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Autore: _Marika_    17/01/2012    2 recensioni
Bicchieri rossi, lampadari distrutti, giocatori di football, champagne scadente, danze esotiche, vestitini leopardati, baci, risate, lacrime.
Nuovi incontri.
Cos'altro potrebbe accadere questo venerdì sera?
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Eccomi con un nuovo capitolo! Spero non sia troppo deprimente... in ogni caso fatemi sapere per aggiunte, correzioni o critiche. Sono ben accette =)

Ho scritto questo capitolo ascoltando “You and I” di Lady Gaga come un mantra; ne deriva che ne sia diventata ufficialmente la colonna sonora. Credo renda bene ciò che voglio esprimere.

Anyway, buona lettura!

 

 

 

 

 

 

 

 

Drama classes and the little cherry

 

 

Arrivai a casa più morta che viva. Avevo un... com'è che si dice in italiano? A pounding in my head, ecco, per rubare le parole di Katy Perry.

Mi trascinai su per gli scalini come una sonnambula. Avevo bisogno di un bagno caldo e di un paio di aspirine, come minimo.

Mancai la toppa della porta una dozzina di volte prima di riuscire ad entrare. Il profumo di casa mi rinvigorì quel poco che mi serviva per raggiungere la camera da letto.

Donna non c'era. Ebbene sì, vivevo da lei.

Diedi un'occhiata alla sveglia su mio comodino: le quattro e quarantacinque.

Mi buttai sopra il letto, ancora vestita e con le scarpe in mano. Mi addormentai appena chiusi gli occhi.

 

•••

 

Non fu un pessimo risveglio.

Well, prima di riuscire ad aprire gli occhi dovetti passare un quarto d'ora al bagno per togliere le ciglia finte che mi avevano incollato le palpebre e il primo a darmi il buongiorno fu un martellante mal di testa, ma a parte questi trascurabilissimi dettagli non stavo affatto male.

Donna, nemmeno a dirlo, era fresca come una rosa. La sentivo cantare a bocca chiusa dalla cucina, mentre preparava la colazione con la radio accesa.

Mi feci una doccia bollente per eliminare i residui di trucco e di fetore alcolico. Mi asciugai alla meglio, mi misi una tuta e ciabattai in cucina.

Goodmorning sweetei!” cinguettò Donna, tutta indaffarata a preparare toast. Un caffè americano -vedi: annacquato- mi aspettava fumante sul tavolo.

Come va?” mi chiese allegramente.

Mi lasciai cadere sulla sedia. “Bene, grazie. A te nemmeno lo chiedo, sembri uscita da un centro benessere”.

Rise, recuperando dal frigo quello che sembrava del bacon.

Sì, sì, sto bene. Ma allora!” ciarlò “Alla fine sei riuscita a dare un volto a questo Mr. Maybe? Perché io ne ho trovati ben tre fanciulli forniti di fossette, ma mi pareva di aver capito che tu ne cercassi una solitaria”.

Mi concentrai. Pensavo che da sobria avrei potuto far riemergere un ricordo, che so, i capelli, il colore degli occhi... mi sbagliavo. Tornare con la mente alla sera prima era come avventurarsi un una palude tropicale: tutto era umido, fangoso e pieno di nebbia. Ripensai alla breve conversazione che avevo avuto con quel Brian. Possibile che non ricordassi niente? Niente, a parte quel maledettissimo sorriso?

Però però... un altro volto mi tornava alla memoria, un volto dai lineamenti duri, dalle sopracciglia scure e decise, dal naso... mmm. Come si può definire un naso?

Hey, honey, ci sei?”

Riemersi dalla palude scrollando la testa. Donna mi stava guardando, in attesa, con una padella sfrigolante in mano.

No, nessun volto. Però ho conosciuto un altro tipo ieri sera”.

Appena lo dissi pensai che 'conosciuto' non era esattamente la parola giusta. Trascinarsi a peso morto lungo un marciapiede di notte e ubriachi marci non era esattamente come conoscersi al bar. Però vabbé, mica lo avevo deciso io.

E di questo tipo ricordi qualche connotato usuale alla stragrande maggioranza delle persone o anche lui è destinato a rimanere nell'anonimato di una fossetta?” continuò Donna salottiera, rigirando le fette di bacon nella padella.

Ingollai un altro morso di toast. “Scusa se sono una persona normale e quando mi sbronzo tendo a dimenticarmi qualche dettaglio. E comunque questo qui me lo ricordo” aggiunsi.

Ah sì, e com'era? Carino?”

Sì. Well, non l'ho visto così bene...” Donna fece un colpo di tosse troppo simile ad una risata “...ma me lo ricordo!” aggiunsi in fretta “Era alto, più alto di me, almeno così” e misi la mano sopra la mia testa di un paio di spanne “e aveva i capelli scuri. Neri, credo. E un naso...”

