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Autore: Tony Porky    08/01/2012    1 recensioni
Buonasera! Cercherò di scrivere alcune fanfiction con protagonisti la coppia di Baker Street con tema due argomenti fondamentali, su cui si basa un'amicizia sincera: il perdono e il ringraziamento.
Dal secondo capitolo (Scusa):
Se c’era una cosa che il Dottore amava fare nelle miti sere primaverili era passare le ultime ore della giornata sulle panchine in ferro battuto di Hyde Park, apprezzando il sole che gli stuzzicava i baffetti e i piccioni che beccavano briciole ai suoi piedi.
Quella sera, il vento era quasi assente e gli alberi mandavano profumi esotici. Seduto presso il lago, Watson chiuse gli occhi, inspirò profondamente e assorbì gli ultimi raggi del giorno.
La mente corse veloce a quella mattina e al disastro a cui era stato costretto ad assistere.
Holmes aveva superato il limite dell’indecenza.

Spero saranno di vostro gradimento!
Genere: Commedia, Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: John Watson, Sherlock Holmes, Un po' tutti
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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2. "Scusa"

 

 

 

“Cercherò di passare sopra la scarsa cura che ha delle sue cose, Watson!”
“Lei è detestabile!”
“Il genio regna nel caos, caro Watson, ma non è il suo caso.”
“Mi sta dando del rimbecillito?”
“Lo ha detto lei.”

 

 

Se c’era una cosa che il Dottore amava fare nelle miti sere primaverili era passare le ultime ore della giornata sulle panchine in ferro battuto di Hyde Park, apprezzando il sole che gli stuzzicava i baffetti e i piccioni che beccavano briciole ai suoi piedi.
Quella sera, il vento era quasi assente e gli alberi mandavano profumi esotici. Seduto presso il lago, Watson chiuse gli occhi, inspirò profondamente e assorbì gli ultimi raggi del giorno.
La mente corse veloce a quella mattina e al disastro a cui era stato costretto ad assistere.
Holmes aveva superato il limite dell’indecenza.
Aveva trovato la sua collezione di provette e alambicchi, appositamente acquistata in uno dei suoi viaggi in India, distrutta sul pavimento. Holmes, con il sorriso sulle labbra aveva alzato le spalle in un gesto arrendevole e i suoi occhi dicevano: “Non ho fatto apposta, erano pericolanti.”
Dopo aver sbattuto talmente forte la porta dello studio e aver schiantato la colazione che aveva comprato per entrambi contro il muro, schiumoso di rabbia era uscito dalla casa del suo migliore amico, gridando sulla scelleratezza dei comportamenti umani.
La voce di Holmes gli era arrivata flebile dalla finestra dell’ultimo piano quando ormai lui aveva superato l’angolo di Baker Street.
La città non gli era mai sembrata tanto piccola: l’aveva attraversata a passi da gigante, urtando i passanti e colpendo ripetutamente i piedi sull’asfalto, assumendo di tanto in tanto comportamenti schizofrenici degni dell’uomo che aveva appena rovinato la sua mattinata.
Ed era stato con immenso sconforto che aveva preso posto sulla panchina sulla quale, adesso, accettava a braccia aperte il calore della sera.

