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Autore: chaska    14/01/2012    1 recensioni
Kesesese, il magnifico me non ha bisogno di guardare il cielo per sapere di che colore è! In effetti gli bastavano quelle poche volte in cui alzava gli occhi per controllare gli scontri aerei. Era sempre grigio il cielo, in quei giorni, grigio per il fumo che si alzava dai campi di battaglia. E se era grigio in quei giorni, allora doveva esserlo anche per tutti gli altri. Non poteva essere altrimenti, d’altronde, se lo diceva lui c’era da fidarsi.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Francia/Francis Bonnefoy, Prussia/Gilbert Beilschmidt, Spagna/Antonio Fernandez Carriedo
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Rating capitolo: Verde
Personaggi:  Gilbert
Beilschmidt (Prussia) – Antonio Fernandez Carriedo (Spagna) – Francis Bonnefoy (Francia)
Osservazioni personali:  Ripescato dagli angoli più tetri e bui del mio pc (?), una shot veramente vecchia e senza alcuna reale pretesa d’essere considerata almeno decente x°

 

 

 

 

 

 

Come ai vecchi tempi.

 

Camminava con passo lento l’albino, facendo attenzione a non accelerare d’un soffio il suo andamento. Non cercava nemmeno realmente di pensare a ciò che stava per fare. Meglio girare la testa, pensava. Molto meglio guardare le nuvole che, pigre, stazionavano nel cielo azzurro. Oh, che poi quel cielo così limpido sembrasse una presa per il culo bella e buona lo pensava veramente. Insomma, l’aveva sempre visto grigio in quegli ultimi anni. Anche se veramente non l’aveva mai guardato in quel lungo periodo.

Kesesese, il magnifico me non ha bisogno di guardare il cielo per sapere di che colore è!

In effetti gli bastavano quelle poche volte in cui alzava gli occhi per controllare gli scontri aerei. Era sempre grigio il cielo, in quei giorni, grigio per il fumo che si alzava dai campi di battaglia. E se era grigio in quei giorni, allora doveva esserlo anche per tutti gli altri. Non poteva essere altrimenti, d’altronde, se lo diceva lui c’era da fidarsi.

Stava a guardare quelle nuvole che sembravano soffici e leggere, felici per i fatti loro a chissà quale distanza dalla terra che stava calpestando. E più le guardava, più vedeva l’evidente senso di felicità che avvolgeva quel luogo che passo dopo passo sembrava allontanarsi, più pensava di odiarlo quel cielo. Era una bella e buona presa per il culo, quando tutto quel bel quadretto felice ti guardava da lontano e ti faceva notare di quanto fosse bello stare lassù. Avanti allora, che scendessero pure queste belle e perfette nuvole, pensava, voleva quasi che scendessero per fargli vedere come la situazione fosse ben diversa. Lì, coi piedi sulla terra, ferma e solida, le cose andavano in tutt’altro modo, era un inferno. Non che ci volesse chissà quale occhio arguto a capirlo, quando anche nei quartieri più raffinati della città permeava quello scadente grigiore dei bombardamenti e delle polveri da sparo. Non quando la gente vagava per le strade nemmeno fossero dei fantasmi spauriti della loro stessa ombra. Non quando due di quei fantasmi avevano un aspetto così familiare.

Ah. Lasciò perdere le nuvole, in quel loro inutile ed immaginario mondo idilliaco per far ritorno alla realtà, per capire che era arrivato. Avanzò in quell’intricato labirinto fatto di tavolini, con le mani in tasca ed un sorriso strafottente a coprirgli il volto.

Perché era già arrivato, dannazione, e non era ancora minimamente pronto. Non che lo sarebbe stato mai.

«Gilbert! »

La voce allegra dello spagnolo lo fece ritornare nuovamente alla realtà, e mentre scansava le ultime sedie, cominciò a ridere, un po’ come sempre.

«Ragazzi! »

Rispose lui con la sua solita voce roca, mentre Francis gli sorrideva assottigliando gli occhi come un gatto.

