INNAMORATO
DELLA LUNA.
Si
risvegliò, come al solito, nella radura
completamente vuota.
Aprì
gli occhi.
Poi
li richiuse.
Sbuffò
e si girò pancia in giù.
Non
aveva nessuna voglia di ritornare alla fattoria.
Rimase
lì, steso, per altre due-tre ore fino a quando il suo
stomaco non iniziò a
reclamare cibo. Si alzò e camminò, strascicando i
piedi, fino alla fattoria.
Mangiò. Non aveva nessuna voglia di lavorare. Si
abbandonò sul letto deciso a
rimanervi per tutto il giorno, ma le pecore iniziarono a belare
perché volevano
andare al pascolo. Le ignorò, ma loro non desistevano.
“Va
bene, va bene! Ho capito!” gridò.
Poi
si alzò e contro voglia portò il gregge a
pascolare.
Finalmente
il giorno finì e il sole tramontò, portando con
sé rosa e arancione, per lasciare
il posto al blu della notte.
La
luna in semplice forma di falce, troneggiava in quel cielo pieno di
stelle
governate dalla cetra di Orfeo.
Alessandro
si avvicinò al suo albero di amamelide. Era da un
po’ di tempo che non si
sedeva più sotto i suoi rami, gli era mancato, anche se la
ragione di questa
sua assenza era più che valida. Sfiorò la
corteccia, accarezzò le foglie e
ammirò i fiori. Fin da quando era nato, si era sentito
legato a quell’albero.
Si sedette appoggiando la schiena al tronco e volse gli occhi al cielo.
La
salutò, salutò la luna e la fanciulla allo stesso
tempo. Allungò una mano verso
il cielo come a volerla toccare, a voler sentire ancora il calore della
sua
mano.
“Mi
manchi già!” disse.
Poi
il silenzio. Si fermò a guardarla. Adesso lui sapeva, adesso
lui era
consapevole che anche lei lo stava guardando. La contemplò
per tutta la notte,
fino a quando non si ritirò dentro casa perché il
sonno iniziava a farsi
sentire, la contemplò senza nessuna parola
perché, in quella prima volta che guardò
la luna con la consapevolezza di amarla, era proprio di quello che
aveva
bisogno . Fu in quel silenzio carico di soli pensieri e sentimenti che
Alessandro capì nel profondo di sé stesso di aver
trovato il motivo per il
quale era nato in questo mondo.
I
giorni si susseguivano come le notti e appena la luna compariva nel
cielo
Alessandro si sedeva, a volte sotto l’albero di amamelide, a
volte nella radura
vuota, e poi la salutava. A volte parlava, a volte restava
semplicemente in
silenzio, ma ogni volta fissava dentro la sua mente
l’immagine della luna che
illuminava il blu della notte. Pensava a tutti quei giorni in cui,
ignaro di
tutto, si era sentito un po’ stupido a considerare la luna
come un’amica e
adesso…adesso la sua voce gli risuonava nella mente come una
dolce melodia,
perché lei era reale. Pensando a tutto quello che lei poteva
vedere, dalle
distese di acqua alle enormi montagne, si incantava a guardarla, sia
quando
risplendeva in un cielo limpido, sia quando si vedeva solo la sua luce
attraverso
le grigie nubi che oscuravano il cielo.
“Lo
sai,” disse in una di quelle notti “non avrei mai
pensato di potermi innamorare
così. Eppure eccomi qua, e l’unica cosa che
desidero è averti accanto. E’ così
difficile poterti vedere solo tre volte al mese, ma purtroppo non
possiamo
farci niente.” sospirò, abbassò la
testa e poi ritornando con lo sguardo alla
luna proseguì.
“Non mi importa
però!” disse per tornare a far
sorridere la fanciulla che sicuramente si era intristita ”Mi
basta sapere che
tu ci sarai sempre per me!”
Poi
rise di gusto.
“Cavolo,
non avrei mai pensato di poter dire delle cose tanto…dolci.