Appunto, un naso come?

Bè, se aveva perfino un naso doveva essere proprio un figo da paura” commentò Donna, mettendomi davanti un piatto con bacon e uova. Le lanciai un'occhiataccia.

Bè, hai capito. Mi ha aiutato ad arrivare in strada e a trovare un taxi dopo che è arrivata la polizia”

Un vero cavaliere!” esclamò Donna “E come avete fatto a uscire da quella villa? Io sono scappata con Jeremy e Thomas -avevano la macchina lì davanti, sai- e una volante ci ha inseguito per quasi un miglio. Thomas guida come un pazzo; ricordami di non salire mai più in macchina con lui”.

Forse guidava come un pazzo perché aveva la polizia alle calcagna”.

Donna sembrò rifletterci su. Poi alzò le spalle: “Non è un valido argomento”.

Risi. “Io ho scalato la siepe e sono passata nel giardino accanto. Penso di averti rovinato il vestito, in effetti”.

Tranquilla, l'avevo preso al discount. Ma...”

Sì, le scarpe sono integre, tranquilla. Forse non troppo pulite, ma integre”.

Donna sospirò di sollievo. Sapevo che quelle scarpe le aveva pagate con lo stipendio di un mese.

Perché Donna mi prestava i suoi vestiti? Perché quando ero arrivata lì, circa un mese prima, non ero troppo in me. Non avevo portato via niente da casa mia. Niente, nemmeno lo spazzolino. Ero piombata a casa di Donna, dall'altra parte dell'Oceano, senza nemmeno uno straccio di beauty case.

Perché? Troppo umiliante da spiegare.

Ero lì per ricominciare, e questo bastava.

E come si chiamava questo tipo con il naso?” continuò Donna.

Solo allora mi accorsi che non mi aveva detto il suo nome. “Oh. Non lo so. Non me l'ha detto”

Donna sollevò entrambe le sopracciglia: “No? Un cavaliere senza nome, quindi. Però perlomeno te ne ricordi la faccia. Mentre di quell'altro, poveretto, non ricordi che il nome. Hai un nome senza volto e un volto senza nome. Che cosa bizzarra!”

Non l'avevo ancora considerata sotto quel punto di vista. Il destino si divertiva proprio un mondo a prendermi in giro.

Ma se non vi siete nemmeno presentati di cosa avete parlato nella vostra romantica fuga? O forse siete passati subito ai fatti, complici l'alcol e l'oscurità?”

Le lanciai un'occhiata divertita.

No, niente di tutto ciò. Non abbiamo parlato affatto, in effetti. Lui sembrava piuttosto incazzato”

Incazzato? Ah. E quindi non ti ha detto proprio niente?”

Bè, no. Mi ha solo chiesto dove abitavo e...”

Flash. Buio, la luce gialla dei lampioni. Le macchine che sfrecciano lungo la statale. Una testa scura infilata nel finestrino. Goodnight sweetheart.

...e mi ha augurato la buonanotte. 'Goodnight, sweetheart'.”

Sweetheart? Ah, ma lui allora un pensierino l'aveva fatto” mi fece l'occhiolino e si alzò. Aveva già spazzolato tutta la colazione.

Donna!” mi lamentai, ridendo.

E poi dici che sono io la mente perversa. Sei tu quella che si fa accompagnare da sconosciuti ubriachi nel bel mezzo della notte”.

Stavo scappando! E tu sei andata via con ben due uomini, ti ricordo”.

Sbagliato: Jeremy non conta come uomo. Lo considererei piuttosto come una scimmia molto evoluta, ecco”.

Ridemmo entrambe. Donna, da brava donna di casa, si mise a stirare su di un'asse che spuntava dal muro. Guardarla era rilassante.

Bè? Che festa abbiamo stasera?” le chiesi dopo un po', ancora sorridendo.

Stasera sono al bar fino alle due, poi possiamo fare quello che ti va”.

Vengo al bar con te allora.” dissi, prendendo un sorso di caffè annacquato “Io e il destino abbiamo un conto in sospeso”.

 

•••

 

La canzone alla radio mi parlava di passato.

Me ne stavo lì, seduta al bancone, a rigirare il mio cocktail. Era quello il momento in cui la tristezza mi assaliva, puntuale e precisa come un orologio al cesio: le ventidue e un quarto del post venerdì sera.

Tutto attorno a me sembrava raccontarmi la mia stessa storia. Perfino lì, nei favolosi United States dove tutto era nuovo ed eccitante, non riuscivo a sentirmi felice.

Non riuscivo a sentirmi me.

