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Autore: Pipa_bella    13/01/2012    0 recensioni
La mia prima fanfic su Harry Potter. La paura di crescere, la voglia di farlo, l'amore, l'amicizia, la morte, non sono più quei concetti astratti e semplificati dell'infanzia. E i Malandrini lo sanno. Il primo capitolo è una specie di introduzione, è dal secondo che si cominciano a delineare i caratteri dei personaggi, quindi... Non demordete!
Ambientata durante l'ultimo anno ad Hogwarts del quartetto.
E' una storia di cui non sono particolarmente convinta, anche se per la prima volta in assoluto so esattamente cosa succederà e come andrà a finire! Una recensioncina non mi dispiacerebbe ;-)
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: I Malandrini
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta | Contesto: Malandrini/I guerra magica
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James Potter amava con tutto l’animo il suo migliore amico: lo amava come si può amare la parte migliore di se stessi, e Sirius lo ricambiava con il trasporto che non aveva mai dedicato a nessun altro. Sapevano entrambi, e lo sapevano come sapevano di essere maghi, che non ci sarebbe stato mai sentimento più forte dell’amicizia  che li legava l’un l’altro.
Eppure.
 Eppure c’erano giorni come quello, in cui Sirius dubitava persino dell’affetto di James: si svegliava, faceva per voltarsi e scambiare con lui il primo ghigno malandrino della giornata e lui non era già più nel dormitorio, da qualche parte con Lily e qualche romantica brioche mattutina. Lily era diventata una presenza fissa nella loro stanza, di più, nella loro vita, e accettarla era più faticoso di quanto avrebbe mai potuto immaginare.
Sbuffando, ignorò Remus che gli augurava il buongiorno e si vestì in fretta, calpestando con le ciabatte malridotte il maglione preferito di James e fingendo di non notarlo. Poi, con un cenno del capo in direzione dell’unico presente in dormitorio, si diresse a larghi passi verso la Sala Grande.
Anthea sedeva proprio accanto a Lily, e naturalmente a James, e d’improvviso Sirius capì che fingere di non notarli non era una soluzione praticabile. Innanzitutto Lily l’aveva già individuato e sorrideva nella sua direzione con quell’aria accondiscendente che gli riservava da quando usciva ufficialmente con James, quell’aria che glie la rendeva ancor meno sopportabile. Poi, Anthea gli stava già facendo posto alla sua sinistra, con spontaneo entusiasmo.
“Sirius! Pensavo non saresti sceso per la colazione, non ti ho nemmeno tenuto qualche biscotto.”
James sorrise a quell’insolita dimostrazione d’affetto e fece un occhiolino all’amico, che dal canto suo non rispose. Si disse che probabilmente Sirius non aveva avuto una buona nottata e addentò una fetta di pane e marmellata.
“Oggi c’è la partita, Felpato.”
“Sai quanto me ne importa di quattro idioti su delle scope volanti.”
Lily trasalì: se c’era qualcosa che aveva imparato uscendo con James, era che nulla nell’esistenza di quest’ultimo aveva più importanza del Quidditch. Era certa, d’altronde, che anche Sirius lo sapesse, e che stesse volontariamente tentando di scatenare un litigio, per qualche motivo a lei arcano. Quest’ultimo decise con invidiabile aplomb di ignorare la frecciata, e proseguì imperterrito.
“Se non ti dispiace, spero di non sembrare idiota come dici a cavallo della scopa. E poi andiamo, so che non puoi mancare alla terzultima grande partita dell’anno, soprattutto se si tratta di vedere quegli stupidi Serpeverde schiacciati come brufoli. Con un po’ di fortuna riuscirò anche a togliere di mezzo per un po’ Mulciber, basterebbe un bolide ben piazzato e-”
“Piantala, James. Non mi interessa quella stupida partita.”
 
Sirius si alzò di scatto sotto lo sguardo atterrito delle due ragazze e quello rassegnato e un po’ colpevole di James.  I tre lo guardarono allontanarsi a grandi passi e scomparire al di là delle porte d’ingresso della Sala.
