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Autore: Elanor89    14/01/2012    2 recensioni
Quando Andrea si sveglia con entrambi i polsi legati non ricorda neanche il proprio nome. La sua mente è una tabula rasa e ogni cosa le è estranea. Sarà Logan a raccontarle la sua storia, sarà Adam a rivelarle la verità. Ma è da sola che dovrà imparare ad accettare se stessa per andare avanti e non commettere di nuovo gli stessi errori.
Un intreccio di vite, sentimenti e bugie: "perché la bellezza nasce dagli ostacoli, sempre."
Genere: Fantasy, Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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*




Capitolo II

 

Mi accompagnò per entrambi i piani dell'edificio, una villetta monofamiliare con un grande giardino, mostrandomi diversi bagni, le comode camere per gli ospiti, uno studio adibito a laboratorio, la camera da letto e un ampio salotto, il tutto arredato in modo minimale ma raffinato, la stanza dalle pareti imbottite in cui mi ero risvegliata a concludere il giro.
Vidi la coperta ripiegata su una delle sedute del divano blu scuro, rivolto al televisore ultrapiatto. Era decorata a patchwork e le diverse stoffe nelle tonalità del blu e delle più disparate fantasie erano accostate a formare motivi floreali e geometrici, con un sottile filo dorato a tenere insieme ogni elemento, curvandosi qua e là in delicati ghirigori.

 

Ero seduta su quel divano, accoccolata alla spalla di Logan. Lui era beatamente appoggiato allo schienale con un braccio stretto intorno alle mie spalle, le dita inconsapevolmente intrecciate ai miei capelli. La mia schiena aderiva al suo fianco, ma il mio viso era rivolto verso il suo, il mio sguardo perso a metà strada tra i suoi occhi lucidi e le sue labbra, nonostante il televisore acceso. Ero avvolta in quella coperta che sapeva di familiarità, di casa, mentre sentivo le sue dita calde spostarsi ad accarezzarmi le scapole lasciate scoperte da una felpa troppo grande. Lo vidi socchiudere gli occhi mentre cercava di leggermi l'anima con quel suo sguardo limpido e pulito. Aveva un'espressione seria, nessun sorriso a piegare quelle labbra, che invece si erano protese lentamente verso le mie, sfiorandole con cautela. Avevo sentito un calore improvviso sciogliere il mio basso ventre, mentre realizzavo ciò che stava accadendo. Mi ero irrigidita immediatamente, allontanandomi quanto necessario per interrompere quel contatto.
- Scusami, non avrei dovuto...- mi diceva imbarazzato.
- Io sono...
ciò che sono... Carter, come puoi...?-
- Di che stai parlando?- mi aveva chiesto confuso.
- Come puoi volere...- non avevo saputo continuare. Aveva l'aria oltraggiata.
- Come posso volere cosa?- aveva insistito.
Ero rimasta in silenzio, il battito furioso del mio cuore a ricordarmi di essere viva.
- Sei una donna intelligente, Andrea, sei aggraziata, attraente... Sei decisa, hai carattere. Questo è ciò che vedo...Ed è questo
ciò che sei...- aveva detto, duro, con lo sguardo incatenato al mio. Ero rimasta in silenzio, incapace di ribattere.

- Perciò non provare a dirmi che non posso... A meno che non sia tu a non volere.-
Mi ero sentita travolgere da quelle parole, incapace di dare un senso a quello che stava accadendo. Come poteva volere
me?Ero sbagliata, ero un errore della natura... e lui lo sapeva meglio di chiunque altro. Come riusciva a guardare oltre? Avevo sentito una lacrima rompere gli argini delle mie perplessità, le sue dita spazzarla via dalle mie guance in una carezza delicata. Le mie mani avevano trovato appiglio nella sua camicia e lo avevano avvicinato a me, mentre le nostre labbra si ritrovavano.



