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Autore: Ila_Chwan22    13/01/2012    1 recensioni
L'amore si sa è una cosa tanto bella quanto misteriosa da comprendere e chi meglio delle protagoniste di questa storia lo sa meglio!Infatti Jessica Di Belleville e Kanemiya Sayuri sono due ragazze ammirate da tutti per la loro beltà e i loro modi gentili nonché pacati con gli altri ...
Genere: Avventura, Comico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro Personaggio, Monkey D. Rufy, Nuovo personaggio, Portuguese D. Ace, Sabo
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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“Che meraviglia!”

Jessica non aveva potuto fare a meno che portarsi le mani alla bocca, tanto l’incanto le stava facendo brillare gli occhi smeraldini. Davanti a lei, il castello delle favole dell’One Piece Paradise Park si ergeva in tutto il suo splendore, superando ogni immaginazione a suo carico. Ampio, sfarzoso, curato in ogni dettaglio, era più bello di qualsiasi altro maniero raffigurato nei libri che da bambina leggeva. Non era un agglomerato di carta pesta bucherellato o dai colori sbiaditi, una semplice facciata con una scritta in grande e brillantata, ma un castello vero e proprio, con mattoni reali, torri, stendardi, e un ponte levatoio con tanto di fossato. Uno splendore dentro cui perdersi.

Immersa in quello stato di pura contemplazione, la rossa sperò tanto che quel bel posto possedesse un giardino colmo di fiori e stanze degne di una principessa. Non si negò che aveva sempre covato il desiderio di poter vivere in un edificio del genere, sebbene fosse una fantasia un po’ impossibile da realizzare: ricordava perfettamente quando, da piccina, giocava con suo cugino, e lei, con la sua vaporosa camicia da notte rosa, faceva la parte della bella principessina da salvare dalle fauci dello spaventoso drago verde. Era stato il suo sogno fin da bambina, secondo solo al canto, ma il contemplare la grandezza del castello delle favole, lo rievocò in un batter d’occhio, rendendola più felice che mai. Stringendo le mani accaldate per via dell’adrenalina, desiderò vedere l’interno di quel posto meraviglioso, constatarne l’esistenza, giacché riteneva impossibile che il signor Ivankov, spasmodicamente attaccato alla bellezza estetica del suo parco, avesse trascurato l’interno delle sue attrazioni: si chiese poi, che tipo di prova avrebbero dovuto affrontare lei e Sanji per conquistare il biglietto d’oro e che genere di espedienti avrebbero tentato di ostacolarli. Considerata l’attrazione, le venne in mente un percorso a ostacoli con tanto di trabocchetti, ma nulla di più.

In tutta franchezza, non sapeva che cosa aspettarsi.

“Questo cartello dice che i partecipanti al concorso devono attendere l’inizio della gara nella piazzetta davanti al castello”, affermò la ragazza, leggendo quello che doveva essere il regolamento “Ma non riesco a capire se dobbiamo aspettare un determinato segnale e il perché qui ci siamo soltanto noi. Secondo te, Sanji-kun, le altre coppie sono già entrate?......Sanji-kun?”

Il non ricevere una risposta, la fece voltare: il biondo era sparito, volatilizzato dalla sua visuale, senza emettere fiato. Sbattendo le lunghe ciglia nere, Jessica si guardò attorno nella speranza di scorgerne la figura, ma ancor prima di scandagliare quella piccola area con tutta la sua concentrazione, qualcuno le si avvicinò cautamente, tanto che quando si accorse della sua presenza, sobbalzò con le mani sul cuore.

“S-Si calmi, signorina, non le voglio fare del male!” esclamò quello, cercando di tranquillizzarla.

Era un omino basso e magro, con gli occhi neri a palla, la faccia tonda, e una bocca larghissima. Ricordava tantissimo un pupazzo ed era vestito con pantaloni neri, giacca fucsia e una tuba dello stesso colore, ma così grande che quasi rischiava di cadergli sugli occhi. Nonostante lo spavento che le aveva fatto prendere, a Jessica non sembrò cattivo, ma nemmeno agile: seppur fermo, i suoi movimenti erano leggermente goffi e impacciati, presi a sistemarsi quella camicia bianca troppo larga per il suo esile corpicino.

“E lei chi sarebbe?” domandò poi, inclinandosi in avanti.

“Oh, io…ah…il mio nome non ha importanza…”, balbettò lui, con la faccia rossissima e gli occhi a forma di cuore.

Oh, no! Anche lui! Pensò la ragazza, sospirando sconsolatamente.

Ecco l’ennesima vittima di quel suo fascino che lei manco utilizzava per scopri lucrosi.

“C-Comunque!” riprese quello, rinsavendo quasi subito “Lei è la signorina Jessica Di Belleville, giusto?” le domandò con una sicurezza tale, da lasciarla  sorpresa.

“Certo, sono io”, rispose lei, senza capire il perché glielo avesse domandato “Ma…è forse successo qualcosa? Oh, mio dio, non riguarderà Sanji-kun?!” domandò allarmata e timorosa che potesse essere successo qualcosa al suo bel principe.

“Oh, no, non si preoccupi! E’ solo che dovevamo assicurarci di prelevare la ragazza giusta, tutto qui!” squittì lui.

“…..Come, scusi?”

Calò il silenzio. Uno di quelli strani, di tomba, perfettamente idonei a una situazione non chiara come quella. Jessica batté le palpebre più volte, guardando quell’omino sorridente senza spiccicare parola. Aveva proprio detto…prelevare?

“Prelevare”, ripeté lui, alzando l’indice “E’ la prima parte della prova, indispensabile per il susseguirsi delle altre, quindi le chiedo subito scusa per questo.”

“Q...Questo?”

E ancora prima di capire che cosa fosse nello specifico il “Questo” da lei pronunciato con una nota di timore, qualcosa le calò velocemente sulla testa, per poi sollevarla senza troppi preamboli.
 
“Jessica-chwan?! Dove sei, mia adorata?!?”

Ogni persona nasceva con una mania personale: chi per i robot, chi per i manga, chi per la cosmetica…..

