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Autore: Smollo05    12/01/2012    1 recensioni
Siamo prigionieri di questo luogo. Prigionieri del tempo. Intrappolati nell’unico singolo instante di cui abbiamo memoria: quello che avrebbe potuto salvarci dall’oblio, quello di una decisione fondamentale. La scelta che ci avrebbe fatti ricordare in eterno.
Genere: Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Mi svegliai all’alba e mi dedicai all’esplorazione della mia nuova casa, sotto lo sguardo compiaciuto di Yusuf. Mi accorsi che il buio mi aveva ingannato la sera precedente: quella che avevo creduto un vecchio rudere era in realtà una casa perfettamente incastonata nell’ambiente naturale. Il legno e la pietra viva la facevano assomigliare ad un albero troppo cresciuto. E come avevo fatto a non accorgermi della presenza del grande pianoforte a coda? L’uomo notò il mio sguardo curioso e si sedette al piano, facendomi cenno di avvicinarmi. “Vuoi sentire?”. E senza aspettare alcuna risposta, cominciò a suonare. Era oblio puro, la più dolce delle melodie che il mio orecchio abbia mai ascoltato. Immediatamente, la casa venne avvolta dalla musica ed io capii come facesse quell’uomo solo e stanco ad essere felice. Lo guardavo incantata: poteva davvero un uomo produrre suoni così magnifici? Mi accostai di più a lui. Le sue mani che volteggiavano sulla tastiera erano il più bello degli spettacoli. L’ultima nota si mosse con misurata lentezza sul bordo della tromba d’Eustachio, come un condannato a morte e poi cadde, spegnendosi insieme col suono delicato della Suite Bwv 812. Si voltò verso di me raggiante: “Bach”. Lo guardai con aria interrogativa. “Non conosci Bach?”.. Scossi la testa, ma lui non sembrava molto sorpreso. “A tutto c’è rimedio!”. Si diresse spedito verso la libreria all’angolo e prese a scorrere i titoli, in preda ad una strana frenesia, poi tornò da me con un libro dall’aria pesante. “Ecco qui, biografie di grandi compositori. Leggi anche gli scritti su Chopin: più tardi ti farò ascoltare il Preludio numero 16”. Si accorse del mio sguardo impaurito. “Ovviamente , se non vuoi …”. Certo che volevo! Ma ero una bambina senza alcun tipo di istruzione, cosa pretendeva con i suoi libri!? Benché sapessi di non aver nessuna colpa, provai improvvisamente vergogna della mia condizione. “Yusuf, io non so leggere.” Sputai fuori la verità, arrossendo e pregando che non mi cacciasse via. In fondo chi ha bisogno di una bimba piagnucolona, analfabeta e che per giunta cresce? Mi rassicurò, accarezzandomi il capo. “Ti andrebbe di imparare?”.

Così cominciammo a dividere le nostre giornate: al mattino, imparavo a leggere, a scrivere, i primi rudimenti dei calcoli, mentre il pomeriggio Yusuf mi faceva sedere con lui al piano e mi raccontava dei suoi compositori preferiti. Ecco, ora sono una signorina della nobiltà che ascolta musica da sala nell’intimità della propria casa, sono Maria Anna e sto suonando a quattro mani con mio fratello Wolfgang Amadeus, ecco ora sono l’Elise, a cui Beethoven ha dedicato la sua celebre aria, tutto al chiaro di luna suonato da Debussy. Ben presto,Yusuf mi permise di toccare i tasti del suo amato piano, promettendomi che, se ci tenevo davvero, mi avrebbe insegnato a suonare. Imparavo e crescevo, crescevo imparando. A cena discutevamo solitamente dei miei progressi, di cosa avrei suonato l’indomani e del nuovo libro che avrei cominciato a leggere.

Una sera, parlammo dell’Isola. Mi portò fuori a vedere il tramonto, cosa che avevamo preso a fare spesso, ma stavolta non continuammo a passeggiare sul lungomare. Yusuf si sedette, lo sguardo perso all’orizzonte e io lo imitai. “Cosa siamo?”. Non aveva mai staccato gli occhi dal sole che affondava e non ero certa si rivolgesse davvero a me. “Uomini.”Non ne ero tanto sicura, a volte le bestie si comportano in modo più umano di noi. “Forse”,l’uomo si grattò distrattamente il naso, “o forse no. O forse lo siamo stati e non ne abbiamo memoria”. Non ero sicura di capire, né tantomeno ero sicura di voler davvero sapere la verità. L’avevo capito dal nostro primo incontro. Lui sapeva. Tutto. Lui conosceva la verità su quel posto, sull’Isola, la verità sulla mia diversità. Ma io sarei stata abbastanza coraggiosa? Yusuf prese il mio silenzio come un tacito invito a continuare. “Tutti coloro che vivono qui, non esistono. O almeno non più”. Le parole rimasero sospese nell’aria, facendosi beffe di me. Li avevo visti bere, mangiare,parlare. Non era possibile. “Siamo qui, perché non è rimasto nulla di noi nel mondo. Dimenticati, ecco cosa siamo. Non abbiamo ricordi che ci tengano in vita. Anche i libri che hai letto non esistono. Sono libri dimenticati, sotto al letto, in una borsa. Meno male che esiste gente tanto sbadata!”.Rise, ma era una risata amara, che non si estendeva agli occhi. “E lo sai qual è la cosa peggiore? Non ricordiamo nulla del posto da cui proveniamo. Siamo prigionieri di questo luogo. Prigionieri del tempo. Intrappolati nell’unico singolo instante di cui abbiamo memoria: quello che avrebbe potuto salvarci dall’oblio, quello di una decisione fondamentale. La scelta che ci avrebbe fatti ricordare in eterno.”. Sospirò. “Una volta ti dissi che salvarti era un modo per espiare le mie colpe. Il mio Istante, l’unico ricordo che mi è dato avere e rivivere è quello in cui perdo mio figlio. E’ morto affogato,ancora bambino. Io non ho potuto salvarlo perché non sapevo nuotare. Se mi fossi buttato comunque, forse …”,la voce gli si spense. “Ti considero come una figlia,sai?”. Lo sapevo, ma non me l’aveva mai detto così apertamente. “Ed io come un padre”. Era la verità, Yusuf era di quanto più vicino ad un padre avessi mai avuto. “Devi andartene di qui.”,la voce gli tremava ancora, ma si sforzò di tenerla salda. “Tu sei diversa. Non appartieni all’Isola, puoi avere cose che noi continueremo solo a sognare. Per favore, vattene e diventa una donna e sii felice.”Yusuf mi baciò la fronte e aggiunse: “Quando verrà il tempo.”

Non ne parlammo più. Io continuai la mia vita, imparai molte cose del mondo. Lessi Tolstoj,Stendhal,Shakespeare,lessi delle paure, dei sogni, dell’amore. Pensai che il mondo dovesse essere un gran bel posto. 
   
 
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