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Autore: Beatrix Bonnie    17/01/2012    1 recensioni
Filosofo mi chiamavano, teologo, profondo conoscitore dei misteri del creato. Io, in realtà, non sapevo bene chi ero. Non capivo dove mi stesse conducendo la mia insaziabile sete di conoscenza e vagabondavo senza meta, stanco di ogni cosa, ma instancabile nella ricerca di qualcosa di meglio. Ero uno spirito inquieto, che non riusciva a trovare la sua collocazione nel mondo.
Dublino, 1185
Al giovane intellettuale sir Gregory è stata affidata dal suo signore una delicata missione da compiere alla corte di re Gilbert del Leinster. Certo, sir Gregory non si immagina che qualcosa verrà a turbare la sua affaticata esistenza: una ragazza, la pace di un vecchio podere di campagna e il profumo di una lontana leggenda.
Genere: Fantasy, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Ciclo di Faerie'
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Liber I





Non era affatto semplice la missione che dovevo portare a termine per conto del mio signore, ma non mi preoccupavo più di tanto: avevo dalla mia parte una cultura approfondita e accurata, il favore delle stelle e soprattutto una buona dose di astuzia.

Me ne stavo seduto sul ciglio di una strada polverosa: non so bene cosa mi spinse a sollevare gli occhi proprio in quel momento, ma subito il mio sguardo fu rapito da un giovane chierico che stava spingendo al trotto il suo mulo, proprio nella mia direzione.

«De profundis clamavi ad te, Domine: Domine, exaudi vocem meam. Fiant aures tuae intendentes in vocem... in vocem?» stava recitando, ma arrivato al secondo verso del salmo si bloccò sovrappensiero. Io ero avvolto nel mio mantello di lana, anche se eravamo in piena estate; tuttavia non fu quella bizzarria ad attirare l'attenzione del viandante nei miei confronti. Fu la mia voce.

«Deprecationis meae» dissi con un sorriso.

Il chierico si voltò verso di me con l'aria sorpresa. «Prego?» domandò, scioccamente, osservandomi come se non avesse mai visto un uomo con un mantello prima di allora.

«Deprecationis meae, è la parola del salmo su cui vi siete bloccato» gli risposi, con un breve cenno del capo.

Il giovane parve illuminarsi: probabilmente la sua memoria gli aveva tirato un brutto scherzo e il mio suggerimento l'aveva sbloccato. «Grazie, buon uomo» annuì con riconoscenza.

Fu allora che mi alzai da terra e levai il cappuccio dal capo, rivelando il mio volto. Certo, non dovevo essere molto più vecchio del mio interlocutore, ma lui, al mio confronto, pareva tanto ingenuo e infantile. Dopotutto, io ero un uomo maturo.

I suoi occhi si soffermarono per un attimo sulla mia feluca -il cappello a punta che portavo calato sugli occhi- e sul mio mantello scuro, ma poi mi rivolse un gran sorriso. «Dove siete diretto?» gli chiesi, cercando di apparire gentile.

«A Dublino, buon uomo. E voi?»

Mi avvicinai a lui e presi ad accarezzare il muso del suo mulo, sovrappensiero. «Dove mi porta il vento» risposi dopo un attimo. Infine gli rivolsi un sorriso enigmatico, nel tentativo di destare la sua curiosità. Quel monaco poteva fare al caso mio: si stava recando proprio dove mi interessava e inoltre era sufficientemente dotto, visto che sapeva il latino, da essere inserito negli alti ambienti della città, il vescovado, di sicuro, e forse anche la corte regale.

«Accompagnatemi fino a Dublino, allora. Il vento tira in quella direzione» propose con giovialità. Io sorrisi: avevo colto nel segno.

«Il mio nome è Gregory. Vengo dalla Scozia» mi presentai con un breve inchino.

«Servo vostro» rispose il chierico, chinando il capo. «Io sono Cormac, un umile canonico della Cattedrale di Christchurch».