“Vado. Spero di riuscire a calmarlo in tempo per la partita, altrimenti sono nei guai.”
 
 
 
Per l’ennesima volta James poté constatare che Sirius Black non era in grado di non farsi notare. Sedeva con le spalle rivolte al castello e i piedi che ciondolavano nel lago nonostante il gelo scozzese, scosso da brividi ma apparentemente incurante.
Gli si sedette accanto pesantemente, buttandogli il proprio mantello sulle spalle, e rivolse a sua volta lo sguardo al lago nero, quel giorno placido come uno stagno.
“Felpato.”
“Ramoso. Il mantello puoi riprendertelo, sto bene.”
Sirius fece per togliersi il pesante indumento, ma fu scosso da un brivido violento. James rise, prima di aggiustarglielo di nuovo addosso.
 Non avrebbe mai esordito con tanta brutalità se Sirius non avesse avuto i piedi nel lago e i capelli bagnati dalla neve che continuava a fioccare.
“ Sirius, ascoltami.  Io sono sempre lo stesso, sai. Sono sempre io, solo un po’ più felice e un po’ meno sbruffone. Ma sono comunque Ramoso, e tu sei Felpato, e questo non cambierà.”
Sirius si voltò ad incontrare lo sguardo dell’amico, stupito. Era come sempre, era davvero come sempre: James sapeva. Senza aiuti, senza indicazioni, istintivamente sapeva. E si sentì stupido, e infantile, e si vergognò di se stesso prima di parlare, ma James rimase in silenziosa attesa, paziente come solo sapeva essere nei momenti solenni.
“Lo so. Mi dispiace, James. Odio essere come sono, mi disgusta.”
James sorrise.
“Smettila di darti addosso, Black. A qualcuno piaci esattamente come sei.”
Sirius annuì, ringraziandolo con un cenno del capo. Si sentiva sempre più spesso a quel modo, deluso e disgustato da se stesso, e sempre più spesso si chiedeva quanto potesse essere dura stargli attorno. Anthea ne era la prova lampante: era talmente evidente che si sforzava di non badare ai suoi atteggiamenti dispotici e al suo perenne malumore che Sirius non poteva non chiedersi per quale motivo ancora insistesse nello  stargli accanto. Non credeva che il gioco valesse la candela, dopotutto di ragazzi con una bella faccia e un brutto carattere ne avrebbe trovati a decine, quindi perché sopportare tanto?
“Credevo che sarei diventato esattamente come desideravo, e ci credevo davvero. Invece mi trovo a convivere con questa brutta copia del me stesso che avevo in mente, e non so come rimediare. Sto rendendo la vostra vita un inferno, me ne rendo conto, e fareste bene a mollarmi in balia di me stesso e dei miei malumori.”
La voce di Sirius era più ruvida che mai, e James sentì una stretta nel petto, dalla parte del cuore. Certo, Felpato era sempre stato malmostoso, cupo. Uno di quelli che ti vien voglia di prendere a schiaffi un minuto si e quello dopo anche. Ma era anche fiero, leale, fedele. Era sincero al limite dell’indecenza. Sapeva amare con tutto se stesso e si, era anche geloso, e cocciuto come un asino, ma comunque il suo migliore amico. Vederlo ai limiti della sopportazione nei confronti del proprio modo di essere lo spaventava e lo turbava , perché se c’era una cosa che non avrebbe mai messo in discussione , quella era l’orgoglio di Sirius per com’ era riuscito a diventare solo con le proprie forze.
E allora capì, fu costretto a capire,  che Sirius non avrebbe mai desiderato tutta quell’angoscia, tutto quel malumore che lo percuoteva ad ondate. E che non stava bene come continuamente tentava di dimostrare, e ciò che aveva appena detto lo pensava davvero.
