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Autore: Esaul    13/01/2012    1 recensioni
"Perché sei così ossessionato dalla musica?" gli chiesi.
"Perché, perché, perché. La gente non fa altro che chiedermi perché. Non lo so, semplicemente. So solo che la musica è la cosa più bella che ho, so che mi ha reso felice, e so che io farò felice gli altri con la mia musica. Io, la mia anima e la mia chitarra. Non ho certo bisogno di cantare per dire qualcosa, mi basta il suono delle corde. Ecco, finito, ci sono domande?"
Genere: Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Nothing Else Matter Credo che ognuno di noi dovrebbe avere qualcuno o qualcosa per cui dare la vita. Aaron "Esaul" Loar ne aveva due: La prima era una Paul Reed Smith 1663 con il corpo in mogano, un top d'acero e il manico in palissandro, capotasti sintetici, ponte stop-tail intonabile e humbucker HFS.

Aaron ripeteva sempre questa stessa descrizione, quando parlava di quella straordinaria chitarra. Nessuno sapeva come l'aveva avuta nè chi glie l'avesse data. Nessuno, tuttavia, poteva immaginare ciò che avrebbe fatto insieme a lei.

Era un chitarrista, Aaron. Un chitarrista con le contropalle. Magari adesso voi v'immaginate un tipo metallaro con i suoi assoli veloci e martellanti. Beh, come direbbe stesso lui, "I metallari preferiscono le Ibanez, non le PRS", e comunque la sua forza non stava nella velocità, né nelle ore di lezioni teoriche alla quale si sottoponeva abbastanza ossessivamente. No, la sua forza stava nella pura passione. Quando suonava era capace di farti ridere, piangere e commuovere come se niente fosse, come se fosse nato per fare quello. Ecco cosa faceva.

Penso che questa storia possa piacere un po' a tutti. Però se siete anche voi dei rockettari musicisti alle prime armi, allora questo racconto spaccherà proprio. Oppure no, vi farà schifo e leggerete a stento questo capitolo. Non mi offendo mica se lo fate.

Comunque, dovremmo tornare un po' indietro nel tempo, vero? Oggi è 6 Luglio 2032, dobbiamo tornare indietro di venti anni, quindi arriviamo al 2012. Anzi, il giorno prima del 2012, il giorno di capodanno. A Liverpool per quella data si teneva sempre un concerto. Io vivevo lì, quindi ovviamente partecipavo. Ero una cantante, una brava cantante dicevano, ed ero appena stata appesa dal mio ragazzo, così avevo tanta voglia di partecipare a queste manifestazioni per superare la timidezza eccetera eccetera. Non che ci tenessi tanto a quel tipo, solo che ci ero rimasta un po' male, ecco tutto.
 

Ah, mi sono scordata di parlare di me! Il mio nome è Katrina Wakesky, all'epoca avevo sedici anni, capelli rossi e corti, occhi castani e viso "Pacioccoso". Io mi vedo grassoccia, anche se Aaron mi dice il contrario da due decenni. Vedendo le foto, però, sembro davvero magra. E anche bella, aggiungerei.

Me ne stavo lì sul palco per il sound check. Avevamo fondato una piccola band tutta al femminile: Io cantavo, ovviamente. Alla chitarra ritmica c'era la co-fondatrice Marie, al basso Miley, alla batteria Scarlett e alla chitarra solista Orianthi. A dirvela tutta, eravamo un bel vedere, tutte e cinque. Soprattutto Orianthi, che era una biondona, ed essendo chitarrista era molto sexy. Eh, i chitarristi sono sempre molto attraenti quando fanno quei loro assoli.

Eravamo una band un po' sul metal più moscio, quello che non piace ai metallari ma ai rockettari sì. Per quel concertino ci eravamo preparate una canzone nostra, Wake and Run Away, e lo stavamo provando proprio in quel momento.

Il palco era dentro un teatrino che al massimo doveva contenere cento-duecento posti. Ero una timida, quindi per me era difficile cantare davanti a tutta quella gente. Durante le prove però non c'era quasi nessuno: i due organizzatori che facevano avanti e indietro, qualche addetto ai lavori ed un'altra band che parlottava e strimpellava da parte.