«Umile, ma istruito» commentai con un sorriso, incamminandomi lungo la via.

Cormac rimise al trotto il suo mulo con un colpo di tacco. «Anche voi siete istruito» rispose poco dopo, scrutandomi con i suoi profondi occhi nocciola, come se sperasse di scoprire chissà quale verità.

Il mio sorriso si fece nuovamente enigmatico. «Ho viaggiato molto».

Parlare con il giovane Cormac era piuttosto piacevole: era istruito, conosceva non solo le Sacre Scritture ma anche gli autori latini, sapeva le Arti Liberali e il canto gregoriano. Tuttavia la sua cultura non l'aveva reso meno ingenuo e innocente: avevo come l'impressione che fosse manovrabile al punto giusto. Proprio ciò di cui avevo bisogno per il mio piano.

«Che cosa vi ha portato nella verde Irlanda, sir Gregory?» mi domandò ad un certo punto Cormac, incuriosito dalla mia bizzarra figura.

Certo non potevo essere un uomo d'armi, un soldato di ventura, visto che la mia unica arma era un corto pugnale appeso alla cintola. Inoltre ero dotto e istruito: non si poteva sicuramente pensare che fossi un vagabondo o un saltimbanco. Non restavano tanti altri motivi per viaggiare a quell'epoca, soprattutto non in una terra marginale come l'Irlanda dove non c'era nulla che avrebbe potuto attirare dei viaggiatori, se non distese di prati lussureggianti. «Sono uno studioso» risposi in modo vago.

«E che siete venuto a studiare, qui?» domandò Cormac sorpreso, visto che Dublino non era certo un famoso centro di cultura.

Mi strinsi nelle spalle. «Non lo so nemmeno io» sussurrai in un tono che voleva apparire affranto. «Cercavo solo un posto che mi ricordasse la mia amata Scozia».

«Cosa vi tene lontano dalla vostra patria?» mi chiese allora Cormac, incuriosito da quelle poche informazioni che avevo sparso appositamente qua e là nelle mie vage risposte.

Accennai un sorriso dolente, poi cominciai a narrare: «Il clan dei Whiskervilles. Sono spietati e affamati di terre: si spingono sempre più a nord, sospinti dall'espansionismo di re Henry II, nel sud dell'Inghilterra. Gli è bastato poco per strappare i possedimenti alla mia pacifica e onesta famiglia, uccidendo mio padre e i miei fratelli».

A quelle parole, feci una pausa, per aumentare la drammaticità del racconto, poi ripresi: «Da allora girovago per l'Europa, mettendo la mia conoscenza a servizio di cattedrali e corti. Sono stato nel nord della Francia per molti anni, ma le desolate brughiere della Scozia invocavano il mio nome e mi richiamavano a casa. E così eccomi qui, a sognare la mia terra attraverso i verdi prati irlandesi».

Alla conclusione del raccolto, avrei voluto inchinarmi per raccogliere gli applausi di un pubblico immaginario, tanto era stata commuovente la mia interpretazione, ma mi trattenni. Sbirciai di sottecchi la reazione del giovane chierico: sembrava profondamente commosso e turbato dalle mie parole. Bene, significava che ero stato convincente.

«Cormac!» esclamò proprio in quel momento una voce squillante. Entrambi ci voltammo verso il pendio dei una collina al nostro fianco: una ragazza ci stava correndo incontro. Aveva una cascata di capelli rosso fuoco che ondeggiavano al vento e una semplice casacca di lino. Le scarpe di cuoio erano coperte di fango, i capelli arruffati e il vestito sporco. Appena fu sufficientemente vicina al chierico, gli gettò le braccia al collo.

«Sacco di sterco! Dove sei stato tutto questo tempo?» strillò, stritolandolo in un abbraccio.

«Feamair» bofonchiò quello, con il fiato mozzato. «Sono stato...» cominciò a dire, ma alla ragazza non importava nulla di dove fosse stato l'uomo: era solo contenta di averlo ritrovato.

