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Autore: FRC Coazze    13/01/2012    9 recensioni
E se in una notte di fine ottobre 'qualcuno' fosse corso in aiuto ai Potter? E se questo qualcuno fosse riuscito a salvare la giovane Lily? E se sempre questo qualcuno fosse una persona innamorata da sempre di lei? E se Harry fosse scomparso?
Troverete risposta (forse) a queste domande nelle mia ff!
Dal primo capitolo: "Silente si era accostato ancora. La sagoma che giaceva accanto alle ginocchia della professoressa ora aveva un volto… e, per la miseria, anche un nome! Oh, Albus conosceva bene il colore di fuoco di quei lunghi capelli… conosceva bene i lineamenti freschi di quella giovane donna: Lily Evans giaceva lì, sul freddo pavimento, svenuta e con una sanguinante ferita sul petto… ma viva!"
Genere: Mistero, Romantico, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Lily Evans, Severus Piton, Un po' tutti | Coppie: Lily/Severus
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Il Principe della Notte'
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Capitolo 31
 

"AL LADRO!"



L’uomo si appoggiava stancamente al tronco rugoso e freddo di uno dei primi alberi della Foresta Proibita. Gli occhi fissi sulle mura del castello. Aveva atteso a lungo, aveva visto, una ad una, le luci spegnersi, addormentarsi silenziose lasciando il passo all’oscurità della notte. Era rimasto lì a lungo, in attesa. La neve bianca non si era lasciata spaventare da quella figura ammantata che osservava, era scesa indifferente, poggiandosi sulle spalle ammantate di scuro dell’uomo, bagnandogli il mantello, ma lui non si era mosso, nonostante il freddo e l’umido che gli penetravano nelle ossa.

Era rimasto lì. Appoggiato a quel tronco ruvido. Il suo signore gli aveva dato un preciso incarico, aveva riposto in lui la sua fiducia, e lui sarebbe rimasto lì in attesa per l’eternità se avesse dovuto, finchè la luce che filtrava dall’alta torre aguzza non si fosse finalmente spenta.

Ormai doveva essere mezzanotte passata, eppure quella luce birichina era ancora lì, sciocca e irridente, a sfidare le lunghe e armate schiere della notte. L’ombra sapeva che Albus Silente rimaneva sempre alzato fino a tardi. Avrebbe atteso. Non aveva fretta.
 

***
 

Albus Silente faceva su e giù nella sua camera da letto, le mani serrate dietro la schiena, la camicia da notte azzurra con i boccini che ondeggiava. La testa così piena di pensieri che gli pareva di avere un ballo in maschera nel cervello, un’accozzaglia di forme, suoni e colori a malapena distinguibili, pensieri coperti da maschere che si mostravano e poi scomparivano, si avvicinavano e poi si allontanavano con una piroetta.

Fanny sonnecchiava tranquilla appollaiata vicino al davanzale della finestra, cercando di ignorare l’irritante avanti e indietro del preside.

Silente sospirò pesantemente, quindi si avvicinò al letto e vi si lasciò cadere stancamente. Poggiò la schiena contro la testiera di legno e riversò indietro la testa, gli occhi azzurri puntati al soffitto di legno, illuminato dalla luce azzurra delle candele incantate.

Lentamente, con metodologia, il preside prese a riordinare un po’ i suoi pensieri. L’incontro con Lucius Malfoy era stata una delusione. Aveva sperato che il vecchio Lucius sapesse qualcosa dei piani di Lord Voldemort per Severus, invece niente. Sorrise appena al ricordo del rientro a casa di Lucius. Rivide l’espressione di Malfoy quando era entrato nel suo salotto e si era trovato davanti Albus Silente affondato nei cuscini della poltrona più vicina al fuoco che gli rivolgeva un ampio sorriso.

Malfoy era rimasto pietrificato sulla soglia con la bocca semiaperta, le parole di saluto alla moglie gli erano gelate in gola. Lì per lì, Albus aveva creduto che Lucius stesse per avere un infarto, ma poi l’uomo si era ripreso alla grande.

“Che cosa ci fa lei qui?!” Aveva quasi urlato Malfoy. E Albus aveva allargato ancora di più il sorriso.

“Anch’io sono felice di vederti, Lucius.” Aveva detto il preside.

Lucius si era guardato intorno sbigottito, il suo sguardo aveva subito catturato la figura altera ed elegante della moglie, in piedi a poca distanza da Silente, e il suo sguardo di ghiaccio si era incrinato appena, colpito senza pietà dalla rabbia e dalla delusione.

“Lo hai portato tu qui?” Aveva chiesto a Narcissa. Nella sua voce non traspariva la rabbia del suo sguardo, quando un profondo senso di frustrazione.

“Lucius, -aveva detto Narcissa, alzando lo sguardo umido di lacrime sul marito. –Ti prego, cerca di capire… era l’unico modo.”

“Sei impazzita?!- Aveva allora urlato Lucius, avanzando a grandi passi verso la donna. –Se Lui viene a sapere di questo, è finita! Te ne rendi conto?” Albus non credeva di aver mai visto un uomo più spaventato. Il terrore che era piombato sul viso chiaro di Lucius Malfoy era puro, oscuro e tagliente, e gli trasfigurava il volto sempre così nobile e algido in una maschera di cera biancastra.