Suonammo lo stesso pezzo un paio di volte, ma io ero poco convinta. C'era qualcosa che non andava nell'assolo, e Orianthi se ne era accorta. Io non sapevo praticamente nulla di chitarra, aspettavo che lei o Marie risolvessero il problema, ma non sembravano esserne capaci.

Alla terza prova andata male persi un pochino la pazienza. "V'avevamo detto di organizzarvi al meglio la canzone, però!".

"E' difficile, non troviamo la scala giusta, la pentatonica non va".

Scala? Non ci capivo niente.

"Scala blues in Mi bemolle!".

Era una voce calma e rilassata. Ci voltammo tutte e vedemmo che un tizio dell'altra band si era allontanato del gruppo per assistere alla nostra conversazione. Me lo ricordo perfettamente, c'aveva i capelli nerissimi, era di media statura, molto magro. Gli occhi grigi ci scrutavano con semplicità quasi disarmante, come se avesse detto una cosa ovvia. Aveva dietro alla schiena una chitarra, avvolta da un fodero imbottito.

"E' un pezzo hard rock, non ci c'entrerà mai la scala blues. E poi la tonalità è sbagliata" obbiettò Marie.

"La tonalità dell'assolo non è per forza quella della ritmica, e poi che sia blues o metal, l'importante è che vada" rispose lui pratico.

"Ma cosa c'entra il blues con 'sta canzone?".

"Nulla, per questo varrebbe la pena di provare". Era convintissimo delle proprie idee.

"Come fai a sapere che andrà bene?" gli chiesi.

"Non saprei. Tu sai perché vivi? No. E' la stessa cosa".

"Non ha senso" tagliò corto Marie. "Se pensi di aver ragione, perché non vieni qui a dimostrarcelo?".

"Proposition légitime, avec plaisir" rispose lui inchinandosi. Salì sul palco e si tolse dalle spalle il fodero imbottito, lo aprì.

Quando estrasse quella PRS blu elettrico lo sguardo di Orianthi s'indurì.

"Lo conosco!" mi sussurrò Marie all'orecchio. "Si chiama Esal o qualcosa del genere".

"Esal? che nome è?".

"Il mio soprannome sarebbe Esaul, non Esal" intervenne all'improvviso lui. Doveva averci sentito, e ciò ci gelò non poco, perché il sussurrio era appena percettibile.

"E il tuo vero nome è?" domandai.

"E così, qualcuno che non si ferma al nulla. Aaron" mi rispose. Ma che era, pazzo?

Collegò la chitarra all'amplificatore e suonò un accordo. Aveva un suono fantastico, quella chitarra. Poi, lui semplicemente accordò la chitarra, senza sentire il suono delle singole corde. Andava a caso per farsi figo, pensai.

"Possiamo cominciare" disse lui attaccandosi il distorsore.

Le altre cominciarono con la sezione ritmica precedente e contemporanea all'assolo. Io stavo a guardare cosa sarebbe successo.

Aaron cominciò lentamente. Picchiettò sulle corde con le dita delle mani, producendo prima un suono basso e delicato, poi sempre più alto.

Quando prese a suonare sul serio, fu sorprendente.

Era, a tutti gli effetti, perfetto. Dannatamente perfetto. Suonava un assolo lento, caldo e avvolgente su una base veloce e martellante, eppure aveva fatto sua l'intera canzone in maniera impressionante. Cominciò ad accrescere la sua velocità fino a livelli molto alti, arrivò al top con un tapping alla Van Halen, riscese e risalì di nuovo. Il suo suono... mi strappava l'anima, mi faceva provare tutto ciò di cui parlava la canzone, mi sembrava... bah, potrei descriverlo in tutti i modi del mondo senza trovare un solo aggettivo adatto.

Per un attimo, pensai davvero di amarlo, di voler passare tutta la vita con lui solo per sentirlo suonare. Ma durò troppo poco.

La canzone cessò, sostituita dagli applausi dei compagni di Aaron che, intuii, erano sia divertiti dalla scena sia impressionati da quel modo di suonare. Lui gettò lo sguardo su ognuna di noi, a turno, per valutare la reazione che avevamo avuto. Poi tolse il jack, ripose la chitarra nel fodero e intascò il plettro.

"La prossima volta non escludete nessuna possibilità. La vita saprà sempre ricompensarvi se avrete fiducia in lei".

  
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