Sentii una mano sfiorarmi lieve una spalla, mentre riprendevo consapevolezza del presente.
- Stai bene? Avevi lo sguardo perso nel vuoto...- mi chiese lui con ansia.
Mi voltai a incontrare i suoi occhi, con lo stomaco in subbuglio. Quel ricordo mi aveva destabilizzata: non ero pronta a quello.
- Il tuo cognome è Carter...- dissi, in un sussurro.
- Si, esatto!- mi sorrise rassicurante.
Mi sforzai di ricambiarlo, avvicinandomi alla libreria dove erano sistemate delle cornici di semplice legno colorato, a racchiudere delle fotografie di diverse dimensioni.
Ne sfiorai i contorni, mentre guardavo me stessa ritratta in quelle istantanee: sulle sue spalle in mezzo alla neve, in giardino con i capelli al vento, seduta tra le sue gambe sul prato verde acceso, con i capelli raccolti da un pennello mentre coloravo di sogni una tela.
- Ho visto
qualcosa- confessai. Logan si spostò dalle mie spalle al mio fianco cercando i miei occhi.
- Ti va di dirmi di che si tratta?-
Le mie guance si tinsero di rosso e il mio sguardo lasciò il suo per tornare alla coperta.
Lui lo seguì, trovando in fretta l'oggetto della mia attenzione.
- L'abbiamo comprata insieme, qualche tempo fa...- disse, imbarazzato. Sapeva che non mi riferivo al momento dell'acquisto. Probabilmente anche lui collegava a quella coperta lo stesso episodio che la mia memoria mi aveva concesso di rivivere.
- Ho ricordato il nostro primo bacio...- mormorai – Quando è successo?-
Lui si schiarì la voce.
- Sono passati due mesi...- rispose.

Due mesi... Avrei dovuto ricordare. Avrei voluto provare qualcosa, qualsiasi cosa, ma non c'era nulla. Niente dentro di me a indicarmi cosa fare, nulla eccetto una fitta nebbia che mi privava delle percezioni e mi opprimeva i polmoni.
Era imbarazzata, il senso di colpa stava strisciando lento, insinuandosi nelle pieghe della mia anima e vanificando ogni proposito di rimanere calma.
Il campanello interruppe quelle riflessioni angoscianti, scuotendomi.
- Vado in bagno...- dissi, prima ancora di sapere chi fosse alla porta.
Mi chiusi nella camera, appoggiandomi al lavabo con entrambe le mani, lo sguardo allo specchio davanti a me. I capelli rosso scuro ricadevano scompigliati sulle mie spalle e i miei occhi erano segnati da scure ombre che si confondevano tra le efelidi attorno al naso. Avevo graffi sul collo e sulle mani, ferite appena richiuse sui polsi, e il maglione troppo grande di Logan mi faceva apparire magra e smunta, le forme nascoste tra il cachemire grigio chiaro.
Non ero l'immagine del benessere e avevo bisogno di una doccia calda che mi togliesse quel gelo che sentivo nelle ossa.
Mi spogliai, gettando l'intimo nel cesto dei panni da lavare, e mi infilai nella doccia, azionando il getto dell'acqua alla temperatura più calda che riuscissi a sopportare. Trovai del bagnoschiuma alla vaniglia e dedussi che dovesse essere mio, insieme allo shampoo profumato appoggiato su un ripiano. Compivo quei gesti automaticamente, come passi di una danza che non ricordavo, ma che il mio corpo non esitava a ripetere guidato dall'istinto. Perciò chiusi gli occhi, lasciando che l'acqua lavasse le mie ferite e la mia paura, e dopo un tempo che mi parve lunghissimo uscii dalla nuvola di vapore e mi infilai nell'accappatoio.
Nella fretta di nascondermi in quella camera non avevo pensato a prendere un cambio, perciò avrei dovuto attraversare buona parte del pianterreno per raggiungere l'armadio dove, mi aveva detto Logan, si trovavano i miei abiti.
Aprii la porta con rassegnazione e rabbrividii al contatto con l'aria fredda, maledicendo la mia dimenticanza, due voci maschili provenienti dalla cucina a coprire il suono dei miei passi attutiti dal tappeto rosso.