“Non biasimare tua moglie. –Era intervenuto allora Albus. –Ha fatto la cosa giusta. Ha chiesto la mia protezione, e io sono deciso a darvela.”

Lucius Malfoy aveva spostato lo sguardo su di lui, allontanandolo dalla moglie.

“Lucius…- Aveva detto tranquillamente Albus. –Lui non farà del male alla tua famiglia. Hai la mia parola.”

Malfoy non era parso affatto rassicurato da quelle parole.

“Se l’Oscuro Signore viene a sapere di questa cosa, io sono morto.” Sibilò irritato e spaventato verso il preside.

“No. –Aveva detto duramente Silente, alzandosi dalla poltrona ed ergendosi in tutta la sua altezza. –Non accadrà. Non permetterò che accada.”

Lucius lo aveva guardato con un sorriso di scherno sul volto teso.

“Oh, e immagino che lei lo farà disinteressatamente. Vero, preside?- Aveva detto, riversando in quel titolo tutto il sarcasmo che poteva contenere la sua voce, ed era tanto. –Quale gesto nobile, aiutare la famiglia di un Mangiamorte. Che cosa vuole in cambio da questo Mangiamorte, eh? Vuole i segreti del Signore Oscuro? Mi spiace, ma non ne so niente. Vuole sapere cosa mangia a colazione?  O di quali deliziosi giochetti si diletta per passare il tempo? Oh, su questo argomento avrei molto da dire. O magari vuole che mi consegni spontaneamente agli auror?”

Albus aveva lasciato che tutte quelle parole, così intrise di veleno, uscissero dalle labbra sottili di Lucius. Aveva lasciato che si posassero su di lui, si soffermassero per qualche secondo e quindi scivolassero via senza aver minimamente scalfito lo scintillio dei suoi occhi.

“Nulla di tutto ciò. –Aveva detto infine con voce grave. –Speravo soltanto che tu sapessi qualcosa sui piani di Voldemort. Che cosa intende fare a Severus?” Aveva poi chiesto direttamente.

Lucius lo aveva guardato smarrito per qualche momento. Evidentemente non si aspettava quella domanda.

“Severus?” Aveva poi ripetuto, ancora confuso.

“Sì. Che cosa vuole fargli? E’ ancora vivo?” Albus si maledì nel ricordare quelle sue domande. Si passò la mano sulla fronte, come ad allontanare il sudore di una lunga corsa, il ricordo di un passo falso che premeva su di lui. Non voleva sembrare così preoccupato, non voleva dare quel tono accorato alle sue parole, ma non era riuscito a trattenersi.

Lucius lo aveva guardato per qualche istante, in silenzio. Lo aveva esaminato, mentre passava a rassegna tutte le possibili combinazioni alla ricerca di un asso nella manica che, forse, poteva usare contro Silente e contro Voldemort.

Albus aveva colto quell’improvviso farsi pensieroso di Lucius. Tuttavia, si era stupito quando Malfoy aveva dato la sua risposta.

“Non so cosa voglia da lui. –Aveva detto scuotendo il capo. –Né so se è ancora vivo, anche se presumo di sì. Il Signore Oscuro era piuttosto, come dire, allegro questa mattina. Diceva che il suo trionfo è prossimo. Ho visto Severus solo quando è arrivato a Villa Riddle, poi Voldemort l’ha portato via, dopo un discorso sul tradimento e sulla pena che ne consegue. E guardava me mentre lo diceva. Non so cosa sia stato di Severus.”

Albus era rimasto deluso da quella risposta, aveva sperato fino all’ultimo che Lucius Malfoy, uno dei più vicini al Signore Oscuro, sapesse qualcosa di Severus. Lucius aveva risposto sinceramente, forse troppo spaventato all’idea di mentire anche ad Albus Silente. In ogni caso, una cosa era certa: Tom non si fidava più di Lucius. Narcissa aveva fatto bene a rivolgersi all’Ordine. Sul capo dei Malfoy pendeva una condanna a morte scritta a caratteri cubitali, e Lucius lo sapeva. Albus era certo che Lucius lo sapesse.

I pensieri del vecchio preside di allontanarono da Malfoy, lasciando sfumare la sua immagine tra le nebbia del passato. Lily era rimasta a Villa Malfoy, e così Sirius e Remus che l’avevano raggiunta. I Malfoy, almeno per quella notte, erano al sicuro.

Trasse un lieve sospiro e chiuse gli occhi, cercando di rilassarsi. Nella sua mente si formò un’immagine indesiderata, un’immagine che invadeva il buio placido con la luce di una tempesta. Lui e Severus sulla terrazza di villa Silente, imbiancata dalla stessa neve che ora cadeva fuori dalla finestra.

“Lo vede? Neanche la neve accetta la mia compagnia… non fa altro che darmi la sua pietà e scivolare via. Io non voglio la pietà di nessuno… e non la merito…” La voce di Severus rimbombò nella sua mente.

“Sei ingiusto Severus. Ingiusto verso te stesso. E non hai motivo di esserlo. Guarda.”