“Se posso permettermi, ridere è un buon metodo per terminare la giornata.”
Watson aprì gli occhi. Dissimulò un grido sorpreso in un colpo di tosse alla vista della creatura che gli si parò dinanzi. Era umana, ma la faccia era pitturata di bianco e sulle labbra un rosso acceso che terminava sulle guance. Sotto l’occhio sinistro, una lacrima finta e ciglia lunghissime disegnate con una matita nera. La testa era sormontata da una parrucca arancione, riccioluta e enorme. E per completare l’opera, un naso rosso di plastica grande come un’arancia.
“Vedo che l’ho piacevolemente stupita. Sono interessante, eh?”
Watson boccheggiò e cercò di assumere un’aria seria.
“E lei cosa dovrebbe essere? Un qualche mendicante eccentrico?”
“Meglio. Sono un…pagliaccio!” rispose quello, inchinandosi al cospetto del Dottore, mentre dal taschino che aveva sul petto estraeva un fiore rosso.
“Un giullare? Non le sembra finito il tempo dei banchetti medievali?”
La strana figura sorrise, enigmaticamente. Watson socchiuse gli occhi per osservare quel viso mascherato dalla tintura bianca.
“Dicevo,”- proseguì il pagliaccio, sedendosi di fianco a Watson che si spostò involontariamente quanto più lontano possibile “non vorrebbe ridere alla fine di una giornata?”
Aggrappato al lato della panchina, Watson rimase immobile a soppesare le parole dell'uomo. Ridere? In quel momento era l'ultimo dei suoi obiettivi. Sarebbe stata gradita la solitudine, ma a quanto pareva, l'uomo di fianco a lui non dava segno di volersi allontanare. Lambiccandosi sulle possibili opzioni, si umidì le labbra con la lingua, distogliendo gli occhi da quelli scuri del clown.
Proprio quando si stava per voltare a chiedere gentilmente ma con fermezza di lasciarlo solo, l'altro gli aveva appoggiato una mano sulla spalla. Watson non riuscì ad arretrare: nell'espressione di quello strano figuro riconobbe uno sguardo familiare.
Watson osservò la struttura fisica dell’uomo. Non doveva essere giovane, ma i suoi occhi erano accesi e vivi. Stranamente, a dispetto delle sue fattezze grottesche, quella figura gli
ispirò un senso di fiducia. 
"Forza, me lo dica. Non si dice che ridere sia la miglior medicina?"
Watson suo malgrado, si ritrovò ad annuire, e non se ne accorse fino a che il pagliaccio si mise a battere le mani con espressione gioviale.
“Ecco! Io sono qui per questo!”
La panchina cigolò quando si alzò e Watson scivolò di nuovo al centro. L’uomo davanti a sé si esibì in un balletto osceno, seguito da imitazioni animalesche e trucchi di magia
improvvisati. Watson rimase a fissarlo, l’espressione neutra sotto il cappello e la bocca contratta. Non era divertente: era ridicolo. Ma poi vide che, sul viso del pagliaccio, il sorriso era eterno. Suo malgrado, nonostante la rabbia scorresse nelle sue vene, si ritrovò a sorridere a quel sorriso. Il perché di uno sconosciuto abbigliato a quel modo l’avesse avvicinato non lo sapeva. Ma gliene fu grato. Watson rimase ad osservare le movenze scoordinate, i versi volgari, ma sotto a tutto questo, un senso di pace lo invase. Non era felice, ma sentiva di poterlo diventare.
Sorridere era la chiave, alla fine. Per un momento si dimenticò di Holmes e della sua disattenzione, così simile alla scordinatezza di…
“Un momento.”
Il pagliaccio si fermò, tra un salto e l’altro. Rimase in equilibrio sulla gamba sinistra, il ginocchio leggermente piegato e il sudore che pian piano stava scivolando sul suo viso.
Watson si soffermò sugli occhi scuri, sulla piega del labbro superiore. Sotto al trucco da pagliaccio, forse si nascondeva il genio.
Il clown sorrise, ancora una volta, e improvvisamente scattò sulle gambe. Watson cercò di gridare qualcosa, alzandosi dalla panchina, ma le parole gli erano rimaste impigliate in gola. La figura colorata sparì oltre gli alberi, lasciando il Dottore solo in compagnia dei piccioni che elemosinavano ai suoi piedi.
L’uomo si sedette, sprofondando nei suoi dubbi. Gli era sembrato di riconoscere una ruga familiare, sotto tutto quel bianco.
Era assurdo. Holmes non si sarebbe mai impegnato in atteggiamenti osceni per farlo ridere. E non c’era neppure riuscito pienamente. Watson si perse con lo sguardo oltre la fila degli alberi dove quell’uomo era sparito: Holmes non era uomo da chinare il capo e chiedere scusa. I segnali del suo corpo e la sua follia bastavano a scagionarlo da ogni colpa.
Umanamente era un disastro, ma sapeva come sfruttare, involontariamente, la sua vena artistica.
Un piccione si avvicinò alla sua scarpa e lui lo scacciò con il bastone. Il sole stava scendendo lentamente, per lasciare spazio alla coperta della notte, che avrebbe abbracciato il mondo. Gli avvenimenti della giornata erano stati sfiancanti, ma tutto sommato, quell'ultimo incontro era stato piacevole. 
In un modo totalmente trasfigurato.
Si alzò, mugugnando, e fece per andarsene.
Poi vide qualcosa, un oggetto piccolo e marrone che risaltava sul manto verde del prato.
Si chinò accigliato per esaminarlo. Alla luce del lampione che si accese, lo stupore e la sorpresa si dipinsero sui suoi lineamenti.