“Sirius, tu sei mio fratello, e pertanto non ti dirò che sei perfetto e che non c’è nulla che non vada in te. Ma forse dovresti smetterla di commiserarti. Sai benissimo che ti vogliamo bene, e che comunque siamo qui, e che ce ne frega poco del tuo cattivo umore e delle tue sindromi premestruali. E Anthea è innamorata di te, non so se l’hai capito, e innamorata davvero voglio dire. Ti sopporterebbe fino alla morte, pur di non perderti.”
Le labbra di Sirius si piegarono in un minuscolo sorriso, e si sentì leggermente stranito. Anthea era innamorata di lui? E da quando? E come aveva fatto ad accorgersene James, soprattutto?
“Innamorata di me? Ramoso, hai bevuto troppa burrobirra?”
James si alzò, dandogli una pacca sulla spalla.
“O forse è talmente ovvio che solo un idiota come te non l’avrebbe notato. Sveglia, Felpato. E adesso perdonami, ho qualche serpeverde da stracciare.”
Si allontanò com’era venuto, con la sua camminata inconfondibile e i capelli castani che brillavano al sole invernale.
 
 
 
 
La vittoria di Grifondoro era stata tra le più clamorose dell’anno. Il bilancio della partita, che assicurava alla squadra un posto privilegiato nella corsa alla Coppa delle Case, vedeva tre serpeverde abbattuti a suon di bolidi e un portiere dalla mano fasciata, oltre ad un cercatore ferito nel delicato orgoglio verdeargento.
James per l’occasione era tornato il solito brillante sbruffone, e non faceva che pavoneggiarsi per il dormitorio vestito solo di un paio di buffe mutande con motivo a boccini,  sotto gli sguardi divertiti dei compagni.
“Stracciati, capite? Li abbiamo stracciati!”
Afferrò Sirius per le spalle e gli regalò un gigantesco sorriso, e l’amico non poté che ridere con lui. Non aveva saputo rinunciare alla partita, pertanto fu costretto a sentirsi ricordare per la trentaduesima volta l’azione decisiva che aveva visto protagonista James. Non aveva cuore di zittirlo, e d’altronde quei momenti di soddisfatta esultanza erano diventati estremamente rari, quindi gli diede una pacca sulla spalla e si preparò a scendere con lui per i festeggiamenti generali.
“Ramoso, vuoi infilarti quei pantaloni, per Merlino?”
James afferrò un paio di vecchi pantaloni kaki e li infilò in fretta, ansioso di ricevere quante più lodi possibile dai compagni.
Qualcosa, però, era destinato a sconvolgere i suoi piani. I quattro sentirono la porta del dormitorio spalancarsi e videro una ragazza precipitarsi all’interno, il fiato corto e l’aria spaventata di chi è mortalmente in imbarazzo. James la riconobbe immediatamente come Marlene McKinnon, una delle compagne di stanza di Lily e la primogenita di una delle famiglie di maghi più nobili d’Inghilterra.
Sirius fu il primo a reagire.
“E tu che diavolo ci fai qui?”
La ragazza lo fissò, ancora spaventata, e tutti poterono notare come cercasse di ricomporsi prima di parlare. Quando lo fece, il suo tono era perfettamente normale.
“Non avevo scelta. Mulciber è entrato nella Sala Comune, dio solo sa come, e ha cominciato a scagliare maledizioni verso chiunque fosse lì a farsi i fatti suoi. Ossia, io. Dovrei averlo steso, ma non ne sono sicura. Ho preferito darmela a gambe, non ci tengo a passare un mese in infermeria.”
Fissò Sirius, sfidandolo a ribattere. Ma lui non lo fece, sapere che Mulciber aveva cominciato a maledire Grifondoro a destra e a manca lo disgustava. E non vedeva l’ora di fargliela pagare.
“Sei a posto?”
“Si, solo, qualcuno di voi può dare una sistemata a questo?”
La ragazza mostrò l’avambraccio, dove una profonda ferita scarlatta spiccava sulla pelle candida. James e Peter si allontanarono di scatto, disgustati, mentre Remus si fece più pallido che mai. Nessuno di loro amava particolarmente il sangue, evidentemente, e ancora una volta fu Sirius a rispondere.