Albus si rivide tendere la mano in avanti. Vide i fiocchi di neve posarsi sulla pelle rugosa, tremare per un istante e poi scivolare via rigando di lacrime le sue dita.

“Vedi? Neanche su di me si soffermano… ciò significa che non siamo diversi noi due. Non è così?”

L’espressione stupita di Severus, la palla di neve che gli colpiva il volto… il suo sorriso di sfida.

 “Come osi?!” “Vuoi la guerra, eh?”

Le risate…

Poi, un altro ricordo si fece strada in lui. Un ricordo molto più vicino nel tempo, molto più cupo, doloroso.

“Non sei tenuto a tornare da lui. Nessuno ti spinge in quella direzione, la scelta è solo tua. Ma non sentirti obbligato: non sbagliare un’altra volta.”

 “So cosa hai intenzione di fare. Non mi pare la decisione migliore. Non per te.”

La sua stessa voce era un martello che batteva senza pietà sui suoi pensieri, un cupo rimbombo che riempiva il vuoto con la sua terribile ineluttabilità.

 “Non sappiamo nemmeno se Harry è davvero con lui.”

“Che importa?”

La voce di Severus si infilò senza pietà in quel mondo di nebbia, falcidiando ogni calore rimasto come l’astuta lama di una falce che mieteva senza cura grano e infestanti lasciando soltando un misero, nudo campo.

“Severus, io non ti permetto di sacrificarti per nulla.”

“Perché? A chi importa di me? Guardali, Albus. Non aspettano altro che liberarsi di me.”

 “A me importa.”

Aprì gli occhi, frizzanti di lacrime. Il ricordo si squagliò come la neve che lo incorniciava alla luce di fuoco delle candele, mentre quelle ultime parole, le sue parole echeggiavano nel suo cuore ma l’immagine del viso di Severus non lo abbandonò. Gettò un’occhiata verso l’alta finestra, fuori, nel buio della notte.

Severus… Che ne era stato del suo ragazzo? Dov’era?
 

***
 

L’uomo sorrise quando vide la luce della camera da letto del preside spegnersi.  Era il suo momento. Sapeva come entrare inosservato ad Hogwarts, inoltre, le ronde degli insegnanti finivano a mezzanotte. Non ci sarebbe stato nessuno per i corridoi. Forse solo Gazza. Il vecchio magonò era solito svegliarsi a notte a fonda e fare il giro del castello. L’uomo sorrise, il custode doveva soffrire di una strana ossessione anti-studentesca visto che a volte si svegliava alle due, tre di notte e si faceva il giro del castello in camicia da notte, sicuro che ci fosse qualche studente fuori dal letto.

L’uomo incappucciato attese ancora qualche minuto, poi raddrizzò la schiena, allontanandola dalla ruvida corteccia del pino ed avviandosi verso il lago. Tutte le luci erano spente nel castello, era il suo momento.

Costeggiò a passo svelto la riva del lago, un’ombra tra le ombre della notte. Non si curò della placida, scintillante bellezza delle acque nere, silenziose sotto le carezze dei bianchi fiocchi che svanivano al tocco di quel mantello nero, lo stesso nero che copriva il corpo e le fattezze dell’uomo, riducendolo ad una mera, pallida imitazione di un’ombra. Solo un’ombra.

L’uomo raggiunse le mura del castello in fretta, là dove nascevano dalla roccia pura e affiorante, lambita dalle acque del lago. L’uomo lasciò la riva sabbiosa del lago e balzò sulla nera roccia, piegata come la schiena di una vecchia strega gobba. L’uomo sapeva bene dove poggiare i piedi su quella superficie scivolosa e tagliente, in poco tempo raggiunse il punto in cui la roccia si fondeva con la pietra del castello, si saldava in essa come fossero parti di un unico eccezionale ibrido.

Non v’era spazio per sostare, lì sulla cima della roccia, a tre, quattro metri sulle acque del lago. L’uomo era in bilico, chiuso tra la liscia, perfetta parete del castello e le acque nere e gelide sotto di lui. Ma, no… c’era un passaggio nelle mura del castello. Un varco rettangolare, una porta aperta sui sotterranei di Hogwarts. Una porta invisibile, a meno che non si conoscesse il suo segreto. E l’uomo in nero lo conosceva e lo conosceva molto bene.

Un sorriso si formò sul suo viso quando i suoi occhi incontrarono il varco nelle mura. Era uno dei pochi a conoscenza di quel passaggio che dava accesso direttamente ai sotterranei del castello, anzi, lo conoscevano soltanto lui e il preside. Era una vecchia postierla, cosa piuttosto comune nei castelli medioevali. Una vecchia postierla che era stata abilmente mascherata con un incantesimo in modo che nessuno, che non fosse stato a conoscenza della sua esistenza, l’avrebbe trovata. Chiunque si fosse avvicinato a quel lato del castello avrebbe visto soltanto una liscia, perfetta parete di pietra che si alzava da una roccia nera a picco sul lago, niente di più. Ma lui no. Lui conosceva il segreto.