Sanji aveva quella per le donne, il che lo avvicinava a essere considerato e visto come un pervertito senza ritegno. La sua passione non conosceva limiti, aveva fatto del suo stesso cervello un finissimo radar capace di captare la presenza femminile nel raggio di cento metri. Una cosa un tantino spaventosa e da depravati, ma piuttosto che negare l’evidenza, il biondo non avrebbe esitato a morire, purché la sua fine consistesse in una visione paradisiaca di sirene pronte a coccolarlo. Un triplo infarto garantito, ma il più benaccetto di tutti.

Sebbene il solo pensiero lo avrebbe fatto sghignazzare indecorosamente, il biondo era troppo preso a cercare la rossa per lasciarsi distrarre ulteriormente. La vista di una gonna svolazzante, piena di pizzi, unita al viso grazioso di quella che doveva essere una cameriera, lo aveva indotto ad avvicinarsi e a provarci spudoratamente, tirando fuori quel gentleman dalla voce seducente che utilizzava esclusivamente col gentil sesso. Era andato tutto bene, fin quando questa, con un sorriso, gli aveva detto:

“Bene, la mia parte l’ho fatta: buona fortuna!” e lo aveva lasciato lì, senza altre spiegazioni.

Nessun bacino o un numero telefonico. Zero, tabula rasa. Solo quella frase senza senso, che lo aveva visto guardare il vuoto per due buoni minuti. Il comprendere di aver momentaneamente abbandonato la sua bellissima Jessica, lo vide stramazzare a terra come se avesse ricevuto un colpo dietro la nuca, seguito da un’auto flagellazione verbale a cui diversi visitatori avevano assistito allibiti. Aveva commesso un atto imperdonabile, ma soltanto tornando davanti al castello delle favole, correndo come un pazzo, realizzò quanto avesse fatto male a cedere alla sua perversa mania.

“Jessica-chwan!!” la chiamò ancora.

Niente. Nessuna risposta. Un vuoto totale che gli fece abbassare la testa quanto un cane bastonato. La gente andava nei parchi e si lasciava distrarre dalle giostre, dal profumo dei dolciumi e da quello dei popcorn caldi, lui no: lui si lasciava distrarre dalle gambe delle ragazze e dai loro balconi. Una distrazione che gli era costata la compagnia della più bella di tutte e che lo avrebbe visto sbattere la fronte per terra, se non fosse stato per…….

“Lasciatemi andare! Mettetemi giù! Qualcuno mi aiuti!!”

Come il suo radar udì quella voce femminile, Sanji scattò in piedi come se fosse appena punto da un intero sciame di api. Non stette a guardare a destra o a sinistra per capire da quale direzione fosse provenuto quell’urlo: una vocina proveniente dal suo subconscio, indirizzò i suoi occhi laddove dovevano essere puntati.

Due tizi stavano tranquillamente camminando lungo il ponte levatoio del castello delle favole: uno era piccolo, tanto minuscolo da arrivare alle ginocchia dell’altro, un bestione avente la testa completamente pelata. Quest’ultimo reggeva sulla spalla un grosso sacco che non faceva altro che dimenarsi, ma senza sfuggire alla solida presa che la mano dell’energumeno esercitava su di lui.  Si agitava ripetutamente, scalciando e gridando con una voce che fece vibrare la colonna vertebrale del biondo, incamminatosi lentamente verso l’entrata dell’attrazione.

“Jessica-chwan?”

Fu nel mormorare il nome della ragazza, che la testa della suddetta sbucò fuori dallo spesso telo dentro cui era stata messa dentro.

“SANJI-KUN!!”

“JESSICA-CHWAN!!”
 
 

La collocazione della casa degli orrori era stata studiata appositamente perché risultasse un po’ più isolata rispetto alle altre attrazioni. Non c’erano vasi colmi di fiori, fontane o cartelli colorati nei dintorni, solo un asfalto sassoso e un'enorme villa aventi grossi cancelli ferrosi e lumini alquanto spettrali. Con alberi neri, avvizziti, le mura logore, e il tetto che sembrava sul punto di crollare, la casa degli orrori aveva già visto entrare diverse coppie iscritte al concorso, tutte smaniose di mettere le mani sul biglietto d’oro, ma incapaci di affrontare le trappole che il signor Ivankov aveva riservato per tutti quanti loro.

“Whaaaa!!! Basta, ci rinuncio! Andiamo via!”

La porta d’uscita fu spalancata con violenza da una ragazza, seguita a ruota dal fidanzato, bianco come un lenzuolo e poco disposto a tornare dentro. Quella era almeno la quarta coppia che Ace e Sayuri vedevano passare. Non erano nemmeno arrivati da dieci minuti, che avevano già udito mille e più grida farsi largo nelle loro orecchie. C’era da dire, che il proprietario dell’One Piece Paradise Park non aveva badato a spese nella realizzazione di quella minuscola ala del parco: il finto cimitero che si doveva attraversare per raggiungere la casa era alquanto realistico, tanto da dare l’impressione che anche il cielo fosse grigio e scuro. Camminando su delle foglie secche e nere, la castana osservò con accurata attenzione la casa, cercando di immaginare che cosa potesse esserci all’interno.

Mummie? Zombie? Assassini nascosti dietro l’angolo? Sinceramente, non sapeva che pensare, poiché era sicura che, essendo quella una giornata speciale, lo spettacolo sarebbe stato diverso dal solito. L’ultima volta, Usopp, Chopper e Brook le erano rimasti letteralmente incollati per la fifa, tanto i divoratori di cervella li avevano spaventati.

Poverini, erano veramente terrorizzati,pensò lei, sorridendo dolcemente per come i tre l’avevano supplicata di non lasciarli.

Chopper le era rimasto in braccio per l’intera giornata e si era rifiutato categoricamente di entrare una seconda volta, nonostante l’insistenza di Rufy.

“A che pensi, Sayuri?” le domandò Ace, vedendo sorridere.

“Come?” non si era accorta di essersi assentata con la testa.

“Ti ho chiesto a cosa pensi. Stai sorridendo”, disse il ragazzo, esibendo un bel sorrisetto.

“Oh…nulla di particolare. Mi sono solo ricordata la prima volta che sono venuta qui con gli altri”, spiegò lei “E’ stata una giornata bellissima.”

“Immagino. E’ un peccato che non ci siamo tutti, ma dubito che Sanji potesse procurarsi altri biglietti. Ancora mi chiedo come abbia fatto a ottenere quelli per …. Sayuri?”

