraversare mezza città mi veniva voglia di tornare a casa.
<< Certo che lo sono >>, Diane non capirà mai la mia ironia. << Vedrai Bella ti piaceranno! >>.
<< Non ne ho dubbi >>, il nome del gruppo non mi convinceva molto.
Per tutto il tragitto fu un bla bla bla continua, ma con Diane era sempre così. Quando arrivammo all'East Villege terminò i suoi discorsi per darmi le indicazioni del posto in cui questi tizi suonavano. Mi fece fermare di fronte ad un garage da cui si sentiva della musica. Quindi eravamo arrivati. << Dai scendi! >>. Quando mi incitò era già arrivata davanti la porta. Insomma, Diane era il solito peperino che non ti faceva mai annoiare. Presi lo zaino e la raggiunsi. Entrammo dentro e quando uno dei ragazzi ci vide fermò tutto e ci venne incontro. 
<< Ehi bellezza >>, diede un bacio sulla guancia a Diane e lei si sciolse. Capii tutto. Diane era pazza di quel tizio, ecco perché erano forti nonostante il nome.
<< Ciao >>, restò un attimo bloccata. << Lei è la persona di cui ti parlavo >>, disse quando riuscì a parlare.
<< Ah, ciao! >>, mi squadrò dalla testa ai piedi. << Vieni >>, mi fece segno con la mano di seguirlo. << Ragazzi lei farà il provino per la batteria >>.
<< Cosa? >>, disse uno dei ragazzi. << E' una ragazza non può suonare con noi! >>. Stupido ignorante!
<< Edward ha ragione, io non sono d'accordo! >>, disse un altro.
<< Oh, su che cos'è questo sessismo. Facciamola provare no? >>. Disse l'amico di Diane.
<< Non ha nemmeno il fisico da batterista! >>. Disse di nuovo il ragazzo di prima.
<< Io ho le mani da batterista >>. Capra.
<< E' una prova ragazzi, su >>. Rimasero in silenzio. Già stavamo iniziando male. << Vai alla batteria cara >>.
Senza nessuna presentazione andai al mio posto. L'amichetto di Diane mi porse le bacchette, ma lo guardai male. Ma per chi mi aveva preso? Spostai le mani con la massima pazienza, aprii lo zaino e tirai fuori prima un paio di guanti di pelle a metà dito che erano il mio tocco di stile e poi le bacchette. << Ah, sei attrezzata >>. Si allontanò.
Il ragazzo che aveva problemi col mio sesso mi guardo e lo riconobbi. 
<< Ah ma guarda chi abbiamo, la duecentotrentacinquenne! >>. Mi riconobbe anche lui. Era il razzo che rideva delle mie battute al ristorante.
<< Ah, il ragazzo con i capelli alla "mi sono appena svegliato" >>, gli feci una smorfia. Lui aveva problemi col mio sesso e io avevo dei problemi con lui.
<< Ok, cara, prima segui Edward, poi farai un assolo e poi seguirai tutti >>.
<< Ok, ma iniziamo >>. Disse il maschilista.
<< Vai Edward >>. Iniziò con qualche accordo. << Fatti trasportare dalla musica della chitarra >>.
Chiusi gli occhi e aspettai qualche accordo migliore. Quando arrivò attaccai e finalmente sentii quella scarica di adrenalina che serviva. Per un attimo fu come se ci fossimo solo io e la chitarra elettrica. La melodia era perfetta.
<< Wow, ehi, ehi, signorina. Ferma! Ottima prova >>, batteva le mani. Mi sembrava un tipo un po' eccentrico. << Ora fammi vedere cosa sai fare da sola >>.
Era un gioco da ragazzi. Feci battere le bacchette tra loro e poi iniziai. in quel momento, senza la chitarra fu come se ci fossi solo io. Stavo già sudando, l'adrenalina era forte. E pensare che mi succedeva ogni volta che lo facevo.
<< Ferma! Ferma! >>, mi fermai e aprii gli occhi.