Fece un balzo in avanti, fuggendo al vuoto che si apriva sotto di lui, e oltrepassò l’apertura, come ingoiato dalla pietra stessa. Al di là, il buio era impenetrabile, s’udiva lo scalpiccio dell’acqua che riusciva a penetrare attraverso gli spessi blocchi di pietra delle mura, tintinnando come d’argento sulla roccia. L’uomo si fermò non appena fu all’interno del castello, sapeva che lì, subito davanti ai suoi piedi, anche se non ricuciva a vederla, c’era una ripida scala di pietra che dava accesso ai sotterranei. In effetti, la postierla in questione si trovava appena al di sotto della volta di pietra, mentre il pavimento dei sotterranei era al di sotto del livello del lago, sette metri più in basso.

L’uomo estrasse la bacchetta dal mantello con un movimento elegante.

“Lumos.” Bisibigliò.

La luce azzurra della bacchetta illuminò i ripidi scalini di pietra davanti a lui, splendendo sull’acqua che li bagnava e sul viscidume che li sporcava di chiazze scintillanti.

L’uomo scese con attenzione la scala, facendo attenzione a non scivolare. Sceso l’ultimo gradino, si ritrovò in uno spazio angusto, ricavato tra pareti di roccia tagliente, lì dove le mura del castello erano costrette a lasciare il passo alla roccia affiorante e piegavano ad angolo innanzi a lui, nascondendo quella piccola camera con il medesimo incantesimo utilizzato sulle mura che davano sull’esterno.

L’uomo spense la luce della bacchetta, dinnanzi a lui si apriva una porta di pietra del tutto simile a quella che dava sull’esterno, solo più larga. La raggiunse e si protese con circospezione oltre l’angolo perfettamente scolpito. Il corridoio al di là era vuoto, illuminato appena da alcune fiaccole. L’aria era umida e pesante, come era sempre stata nei sotterranei.

L’uomo in nero scivolò nel corridoio in silenzio. Si mosse come un’ombra lungo di esso, la bacchetta stretta in mano, pronta a scattare al minimo rumore. Accelerò il passo. Doveva infilarsi al più presto nella scala che conduceva al piano superiore, il corridoio che stava percorrendo era completamente spoglio e non aveva la minima possibilità di nascondersi se avesse incrociato qualcuno, a meno di non riuscire ad attraversare i muri perfettamente lisci e umidi di muffa che correvano ai suoi fianchi come fila impenetrabili di un esercito di roccia. Ma lui non era non un fantasma. Era un’ombra, e, benché silenziose e svelte, le ombre si posavano soltanto sui muri, si materializzavano su di essi, ma non potevano rendersi invisibili.

L’uomo vide l’apertura nel muro alla sua sinistra che dava sulle scale, la roccia scolpita illuminata da due torce ai lati del passaggio. I suoi occhi rifletterono le fiamme quando fu giunto innanzi alla scala, guardò distrattamente le grandi serpi scolpite nelle pietra che sorvegliavano il corridoio. La sala comune dei Serpeverde era alla fine di quello stesso corridoio, che continuava ancora, costeggiando il lago, perdendosi nell’ombra.

L’uomo si soffermò sugli sguardi astuti dei guardiani di pietra, poi gettò un’occhiata verso il lungo corridoio che continuava nel buio, si sentì invadere da una strana quanto per lui incomprensibile nostalgia. Gli occhi dei serpenti di pietra lo inquietavano, non tanto per il loro sguardo maligno e vigile, quanto per quella strana sensazione che essi gli premevano sul cuore, come se quelle serpi di pietra volessero scavare dentro di lui alla ricerca di qualcosa che non capiva.

Scosse il capo, cercando invano di allontanare quella fastidiosa sensazione, e si gettò su per la scala di pietra, lasciandosi alle spalle quel luogo così cupo, eppure così familiare. Non capiva. Che cos’ erano quei ricordi che premevano sul suo cuore… era un compito così semplice quello che doveva portare a termine, eppure perché gli sembrava di violare quelle mura? Perché si sentiva così sbagliato? Perché quegli occhi di pietra con il loro sguardo accusatorio non lo abbandonavano?

Quando raggiunse la cima della scala, si abbandonò contro la pietra dell’arcata traendo un profondo respiro. Non era più così sicuro di quello che stava facendo… perché? Aveva degli ordini. Il suo signore aveva comandato. Doveva farlo, ma perché quel dolore a premergli sul cuore? Cos’erano quei ricordi che trasudavano dalle mura del castello? Cos’erano? Perché gli sfuggivano? Riprese lentamente il controllo del suo respiro, forzandosi ad allontanare quei pensieri confusi e brucianti. Accese nuovamente la bacchetta e spiò oltre lo spigolo del muro, a destra e a sinistra, controllando che anche quel corridoio fosse vuoto. E lo era, fatta eccezione per la lunga fila di quadri appesi alle pareti. Almeno, i soggetti in essi rappresentati dormivano della grossa: il loro russare riempiva tutto il corridoio.

L’uomo prese un lungo respiro, focalizzandosi sul suo compito. Non poteva lasciarsi sopraffare da quelle strane sensazioni, non doveva combattere con sé stesso. Doveva andare avanti.