Sapevo di dover passare davanti a quella stanza, ma mi auguravo di non attirare l'attenzione di nessuno mentre scivolavo via veloce, badando solo a non farmi scoprire in quelle condizioni. Le parole dei due, però, mi impedirono di rimanere fedele a quel piano e mi inchiodarono lì, a un passo dalla porta, rigida nella mia posizione.
- Le ho iniettato il siero in ritardo, ma la trasformazione si è arrestata.... Non capisco...- diceva Logan, la voce incrinata dalla preoccupazione.
- Siamo ancora in fase sperimentale... è stato un incidente, una variabile che non abbiamo considerato...- rispose l'altro, il tono più indulgente.
- Non siamo
più in fase sperimentale, lo sai benissimo. Non stiamo parlando di Eloise... o di non so quale delle cavie disseminate sul sentiero dei nostri insuccessi. Qui si tratta di Andrea.- esclamò l'altro con una certa agitazione.
- Beviamo un caffè, ok? Ho bisogno di pensare lucidamente. E comunque ero affezionato a Eloise...-
- Macchiato con due cucchiaini di zucchero?- domandò Logan con un sospiro, aprendo l'anta del mobile che custodiva le tazze da caffè.
- Ovviamente.- rispose l'altro.
Ero talmente concentrata su Logan, appena nascosta dallo stipite della porta, da non notare che il suo ospite mi stava guardando con insistenza, studiando il mio abbigliamento e la mia espressione.
- Ciao, Lentiggini- mi appellò.
Lo osservai per un attimo, ricambiando l'intensità del suo sguardo. Dovevo essere impazzita per mettermi ad origliare conversazioni che ovviamente non avrei dovuto sentire, per di più in quello stato.
- Ciao, Carter- risposi in imbarazzo, portando le braccia a coprirmi il petto.
Il suo sorriso mi abbagliò della consapevolezza di avermi colta in fallo, illuminando il suo viso abbronzato in netto contrasto con gli occhi di quello stesso verde chiaro che colorava le iridi di Logan, fermo all'altro capo della stanza.
Era appoggiato con indolenza al piano colazione, la camicia scura aperta di un paio di bottoni a lasciare intravedere la pelle glabra e ambrata dei pettorali e aveva la barba lunga di un paio di giorni, a conferirgli quell'aria studiatamente trasandata che era il suo marchio di fabbrica.
La malizia nel suo sguardo mi fece sentire nuda.
- Vado a vestirmi...- proclamai, dirigendomi alla camera da letto intenzionata a mettere tra il mio corpo e quegli occhi quanti più strati di stoffa possibili.
Indossai dei jeans scuri, un paio di ballerine e un maglione morbido bianco, che metteva in risalto il rame dei miei capelli, ormai quasi asciutti. Per quanto volessi non potevo rimanere chiusa in camera, sapevano che avevo ascoltato e probabilmente aspettavano la mia ricomparsa per darmi qualche spiegazione. Perciò presi il coraggio a due mani e mi diressi di nuovo verso la cucina, fermandomi sull'uscio della stanza, immersa nel silenzio. Fu Logan a prendere la parola.
- Andy... non so se ricordi mio fratello...- disse.
Annuii. Lo ricordavo, o meglio, avevo
saputo chi fosse non appena lo avevo visto. Logan piegò la testa di lato, cercando di nascondere la sua perplessità.
- Adam ha collaborato alla sintetizzazione del siero contro la mutazione che ti ho iniettato negli ultimi otto mesi...- aggiunse.
- Fratellino, credo che la parola
collaborare non mi renda giustizia- rispose l'altro con una risata – Diciamo che finanzio la ricerca di cui Logan è l'esecutore materiale...-
- Mutazioni?- chiesi per l'ennesima volta da quella mattina.
- Non mutazioni.
La mutazione.- sottolineò Adam, con fare sbrigativo.
- Continuo a non capire...- confessai, con voce frustrata. Odiavo sentirmi così, incapace di seguire il senso di quelle parole senza dover chiedere spiegazioni che evidentemente avrebbero palesato qualcosa di ovvio.
- Sei un licantropo, Andrea...- mi rispose Logan, con un tono rassegnato che mi gelò le ossa.
- Mi prendi in giro?- chiesi, scettica, ma entrambi avevano un'espressione seria che non prometteva nulla di buono.