Interrompendo il suo parlare, Ace si accorse che la ragazza aveva smesso di camminare e di ascoltarlo. Un evento strano, giacché Sayuri non era una persona capace di ignorare i racconti altrui.  Pensandoci attentamente, quella non era la prima volta che la castana si mostrava assente: durante il tragitto, i suoi occhi si erano fatti vacui, posti sempre nella medesima direzione e senza che lui potesse capirci qualcosa. Che fosse preoccupata per Jessica? No, lo escludeva. Con la rossa c’era Sanji, quindi non c’era da preoccuparsi. E poi, a loro era toccato il castello delle favole, cosa poteva esserci di tanto spaventoso?

Per quanto Ace conoscesse bene la buon’anima di Sayuri, era sicuro che, al momento, la ragazza non stesse pensando alla sua amica: osservandola attentamente, riuscì a percepire un flebile suono proveniente da lontano, una di quelle canzoncine che accompagnavano le giostre al momento dell’accensione. Sayuri sembrava esserne ipnotizzata, perché i suoi occhi color cioccolato si erano fatti grandi e splendenti. Ma non era propriamente la musica ad averla spinta a smettere di ascoltare Ace, ma l’attrazione da cui proveniva. Voltando parzialmente la testa, il moro guardò nella  stessa direzione della ragazza, scoprendo che la ruota panoramica era in movimento. Seppur fossero piuttosto distanti, la sua sagoma circolare, con le luci e i colori, era sufficientemente visibile.

Fu allora che Ace capì.

“Ti piace la ruota panoramica?” le domandò poi.

“Come, scusa?”

“La ruota panoramica”, ripeté il moro, indicando l’attrazione “Ho notato che la guardi molto spesso.”

“Ah…io…si”, rispose lei, dopo aver sussultato. Non si era resa conto di essersi incantata.

“Ma come? Non ci sei andata la volta scorsa?”

La ragazza scosse debolmente la testa “No. Purtroppo non ho mai avuto l’occasione.”

Nonostante pensasse di aver capito, Ace fu costretto a correggersi. Le sue intuizioni non erano sbagliate, ma incomplete, quindi inadatte per comprendere perfettamente lo stato emotivo della castana. Si stupì non poco per quella rivelazione, perché …. si, insomma … tutti, almeno una volta, erano riusciti a salire sulla ruota panoramica dell’One Piece Paradise Park. Lui e Rufy ce l’avevano fatta da piccoli ed era stato emozionante: vedere la gente farsi piccola come tanti puntini colorati e mobili, stare tanto in alto da toccare le nuvole ……

L’estrapolare quel nostalgico ricordo fu piacevole, ma anche inadatto, poiché Sayuri non poteva condividere le sue stesse emozioni. Parlargliene con enfasi, poi, l’avrebbe fatta stare ancora più male: lei non lo avrebbe mai dato a vedere, pur di non far preoccupare chi le stava attorno. Non era il genere di persona che si lamentava o che pretendeva qualcosa con gli altri, ma il cogliere quel suo piccolo desiderio, fece si che Ace le sorridesse con quella sua aria da bambino birichino, pronto ad entrare in azione, nonostante le innumerevoli raccomandazioni dei genitori.

“Vorresti salirci, vero?”

“Si…..mi piacerebbe molto”, mormorò lei, continuando a guardare la giostra “Ma c’è sempre tanta coda….”

“Un buon motivo per vincere il concorso, non credi?” le fece lui, riuscendo finalmente a farsi guardare “Basterà prendere il biglietto d’oro della casa degli orrori e potrai salirci liberamente.”

Effettivamente, Ace aveva ragione. La semplicità del suo ragionamento non lasciava spazio a grinze o a critiche che lo considerassero facile e sfrontato. Nel perdersi in quella contemplazione rivolta alla ruota, Sayuri aveva scordato il perché si trovasse davanti alla casa degli orrori e quali privilegi avrebbe ottenuto, se fosse riuscita a vincere. La prospettiva di entrare gratuitamente per tutto l’anno e il buono shopping nei negozi del parco erano molto allettanti, ma era fin troppo chiaro che a lei sarebbe bastato un semplice giro sulla ruota panoramica per essere felice.

Solo una volta, giusto per vedere il mondo da una diversa angolazione e per colmare quella sua piccola ed innocente curiosità.

“D’accordo”, asserì lei “Vista la possibilità dataci, sarebbe stupido non fare un tentativo.”

“Così mi piaci. Andiamo all’entrata della casa e vediamo cosa dobbiamo fare di preciso.”

Percorsi i metri restanti, si ritrovarono davanti al portone principale dell’attrazione, spalancato su di un buio così nero, da sembrare infinito. Due torce illuminavano l’entrata e una parziale parte di quello che era un sontuoso tappeto rosso, la cui totale lunghezza era nascosta dal buio della casa.  Le colonne che sorreggevano parte dell’attrazione, avevano un aspetto malconcio e barcollante: tra l’essere seriamente scheggiate e rotte, entrambi i ragazzi si chiesero come fosse riuscito il signor Ivankov a realizzare qualcosa di tremendamente instabile, cancellando il rischio che questo crollasse.

“Strano, non c’è anima viva”, notò il moro, appoggiando le mani ai fianchi.

Non era possibile che tutte le coppie fossero già entrate o che non fosse stato assegnato nessun addetto per quell’attrazione.

“Ace, vieni a vedere. Ho trovato qualcosa”, lo chiamò la castana.

Alla destra dell’entrata, ben illuminato da una delle due torce, vi era un grosso cartellone ingiallito e dai bordi bruciacchiati. Spiccava per il titolo scarlatto e svolazzante, scritto in grassetto affinché la gente lo notasse subito.  Al suo seguito, vi erano scritte più piccole, della stessa calligrafia, ma di colore nero.

“Sono delle indicazioni inerenti alla prova di questa attrazione”, affermò Ace, dandoci una rapida occhiata “Vediamo che dicono…”

Facendo scorrere velocemente l’occhio sul punto di partenza, il ragazzo cominciò a leggere quanto riportato sul cartello.
                                                           Benvenuti, signori giocatori. La casa degli orrori vi dà ufficialmente il benvenuto.