Sto diventando
davvero romantico ed è tutta colpa tua!” rise
ancora tra sé e si perse nei suoi
pensieri.
Fino
a qualche mese fa quello che vedeva davanti a sé era solo
una vita di lavoro
tra la fattoria e il villaggio. Certo non aveva mai disdegnato
ciò che lo
attendeva, era un’ottima vita, con una casa e di che
mangiare, gli abitanti del
villaggio dicevano che era molto fortunato, ma a lui quella vita
sembrava
vuota. Tutti erano molto gentili con lui, come d’altronde lo
era lui con loro,
ma nessuno si interessava veramente ad Alessandro. Nessuno voleva
sapere
veramente chi fosse lui, ma soprattutto nessuno si era fidato di lui,
era solo
tutto un saluto e lavoro, niente di più. Così si
era arreso alla via che gli si
presentava davanti. Poi, però, aveva conosciuto lei: lei che
lo aveva ascoltato
in silenzio, lei che si era fidata. Adesso nella via davanti a lui
c’era la
fanciulla, si era seduta lì proprio nel centro e poi gli
aveva sorriso.
“Ti
amo.” gli passarono fulminee nella mente quelle tre parole.
Lasciò
cadere il sasso che aveva tra le mani e con il quale stava
giocherellando. Era
la prima volta che la voce del suo pensiero riecheggiava in quelle
parole. Era
come spaventato, potremmo dire, era stato colto di sorpresa. Poi si
ricordo
della promessa fatta alla fanciulla, pensò a come la sua
vita era cambiata e
accolse quelle parole dentro di sé perché aveva
capito che non erano una
sorpresa, ma solo quello che provava detto nel modo più
bello e semplice
possibile. Doveva dirglielo, doveva farglielo sapere. Mosse le labbra
e… non ne
fece uscire alcun suono. Mancava qualcosa, era come se non fosse ancora
il
momento.
“Fa
niente!” pensò cercando di consolarsi
“quando arriverà il momento sarà
fantastico!”
La
salutò e rientrò in casa.
I
giorni si susseguivano, come le notti e ne mancavano solo tre alla
prima luna
piena da quando Alessandro aveva scoperto chi era la fanciulla.
Quella
mattina si svegliò dopo aver fatto lo stesso sogno che,
ormai, faceva
dall’ultima volta che aveva incontrato la fanciulla. Era
sempre lo stesso sogno
che aveva fatto da quando aveva visto l’albero di amamelide
al centro della
radura, e, come al solito, il finale cambiava. Questa volta dopo il
buio gli
appariva, nitida, l’immagine di lui e la fanciulla uniti in
un dolce bacio. Non
sapeva proprio perché quel sogno lo perseguitava. Forse il
suo inconscio voleva
aiutarlo a scoprire il segreto della fanciulla, ma lui non riusciva
proprio a capirlo.
Intanto
mancavano solo tre giorni alla notte in cui la fanciulla sarebbe scesa
sulla
Terra e lui non poteva vederla. Cavolo!
Si
buttò sul letto e si coprì la testa con il
cuscino. Un, due, tre minuti e i
pensieri diventarono più confusi. Sentì il sonno
prendere il sopravvento: non
era possibile, si era appena svegliato. Si preoccupò, non
era la prima volta
che gli succedeva. In quelle due ultime settimane, dalla notte in cui
era
svenuto nella radura, era sempre più stanco. Non riusciva
proprio a capire. Un
ultimo pensiero alla fanciulla e poi si addormentò.
Quella
notte nessun saluto fu portato dalla notte alla luce della luna che
risplendeva
quasi piena in un oscuro cielo.
NOTE
DELL’AUTRICE:
Ecco il
capitolo 6. Non è un capitolo molto lungo, più
che altro è un
capitolo introduttivo al prossimo.
Intanto
sto scrivendo il capitolo prima dell’epilogo.
Ciao!!!=)