- Cerchiamo di fermare il processo di trasformazione di volta in volta, ma è evidente che qualcosa ci è sfuggito... Un ritardo di qualche minuto nella somministrazione dell'antidoto non avrebbe dovuto causare degli effetti che stai manifestando...-
Sentii le loro voci farsi ovattate mentre la realtà perdeva concretezza. Vidi Adam scattare verso di me prima che potessi toccare il suolo, sbattendo la testa.
Mi ritrovai distesa sul divano del salotto, con le gambe sollevate per convogliare il flusso sanguigno verso l'alto e due paia di occhi verdi a fissarmi. Logan era in ansia, palesemente agitato dalla mia perdita di coscienza, Adam era
sollevato.
- Stai bene?- mi chiese, asciutto.
- Si, certo- dissi scettica.
- Beh, non posso darti torto. La prima volta che ti sei trasformata sotto ai miei occhi ero sconvolto anch'io. Hai spaccato un vetro antiproiettile e ti sei spezzata un omero... Una brutta frattura scomposta...- mi rispose - Hai ancora la cicatrice sulla spalla- mi invitò a controllare.
Scostai il collo del maglione e fissai la spalla destra, notando il segno di numerosi punti di sutura.
- Logan ha dovuto sedarti, ma ha potuto metterti a posto solo il mattino seguente, urlavi come una banshee.- continuò.
Mi alzai a sedere, guardando Logan che mi porgeva un bicchiere di succo d'arancia.
- Non hai fatto colazione... Devi reintegrare gli zuccheri...- spiegò.
Afferrai il bicchiere e bevvi, asciugandomi le labbra con la lingua. Vidi Adam distogliere lo sguardo e Logan sorridermi più sereno.
- Da quando...? Da quanto tempo sono un... licantropo?- chiesi incerta.
- Non ne abbiamo la minima idea. Nessuno conserva memoria di quando è stato morso, ma in genere passano diversi mesi prima che il veleno entrato in circolo causi la mutazione genetica...-
- Non ricordo nulla... Niente di niente- ammisi mesta. Il silenzio gelò l'ambiente per un tempo lunghissimo.
- Posso accompagnarti al tuo appartamento, o nella vecchia casa dei tuoi genitori se vuoi...- rispose Adam infine – Magari ti aiuterà a rimettere insieme i pezzi.-
Li guardai entrambi. Logan sembrava contrariato, probabilmente sorpreso da quelle parole inaspettate, Adam invece era in attesa. Mi fissava negli occhi, senza la minima esitazione, e cercava di scavarmi dentro, le labbra piegate in quella posa sardonica che gli disegnava una fossetta sulla guancia destra.
- Ti ringrazio...- dissi, con un breve sorriso – Sono pronta ad andare quando vuoi.-
- Adesso?- mi chiese.
- Sarebbe perfetto- risposi.
Mi alzai in fretta, diretta all'appendiabiti all'ingresso e afferrai il mio cappotto grigio che Logan mi prese dalle mani per aiutarmi ad indossarlo.
- Andrea...- cercò di dire – Non ho idea di cosa sia successo questa notte, ma vorrei che mi avvisassi se dovessi avvertire strani sintomi.-
- Che sintomi?-
- Capogiri, dolori articolari, annebbiamento... incapacità di formulare pensieri in parole...- mi elencò, professionale.
- Ok.- risposi, reprimendo un brivido.
- Chiamami per qualsiasi cosa.- aggiunse, mettendomi tra le mani un cellulare – Io rimarrò in casa a cercare di rimediare a questo disastro...-
- Tranquillo, fratellino, penserò io a lei.- lo rassicurò Adam, che infilò la giacca di pelle e mi aprì la porta – Dopo di te...- aggiunse.
Gettai un ultimo sguardo a Logan che osservava dalla soglia di casa me e suo fratello percorrere il vialetto acciottolato verso una macchina sportiva. Una biposto nera metallizzata di cui il mio accompagnatore disattivò l'antifurto per poi varcarne l'abitacolo.
Lo imitai e in breve mi ritrovai ad aderire violentemente al sedile per una partenza a tutta velocità che fece stridere gli pneumatici sull'asfalto.
- Allaccia la cintura – mi ordinò serio - Davvero ti ricordi di me?- mi chiese poi.
Lo guardai con attenzione, osservando il suo profilo elegante e l'atteggiamento perennemente sarcastico che tanto lo distingueva dal fratello.
- Non esattamente...- spiegai – Ricordo solo il tuo nome e che
odio quando mi chiami Lentiggini-
Sorrisi, lieta del passo avanti che la mia memoria stava cercando di compiere, ma mi accorsi subito che lui non condivideva con me quella sensazione. Sembrava improvvisamente infastidito dalla mia presenza.
- Sono certo che tu non ti sia disturbata a prendere le chiavi di casa...- constatò acido.
- Io... sono ancora confusa...- cercai di giustificarmi, presa alla sprovvista – Mi dispiace... sono davvero mortificata...- mi scusai
- Ma non avrebbe avuto senso arrivare fin qui per sentirti mormorare delle scuse, non credi?- domandò retorico, senza nemmeno ascoltare la mia pietosa ammenda – Per fortuna le ho prese io.-
- Sul serio?- chiesi, sentendomi un'idiota.
- Odio le perdite di tempo, Lentiggini.- mi rispose, seccato.
- E accompagnarmi in giro nel tentativo che io ricordi qualcosa non rientra tra le perdite di tempo?- lo sfidai.
- No.- rispose secco. Mi aveva zittita. Non una spiegazione, niente argomentazioni.