In occasione del concorso indetto dal signor Emporio Ivankov, l’attrazione ha subito un radicale cambiamento, al fine di rendere la prova il più suggestibile possibile, ma senza modificarne lo svolgimento. Lo scopo del gioco è semplice: ogni coppia dovrà addentrarsi all’interno della casa, trovare uno dei biglietti d’oro che sono stati nascosti nelle varie aree e uscire entro lo scadere del concorso. A ostacolarvi ci saranno mostri, trabocchetti e la casa stessa, quindi, se siete intenzionati ad entrare, leggete il regolamento scritto qui sotto:
 

  1. E’ vietato toccare o colpire gli attori.
  2. E’ vietato danneggiare i set costruiti all’interno della casa.
  3. E’ vietato uscire dalla casa senza il proprio partner, nel caso si sia già in possesso del biglietto d’oro: la coppia deve entrare e uscire dall’attrazione insieme. Se si verificasse la possibilità che uno dei due esca senza l’altro, ma con il biglietto in mano, la coppia verrà squalificata dal concorso.
 

Detto ciò, buona fortuna a tutti quanti!

 
 
“Uhm….non mi sembra nulla di complicato”, affermò il moro, incrociando le braccia “Salvo la terza aggiunta, tutto quello che dobbiamo fare è uscire insieme dalla casa.”

“Forse, ma credo che faremmo meglio a stare attenti. Che io sappia, il signor Ivankov è una persona piuttosto eccentrica…”, mormorò la castana, nel mentre rileggeva le regole stila sopra il cartello.

“Dì pure che è un pazzo squinternato. Ce ne vuole di coraggio per andare in giro con dei vestiti di pelle rosa.”

Sarebbe stato da sciocchi sottovalutare un tipo come Emporio Ivankov, lo strambo proprietario dell’One Piece Paradise Park. Al di fuori di quel suo ambiguo aspetto, sotto la capigliatura lilla si nascondeva una mente diabolica e strategica, capace di ideare l’impensabile. Decidere di partecipare a una delle prove da lui indette, significava non uscirne più fino alla fine: una ragione più che valida per riflettere attentamente su da farsi, ma per quanto il buio della casa degli orrori - insieme a quei strani sospiri e rumori angoscianti - fosse terribilmente pauroso, non lo era abbastanza per spingere Ace e Sayuri a scappare a gambe levate come l’ultima coppia che avevano visto. Si, esternamente, quella casa era ben fatta, come quelle di alcuni film horror che la televisione trasmetteva sul tardi, ma era sufficiente pensare che dentro fosse tutta una finzione, per compiere senza indugi il primo passo.

Una casa degli orrori non era esattamente quel che più poteva terrorizzare uno come Ace, abituato ad avere a che fare con un nonno dall’indole pazzoide e imprevedibile. Correre insieme al fratellino in piena notte, in mezzo a una foresta colma di animali, inseguiti da quel pazzo smanioso di temprare il loro spirito, era un’esperienza che non avrebbe mai augurato a nessuno. Aveva perso il conto di quanti bernoccoli avesse incassato o di quante volte il vocione del parente gli avesse forato i timpani, ma gli bastò guardare di sfuggita Sayuri, per ricacciare in fondo alla memoria quella parte della sua infanzia ed evitare di muovere la testa a casaccio.

Non era il caso di perdersi in sproloqui mentali davanti a lei: ci avrebbe rimediato solo una brutta figura e una cattiva impressione, due cose che non voleva accreditarsi, non con Sayuri. In tutta onestà, non gli era mai importato delle opinioni altrui: conosceva Marco, Jozu e tutti gli altri suoi colleghi come le sue stesse tasche, quindi non aveva mai sentito l’impellente bisogno di chiedere che cosa pensassero di lui.

Però … se proprio doveva sapere che cosa la gente pensava di lui ……. voleva l’opinione di Sayuri, solo la sua.

“Se non te la senti, possiamo sempre rinunciare”, le disse lui, nel vederla così pensierosa.

Non seppe bene spiegarsi perché le avesse detto una cosa simile, ma era stato qualcosa d'istintivo, proveniente da una consapevolezza di cui non riusciva a identificare la natura. La cosa insolita …. era che non era la prima volta che si preoccupava per lei. Forse, si era lasciato influenzare da quella coppia che era scappata a gambe levate o magari da quella voglia di sorridere che saltava fuori quando vedeva Sayuri arrossire. Che dovesse ricordare qualcosa di particolarmente importante su di lei?

“No, non preoccuparti, posso farcela” lo rassicurò, sorridendogli “I fantasmi e i vampiri non mi fanno paura.”

“Sicura?” le chiese nuovamente il ragazzo, guardandola con fare incerto.

Un’altra domanda dovuta a quella strana sensazione che gli stava pizzicando la coscienza. C’era qualcosa di cui doveva assolutamente ricordarsi; Ace, ormai, ne era certissimo, ma più sforzava la sua mente, più faceva fatica a focalizzare il perché di quella sua apprensione.

Da parte sua, Sayuri dovette avvolgere i lembi della gonna bianca fra le pieghe della gonna per placare quell’ennesimo moto incontrollabile che si stava agitando dentro di lei.

Sebbene la prova che attendeva lei e Ace fosse più dura rispetto a quella destinata a Sanji e Jessica, la castana non se la sentiva di tirarsi indietro. Per quanto paurosa potesse essere una casa degli orrori, tutto quello che si celava al suo interno non era vero e lei non era mai stata il genere di ragazza che nascondeva la testa nel cuscino per non guardare la scena di un qualche film horror. A volte era sobbalzata per quelle entrate violente, ma non si era mai messa a gridare. Da ben altra parte stavano le sue paure, ma in quel frangente, era troppo occupata a pensare, per potersi concentrare su di esse: escludendo il giro panoramico sulla ruota del parco, sarebbe stato ingiusto tirarsi indietro, dopo che Jessica l’aveva cordialmente invitata a passare quella giornata insieme a lei. L’occasione offertele non si sarebbe ripetuta una seconda volta, una giornata all’One Piece Paradise Park non capitava tutti i giorni.

E poi ……. la compagnia di Ace le era sempre piaciuta, sebbene il suo cuore non facesse che battere intensamente, ogni volta che lui le si avvicinava troppo o le sorridesse furbescamente. Le altre volte, aveva potuto contare sul fatto che ci fossero i suoi amici, tutta la compagnia, ma ora era sola, con lui, che la guardava con così tanta serietà da far vacillare ulteriormente la sua già fragile resistenza emotiva.

