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Autore: Nidham    13/01/2012    6 recensioni
Breve elucubrazione della mia ladra nel momento piu' triste del videogioco, quando una scelta porta a tragiche conseguenze. Fatemi conoscere il vostro parere, visto che è anche il mio primo tentativo^^
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Mentre chiudevo le ultime fibbie della mia armatura, il raschiare sottile del ferro, lucido e ben oliato, risuonava con cupa ineluttabilità sul mio cuore e sulla mia anima. Ogni gancio era un sigillo per la mia volontà e una catena per la mia egoistica paura.
L'Arle se n'era appena andato e aveva approvato la mia proposta. Adesso avrei dovuto solo imporla al mio perduto braccio destro, al mio scudo, alla mia forza. Al coraggioso, onesto e onorevole amore, ormai non più mio.
Non gli sarebbe piaciuto, ma non aveva importanza.
Il dovere, ormai, era l'unica cosa che contasse. L'aveva scelto e, se io l'odiavo per questo, avrei imparato ad ammirarlo perché l'avrebbe perseguito.
Mi sono guardata allo specchio un'ultima volta. Per un secondo ho rivisto me stessa com'ero stata solo qualche mese prima: abito di velluto un po' in disordine e nastri tra i capelli. Mani forti, ma candide. Spalle troppo erette per una dama e sguardo troppo deciso, ma ancora pulito, ingenuo, stupido. Non desideravo il mio mondo, solo perché mai avrei creduto di vederlo distruggere.
Ho chiuso gli occhi e girato lo specchio.
Passato. Inutile. Indispensabile.
Sentendomi solo in parte padrona di me, ma sicura di saper fingere la forza che ancora non possedevo, mi sono diretta alla sua porta, ascoltando il silenzio del corridoio di pietra, in cui i miei passi scivolavano leggeri, confondendosi col sottile fruscio degli arazzi vermigli alle pareti, sfiorati con gentilezza dalla brezza del mattino.
Quel castello era tanto simile al mio da farmi sperare, assurdamente, che tutto potesse esser stato un sogno, un terribile incubo da cui, finalmente, mi sarei svegliata; sarei scesa nel salone e mia madre mi avrebbe rimproverata per il ritardo, mentre mio padre avrebbe sorriso sotto i baffi, affrettandosi a nascondere il volto nella tazza. Mio fratello mi avrebbe servito uova e pomodori, ben sapendo che le odiavo, e mi avrebbe sfidato a lasciarli nel piatto, affinché contraddicessi i miei sermoni sulla vergogna dello sprecare il cibo.
Ho poggiato una mano alla parete, artigliandola e graffiandomi.
Quante sciocchezze! In mesi di battaglie, morte e dolore non avevo ancora saputo crescere e cercavo di credere nelle favole. Patetico!
Ho bussato con più forza di quanto avrei voluto. In assenza di risposta, mi sono limitata ad entrare.
Pensavo, speravo quasi, di trovare la stanza vuota, ma Alistair era lì, immobile, le spalle leggermente curve, le mani conserte sul pomo della spada, il volto inclinato verso la luce del sole, con le labbra strette in un'espressione di sofferenza e rabbia come mai gli avevo visto.
Il primo istinto è stato di corrergli tra le braccia e cancellare con un bacio quella piega amara che mi feriva il cuore, ma ho stretto i pugni, rimanendo sulla soglia.
Non mi ha invitato ad avvicinarmi, né ha parlato.
“Sono venuta per riferirti ciò che il tuo padre adottivo ed io pensiamo sia giusto fare.”
Ancora il silenzio. Cominciavo ad irritarmi. C'è poco che odi più della fuga in un mutismo insensato.
“Considerata la tua posizione" ho continuato, riflettendo che, tutto sommato, la mia ambasciata avrebbe potuto essere più veloce, se si fosse limitato ad ascoltarla, senza replicare, "abbiamo deciso che non potrai rischiare la vita continuando a scendere in battaglia. Il futuro re e ultima speranza di pace della nostra nazione non può morire infilzato dalla lama di qualche infimo mostriciattolo.”
