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Autore: chaska    11/01/2012    2 recensioni
Ecco sì, a quel tempo il piccolo inglese vi avrebbe sicuramente detto che l’unica cosa degna di attenzione nel danese era la sua ostentata goffaggine, eppure a distanza di secoli la sua risposta è decisamente cambiata. Come non poteva rimanerne affascinato? Quegli occhi, seppur idealizzati dalla sua mente di bambino, lo avevano guidato nei suoi tempi d’oro della pirateria ed oltre. Come poteva semplicemente ignorarli, o peggio, dimenticarli? All’epoca era impossibile, semplicemente. Fino a quella sera, certo, un’unica, banalissima sera in cui secoli e secoli di pura ammirazione erano bellamente andati a farsi benedire. Che bellezza.
Genere: Commedia, Fantasy, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Danimarca, Inghilterra/Arthur Kirkland
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Rating capitolo: Verde
Personaggi:  Arthur Kirkland (Inghilterra) – Hans (Danimarca)
Osservazioni personali:  Uhm, ok. Piccola shot non facile da comprendere presumo (?) su Arthur e Hans (cioè, sì, gli ho dato solo il nome al povero Dan, niente cognome per lui x° )Piccola scenetta pseudonontanto danelaw, ecco. Spero vi piaccia :3 E sì, i titoli non sono proprio il mio forte, ma l’alternativa sarebbe stata “sequela infinita di filmini mentali di Arthur accompagnati da una delle innumerevoli prove della stupidità di Dan” BD No, davvero, ora la smetto *muore*

 

 

 

 

 

 

 

Di birre, ricordi e mal di testa male assortiti

 

Ancora ricordava il momento in cui l’aveva visto la prima volta.

D’altronde, come poteva dimenticare la pioggia che gli gelava le membra nonostante il pesante mantello? Come poteva dimenticare il cappuccio verde calato sugli occhi, a limitargli la vista sulla spiaggia? Come se questo fosse importante poi.

Piuttosto, come faceva a dimenticare quelle enormi navi? Era rimasto a bocca aperta per chissà quanto tempo nell’osservarle, quasi fosse una paralisi. Nell’osservare quegli immensi mostri di legno. E poi tutti quegli uomini che scendevano dal loro ventre! Uomini dai muscoli enormi, con scudi ricavati dalle querce più antiche e spade che, anche a quella distanza lo sentiva, portavano con loro l’odore del sangue.

E fra tutti quegli sconosciuti, spaventosi guerrieri, il suo sguardo era caduto proprio su di lui. E non perché fosse il più spaventoso dei guerrieri, o perché portasse la spada più grande, no! Il contrario, semmai. Era un bambino minuto quanto lui, con un elmo che gli scivolava sempre oltre gli occhi, ed un’ascia così enorme da sembrare ridicola – lui stesso avrebbe potuto giurare in seguito a qualsiasi fata che no, per molto tempo non era riuscito a sollevarla per più di qualche centimetro da terra.

Insomma, uno scricciolo in mezzo ad una foresta di giganti.

Ecco sì, a quel tempo il piccolo inglese vi avrebbe sicuramente detto che l’unica cosa degna di attenzione nel danese era la sua ostentata goffaggine, eppure a distanza di secoli la sua risposta è decisamente cambiata.

Dopo un quarto boccale abbondante di birra, o se vogliamo proprio esagerare, un terzo giro di rhum, Arthur vi direbbe che c’era qualcos’altro che non gli dava pace, qualcosa che all’epoca non riusciva a capire ma che lo incuriosiva lo stesso. Quando quell’elmo troppo grande per la sua testa glielo permetteva, erano i suoi occhi che lo incatenavano, degli occhi da eroe in un marmocchio piccolo quanto lui. C’era un mondo dentro quegli occhi: c’era il coraggio di tutti quei suoi uomini e c’era stipato lì tutto il mondo che fino a quel momento gli era stato negato.

Come non poteva rimanerne affascinato? Quegli occhi, seppur idealizzati dalla sua mente di bambino, lo avevano guidato nei suoi tempi d’oro della pirateria ed oltre.

Come poteva semplicemente ignorarli, o peggio, dimenticarli?