Una pipa annerita, con due iniziali impresse nel bordo.

Lo studio di Baker Street stava sprofondando nelle ombre. Holmes era seduto alla finestra, con le spalle alla porta e il tavolo dinanzi a sé e la fiammella tremolante della candela  creava giochi di luce sui suoi lineamenti, rendendoli irriconoscibili. Le mani stavano massaggiando il viso con un fazzoletto bianco, quando un insistente battere alla porta lo destò dai suoi ingarbugliati pensieri.
“Porti la sua persona lontana da lì, Miss Hudson. Sta sostando sul mio cerchio magico.”
La porta si aprì cigolando e il fazzoletto con cui portò via gli ultimi residui bianchi e rossi dal viso, finì precipitosamente nel cassetto.
“Buonasera, Holmes.”
La voce scura e bassa era ben lontana dal gracchiare della governante e Holmes si girò per sorridere al nuovo entrato.
“Oh, è lei Dottore.”
Watson rimase in piedi sulla soglia. Il ticchettio dell’orologio a muro fungeva da intermediario per i due che non osavano rivolgersi altre parole. Holmes si stuzzicò le unghie con un fermacarte, prestando poca attenzione ai movimenti dell’altro. 
Quando sentì il rumore distinto di qualcosa appoggiato sul tavolino, alzò gli occhi, per incontrare quelli azzurri di Watson.
“Dovrebbe sprecare il suo tempo in più fruttuose occupazioni.”
Holmes lo guardò accigliato. Le mani dell’altro si allontanarono dal tavolino, alzandosi verso il volto per calare il cappello sugli occhi. Holmes non vide il sorriso che delineò la sua bocca sottile.
Quando Watson si allontanò per raggiungere la porta e uscire, riconobbe la pipa marrone.

“Scuse accettate, Holmes.”




Angolino nell'armadio:

Buonasera cari lettori! Ringrazio in primis chi ha lasciato una recensione e chi ha messo tra le seguite questa raccolta.
Ero in crisi per questo capitolo. Non uno straccio di idea! Poi oggi, tornando a casa da una mini-vacanza in Piemonte, l'ispirazione è sbocciata. Qui mi sono divertita a sfruttare le doti da travestito (si, avete capito xD) di Holmes per scusarsi con il suo Dottore preferito. Lui non è tipo da arrivare alla porta di qualcuno e chiedere scusa a semplici parole. E' troppo poco rispettoso dei sentimenti umani per farlo xD A suo modo, ha cercato di destreggiarsi. Il pagliaccio è una figura che risale ai tempi antichi, ed è sempre stata sinonimo di ironia e satira. Oggi, soprattutto grazie a esperimenti ospedalieri, la sua figura rappresenta la felicità e il sorriso.
Spero vi sia piaciuto nella sua stranezza! Ricordatevi di sorridere, sempre :)
Un bacione,
Tony P.

Argomento: "Ringraziamento e Perdono"
1. Grazie
2. Scusa
3. Giustificazioni
4. Perdono
5. Scelte

L'immagine presente nel Banner appartiene alla seguente autrice: http://sadyna.deviantart.com/. Date un'occhiata alla sua galleria, soprattutto alla sezione Sherlock Holmes :D

   
 
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