Doveva parlare, rispondergli prima che i suoi occhi cedessero e le gambe decidessero di lasciarla al suo destino, ma il non riuscire a distogliere lo sguardo da quello profondo del ragazzo, non fece altro che ricordargli quanto lui le piacesse.

“Certo. Davvero, Ace, me la sento”, riuscì a dire alla fin fine, annuendo debolmente.

Dare un segno di vita non le era mai sembrato tanto faticoso, ma, se non altro, il vedere l’espressione rasserenata di Ace, le permise di riappropriarsi della sua innata compostezza.

“Bene. Allora, andiamo”, affermò quest’ultimo, compiendo il primo passo dentro la casa degli orrori.
 
 

“RAZZA DI OMUNCOLO DA STRAPAZZO! COSA CREDETE DI FARE ALLA MIA JESSICA-CHWAN?! DOVE L’AVETE PORTATA?!?! PARLA, DANNATO, PARLA!!!!”

Sanji era un ragazzo gentile ed generoso con qualsiasi essere femminile presente sulla faccia delle terra. Era stato educato alle buone maniere e trattava tutte le appartenenti del gentil sesso con il massimo riguardo possibile.  Al contrario, con i maschi, si dimostrava duro e inflessibile, tanto che non si faceva problemi a spedirli in orbita con qualche calcio ben assestato. Era un tipo a posto, a volte un po’ strano, ma affidabile, una qualità che gli aveva garantito più volte il sorriso della sua adorabilissima Jessica, portata chissà dove da due tizi che gliel’avevano sottratta grazie alla complicità della graziosa cameriera.

Sì, si era fatto abbindolare da un paio di ciglia lunghe e da una gonna piena di pizzi,  cascato dall’albero come una pera cotta e intortato come un cretino. Una cosa che  lo avrebbe visto flagellarsi con le sue stesse mani, se solo la sua adorata Jessica non fosse stata sequestrata sotto i suoi stessi occhi. Non era riuscito ad arrivare in tempo, ma lo sfondare il portone d’entrata con un poderoso calcio volante, gli aveva permesso la cattura di uno dei due rapitori, il piccolo omino che ora stava sbattendo da tutte le parti, al fine di fargli sputare tutto quello che voleva sapere. 

“Signore, mi lasci….”, biascicò quest’ ultimo, completamente rimbambito e con gli occhi ridotti a due spirali.

“SOLO QUANDO MI DIRAI DOVE AVETE NASCOSTO LA MIA JESSICA-CHWAN!!!” tuonò il biondo, con occhi assatanati.

Il poveraccio era sull’orlo dello svenimento. Fra tutti le possibili reazioni dei clienti, non avrebbe mai pensato che uno di questi avesse la forza di sfondare un portone di legno spesso quattro metri e di sbatterlo da tutte le parti come se fosse lo straccio per pulire i pavimenti di una nave. Poco ma sicuro, avrebbe preteso un aumento …. sempre se fosse riuscito sopravvivere a quella furia dalle sopracciglia attorcigliate.

“S-S-Si calmi ….”, cercò poi di dire, approfittando del fatto che il ragazzo si fosse fermato “La sua amica sta bene. Fa tutto parte della prova del castello delle favole.”

“Spiegati meglio”, ordinò Sanji, senza allentare la presa.

Mancava pochissimo perché il malcapitato ci rimettesse la pelle, tanto si sentiva schiacciato dalla furia omicida di quel pazzo concorrente.

“Il rapimento della sua amica rappresenta l’inizio della sfida del castello delle favole”, tentò di spiegare l’omino, nonostante il suo collo fosse tenuto strettamente in ostaggio “Tutte le partecipanti femminili a cui è capitata questa attrazione, sono state portate in diverse aree del castello, in qualità di “Principesse da salvare”, mentre i ragazzi devono vestire i panni dei “Prodi Cavalieri”. Lì c’è il costume che devi indossare”

A fatica, l’omino indicò un appendiabiti nell’angolo della piazzetta d’entrata, sopra cui erano appesi dei sontuosi abiti principeschi, con tanto di mantello, cappello e spada. Sanji vi si catapultò immediatamente, afferrando il primo completo capitatogli fra le mani e indossandolo nel mentre l’addetto alla prova cercava di rimettersi in piedi.

“Ora che devo fare?” domandò il ragazzo, ammirando l’eleganza del capo indossato.

“Devi dirigerti verso una delle entrate”, e indicò i svariati corridoi ad arco che si diramavano in direzioni tutte diverse “Il compito dei partner maschili è quello di superare gli ostacoli che il castello offre e raggiungere la propria principessa. Alle coppie che riusciranno a uscire dall’attrazione, verrà consegnato il biglietto d’oro, ma bada che ……. ehi, mi stai ascoltando? Ehi!”

I continui richiami dell’omino non facevano altro che rimbombare inutilmente fra le pareti del cortile interno del castello della favole. Nell’istante in cui aveva indossato l’abito e compreso quale fosse il suo ruolo in quello strano gioco, la mente di Sanji aveva smesso di seguire le dovute indicazioni, cominciando a galoppare su sentieri rosei e traboccanti d'immagini melense che solo un patito dell’amore come lui poteva produrre.

“Oi…”

“S-Sì? Che c’è?”

Il ritrovarsi quel pazzoide biondo di fronte, inginocchiato, e con l’espressione più seria che avesse mai visto, fece sussultare nuovamente il povero omino, tanto che divenne bianco per la paura. Che volesse pestarlo ancora?

“Mi stai dicendo, che la mia adoratissima Jessica-chwan, si trova da qualche parte in questo castello, in attesa che io la salvi?”

“Beh, sì, ma ……”

“Ed è vestita da principessa?”

“Eh?”

“Ti ho chiesto se è vestita da principessa!” esclamò il ragazzo.

Ok …… o quel tipo si stava facendo coinvolgere troppo da quella prova o era, già di suo, uno squilibrato mentale. L’omino evitò di darsi risposta, giacché doveva rispondere a quel biondino, prima che potesse prenderlo e lanciarlo nel fossato.

 “Si…si, lo è. A tutte le ragazze è stato dato un abito e …….”