Voltò a destra, procedendo in fretta lungo il corridoio. Il suo obiettivo si trovava nell’altro lato del castello, doveva soltanto percorrere quel corridoio fino alla fine e quindi voltare a sinistra. Avanzava a passo svelto, ma in silenzio, lasciando dietro di sé soltanto il frusciare silenzioso del manto nero, il cappuccio ancora calata sul viso. Nascondeva la bacchetta tra le pieghe del mantello, facendo in modo che la sua luce azzurra illuminasse a malapena il pavimento innanzi ai suoi piedi. Non poteva arrischiare di svegliare i ritratti.

Delle voci lo fecero sobbalzare. Si premette contro la parete fredda del corridoio e spense la bacchetta in attesa che le persone a cui appartenevano quelle voci se ne andassero.

Duefantasmi emersero improvvisamente dal muro, a poca distanza da lui. Chiacchieravano amabilmente tra loro ed erano talmente presi dalla loro conversazione, che superarono il corridoio e  attraversarono il muro dall’altra parte senza guardarsi minimamente intorno.

L’uomo rimase qualche istante a guardare il punto in cui le due figure bianco-lattee erano scomparse quindi riprese il suo cammino con maggiore cautele e accelerò ancora di più il passo.  Quei maledetti ricordi tornarono a premere nella sua mente. Maledetti… gli avvolgevano i pensieri come una nebbia, era come se la sua mente cercasse disperatamente di aggrapparsi a qualsiasi cosa gli accadesse intorno per… per cosa? Quelle mura trasudavano storia, ricordi… cose gli appartenevano, che erano parte di lui, ma perché? Che cos’erano?  

Era talmente sovrappensiero che, quando arrivò alla fine del corridoio e voltò a sinistra andò a sbattere contro qualcosa di duro e gelido. Il rumore metallico rimbombò nel corridoio vuoto, facendo fermare il cuore all’uomo incappucciato. Le strane sensazioni che lo avvolgevano svanirono all’istante non appena quel rumore raggiunse le sue orecchie. Aveva urtato un’armatura. Nel buio, non l’aveva vista, fortunatamente, era ben salda su un piedistallo e aveva semplicemente ondeggiato un po’ prima di tornare in posizione eretta, muta sentinella.

“Dannazione.” Imprecò in un sussurro.

“Chi va là?” Rombò improvvisamente una voce. L’uomo sussultò e si infilò tra l’armatura e il muro, stringendosi più che poteva. Una lanterna si avvicinava in fretta, rossa, fugace fiamma tra le nebbie del buio. La reggeva un uomo magro, con una lunga, vecchia vestaglia giallastra. La luce della fiamme gli illuminava gli occhi scuri e scavava profondi solchi nel viso magro.Un traghettatore d’anime trapassate, nella nebbia oscura del corridoio. La gatta dagli occhi gialli e scheletrica seguiva il suo padrone silenziosamente, tallonandolo da vicino, immancabile.

“Lo so che sei lì.” Ruggì Argus Gazza, avanzando a passi svelti.

L’uomo incappucciato strinse più forte la bacchetta, deciso a schiantare il vecchio custode se fosse stato necessario.

Gazza si avvicinò ancora, fino a trovarsi davanti all’armatura dietro cui era nascosto l’uomo in nero, mimetizzato tra le ombre. Il custode si fermò, guardandosi intorno sospettoso, il naso arcuato fremente, assaporando già il profumo di una punizione. La luce della lanterna ondeggiò verso l’armatura brunita riflettendosi su di essa. Il custode aveva fiutato la sua preda, un sorriso sdentato si formò sul suo viso scarno.

“Ti ho trovato, piccolo delinq-”

“Oblivion.” Sussurrò l’intruso, puntando la bacchetta contro il custode in camicia da notte.

Gazza rimase confuso per qualche istante. Mss Purr guardò il suo padrone incuriosita, miagolando appena come a chiedergli cosa stesse succedendo, e attirandone così l’attenzione. Gazza volse lo sguardo su di lei e il viso si addolcì in un attimo.

“Vieni, tesoro. Continuiamo il nostro giro.” Disse con voce mielata, quindi si allontanò voltando l’angolo, la gatta che lo seguiva ancora sospettosa.

Quando entrambi ebbero voltato l’angolo e si furono allontanati abbastanza, l’uomo in nero uscì dal suo nascondiglio. Rimase qualche istante pensieroso, c’era così tanta confusione nella sua testa… non capiva. Sapeva, però, di avere un compito da portare a termine, il Signore Oscuro era stato chiaro: doveva portarglielo. E così avrebbe fatto.

Riprese ad avanzare in fretta lungo il corridoio finchè non si trovò innanzi al grande gargoyle di pietra che sorvegliava l’entrata alla torre del preside. Vi si fermò dinnanzi, osservando la creatura di pietra, illuminata dalla luce incantata di due torce ai suoi lati, un guardiano invincibile di pietra e fuoco. Lo sguardo del gargoyle si posò sulla figura ammantata di nero davanti a lui, guardandola con sospetto, in attesa.

L’uomo sperò che Silente non avesse cambiato la parola d’ordine in quei giorni. Prese un respiro profondo, quindi provò: “Api frizzole.”