“L'ho visto entrare nella tua stanza.”
Aveva sussurrato a tono tanto basso, scivolando sulle mie stesse parole, che non ho afferrato subito il senso della frase, ma mi sono zittita.
Forse questo gli ha dato coraggio, perché, a voce più alta, ha continuato: “L'ho visto entrare a tarda notte e non è uscito se non poco prima dell'alba!” alla fine stava quasi urlando.
Ho sbattuto le palpebre. Davvero stavamo parlando di questo? Gelosia?
Avrei riso se mi fossi ancora ricordata come fare.
Ha alzato gli occhi verso di me e ho visto le lacrime oltre il suo sguardo ferito e deluso.
Forse sperava di leggere una giustificazione sul mio volto, ma, se pure fossi stata capace di far cadere la mia maschera di fredda imperturbabilità, per esporgli il mio cuore, non avrei avuto nessun pentimento da offrirgli, dato che non c'era stata colpa.
Ho visto la mia freddezza trapassargli il cuore.
“Sei stata a letto con lui...”
Di nuovo una frase sussurrata, che si apriva alla speranza di una mia negazione.
Ancora, non potevo aiutarlo. Ero stata a letto con Zevran, era innegabile; il fatto che si fosse limitato a stringermi a sé e a confortarmi, come un amico, come un fratello, non cambiava la verità della sua errata domanda inespressa.
Alistair si è avvicinato a me come una furia, afferrandomi il polso.
“Ci sei andata a letto?”
Questo era troppo. L'ho sentito con una forza che mi ha sorpreso, al di là dell'insensibilità che mi pervadeva. Come osava dubitare di me, del mio amore? Del mio onore! Lui che mi aveva sacrificato, per conservare il suo!
La mia rabbia si è accesa nella sua, ma ormai era una fiamma gelida, che mi ha portato solo a sciogliermi dalla presa, articolando un secco “sì”, con gli occhi fissi nei suoi.
Poi, senza battere ciglio, l'ho visto crollare in ginocchio.
“Oggi parlerai alle truppe e le inciterai. Poi ci seguirai con l'Arle, nelle retrovie.”
Non mi sono curata di attendere una risposta e ho richiuso la porta alle mie spalle e tra i nostri cuori.

........

Zevran stava sistemando le sacche sul suo cavallo, quando vide Alistair farglisi incontro.
Aveva l'espressione cupa, ma, dato che non pensava ne conoscesse altre, non se ne preoccupò.
“Quale gioia!" prese a canzonarlo, come di consueto. "Il futuro re, faro di speranza di tutto il Ferelden che scende nelle stalle tra i comuni mortali! Posso avere l'onore di stendere il mantello sotto i vostri piedi, affinché non infanghiate i vostri regali stivali, maestà?”

E si esibì in un elaborato inchino, ignorando la vena che iniziava a pulsare più ferocemente sulla tempia del compagno.
“Sei un bastardo!” gli sputò in faccia Alistair.
“Vero” si limitò ad osservare, pensando fosse una delle sue solite, pessime risposte alle prese in giro. “Ma ti ricordo come, tecnicamente, lo sia anche tu! In fondo non è una situazione così tragica, non ti pare?”
Ignorando l'insulto, Alistair lo prese per la spalla, stringendo troppo forte, perché fosse un gioco, tanto che Zevran portò lo sguardo sulla sua mano, alzando un sopracciglio, guardingo.
“Ti sei divertito?”
“Intendi nella mia vita, in questi piacevoli mesi in cui ho sguazzato nel fango a caccia di Prole oscura, o ieri?”