A quel punto, per Sanji, fu impossibile contenersi. Nella sua mente fibrillante, vide Jessica con indosso un bel vestito regale, rosso con ornamenti dorati, che non faceva altro che tendergli la mano e chiedergli aiuto con parole dolci.  La immaginava in alto, affacciata alla torre più alta, con un drago maligno a sua difesa e lui in procinto di salvarla e dunque accaparrarsi il leggendario bacio dell’amore eterno. D’accordo, l’ultima parte era una sua aggiunta personale, ma avrebbe fatto di tutto pur di ottenere un premio speciale dalla rossa. Il pensiero di sentire le soffici labbra di lei sulla sua guancia, fece sì che il sangue nelle sue vene iniziasse a bollire, accompagnato da un tremolio costantemente crescente da parte delle sue mani: crogiolare in quel sogno a occhi aperti era un conto, ma avere la possibilità di concretizzarlo, era dieci volte meglio che vedersi apparire il Padre eterno. Se poi la principessa era la sua Jessica-chawn……oh, apriti cielo. Non poteva esserci storia.

L’omino non fece neppure in tempo a chiedergli se stesse bene, che fu letteralmente inondato da una consistente quantità di polvere, finendo a gambe all’aria. Come riuscì ad aprire un occhio, per tentare di capire cosa diamine fosse capitato, vide l’ultimo dei neo principi correre all’impazzata verso una delle entrate, lasciandosi alle spalle una scia di fuoco e cuori mai vista fino ad ora.

“NON TEMERE, JESSICA-CHWAN!!! TI SALVERO’ IO!!!” ululò quest’ultimo, lasciando di stucco l’addetto.

Poveraccio. Non sa quello che l'aspetta …..
 
 
“Niente da fare. Non vuole proprio saperne di aprirsi.”

Da una buona ventina di minuti, Jessica stava facendo pressione sull’unica porta presente nella stanza, fatta di legno massiccio e cardini di ferro. Le sue mani spingevano, tiravano la maniglia ad anello con tutta la loro forza, ma senza muovere niente. Sospirando, la bella rossa si sedette sul sontuoso letto a baldacchino, dove aveva trovato l’abito che ora indossava, con allegato un biglietto e le istruzioni sul da farsi.

Doveva rimanere lì e fare la sua parte, ma sebbene la cosa la affascinasse, non poteva fare a meno di chiedersi se Sanji si fosse accorto della sua assenza. Il vedere la propria immagine riflessa allo specchio, la fece arrossire nuovamente: chissà cosa avrebbe pensato il ragazzo, se l’avesse vista con quell’abito indosso. Era così bello che, a stento, riusciva a descriverlo. Vaporoso, pieno di veli scarlatti e dorati, con un corpetto che lasciava in bella mostra, ma non eccessiva, il suo seno. Si era lasciata così ammaliare dalla sontuosità di quell’abito, che non aveva resistito ad acconciarsi i capelli, giusto per assomigliare ad una vera principessa.

Lo aveva fatto istintivamente, con il cuore che batteva a mille e gli occhi sognanti. L’apprendere che Sanji avrebbe vestito i panni del principe azzurro, poi, l’aveva vista arrossire vistosamente, spingendola a domandarsi quali sentimenti l’avrebbero pervasa, nel momento in cui il ragazzo avrebbe fatto la sua entrata in scena.

Sarà bellissimo, esattamente come l’ho sempre sognato!

Con un paio di giravolte, si lasciò cadere all’indietro sul letto, tenendo le mani strette al petto. Escludendo lo spavento iniziale, la prova del castello delle fiabe stava dando voce a tutti quei desideri che da bambina aveva sempre voluto realizzare.

Mi domando se Yu-chan stia bene, si ritrovò a pensare qualche secondo dopo, con gli occhi smeraldini puntati sul soffitto.

Nonostante la felicità, non aveva potuto fare a meno di ritagliare uno spazietto per la sorte dell’amica. Continuava ad avere un brutto presentimento, come se dovesse rammentare qualcosa di importante, ma qualunque cosa questa fosse, non ne voleva di farsi acchiappare.

“Speriamo non le capiti nulla e che Ace mantenga la promessa”, mormorò poi, nel mettersi seduta “Se non lo farà, saranno guai!”
 
 

“Santo cielo … c’è mancato davvero poco.”

La casa degli orrori si stava rivelando a dir poco infernale. Non c’era niente che potesse considerarla come un’attrazione di terza categoria, con attori scadenti e scenografia messe insieme con il nastro adesivo.  Il suo realismo aveva lasciato a bocca aperta sia Ace che Sayuri, ritrovatisi a correre in tutta la casa, senza sapere dove andare di preciso. Un labirinto sarebbe stato meno contorto di quelle stanze, ma il problema non stava unicamente nell’orientamento: a differenza loro, che non potevano toccare nulla, gli attori erano liberi di prenderli di peso e farli sparire dietro le mura.
Questo era il difficile della prova: non farsi catturare. Fra l’evitare di far azionare qualche congegno strano, il non cascare in una qualche botola nascosta, per non parlare del seminare un pazzo armato di motosega, la castana era arrivata ad un punto del percorso, in cui necessitava di fermarsi. Aveva bisogno di riprendere fiato, così come Ace, insolitamente silenzioso da una decina di minuti.

“Credo che abbia smesso di seguirci”, disse lei, tenendosi una mano sul petto, per regolarizzare i respiri “Non pensavo che ci avrebbe riconcorso per tutto questo tempo. Tu che cosa ne pensi, Ace?........Ace?”

Fra il correre e lo scansare i numerosi ostacoli, la ragazza aveva dimenticato di fare la cosa più importante di tutte: controllare che il compagno le fosse sempre rimasto vicino. Escludendo la regola che imponeva ai partner di uscire insieme dalla casa, vi era un’altra ragione per cui Sayuri avrebbe dovuto verificare con più costanza la presenza del moro: la sua totale e pressoché inesistenza capacità di orientarsi.

Oh, no! L’ho perso!

Nessuno avrebbe mai detto che Portuguese D. Ace fosse abile a trovare la giusta strada quanto lo era Roronoa Zoro, ma la verità era quella e, purtroppo per Sayuri, ciò non giovava alla situazione attuale. Lì era buio pesto, ed era già tanto che non fosse andata a sbattere da qualche parte. Come avrebbe fatto a trovarlo?

Dev’ essere rimasto indietro. Può darsi che riesca a trovarlo in una delle stanze precedenti, ipotizzò lei, cominciando a ripercorrere i suoi stessi passi.

