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Autore: Smollo05    16/01/2012    2 recensioni
Siamo prigionieri di questo luogo. Prigionieri del tempo. Intrappolati nell’unico singolo instante di cui abbiamo memoria: quello che avrebbe potuto salvarci dall’oblio, quello di una decisione fondamentale. La scelta che ci avrebbe fatti ricordare in eterno.
Genere: Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Avevo preso l’ abitudine di fare una breve passeggiata dopo cena, a volte accompagnata da Yusuf, che mi offriva allegro il braccio. Quella sera uscii da sola. Scesi in spiaggia togliendomi le scarpe, inspirai l’aria salmastra. Affondai i piedi nella sabbia fredda … amavo quella sensazione. Feci per mettere i piedi in acqua, ma fui costretta a bloccarmi: a pochi metri da me, sul bagnasciuga giaceva svenuto un uomo. Un altro. Mi feci forza e coraggio, lo afferrai per le braccia e lo trascinai a terra. Tossiva. Cominciò a lamentarsi con una voce debole e fioca, delirava. Gli poggiai istintivamente la mano sulla guancia per tranquillizzarlo.. Era gelata. “Shh, sei al sicuro. Sta’ tranquillo! ”Chiamai Yusuf e attesi accanto all’uomo che ci raggiungesse. “Sofia, Sofia stanno arrivando!” , aveva preso ad urlare all’improvviso. Gli strinsi la mano, pregandolo di stare calmo, ma fu del tutto inutile. Furono solo i sedativi a tranquillizzarlo. Non smise di pronunciare quel nome finché non piombò nell’incoscienza del sonno. Lo portammo dentro e lo adagiammo sul divano. “Domani starà meglio”, mi rassicurò Yusuf, uscendo dalla stanza. Chiunque fosse stata Sofia, doveva essere una donna davvero molto fortunata. Senza accorgermene, accarezzai i riccioli dell’uomo addormentato.

Misi da parte gli studi per dedicarmi al nuovo arrivato, sentivo gli sguardi di disapprovazione di Yusuf perforarmi la nuca, ma non mi importava. Prendermi cura di lui era un bisogno fisico, frenetico. L’uomo non parlava, Yusuf ipotizzò fosse muto, ma io scuotevo la testa. Avevo sentito la sua voce, non potevo essermi sbagliata. La sentii di nuovo, un pomeriggio, mentre ero sola in casa. Avevo preso un libro a caso dalla libreria e avevo iniziato la lettura. “Grazie”, disse. La sorpresa fu tale da farmi cadere di mano il libro. Lo raccolsi, cercando qualcosa di gentile da dire, ma mi uscì un semplice “Di niente”. Poi mi rituffai nella lettura. L’iniziale antipatia di Yusuf verso il nuovo arrivato andò via via scemando. Una volta passata la febbre, cominciò ad aiutarlo nei lavori più pesanti e sembrava che in lui riconoscenza e resistenza non avessero limiti. Gli chiesi se avesse bisogno di un nome e mi rispose che aveva già il suo: Giosuè. Per quanto mi stupii del fatto che lo ricordasse, lo fui ancora di più quando mi confessò che quel nome non era l’unica cosa che ricordava del proprio passato. Anche se tentava di disfarsene, i ricordi tornavano sempre a bussare alla sua porta. Col passare del tempo cominciò ad aprirsi, raccontava con la voce che tremava, quasi il solo parlare gli costasse uno sforzo immane. Ascoltai le storie del suo paese, della sua infanzia. Diceva di essere cresciuto e di essere stato felice, aveva una bella moglie, una bella casa e abbastanza soldi per dedicarsi a tempo pieno alla stesura dei suoi romanzi. Poi la guerra cambiò tutto e lui finì come tanti altri della sua etnia, con un grazioso tatuaggio azzurro sul braccio a spaccare pietre. Restavo in silenzio, senza parlare. Pensavo a qualcosa da dire, poi mi rendevo conto che qualsiasi parola sarebbe stata superflua. Allora, quando il silenzio si allargava, Giosuè cambiava irrimediabilmente discorso. “Allora … vuoi veramente andartene.” Non era una domanda e neanche un’ affermazione. “Più o meno..” Prima del suo arrivo, Yusuf ed io avevamo provato in vari modi a lasciare l’Isola, ma senza risultato. Ogni qualvolta prendevamo il largo e già credevamo di avercela fatta, una forza misteriosa sembrava ricondurci a terra, come una sorta di magnete. Per quanto navigassimo, l’orizzonte era sempre lo stesso.
“Mettiti l’anima in pace. Non c’è modo di scappare”.Si alzò, dirigendosi alla finestra. “ Non mi arrendo, non ho intenzione di rimanere qui a marcire.” “Il mondo fuori non è come te lo immagini, te l’assicuro. Non c’è modo di andarsene.” “Non puoi saperlo …”, fece un gesto stizzito, interrompendomi. “Invece si. Quest’Isola, questa gente li ho creati io. Alla macchina da scrivere, più di settant’anni fa.
   
 
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