Non era una perdita di tempo, punto.
Cominciavo a pensare che provasse piacere nel farmi sentire più inadeguata di quanto non mi sentissi già.
Mi accorsi che eravamo già arrivati quando mi aprì la portiera.
- Andiamo?- mi chiese supponente, scostandosi dalla apertura il necessario affinché uscendo dall'auto gli finissi dritta tra le braccia.
- Se siamo venuti fin qui perché potessi saltarmi addosso credo che rimarrai molto deluso...- dissi severa, guardandolo dritto negli occhi. In quelle iridi non c'era nulla della trasparenza oltremare dello sguardo del fratello. Erano profonde, agitate. Inquiete.
- Ti sbagli di grosso, te lo assicuro...- rispose, chiudendo la portiera alle mie spalle e guidandomi per un gomito lungo il marciapiedi fino all'edificio che svettava di fronte a noi, coperto per la maggior parte di vetri a specchio.
- Buongiorno, signorina Evans!- mi salutò il portiere. Ricambiai il saluto e mi diressi verso l'ascensore. Una volta oltrepassate le porte attesi l'ingresso di Adam e premetti automaticamente il tasto numero 8. Le dita del mio accompagnatore si strinsero attorno al mio polso, serrandolo in una morsa niente affatto delicata.
- A che gioco stai giocando?- ringhiò al mio orecchio.
- Che intendi dire?- chiesi sbigottita. Tentai di sottrarmi alla sua presa, ma lui mi trattenne, maltrattando ulteriormente il polso già ferito dalle cinghie. Sentii le fibre di lana sfregare contro i lembi di pelle appena richiusi, forzandoli a riaprirsi.
- Sei una brava bugiarda, probabilmente quell'idiota di mio fratello crederà a questa messinscena, ma non pretendere di ingannare anche me...- continuò, arrabbiato.
- Non so di cosa... ahi!- mi lamentai quando strinse più forte.
- Non ho mai detto che saremmo andati all'ottavo piano...-
- Io... è stato un gesto automatico, Carter... Mi stai facendo male!-
- Cosa stai cercando di fare?!- mi accusò.
Il
dlin che annunciava il nostro arrivo al piano interruppe quella conversazione. All'apertura delle porte un uomo di mezz'età con un grande labrador al guinzaglio ci si parò davanti.
- Buongiorno Andrea- mi salutò. Sorrisi, cercando di dissimulare la tensione.
- Buongiorno a lei, buona passeggiata Vincent- dissi, rivolta prima all'uomo e poi al cane.
Adam mi trascinò alla porta d'ingresso dove una targhetta dorata di forma ovale portava il mio nome.

Lo vidi prendere le chiavi dalla tasca della giacca e infilare quella più lunga nella toppa, per poi ruotarla tre volte e spalancare la porta.
- Prima le signore- disse, spingendomi dentro e lasciandomi finalmente il braccio.
- Si può sapere cosa ti prende?- lo ammonii, massaggiandomi il polso, ormai in pessime condizioni. Eravamo in piedi, al centro del mio ampio ingresso.
- Lo hai rifatto.- mi accusò, gelido – Tu stai mentendo, è chiaro. Quello che non capisco è a che gioco tu stia giocando...-
- Perché mai dovrei mentire sull'aver perso la memoria?- chiesi sconvolta.
- La domanda è: perché dovresti aver perso la memoria?-
- Tu non mi credi?!- lo aggredii sconvolta – Allora cosa ci fai qui? Perché mi hai accompagnata?-
Mi trafisse con lo sguardo, trattenendo a stento una smorfia.
- Guardati: ti reggi a stento in piedi, non avresti fatto neanche un passo senza di me...- mi disse, sprezzante.
- E questo cosa avrebbe a che fare con te?- ribattei.
-
Tutto ha a che fare con me.- ringhiò – Dove tieni le bende? Ti sanguina un polso...-
- Non... non ne ho idea...- risposi.
- In tal caso frugherò tra la tua roba.-
Mi lasciò di colpo, inerme, in quello stato confusionale che non mi permetteva di riconoscere nemmeno le mie stesse cose, vittima di quell'amnesia che mi stava risucchiando ogni energia.
Sentivo rumore di cassetti chiusi con violenza, fruscio di stoffe spostate con malagrazia, ticchettii di oggetti che abbandonavano la loro collocazione, il tonfo di qualcosa caduto sul parquet della mia camera da letto.
Poi fu il silenzio.
- Carter?- lo chiamai. Non ricevetti risposta, perciò decisi di avvicinarmi e di controllare cosa stesse succedendo.
Percorsi incerta il lungo corridoio e mi fermai davanti all'ultima porta sulla destra, meravigliandomi della scena che trovai all'interno: Adam era seduto su una sponda del letto a due piazze, un cassetto del mio comodino semi aperto, con un orologio da polso tra le mani.
- Stai bene?- indagai. Una strana ansia mi stava cogliendo a quella vista, come se quella scena non avesse dovuto verificarsi.
- Si... ho trovato il mio orologio...- mormorò.


 

*


 

  
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