Il guardiano di pietra rimase qualche istante ad osservarlo, il sospetto ben visibile nel suo sguardo di pietra, ma poi si scostò di lato, permettendo l’accesso all’uomo misterioso sul cui viso, in ombra, ora si apriva un largo, appagato sorriso.

Balzò sulle scale di pietra e le salì in fretta, ce l’aveva quasi fatta. Si bloccò di fronte alla porta dell’ufficio del preside, quel luogo trasudava strane sensazioni, ancor più che le mura del castello.

Stava per appoggiare la mano sulla maniglia d’ottone, quando si fermò. Che cosa stava facendo? Albus… Quello era l’ufficio di Albus. Come poteva permettersi di fare una cosa del genere? Stava oltraggiando quel luogo… non poteva fare una cosa del genere.

Sì che puoi.

Sibilò una voce malvagia nella sua testa.

Hai una missione da compiere, mio servo fedele. Ricorda. I ricordi sono dolore. Il dolore è solo un ricordo.

L’uomo scosse il capo. Quella voce era una lama tagliente di ghiaccio che gli devastava la mente. Voleva che smettesse… faceva male… si strinse il capo tra le mani. Sentì una presa stringersi più forte su di lui, una morsa, una catena che gli imprigionava la mente. Un serpente dalle spire di fuoco che devastò ogni sensazione dentro di lui, ogni ricordo… finchè non rimase altro che i suoi ordini, i suoi ordini impressi a fuoco nella mente.

La terribile morsa sulla sua mente si era allentata, ma il dolore continuava a divampare come un incendio dentro di lui. Il dolore… ricordava il dolore… solo dolore… e Lui. La sua voce.

Abbassò la maniglia, facendo scattare la serratura. Socchiuse la porta e il russare profondo dei ritratti dei vecchi presidi raggiunse subito le sue orecchie. Sbirciò all’interno dello studio, assicurandosi che tutti i ritratti dormissero della grossa, quindi scivolò nell’ufficio, socchiudendo la porta alle sue spalle.

Adocchiò subito il suo obiettivo. Lassù sullo scaffale, in alto vicino al vetro piombato della finestra, c’era il Cappello Parlante.

Facendo attenzione a non fare troppo rumore, l’uomo afferrò la scaletta che serviva a raggiungere i piani più alti della libreria e salì alcuni scalini per arrivare all’altezza del Cappello. Tese le mani per afferrarlo, ma quando stava per toccare la vecchia stoffa, la piega della bocca del cappello si aprì in un sorriso.

“Vuoi rapirmi?” Gli domandò il Cappello, facendolo sussultare.

L’uomo non rispose, ritirò le mani e rimase ad osservare il vecchio cappello polveroso senza sapere cosa dire.

“Ah. –Fece il Cappello. –Non è me che Lui vuole, è così? Ma ciò che Lui cerca io non posso dargli.” Disse in un sussurro, le pieghe degli occhi puntate nello sguardo scuro del ladro. Questi non lo ascoltò, e allungò nuovamente le mani verso di lui.

“Sei sicuro di ciò che stai facendo?” Chiese il Cappello, costringendo nuovamente l’uomo a fermarsi.

“Il mio Signore lo desidera.” Sibilò appena in risposta, senza rendersi pienamente conto di ciò che stava dicendo.

“Non posso impedirti di agire. –Disse il Cappello seriamente. –Ma non lasciare che la sua oscurità ti distrugga. Non lasciare che lui possieda la tua mente. Non dimenticare.”

“I ricordi sono dolore.” Rispose il ladro, con una nota triste nella voce.

“Ah. –Fece ancora il cappello, assumendo un’espressione pensierosa. –Non tutti, mio caro ragazzo. C’è anche affetto, amore, felicità nel tuo passato. Non lasciare che tutto ciò svanisca.”

“Io… -Tentò di dire l’altro. –Io non posso.”

“Sì che puoi. Ne hai la forza. Combatti.” Disse il Cappello.

“Non posso.” Concluse il ladro, quindi afferrò il Cappello Parlante mentre questi si lasciava andare un sospiro sconsolato. Lo arrotolò in fretta e stava per nasconderlo sotto il mantello che…

“Ehi tu!” Esclamò una voce.

Il ladro si voltò. Il preside Phineas Nigellus lo guardava dalla sua cornice, gli occhi ancora offuscati dal sonno, ma colmi di sorpresa.

 “Che cosa stai facendo?!” Chiese il ritratto, confuso e indignato.

Il ladro lo guardò, spaventato. Si cacciò il Cappello sotto il mantello, quindi balzò giù dalla scaletta e sfrecciò verso la porta.

“Fermo!- Gli urlò dietro Phineas, mentre l’altro usciva dall’ufficio. –Al ladro! Al ladro!”

Le urla di Phineas Nigellus svegliarono tutti gli altri ritratti, tra borbottii e sbadigli. Il preside Dippet si stiracchiò e aggiustò la barba, mentre gettava un’occhiata indignata al suo vicino di cornice.

“Hanno rubato il Cappello!” Spiegò Phineas, vedendo gli sguardi interrogativi dei suoi colleghi. Al che, nell’ufficio si sollevò un tale chiacchiericcio che, probabilmente, si sarebbe sentito in tutto il castello.