Non avrebbe mai avuto il cuore di uscire da quella casa senza il ragazzo. Che ricordasse, non aveva visto deviazioni o altri corridoi oltre a quello passato, ma la visibilità era talmente scarsa che non seppe dirlo con certezza. Dovette appoggiare una mano al muro e procedere lentamente, per evitare di inciampare in qualche improvvisa rampa di scale; certo, sarebbe stato più facile, se avesse portato una torcia…..

Continuò ad avanzare per diversi minuti, quando, ad un tratto, scorse un flebile e opaco raggio di luce filtrare nel buio. Lo scorgerlo, fece si che le sue sopracciglia si alzassero in segno di stupore.

“Strano, non ricordo che prima ci fosse…”, mormorò fra sé e sé, avvicinandosi cautamente.

Doveva essere finita in una nuova area, perché proprio non rammentava di esserci passata. Forse, con una buona dose di fortuna, Ace era lì dentro; un tentativo le era pur sempre concesso, anche se trovò alquanto strano, che non ci fosse nessuno a tenderle un agguato.

Svoltato l’angolo da cui proveniva quel debole bagliore, si ritrovò davanti a una semplicissima e spoglia stanza circolare, con mura nere e una lampadina che pendeva dal soffitto, illuminante un piedistallo sopra cui era riposto…..

“Il biglietto d’oro”, si ritrovò a dire la castana, non credendo ai proprio occhi.

Il bel pezzo di carta dorato era lì, davanti a lei, scintillante e senza alcuna difesa. Prenderlo, sarebbe stato facilissimo, ma nel suo guardarlo attentamente, Sayuri non si sentì sicura: era troppo facile, troppo alla portata dei giocatori; essendo un oggetto depositario di un numero così considerevole di vantaggi, la ragazza non poté fare a meno di trovare veramente strano che il signor Ivankov avesse deciso di piazzarlo in bella vista. Eppure, lì in giro, non c’era nulla che potesse avvicinarsi a una trappola e a lei sarebbe bastato pochissimo per prenderlo.

Con un’ultima veloce occhiata, compì un paio di passi avanti, per poi allungare il braccio e dispiegare le dita verso il biglietto. Come sentì i polpastrelli venire a contatto con quest’ultimo, strinse la presa e ritirò l’arto, dando una veloce occhiata a quel pezzo di carta che le avrebbe permesso finalmente di fare un giro sulla ruota panoramica.

“Non posso credere di averlo trovato”, si disse, contenta “Ora devo solo……”

SCREEK!

Il tipico sibilo di sbarre ferrose che infilavano il pavimento, la fece voltare di scatto. Vide delle spesse aste grigie bloccare la sua sola e unica via d’uscita, che altri poi non era l’entrata da cui era passata.

“Avrei dovuto immaginarlo che non sarebbe stato facile”, sospirò.

E dire che ci aveva riflettuto sopra più e più volte….

Era illogico che il signor Ivankov avrebbe lasciato così ben esposto uno dei pass speciali, ma nonostante la ragazza fosse appena stata messa dietro a delle sbarre, non si demoralizzò: da qualche parte doveva esserci sicuramente un bottone o una leva nascosta capace di liberare il passaggio, quindi, non c’era ragione per cui dovesse disperarsi e mettersi a urlare per la paura.

Eppure … per quanto quella piccola e chiusa stanzetta buia non riuscisse a far vacillare la serenità di Sayuri, qualcos’altro la stava esortando a guardare gli angoli e il soffitto con un dubbio timoroso: un suono sottilissimo e scoordinato proveniva da questi ultimi, ma senza lasciarsi vedere e identificare. Per qualche strana ragione, il fiato della ragazza cominciò ad accorciarsi e i muscoli a riempirsi di tensione. Tremante, si appiccicò al piedistallo per cercare di usufruire dell’aiuto della luce che lo illuminava fiocamente: intravide dei piccoli contorni tondi e pelosi, con otto zampe ciascuno a muoverli ognuno. Come li vide riempire il pavimento, con il loro sibilare acuto, cominciò a sentirsi male.

No …. non è possibile.

Come dischiuse la bocca tremolante, gli occhi cominciarono a inumidirsi, pizzicandole la vista. Il cuore prese a tartassarle la gabbia toracica come se volesse esplodere. Provò a calmarsi, a scacciare quell’orribile consapevolezza che si era fatta prepotentemente largo in lei, ma come qualcosa di pungente le accarezzò la spalla, la gola le si chiuse e divenne definitivamente tutto nero.
 
 
“Ehi, tu. Tutto ok? Mi senti?”

“Ma non sarà morto?”

“Sei scemo? Non senti come russa?”

“Vero, però …. guarda! Si sta svegliando?”

Per il sollievo di quei due attori travestiti da mummie, Ace cominciò a smuovere le palpebre e ad alzare pigramente. Mugugnò qualcosa prima sbadigliare, stiracchiarsi le braccia e guardarsi in giro come un mezzo moribondo incapace di capire dove accidenti fosse finito.

“Yawn!Accidenti, devo essermi appisolato …”, borbottò massaggiandosi sulla spalla.

“Appisolato?!? Ma come si fa ad addormentarsi così di botto?!?” urlarono le due pseudo mummie, finendo con le braccia all’aria.

La loro fu una reazione normale, in quanto non conoscevano Ace e la narcolessia che lo aveva fatto crollare come un sacco di patate in uno dei sarcofagi egiziani dentro cui gli attori dovevano chiudere i partecipanti del concorso. Era stato un attacco improvviso, come sempre, tanto che Ace aveva dimenticato che le altre persone potevano spaventarsi per quei suoi crolli. Non badando ai presenti e al loro stupore, si alzò in tutta tranquillità, cercando di recuperare la lucidità persa e che faticava a tornare al suo posto. Non sarebbe andato molto lontano, se non si fosse accorto dell’assenza di una persona, che, teoricamente, avrebbe dovuto trovarsi con lui.

“Ehi, voi due”, e chiamò i due attori, ancora presi dal loro discorso “Avete visto una ragazza da queste parti? E’ bassa, con i capelli castani raccolti in due codini….”, cercò di descrivere, gesticolando.

“Chi?” domandò la prima mummia, con nota interrogativa.

“Penso si riferisca alla ragazza che ha fatto scattare la trappola della stanza del biglietto d’oro”, arrivò la seconda mummia.