<< Ho... Fatto qualcosa di sbagliato? >>, chiesi ingenua. L'amico di Diane rise.
<< Ma stai scherzando? Tu sei fenomenale! Proprio quello che cercavamo, non è vero Edward? >>, il signor maschilista lo guardava scocciato, secondo me non era d'accordo. << Non ho bisogno di altre prove. Sei dentro! >>.
<< Davvero? >>, chiesi io incredula.
<< Davvero?? >>, ripeté Edward dietro di me ancora più incredulo.
<< Sì >>. Disse scrollando le spalle.
Diane batteva le mani, era felice più di me. Io lo ero ma non lo dimostravo.
<< Wow >>, dissi a bassa voce.
<< No, non sono d'accordo >>. Eccolo di nuovo.
<< Edward è la scelta giusta >>.
<< E' una donna! Non può far parte di un gruppo composto da soli uomini! >>. Insisteva.
<< E' una legge? No, quindi va bene >>.
<< Non decidi solo tu! >>, non mollava.
<< Vieni >>, lo prese per un braccio e lo portò dietro ad una colonna, bisbigliavano e non sentivo nulla. Intanto mi tolsi i guanti e rimisi a posto tutto. Se avessero continuato ancora così sarei andata via.
Tornarono indietro e l'amico di Diane era soddisfatto. << Sei dentro! >>, ma il suo amico era comunque in disaccordo, glielo si leggeva negli occhi. << Noi proviamo tutti i giorni tranne il sabato e la domenica, dalle sei alle sette, ma per oggi basta >>. Andai verso Diane.
<< Va bene >>.
<< Come ti chiami? >>, oh certo, non ci eravamo ancora presentati.
<< Bella. Bella Swan >>.
<< Bella, che nome da femminuccia >>, disse il maschilista sotto voce.
<< Io sono una femmina, sarebbe un nome da femminuccia se tu ti chiamassi Bella >>, pensava che non rispondessi, doveva conoscermi il tizio. << Edward è un nome da femminuccia >>. Restò a bocca aperta.
<< Comunque, lui è Edward, sì, io sono Rob e lui, che suona il basso, è Jeremy >>. Disse l'amico di Diane.
<< Piacere di conoscervi >>.
<< Quanti anni hai? >>, mi chiese Rob.
<>.
<< Tsè, diciassette anni! Non solo donna ma anche minorenne! Andremo a finire tutti in galera! >>. Aveva da ridire su tutto!
<< Forte, diciassette. Spaccheremo, ne sono sicuro! >>. Rob era molto ottimista invece.
<< Sì... Andiamo Diane? >>. Volevo uscire da lì.
<< Sì, solo un attimo >>, si avvicinò a Rob e gli disse qualcosa. Intanto Edward stava uscendo.
<< Comunque, a parte tutto, mi piace la tua ironia. In quel ristorante mi hai fatto davvero ridere >>, mi disse affiancandomi, poteva anche avere un tono gentile.
<< Grazie >>, risposi con lo stesso tono.
<< Niente gentilezze, ho detto che mi piace la tua ironia, non che mi piaci tu. Resti sempre una ragazza che si è intrufolata nel mio gruppo >>. Ma che stronzo misogino!
<< Sì, ma ce l'ho fatta, e non puoi negare la mia bravura >>.
<< Sì, sì. Ciao >>, uscì. Maleducato. 
Uscii anche io e andai in macchina a aspettare la rubacuori, la misi in moto e chiusi gli occhi.
Brava Bella, ora hai qualcosa da fare.


Salve gente! Ci ho messo un po' per scrivere questo capito, ma con le vacanze ecc... Però sono contenta che qualcuno l'ha letta! Grazie :)
Ho messo un asterisco al nome della scuola di Bella (Julian*) perchè non esiste ed è mia invenzione, ma questo è normale! xD
Insomma, avrete capito che Bella è davvero diversa da quella che descritto nelle altre storie (per chi le ha lette), quindi spero che vi piaccia questo cambiamento :) 
Al prossimo capitolo! :)
   
 
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