L'ultima parola gli uscì di bocca nella più assoluta innocenza, dato che stava ancora cercando di capire se il suo compagno fosse in preda ai postumi di una colossale sbronza, cosa piuttosto improbabile viste le sue noiose abitudini, o se, piuttosto, non manifestasse i primi sintomi di pazzia.
Ma per Alistair fu la conferma di ogni sospetto e, assurdamente, lesse in quell'innocua affermazione un mondo di velenosi sottintesi, a dimostrazione di quanto pericolosa possa essere un'anima onesta e ingenua, quando si convince di essere stata ingannata.
“Suppongo avrai usato tutti i tuoi trucchi e le tue sordide manovre per mettermi in ridicolo e mostrare ancor meglio la mia inesperienza! Chissà quanto avrete riso di me, dopo!”
A questo punto, Zevran era davvero perplesso e anche un po' preoccupato: la pazzia cominciava ad essere la spiegazione più plausibile per un siffatto comportamento.
“Anche se mi sono sempre vantato del mio intuito e della mia mente pronta, ammetto di non seguirti.”
“Non farmi passare da ingenuo!” gridò, spingendolo alla parete.
“Lasciami” Zevran non alzò la voce, ma i suoi occhi avevano riacquistato la luce tagliente dell'assassino, quella luce che, ultimamente, avevano saputo mitigare in un più dolce calore.
“Avevo quasi cominciato a crederti mio amico” Alistair non si mosse, ma chinò il volto, allentando la presa.
“Già" sussurrò Zevran. “quasi... In fondo sono solo mesi che combattiamo fianco a fianco e ti guardo le spalle. In ogni caso, amici o no, continuo a non capire e voglio che ti scansi da me, a meno che tu non desideri aprirti a qualche nuovo orizzonte, che pensavo fossi troppo pudico per desiderare.”

Sorrise, con finta lussuria, cercando, per l'ultima volta, di buttare la conversazione sullo scherzo.
In altre circostanze non avrebbe esitato a riconoscere i tipici sintomi dell'amante geloso nella follia di Alistair, ma, per una volta in vita sua, non aveva fatto niente che non fosse puro e innocente e, forse per l'assoluta novità della situazione, si trovava impreparato ad affrontarne le conseguenze.
Il Custode si allontanò da lui con un movimento repentino e, altrettanto rapidamente, sferrò un pugno che andò ad infrangersi sulla parete di legno dove, fino ad un istante prima, c'era la faccia di Zevran.
“Perché ci sei andato a letto?” gridò.
“Con chi?” urlò l'altro di rimando, istintivamente, prima di comprendere, ad un tratto, di cosa stessero parlando.
“Stai scherzando, vero?” si trovò a sentirsi dire, con tono tanto perplesso da suonare stupido alle sue stesse orecchie da elfo.
“Non negare! Ti ho visto!” Alistair mise mano alla spada, ma la voce pericolosamente calma dell'assassino lo bloccò, un attimo prima che la sguainasse.
“Non farlo. Se estrarrai la lama, non torneremo indietro e sarebbe un modo veramente stupido di morire: tu sotto i miei pugnali, io con la corda al collo.”
“Sei tanto sicuro di battermi?”
“Abbastanza, anche se non quanto sono sicuro che tu sia impazzito.”
“Mi ha confessato di essere venuta a letto con te. Nemmeno io potevo crederci.”
“Evidentemente non ci credevi abbastanza. Sei uno sciocco Alistair, un patetico, enorme sciocco, che, nell'arco di sola mezza giornata, è riuscito a distruggere la cosa più bella che la vita avesse potuto regalargli. E solo gli dei sanno che nemmeno la meritavi.”
“Ti prego, risparmiami la predica! Non dubito che tu possa avere più armi di me, sotto le lenzuola, e immagino come tu possa averle fatto provare vette di piacere che con il povero, imbranato sottoscritto, non avrebbe mai potuto conoscere, ma io l'amavo e non era sordido sesso ciò che condividevo con lei.”