C'era ancora qualcosa, qualcosa di indefinito, vischioso, che mi imprigionava, che mi obbligava a sopportare quella malinconia deprimente.

E mi si abbatteva addosso la consapevolezza, più pesante e dolorosa di tutti i carichi che avevo mai sopportato: la consapevolezza di non poter scappare da me stessa. Non riuscivo a sentirmi felice, completa, serena. Non riuscivo ancora ad accettarmi come una che ha fallito. Non riuscivo, a ventitré anni, ad accettare di aver perso tutti i sogni per strada.

Sapevo che prima o poi avrei dovuto fare la pace con me stessa, prima che con tutti gli altri.

Guardavo Donna che correva indaffarata da un tavolo all'altro. Un ciuffo scuro le era sfuggito alla coda alta; che anche lui, piccolo ciuffo ribelle, stesse rivendicando la sua libertà, con quella sua manifestazione di trasgressione al sistema?

Chiaro, stavo delirando.

Rigirai la mia ciliegina con fare assorto. Rieccoci qui, ciliegina. Io, te e le mie deprimenti riflessioni del sabato sera.

Avrei potuto dare la colpa a lui. Se la meritava tutta, in fondo. Vero, ciliegina? Era tutta colpa sua, altroché. Ma avevo un peso, all'altezza dello stomaco, che mi diceva qualcos'altro. Qualcosa di molto scomodo in realtà, che cercavo in tutti i modi di zittire. Ma si sa, la coscienza ha modi tutti suoi per farsi ascoltare.

Senza di lui tu non saresti qui.

Grazie tante. Aveva dunque anche un merito, lui? Dopo quello che mi aveva fatto? Non ero pronta ad accettarlo.

Un rumore mi fece voltare: un ragazzo si era seduto sullo sgabello accanto al mio. Aveva i capelli rossi.

Tornai a concentrami sul moto circolare uniforme del mio Widow Kiss. Era tutto il giorno che pensavo a quel Brian: qualunque altro esponente del sesso maschile difficilmente avrebbe potuto incontrare il mio interesse. Ed ecco che lo facevo di nuovo. Perché dovevo impuntarmi con gli uomini, dannazione a me? Aveva ragione Donna: finché non ti ficcano la lingua in bocca uno vale l'altro. Poi potevi decidere se mollargli un ceffone o sbatterlo al muro, a seconda dei casi. Ma prima, sono tutti uguali; prima regola del cacciatore. Pardon, della cacciatrice.

Ma era davvero così? Forse no, forse era solo una forma di difesa: se non permetti agli altri di avere influenza su di te, sei tu a decidere il gioco. Chissà. Forse Donna voleva solo proteggermi e quei consigli balordi erano solo una delle tante dimostrazioni del suo affetto.

La guardai.

Come avrei fatto, senza di lei? Chi mi avrebbe accolta in casa d'improvviso, bagnata come un pulcino, in lacrime, senza un soldo e nemmeno un cambio di mutande?

Perché, sotto quei modi da aristocratica decaduta, Donna era un angelo. Era fragile, proprio come me, solo che lei era stata temprata dalla vita; si era fatta la corazza, lei.

E invece, la povera piccola Emma? Altro che corazza: si sentiva esposta e vulnerabile come un cucciolo di foca che ha perso la mamma. Guardai il mio cocktail con espressione lugubre.

Tutto bene?”

Ed eccola di nuovo, con la sua faccina da chioccia. Avrebbe dovuto infastidirmi, è vero; invece sapere che almeno lei si preoccupava per me era una delle poche cose che mi aveva aiutato a tirare avanti. Mi scaldava il cuore.

Sì, Donna, tutto bene. La solita depressione del sabato sera”.

Ma no, ma no, sweetei! Su, finisci il tuo Widow Kiss che poi ti porto un bel caffè ristretto. Very italian”. Le sorrisi. Lei ricambiò e sparì da una porta sul retro.

Bevvi un sorso del cocktail, ma l'odore di gin era ancora troppo vivido nella mia mente e dovetti fare violenza su me stessa per deglutire. Feci una smorfia e scostai da me il bicchiere.

Basta alcol, basta feste. Lo dicevo ogni sabato sera, e ogni sabato notte ci ricadevo. Di chi era la colpa? C'era davvero, poi, un colpevole?

Il caffè fu un miracolo amaro. Mi scosse lo stomaco e mi riportò con violenza alla realtà. Fu quando tirai fuori i soldi per pagare che cominciarono i soliti problemi.

No, senti, no. Non devi pagare, te lo offro io”.

Quante volte avevamo inscenato quella farsa? Ma ogni volta Donna non cedeva di un millimetro, irremovibile. Secondo lei io non potevo pagare, punto. Potevo lamentarmi quanto mi pareva, lei non avrebbe mai preso dei soldi da me.