“Credo di no. Peter ti accompagnerà dalla Chips, mentre noi diamo una sistemata a Mulciber.”
Si voltò, con l’intento di congedarsi, ma Marlene continuò a rimanere immobile. Sentiva il suo sguardo che gli perforava la nuca, e fu costretto a rivolgersi di nuovo a lei.
“Si?”
“Voglio esserci anch’io. E’ me che ha ferito, quindi sarò io a stenderlo.”
“Non credo. Stai sanguinando, sei uno straccio, e ti manderebbe a tappeto con un expelliarmus.  Tu vai in infermeria e lascia fare a noi, d’accordo?”
James annuì, evitando di guardare la ferita di lei, mentre Remus scuoteva la testa contrariato.
“Non è una buona idea. Andiamo dalla McGranitt, e portiamocelo dietro.”
Un coro di proteste si levò dai presenti, ma Remus fu inflessibile.
“Andremo dalla McGranitt, e questo è quanto. Vestitevi, e tu, Marlene, avvolgi il  braccio in questa. Dovrebbe aiutare a fermare l’emorragia.”
 
 
Venti minuti dopo i tre ragazzi e Marlene erano davanti alla McGranitt, con un Mulciber mezzo svenuto accasciato sul pavimento dietro le sedie su cui lei li aveva fatti accomodare.
“Possibile che voi attiriate i guai come delle calamite?”
“Prof, non è colpa nostra stavolta. E’ Mulciber che…”
L’insegnante lo zittì con un cenno, rivolgendosi poi a Marlene.
“Sei ferita, ragazza. Andrai dritto in infermeria, ma non prima di avermi detto cosa è successo.”
“Ero in Sala Comune a leggere, quando quell’idiota – mi scusi professoressa – è entrato dal ritratto e ha cominciato a scagliare maledizioni a destra e a manca. C’ero solo io, e ho tentato di stenderlo, poi sono andata nel dormitorio maschile, non ero sicura che i miei incantesimi avessero avuto successo.”
La McGranitt annuì, severa.
“Benissimo. Signor Black, accompagni la signorina McKinnon da madama Chips e torni subito qui. Voialtri resterete.”
Sirius annuì, e lasciò che Marlene lo precedesse.
Ricordava un ricevimento a casa McKinnon, anni ed anni or sono, con Marlene bambina e un mucchio di invitati, ma questo era l’unico ed ultimo ricordo che aveva di lei. Non si erano nemmeno mai rivolti una parola, eccetto qualche cenno di saluto,  e soprattutto non avevano mai tentato di essere amici, nonostante l’appartenenza alla stessa Casa.
“Sirius Black. Mi ricordo tua madre, una volta mi ha quasi dato uno schiaffo.”
“Mia madre è deliziosa.”
“E tuo fratello Regulus, che idiota.”
“Io lo trovo incantevole.”
Risero, continuando a camminare.
“E’ vero che te ne sei andato di casa, quindi.”
“Confermo. Sto da James, per ora. ”
“A volte i miei parlano di te. Si chiedono come faccia Walburga a sopportare un’onta simile. Credo che, sotto sotto, abbiano paura che faccia qualcosa di analogo.”
Sirius si voltò a guardarla, incontrando per la prima volta il suo sguardo. E lei gli restituì un’occhiata piena di significato, come solo tra amici.
“Da che parte stanno?”
Lei abbassò lo sguardo, ma non evitò di rispondere.
“Non lo sanno neanche loro. Credo vogliano stare il più lontano possibile dai guai, e sai bene cosa significhi. Prima o poi dovranno schierarsi, e cosa c’è di più comodo che schierarsi dalla parte del più forte? Solo che lo sanno, io non ci sto. Facciano quel che credano, quell’assassino non mi conterà mai tra le schiere dei suoi stupidi leccapiedi.”