All’epoca era impossibile, semplicemente. Fino a quella sera, certo, un’unica, banalissima sera in cui secoli e secoli di pura ammirazione erano bellamente andati a farsi benedire. Che bellezza.

L’inglese ingollò rumorosamente un sorso di birra, mentre manteneva gli occhi incollati verso l’oceano. Era sempre una bella vista, malinconica ma bella, quella delle onde che si infrangevano contro gli scogli. Non importava se fosse una violenta tempesta o la più placida delle notti, come in quel momento: l’immagine del cielo nero e delle onde, con il loro perenne scroscio, lo rasserenava in qualche modo.

Poi quella sera sembrava così diversa dal solito, sembrava che qualcosa ti incantasse l’anima, come sull’orlo di una dolce melodia. Melodia che, ad esser sinceri, accompagnava davvero le onde quella sera. Peccato che per Arthur non fosse il più facile dei compiti rimanerne incantato, non con la cantilena ininterrotta del danese a due centimetri dell’orecchio.

Arthur gli lanciò un’occhiata in tralice, mentre lo osservava agitare le braccia come un forsennato, facendo cadere tutta la birra dalla bottiglia di vetro, e malediva in tutti i modi possibili la sua voce troppo squillante che gli trapanava il cervello.

Ammettiamolo, se il corrucciato inglese era arrivato alla sua sola seconda bottiglia di birra, Hans era andato veramente oltre, che fosse ubriaco marcio quindi era un dato certo ormai. Ma allora perché parlava senza fermarsi mai? Non si faceva del male da solo? E invece continuava a parlare di chissà che cosa poi…

«Era un ometto piccolo piccolo, sai? Eppure quella teeeeesta! Era enorme, giuro! Non nel senso che era grandissima, ma che là dentro c’erano tante di quelle storie che non sapevi da dove le tirasse fuori! »

E parlava e parlava, mentre l’inglese gli prestava a malapena ascolto.

«Un giorno mi disse che l’avrei incontrata. Diceva che sarebbe spuntata dalle onde come schiuma marina, e mi avrebbe sorriso. »

Il tono si abbassò leggermente, mentre Hans spostava la mano destra sul muretto al quale le due nazioni erano poggiate, per poggiarvi sopra il mento.

«Sarebbe arrivata quando sarei stato pronto, altrimenti Andersen diceva che l’avrei soffocata con un solo abbraccio: mi ripeteva sempre che ero troppo sconsiderato. »

Rise per qualche istante, per poi rimanere infine in silenzio. Solo le onde si sentivano, le onde e quella dolce melodia. E faceva dondolare la bottiglia ormai vuotail danese, mentre teneva lo sguardo fisso verso l’orizzonte, verso qualcosa di indefinito.

«Lo so che sono solo storie. »

Ridacchiò, ma ad Arthur sembrò comunque una risata amara.

«Non sono certo un pazzo, ma mi sarebbe piaciuto vedere almeno una volta quella piccola sirena. »

La frase finì gradualmente in un sussurro, e se non fosse stato per quegli occhi tristi socchiusi verso il nulla, Arthur avrebbe creduto che si fosse addormentato, cullato da quelle note quasi impercettibili.

«Come hai detto che è questa sirena? »

Domandò seccato l'inglese dopo qualche minuto, con la voce roca per la birra bevuta e il vento freddo a cui era esposto.

«È incantevole, con lunghi capelli cremisi e la pelle diafana. E la sua voce! È la cosa più incantevole…no, è indescrivibile: pensa che con una sola nota riuscirebbe ad incatenarti l’anima. Credo che sia un po’ come questa…melodia. »

Un'altra pausa, in cui la nazione rimase palesemente interdetta.

«Perché me lo chiedi, Arthur? »

Oh quanto avrebbe voluto dargli un cazzotto in quel momento!

«Perché quella tua sirena sta cantando da mezz’ora qua sotto, idiot. »

Nonostante il suo tono burbero, Hans rimase ancora una volta interdetto mentre rielaborava il messaggio appena ricevuto.

Annuì soltanto, mentre lasciava cadere la bottiglia di birra senza accorgersene, e sul suo volto si dipingeva un enorme sorriso di gioia.

Alla fine Arthur poté finalmente bere la sua amata birra in pace, lasciando quell’idiota danese ridere e correre come un matto verso la sua sorridente e fragile sirena.

   
 
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