“Che cosa succede qui? Che cos’è tutto questo chiasso?” Chiese improvvisamente una voce. Albus Silente era appena entrato nell’ufficio, svegliato dal frastuono delle voce sorprese e indignate dei suoi predecessori, ed ora se ne stava lì, appena al di qua del quadro di Hogwarts, nella sua meravigliosa vestaglia blu con i boccini e le nuvole.

“Hanno rubato il Cappello.” Gli disse Phineas Nigellus, il pizzetto nero fremente di indignazione.

“Che cosa?!” Esclamò sorpreso Silente. Fece alcuni passi nello studio e alzò lo sguardo verso il luogo dove solitamente si trovava il Cappello. Lo scaffale era vuoto. Chi? Chi poteva essere stato? Perché rubare il Cappello?

“Armando. –Fece Silente al preside Dippet, senza allontanare lo sguardo dallo scaffale. –Va nel tuo ritratto nell’ufficio di Minerva. Dille di venire qui in fretta e di chiamare anche gli altri Capo Casa, e anche Poppy Chips.”

Il vecchio preside dalla barba bianca, a punta, annuì rigidamente e lasciò la sua cornice.

Quindi Silente si rivolse agli altri presidi.

“Voi altri, svegliate i ritratti del castello, dite loro di avvertire di fantasmi. Qualcuno avverta il signor Gazza, che chiuda tutti gli ingressi del castello. Andate!” Ordinò duramente. Tutti i presidi sciamarono dalle loro cornici dirigendosi in ogni angolo del castello.

Silente rimase ancora qualche istante a fissare lo scaffale vuoto, quindi si sedette stancamente sul suo scranno. Chiuse gli occhi, pensieroso, massaggiandosi le tempie con movimenti circolari delle lunghe dita. Il chiacchiericcio intorno a lui era svanito insieme ai presidi. Era rimasto solo il preside Serpeverde, Phineas Nigellus.

“Per fortuna mi sono svegliato.” Disse Phineas dal suo ritratto con un’aria di superiorità. –Ho sentito dei rumori e… il ladro potrebbe ancora essere nel castello. E’ scappato non appena ha saputo di essere stato scoperto. Come ha fatto ad entrare?”

“Per favore, Phineas. –Disse Silente con un sospiro, aprendo gli occhi blu. –troveremo risposta a queste domande. Ora, però, aspettiamo gli altri.”

“E il ladro?” Chiese allora Nigellus.

“Se è ancora nel castello, i fantasmi lo troveranno.” Rispose Silente.

“Se è entrato indisturbato, uscirà altrettanto tranquillamente, fidati.” Borbottò Phineas, ma Silente non lo ascoltava più, troppo preso a chiedersi perché. Perché qualcuno avrebbe dovuto rubare il Cappello. Non aveva alcun valore, se non quello storico, né possedeva peculiari qualità magiche. Era semplicemente un cappello parlante. Perché? E chi? Chi poteva volere il cappello? Per farne cosa?

Qualcuno bussò alla porta, allontanandolo dai suoi pensieri.

“Sì. Avanti, avanti.” Disse stancamente.

Minerva McGranitt entrò nell’ufficio; capelli neri sciolti sulle spalle, stretta nella sua solita vestaglia scozzese. La seguivano Pomona Sprite in una vestaglia bruna, il viso rubicondo oscurato da un’ombra di preoccupazione; il piccolo professor Vitious e Horace Lumacorno con i lunghi mustacchi tremolanti. Chiudeva la fila Poppy Chips con i capelli grigi legati in fretta e la vestaglia rossa gettata sulle spalle. Tutti avevano uno sguardo misto tra il preoccupato, l’indignato, e l’interrogativo e fissavano il preside.

“Allora, Albus. Che cosa è successo? Perché tutto questo spiegamento di forze.” Domandò Minerva, accorata.

“A quanto pare, Minerva cara, -Disse Albus senza riuscire a trattenere il suo solito sorriso. –Abbiamo subito un furto.”

I professori e l’infermiera si scambiarono sguardi confusi e preoccupati.

“Come?” Chiese Minerva.

“Vedi, Minerva…” Cominciò Silente, ma Phineas lo precedette.

“Hanno rubato il Cappello Parlante.” Disse diretto.

I professori sussultarono a quelle parole, Albus potè vedere la sorpresa in loro.

“Che cosa?” Eslamarono i professori, quasi all'unisono.

Silente non rispose. Levò una mano e la agitò con un gesto ampio verso lo scaffale su cui si trovava il Cappello. I professori seguirono il suo gesto. Vuoto. Il Cappello non c’era più.

“Com’è possibile, Albus?” Domandò allora Lumacorno riportando lo sguardo sul preside. “Come è entrato il ladro? Perché il Cappello?”

Albus prese un lungo respiro.

“Non conosco la risposta a queste domande, Horace, mi dispiace. Tuttavia, mi trovo sorpreso. Mai, mai avrei sospettato che qualcuno intendesse rubare il cappello.” Disse Silente tranquillamente.