«Bon arrivé mon ami! »

Cinguettava il francese nella sua lingua madre, in quella lingua che così tanto amava ma di cui l’albino non riusciva a capire nemmeno una parola.

Si salutarono col sorriso sul volto, come al solito. Si strinsero calorosamente, mostrando un affetto che non nascondevano a nessuno, come al solito. Risero e parlarono a cuore aperto, sicuri di trovare fidati amici al loro fianco, come al solito.

Era tutto come sempre, come i bei vecchi tempi.

Erano loro, il trio più magnificamente male assortito che il mondo abbia mai potuto ammirare, eppure non erano loro.

C’era qualcosa di diverso in quella loro solita routine.

C’era qualcosa che stonava in quel coro di voci, come i silenzi di Gilbert, che si andavano facendo sempre più lunghi man mano che le ore passavano, come i volti smunti e stanchi di Antonio e Francis che rimanevano grigi nonostante le sincere risate, un po’ come quella bella piazzetta in cui si trovavano.

C’era qualcosa di diverso, e tutti ne erano a conoscenza.

C’era qualcosa di diverso, ed era inutile nasconderlo.

C’era qualcosa decisamente di diverso, e Gilbert rimaneva in silenzio.

«Mon Gilbert. »

La voce bassa e sensuale del francese attirò la sua attenzione, facendogli portare lo sguardo al suo.

Ormai era calata la notte, i bei lampioni di ferro battuto illuminavano il veloce via vai di quel luogo, mentre la luna faceva appena capolino dai tetti delle antiche case.

Tutto di quel luogo gli suggeriva un malinconico silenzio, come una lenta ninna nanna, una richiesta di rispetto. Una flebile preghiera, in rispetto di quel grigiore di morte che appannava l’aria, una breve pausa per ciò ch’era avvenuto fra quelle strade parigine, per il sangue versato in quello stesso luogo, così come in innumerevoli altre vie e città.

Era quel grigiore a zittire l’animo di Gilbert, lo stesso che appannava gli occhi di Francia e di Spagna. La stessa triste melanconia che gli aveva inculcato lui, con i suoi cannoni e i suoi fucili, con il loro stesso sangue, quello del loro popolo che lui stesso aveva versato.

Non era qualcosa di facile ferire coloro che più amavi. Non era cosa facile ritornare a sorridere dinnanzi a loro dopo un tale crimine.

«Mon ami. »

Il sussurro di Francia lo risvegliò dai suoi pensieri, e lo sguardo vacillò di fronte a quello delle altre due nazioni. Vagava sulle ferite sul volto dello spagnolo, che ormai non erano altro che graffi. Si soffermavano sulla postura del francese, così rigido sulla sedia per chissà quale ferita.

E non riusciva a mantenere il solito sguardo superiore, incrociando i loro sorrisi. Non dopo averli trattati in quel modo.

Non avrebbe mai smesso di credere nel nome in cui aveva combattuto, mai. Ma nessuno avrebbe potuto pretendere che rifiutasse la sua parte umana, e di non vacillare di fronte al senso di colpa, di cadere sotto il suo stesso peso.

Mai.

«Come ai vecchi tempi, Gilbert. »

Esclamava gioioso Antonio, alzando un boccale di birra.

Lo stesso faceva Francis, rimangiando per più tardi il risentimento per quella pessima scelta, il vino sarebbe stato più romantico.

E Gilbert guardava i due, con i cremisi occhi sgranati. E fece lo stesso, innalzando il suo boccale e ridendo come uno stupido.

Era uno strano trio, quello. Era male assortito sotto ogni punto di vista, fatto di persone che realmente persone non erano, e per lo più sciocchi. Non facevano altro che ridere e bere, eppure era un trio magnificamente male assortito, e chiunque poteva dirlo, mentre ridevano, e l’albino tratteneva sotto le palpebre delle poco magnifiche lacrime.

Era così stranamente magnifico perché ogni volta ricominciavano da capo, come ai vecchi tempi. E ogni volta riuscivano davvero a ritornarci.

Era un bel trio di zucche vuote, ma erano davvero degli ottimi amici.

 

 

 

 

   
 
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