“Trappola? Che genere di trappola?” indagò Ace, inarcando il sopracciglio.

Improvvisamente, quel suo  dover ricordare qualcosa, era tornato a tormentarlo, ma con molta più foga di prima.

“Beh, non ha un nome preciso”, fece l’attore “In pratica, se una persona prende il biglietto che sta sul piedistallo, fa scattare un meccanismo che blocca la porta d’entrata con delle sbarre e, in aggiunta, da alcune fessure poste negli angoli e nel soffitto, escono dei finti ragni telecomandati, ma sono fatti così bene da sem-  ehi, ma dove vai? Non ho finito!!”

Capire che cosa fosse preso a quel ragazzo con le lentiggini era un po’ come fare il tiro a segno con gli occhi bendati. Ci si poteva basare solo sulla fortuna, nient’altro. Né quegli attori, né chiunque altro, poteva sapere con certezza perché Ace avesse spalancato gli occhi e corso verso il corridoio come se, improvvisamente, si fosse ritrovato un gruppo di cani da caccia pronto a balzargli addosso, e questo perché la ragione non riguardava strettamente lui, ma una persona vicina a lui.

Conosceva Sayuri da molto tempo, tanto da sapere dettagli che perfino alcuni dei suoi più cari amici ignoravano. Gli era sempre piaciuto godere di quel vantaggio, ma non poté fare a meno di darsi dello stupido per aver dimenticato una delle cose più importanti al suo riguardo. Tra preferenze, difetti e gusti, c’era una cosa che la castana non poteva sopportare, di cui aveva una paura profonda e che non era mai riuscita a combattere ad armi pari: l’aracnofobia.
Sayuri era irrimediabilmente e indiscutibilmente terrorizzata dai ragni. Non era semplice fifa, ma un terrore che aveva sin da bambina, che la faceva stare male fisicamente e moralmente, tanto da mandarla in iperventilazione o peggio, se non si interveniva subito. Ace l’aveva scordato, e avrebbe passato il resto della giornata a darsi dello stupido, se non avesse dovuto focalizzare la propria attenzione per non perdersi.
Idiota! Sono un vero idiota! Si disse per l’appunto, svoltando a destra.
 

“JESSICA-CWHAN!!!!! DOVE SEI?!?!?”

Era la trentasettesima volta che Sanji urlava a squarciagola il nome della rossa ed era sempre la trentasettesima volta che non riceveva risposta. Gonfiava i polmoni di tutto l’ossigeno che poteva contenere e lo rilasciava in un solo colpo, evitando contemporaneamente tutte le trappole che il castello delle favole aveva a disposizione per ostacolare lui e gli altri cavalieri.  Fra botole munite di laghetti aventi dentro della anguille, tronchi d’albero pendenti dal soffitto, pareti sparanti fuori frecce appuntite, Sanji si destreggiava come se per lui fosse una routine quotidiana: il vestire i panni di un principe gli aveva portato l’adrenalina alle stelle, spingendo il suo corpo a compiere acrobazie disumane, che nessun’altro partecipante avrebbe potuto emulare. Saltava, schivava e deviava i colpi con i suoi possenti calci ………. tutto per raggiungere la bellissima Jessica e portarla fuori dal castello come i principi delle favole solevano fare, una volta svegliata la bella con un bacio.

Al solo pensiero, s'infiammò ancor di più, arrivando a sciogliere la rampa di scale a spirale che si era appena accinto a salire e buttando giù la porta posta in cima ad essa. Aveva perso il conto di quante porte avesse abbattuto, ma Sanji era sicurissimo che fosse quella giusta, quella dietro cui si nascondeva la sua amata.

Non appena il polverone si diramò, si ritrovò  in una stanza molto elegante, con un grosso letto a baldacchino a occuparne la maggior parte. Le tendine semitrasparenti lasciavano intravvedere la figura di una persona stesa al suo interno, come addormentata.
Il sopracciglio attorcigliato del biondo compì un paio di giravolte per quella visione.

“Il tuo principe azzurro è arrivato, Jessica-chwan”, mormorò con voce profonda e calma, ma con il cuore già in fibrillazione.

Immaginò la scena: la sua mano che scostava le tendine, la sua stupenda principessa in attesa del bacio guaritore, lui che si sporgeva in avanti e l’inizio di quella attesissima felicità che aveva sognato per intere notti senza dormire. Se non fosse stato impegnato a fare bene la parte dentro cui si era calato, Sanji sarebbe scoppiato a piangere per la gioia e poi morto sul colpo.

Sto per baciare Jessica-chwan, sto per baciare Jessica-chwan, sto per baciare Jessica-chwan…!!! Non fece che ripetersi.

Era così preso da quell’euforia mentale, che non si accorse che  la porta, da lui sfondata in precedenza, era magicamente tornata al suo posto, chiudendolo dentro senza alcuna via d’uscita. Se avesse conservato un minimo di sanità mentale, il biondo non avrebbe abbassato la guardia con tanta facilità: sarebbe riuscito a difendersi, ad avere un vantaggio misero, ma pur sempre valido. Purtroppo, quando c’erano di mezzo le ragazze, Jessica in particolare, il suo cervello andava a farsi benedire, insieme a tutto il resto …

Nello spostare le tendine, cominciò a chinarsi con le labbra smisuratamente allungate in avanti: per la gioia e la sicurezza che su quel letto ci fosse la sua rossa, aveva chiuso anche gli occhi.

Un grande, immenso ed apocalittico errore.

“Uh uh! Dolcezza! Come sei impetuoso!”

Lo sporgere le labbra di Sanji si arrestò di colpo. Un glaciale brivido gli percorse la spina dorsale, calcando sul fatto che quella non poteva essere in alcun modo la voce vellutata di Jessica. Sperò vivamente di aver udito male, ma come aprì gli occhi – altro grande, immenso e apocalittico errore -, la vita fuoriuscì dal suo corpo per lo shock.

La foto mentale che il poveretto si era fatto di Jessica cadde in mille pezzi, sostituita da un obbrobrio avente la faccia pelosa, con tanto di mascelle e zigomi grotteschi, labbroni sporgenti e un corpo tutt’altro che femminile.

“Allora, zuccherino! Me lo dai il bacio?” gli domandò il travestito, mettendogli le braccia attorno al collo.

“AAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHH!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!”urlò spaventatissismo il biondino.  

  
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