«Non voglio sapere dov'eri... Voglio solo che non sparisci più a questo modo!»

«Non sono sparito, è che al monastero...»

Non fece in tempo a concludere la frase, che la ragazza gli aveva dato uno spintone tale da farlo cadere dal mulo. E poi scoppiò a ridere.

«Che avete da guardare?» si rivolse poi a me, in tono aggressivo.

Io sollevai un sopracciglio e le rivolsi un sorriso indecifrabile. Nonostante i modi rozzi e gli abiti sporchi, capii che non si trattava di una semplice pastorella, perché al collo aveva una crocetta d'argento e la fibbia d'oro della sua cintura era finemente elaborata secondo il gusto dei popoli del nord. «Milady» dissi nel prendere la sua mano infangata per baciarla.

«Chi vi dice che sono una Lady?» rispose quella, sottraendo la sua mano alla mia presa e guardandomi con aria di sfida.

Non persi quell'occasione di competizione. Le feci un veloce inchino e risposi: «Ogni donna è una dama».

«Ma non ogni uomo è un cavaliere» rispose Feamair con sguardo eloquente.

Io sollevai un sopracciglio, sorpreso. La ragazza non era certo istruita, anzi probabilmente non sapeva né leggere né scrivere, eppure aveva appena enunciato un principio della Logica aristotelica sostenuto dal filosofo aravo Avicenna, certamente ad intuito. Buffo, ma avevo come l'impressione che avrei dovuto guardarmi le spalle da quella giovane con i capelli color del fuoco.

«Lo sa tua zia che sei qui a badare alle capre?» intervenne Cormac, sistemandosi la veste da monaco e ripulendola dalla polvere della strada.

La ragazza fece una smorfia di disgusto. «Non è affare di mia zia quello che faccio o non faccio. La moglie di Rudy, il barcaiolo, mi ha chiesto di guardarle le capre, mentre lei andava dagli O'Flannel per aiutarli con il parto della figlia» spiegò con naturalezza. Sarebbe stata una cosa normalissima, se solo non avessi avuto la certezza che il rango della giovane dama doveva essere ben più elevato di quello di una pastorella.

Il giovane chierico scosse la testa rassegnato. «Finirai per cacciarti in guai seri» commentò in tono fatalista, come se avesse appena annunciato una catastrofe naturale.

La ragazza scoppiò a ridere con tanta intensità che le gote spruzzate di lentiggini si arrossarono, dandole un'aria ancora più rustica e di una graffiante bellezza. «Lo so, Cormac. È proprio quello che spero» rispose alla fine, mentre i suoi occhi verdi brillavano di furbizia, luminosi come uno specchio d'acqua in mezzo ai monti. Dopodiché fece una piroetta e si avviò saltellando verso il pascolo. Tuttavia, prima di essere troppo lontana, si voltò verso di noi e gridò: «Ah, comunque, se vedi mia zia, dille che molto probabilmente 'sta notte dormo fuori. Non credo che la moglie di Rudy tornerà in tempo e certo il gregge non può essere abbandonato».

Cormac rispose con un sospiro rassegnato: evidentemente era ormai abituato al carattere ribelle della ragazzina. Rimase per parecchio tempo immobile ad osservare la sua figura che correva per il prato, con i capelli rossi al vento. «Siamo cresciuti insieme: per me è come una sorella» confessò, più che altro rivolto a se stesso. «Solo che a volte temo per lei e per il suo futuro: non può continuare a comportarsi così».

Per un attimo anche io mi persi via ad osservare la figura di Feamair, come se ne fossi rapito. «Mio giovane amico, credo che con un carattere come il suo, se la saprà cavare in ogni situazione».



Ecco qui il primo capitolo della nuova storia. Spero che abbia stuzzicato la vostra curiosità...

nel frattempo, qualche immagine: QUI fratello Cormac, QUI sir Gregory e QUI lady Feamair.

Alla prossima,

Beatrix


   
 
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