Per un secondo Zevran fu tentato di replicare che non c'era niente di sordido in un po' di sano, piacevole esercizio amoroso, ma non era più dell'umore per fare battute.
“Evidentemente non l'amavi abbastanza, o non la conoscevi abbastanza, perché altrimenti non saremmo qui a intavolare questa poco piacevole conversazione.”
Il suo discorso voleva sottintendere che non avrebbe dovuto mai dubitare del suo amore, ma, in mezzo a tanta rabbia, ottenne solo, nuovamente, di alimentarne le fiamme.
“Non illuderti, sciocco elfetto, si è solo servita di te! Aveva bisogno di un figlio per quella strega. E quando io gliel'ho negato, evidentemente hanno trovato un'altra soluzione.”
Di nuovo il buio completo. Zevran non si era mai sentito tanto stupido in vita sua.
“Ecco perché odio questi onesti paladini della giustizia" meditò. "Sono troppo idioti sia per capire, che per farsi capire!”
“Probabilmente Morrigan ha trovato il modo di compiere il suo demoniaco rituale su Eilin, invece che su se stessa, ma, a quel punto, serviva... uno stallone da monta.”

Sputò le ultime parole, sperando di ferirlo, solo che ormai aveva perso tanto credito agli occhi di Zevran, che questi veniva a malapena toccato dalle sue parole.
“Sei felice di sapere che il tuo bambino verrà allevato da una strega e sarà la reincarnazione di un dio antico? Probabilmente distruggerà questa terra, che tanto cerchiamo di proteggere, ma magari avverrà tra dieci o venti anni, quindi noi non dobbiamo preoccuparcene giusto?”
“Morrigan ha lasciato il castello stanotte” replicò l'elfo, semplicemente. “Sono andato dal nostro capo a chiederle spiegazioni, ma mi ha detto soltanto che la maga le aveva proposto una scelta, che era stata rifiutata. Non avevo capito a cosa si riferisse fino ad ora.”
Alistair scosse la testa, incapace di afferrare il senso di quelle parole.
“Eilin era sconvolta, spaventata, anche se ha fatto di tutto perché non me ne accorgessi. Se tu non l'avessi notato, quella ragazzina, di nemmeno sedici anni, ha sempre lottato con se stessa per sopportare il peso delle responsabilità che tutti noi, tu per primo, le abbiamo imposto!”
Adesso era Zevran a gridare e lo trovò dannatamente catartico, tanto più perché non gli era mai successo di farlo, non veramente, non per rabbia.
“Io stesso avevo paura. Senza Morrigan le nostre speranze di vittoria si sono assottigliate miserevolmente. Wynne, povera vecchietta, non vale un'unghia della strega.”
“Wynne è...” provò ad intercalare Alistair, la cui espressione stava diventando sempre più vacua.
“Wynne non è argomento di conversazione adesso. Dimmi esattamente ciò che Eilin non ha voluto rivelarmi, in questa lunga notte in cui l'ho tenuta stretta a me, perché non andasse in pezzi. In questa notte dove ho passato i minuti ad ascoltare ogni cambiamento del suo respiro, mentre le carezzavo i capelli e pregavo che potesse dormire un sogno senza sogni e trovare la pace e la forza, per quest'ultima sfida. Avresti dovuto esserci tu, al mio posto, è vero. Ma non c'eri. Perché? Perché tu eri troppo orgoglioso e perso nel tuo mondo, per interessarti di lei! Ecco perché. Dici di amarla e subito l'hai insultata coi tuoi sospetti. L'hai abbandonata e ferita" Zevran battè le mani, mimando un applauso privo di allegria. "Ti faccio i miei complimenti, mi hai abbondantemente superato come bastardo. E ora dimmi, brutto idiota, di che diavolo di rituale stavi parlando? Perché, se tu non hai il coraggio di affrontare la verità, non voglio essere io a ignorarla!”. 

  
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