Donna, ho perso il conto di quanti caffè mi hai offerto da quando sono qui, lasciami pagare”.

No, non devi. Sei ospite e non hai nemmeno un lavoro”.

Un motivo in più per pagare chi sgobba tutto il giorno! Questo caffè fa parte dell'incasso della serata e di conseguenza del tuo stipendio: prendi i soldi”.

No”. Cocciuta come un mulo.

Prendili, dai!”.

Non insistere, no”.

Sì, invece”.

No!”.

Sì! Donna, dai...!”

Emma, senti...!”

Pago io!” Io e Donna ci voltammo entrambe. A parlare era stato un giovanotto abbronzato seduto a due sgabelli di distanza dal mio. Dalla sua espressione non era difficile capire quanto fosse esasperato dalla nostra discussione. Si alzò e mise i soldi in mano ad una sbigottita Donna. Poi si sedette accanto a me.

Sono tre sere che vedo questa scenetta. Così siete contente tutte e due” commentò il tipo, guardandoci con una spocchiosa self-confidence.

Donna alzò un sopracciglio, scettica. Mise i soldi in cassa e strappò lo scontrino con eccessivo fervore. Lo lanciò al tizio che aveva pagato, andandosene con il naso per aria a servire altri clienti.

Il ragazzo mi guardò incerto: “Ho fatto qualcosa che non va?”

Mi strinsi nelle spalle: “E' fatta così” lo tranquillizzai. Poi gli sorrisi: “Grazie, ad ogni modo”.

Di niente”. Mi sorrise. Aveva i denti bianchi e dritti, un bellissimo sorriso... ma nessuna fossetta.

Basta, basta! Stavo diventando paranoica.

Mi porse la mano senza smettere di sorridere. “Io sono Justin. Tu sei...?”

Emma” dissi, rispondendo alla stretta. Una stretta sicura e forte.

Non sei americana, sbaglio?”

Quanto brutto doveva essere il mio accento?!

No” risposi per l'ennesima volta in quel mese “non sono americana. Vengo dall'Italia”.

Fece un fischio sommesso. “L'Italia! La patria dell'Arte!”

Lo guardai stupita. Non era la risposta che mi aspettavo. Lui sorrise di nuovo di fronte al mio sconcerto. “Io vivo di Arte. Ho studiato Arte Drammatica a Pittsburgh. La School of Drama di Pittsbourgh, sai? In Pennsylvania, è famosa, magari la conosci...”.

La mia espressione ebbe il potere di farlo desistere.

Scrollò le spalle.“Fa niente. Quindi sì, mi occupo di arte. Tu invece che fai nella vita? Emma, giusto?”

Annuii. Ma quanto parlava questo?

Sì, sì, Emma, Emma è giusto. Io sono qui... in vacanza” dissi, vaga.

In vacanza? E tra tutti i posti meravigliosi degli Stati Uniti hai scelto proprio l'Ohio?” sorrise. Sorrideva decisamente troppo.

E' stata una scelta obbligata. Sto da un'amica” feci un cenno con la testa verso Donna, al momento impegnata in alcune ordinazioni ai tavoli. Lui afferrò al volo. “Ah, capisco. Bè, Emma, lasciami dire che non hai affatto l'aspetto di una che sta in vacanza. Sembri piuttosto una che è appena naufragata qui per caso ed è troppo depressa per prendere un biglietto d'aereo per tornare indietro. Se devi mentire, non devi né metterti una mano davanti alla bocca né grattarti il naso mentre la stai facendo. Perfino un sordomuto lo noterebbe, te l'assicuro. E poi se fossi davvero in vacanza saresti in giro a fare la turista, mentre è la terza sera questa settimana che ti vedo seduta qui; e sorrideresti, sorrideresti molto: e invece prima guardavi il tuo cocktail come se ci ti volessi affogare dentro. E non ci sono solo questi dettagli, così fisici diciamo, c'è anche l'intenzione, la sfumatura della tua voce, il colore de...” si fermò.

Lo stavo guardando con espressione assolutamente inebetita.

Scusa” mi disse, l'eterno sorriso stampato sulle labbra “deformazione professionale”.

Gli sorrisi a mia volta; un riso timido, impacciato, che sapeva di rugiada mattutina.

Probabilmente, il primo sorriso sincero da settimane.

Ecco, così va molto meglio” mi incoraggiò lui, amabile.

La ciliegia del Widow Kiss mi fissava dolcemente attraverso il liquido ambrato. D'un tratto capii che tutto sarebbe andato meglio. Doveva andare meglio.

Presi l'iniziativa: “C'è un festa, stanotte, a casa di un tipo. Ti va di venirci con noi?”

Lui, ovviamente, sorrise.

   
 
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