Sirius sorrise appena. Lui non aveva avuto nemmeno un rimpianto, ma era anche vero che i suoi genitori avevano sempre fatto di tutto per farsi detestare. Non erano mai stati affettuosi, mai avevano sprecato una parola tenera per lui, e certo non l’avevano amato. E lui lo aveva sempre saputo, nonostante ci avesse sperato fino alla fine.  Ma Marlene? Era chiaro dai suoi occhi lucidi che l’idea di doversi separare dai propri genitori, forse per sempre, la terrorizzava. La ricordava bene correre tra le braccia di sua madre dopo lo sgarbo di un ragazzino, e certo suo padre era uno di quegli uomini burberi ma dal cuore tenero. E lei sembrava così forte, così posata. Qualcuno doveva averle insegnato la calma e la tenacia, proprio come di certo le avevano insegnato decine di altre cose.
“E’il momento di scegliere tra cose giuste e cose facili.”
“Sirius, siamo arrivati.”
Lene lo trattenne per la manica. Immerso com’era nei propri pensieri aveva completamente dimenticato la ferita di lei, l’infermeria, la McGranitt che lo stava aspettando, e stava proseguendo nel lungo corridoio centrale del castello.
Entrarono nel regno personale di Madama Chips, venendo immediatamente colpiti una zaffata di fetore di Ossofast e da una Madama Chips in persona più irruenta che mai.
“Black! Possibile che ogni nuovo guaio sia annunciato personalmente da lei?”
Sirius diede una leggera spinta a Marlene, che mostrò di malavoglia il braccio ferito.
“Santo Cielo, che diamine di maldestro incantesimo è, questo? Che pasticcio, ci metterà qualche ora a rimarginarsi.”
“Non lo so, una roba che mi ha lanciato Mulciber. Non ho proprio capito di cosa si trattasse.”
“Non importa, signorina McKinnon. Beva questo-“  le porse una piccola pozione prima riposta nell’armadio alle sue spalle – “e stia a riposo almeno fino a domani. Quei dannati Serpeverde, ultimamente sembrano impazziti. E ora fuori, voi due. A letto, di questi tempi non è consigliabile girare soli di notte.”
Li spinse fuori dalla porta con una certa malagrazia, e i due si ritrovarono all’esterno dell’infermeria. Era piuttosto impressionante, quell’enorme corridoio illuminato solo dalla luce delle fiaccole, e Marlene fece un piccolo sorriso al suo accompagnatore.
“Penso che mi mancherà da morire. Hogwarts, voglio dire.”
“Si, anche a me.”
“Posso farti una domanda?”
Lui annuì, sedendosi a terra con la schiena poggiata al muro, e lei lo seguì a ruota. Erano buffi, quei due ragazzi seduti sul pavimento di pietra di un corridoio buio. Buffi e affascinanti come una pubblicità su una rivista.
“Non hai mai pensato a come sarebbe stato rimanere?”
Lui non ebbe un attimo di esitazione nel rispondere.
“Certo. Sarebbe stato uno schifo. Non c’era alcun lato positivo nel restare dov’ero.”
Lei annuì, seria. Non poteva immaginare risposta diversa. Alla luce tremula delle fiamme, il suo volto si fece più pallido del consueto.
“Andiamo. La McGranitt ti sta aspettando.”
Si alzò controvoglia, osservando dall’alto quel suo nuovo amico. L’aveva visto milioni di volte, e milioni di volte aveva pensato a lui e al destino che probabilmente li avrebbe accomunati: reietti detestati dalle rispettive famiglie, ragazzini in pasto ad una guerra più grande di loro, con la testa affollata di sogni di giustizia e idee poco chiare su tutto il resto.
Come faceva, Sirius, ad essere così consapevole di ciò che lo aspettava e al contempo così sicuro?
“Non avrei voluto essere così indiscreta.”
“Non lo sei stata.”
Lui si alzò a sua volta e la seguì, verso lo studio dell’insegnante.                   
  
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