“Penso che nessuno avrebbe mai potuto aspettarselo. –Concordò Minerva. –Insomma, si tratta di un vecchio cappello, dopotutto. Pensi ci possa essere tu-sai-chi dietro?” Domandò poi.

Silente scosse il capo. “Non lo so. –Disse. –Ma non lo escludo, anzi, penso proprio di sì.”

“Ma perché?” Intervenne allora Filius Vitiuos.

Albus lo guardò cupamente. “Non lo so.” Disse sinceramente.

“Non possiamo trarre nulla di buono da questa storia. –Disse Madama Chips.- C’è qualche possibilità di acchiappare il ladro?”

“Se c’è, è molto remota. –Rispose Albus. –E’ qualcuno che conosce molto bene il castello. Come è entrato può essere già uscito.”

“L’ho beccato io.” Intervenne allora Phineas Nigellus, attirando l’attenzione dei professori su di sé, gonfiando il petto con alterigia.

“Spero di avergli fatto venire un infarto. L’ho beccato proprio mentre si ascondeva il Cappello sotto il mantello.” Aggiunse lisciandosi il pizzetto.

“Meglio che non giri troppo la voce. –Disse Albus, ignorandolo. –Anche se, immagino, domattina lo saprà già tutta la scuola, il Ministero e relativa Gazzetta del Profeta.” Aggiunse con un sorrisetto ironico.

“Albus. –Disse una voce. Armando Dippet era appena tornato nel suo ritratto. –I fantasmi battono i corridoio e i ritratti tengono gli occhi aperti. Tutte le entrate e i passaggi segreti sono stati chiusi, ma del ladro non c’è traccia.”

“Grazie, Armando.- Disse Silente. –Anche se dubito di riuscire ad acchiapparlo, manteniamo lo ‘stato di emergenza’, almeno fino all’alba.”

Dippet annuì rigidamente, facendo ondeggiare la barba bianca, quindi sparì di nuovo dalla tela.

Un silenzio carico di domande invase l’ufficio, non appena Dippet se ne fu andato. Tutti, da Silente alla Sprite, erano pensierosi, ognuno cercando di trovare risposta alle domande. Era tutto così strano, così inaspettato…

Poi, negli occhi di Minerva McGranitt brillò una scintilla, la scintilla di un’idea che era sfuggita all’arguto Silente. Ma non poteva essere lui il ladro… non lui… non era possibile.

“Phineas. –Disse la professoressa. Il ritartto la guardò attendendo la domanda che stava per venire.

“Sei riuscito a vedere il viso del ladro?” Domandò Minerva.

Phineas si grattò distrattamente la barba. “Beh, teneva il cappuccio abbassato. Ma poi, quando l’ho chiamato si è voltato verso di me e…” Si fermò. Si fermò perché il ricordo di quegli occhi spaventati dalla sua voce riemerse improvviso. Due occhi neri, brillanti… subito non ci aveva fatto molto caso, ma ora che ci rifletteva, conosceva quegli occhi. Due occhi che solo ora riusciva a ricondurre ad un viso ben noto.

“…E?” Lo incalzò Minerva.

“Bhe… -Balbettò Phineas, ancora lui stesso incapace di crederci.- Era Severus.”

 

*******


Uh, che faticaccia per questo capitolo! L’ho riscritto due volte prima della versione difinitiva, spero possiate capire e perdonarmi per il ritardo. Ed è venuto anche bello lungo.

Spero abbiate gradito tutti i vari cameo che ci ho infilato. Gazza, Mrs Purr, Phineas, Filius e Pomona, Dippet. Mi sono divertita un po’. C’è una piccola imprecisione, ma spero possiate capire. Dippet, in realtà era ancora vivo e vegeto nel 1981. Da quanto sappiamo, da La Camera dei Segreti, Dippet va in pensione intorno al 1955, lasciando il posto a Silente, alla veneranda età di 318 anni. Sappiamo, dalla Gazzetta del Profeta, che Dippet, famoso per le sue scarse abilità nel volo, che nel 1992, si schiantò contro una tale Felickaria Tugwood che cadde dalla scopa. Nello stesso anno, dovette  fare un test di volo a causa della sua età avanzata.  

Quando Harry e Ron vengono visti dai Babbani volare sulla Ford Anglia, Dippet venne inizialmente accusato dalla gente al loro posto e la sua scopa venne confiscata. Quindi, nel 1992 era ancora vivo e vegeto.

Piccole precisazioni. Mi scuso, ma avevo bisogno di un altro preside oltre a Phineas e gli altri non li conoscevo bene. Spero che la cosa non vi dia fastidio… povero Armando, però: l’ho fatto schiattare oltre un decennio prima.

Lucius non avrebbe dovuto esserci, ma è comparso. Boh, voleva fare la sua apparizione e gliel’ho permesso anche i pensieri del Silly sono in più. Forse quella parte è un po’ ridondante, ma… è andata così.

Se ci sono errori di battitura, scusatemi in anticipo. Ho dato solo una rilettura veloce.

Bene, e abbiamo anche scoperto chi è il ladro. La domanda che rimane è: che cosa se ne fa Voldy del Cappello??? Lo saprete nelle prossime puntate. XD

Ciao a tutti!
 
 
 
  
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