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Autore: Cathy Earnshaw    18/01/2012    1 recensioni
Alcesti è una giovane donna orgogliosa e intraprendente. Vive con la madre e le tre sorelle minori nella ricca città di Darkfield grazie all'eredità lasciata loro da Sir Merthin, suo padre, Cavaliere scomparso in circostanze non accertate. Ma il vento sta per cambiare. La ragazza sta per intraprendere un viaggio sulle orme del genitore che la porterà a scoprire il potere della magia, il valore dell'amicizia e la forza dell'amore.
Genere: Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il sole splendeva nel cielo sereno, ma nell’Everdark sembrava notte fonda. Addentratasi pochi metri nella grande foresta, Alcesti cominciava a disperare di poterne mai uscire. La vegetazione legava le sue gambe, e il muschio rendeva difficile il passo a Chronos. Nonostante ciò, non poteva tornare indietro: il suo orgoglio non poteva permetterglielo. Continuò a camminare, conscia che quella notte l’avrebbe passata in quel luogo. La foresta aveva la capacità di materializzare tutte le paure infantili che si nascondevano in lei: il buio, la solitudine, gli animali feroci. Alcesti sapeva bene, però, che era ben altro ciò che doveva temere. Era una ragazza, viaggiava sola, e per dirla tutta con un discreto gruzzolo, e si trovava in una foresta… i fuorilegge l’avrebbero subito adocchiata come una buona preda, ma non sapevano quanto questa se la cavasse bene con le armi da taglio. Tra tutti questi pericoli, la cosa che veramente preoccupava Alcesti era la probabilità di dover uccidere un uomo, un suo simile, terribile reato.
Ogni rumore, ogni scricchiolio la metteva all’erta contro qualunque genere di pericolo, ma la mattina le offrì la sola comparsa di uno scoiattolo e di un cinghiale. Non che questo le dispiacesse.
La maggiore difficoltà del muoversi in quel luogo stava nel non avere punti di riferimento per orientarsi: doveva dirigersi a est, ma non aveva idea di come fare….
 
Il freddo umido dell’Everdark ti penetra le ossa, il sangue, e non c’è mantello che possa scaldarti. Alcesti stringeva forte Maya e tirava per le briglie il suo compagno, che proprio non voleva saperne. Eppure quel luogo aveva un ché di affascinante: le piante rampicanti e le felci erano riuscite e prendere il sopravvento sulla civiltà e ora regnavano da vere padrone in un mondo popolato da ombre. Tutto questo doveva sembrare molto romantico ad un occhio esterno, pensava. Il paesaggio offriva scorci spettacolari: radure di massi imbottiti di morbido muschio, torrenti scintillanti, ma anche pozze paludose e alberi pluricentenari. Raramente filtrava un raggio di sole. Dopo l’ora di pranzo, Alcesti non aveva ancora incontrato una forma di vita umana, e questo era servito a tranquillizzarla, ma sapeva di non dover fare l’errore di abbassare la guardia: il pericolo poteva essere sempre in agguato.
Nel pomeriggio la foresta cambiava completamente colore, come fosse stato un cosmo a sé, con un suo personale astro invisibile e una sua vita nascosta.
L’imbrunire offriva un’atmosfera ancora una volta nuova, ma la visibilità era sempre più ridotta. Urgeva la ricerca di un giaciglio. La sensazione di panico cresceva: dove fermarsi? Come organizzarsi? Sarebbe stata al sicuro? Tutte queste domande, come per magia, si dissolsero alla comparsa di una meravigliosa radura circolare. L’erba era verde e fresca, un colonnato di alberi sembrava reggere il cielo e al centro sgorgava una limpidissima fonte. Alcesti non aveva mai visto un luogo più bello. Allora, forse, l’Everdark non era sempre così tetra….
Non appena mosse i primi passi in quel luogo fuori del tempo, notò come Chronos si fosse calmato. Ormai era troppo buio per poter pensare di arrampicarsi su un albero, così si accoccolò nel suo mantello contro un masso coperto di muschio, sperando di non essere sbranata da qualche bestia.
 
Nonostante la scomodità ed il pericolo, Alcesti passò la notte nel sonno più profondo. Ed il giorno venne presto. Al suo risveglio Chronos mangiucchiava l’erbetta al suo fianco e lo spiazzo sembrava ridere nella luce azzurra del fogliame. Raccolte le sue cose, mangiò un boccone di pane della mattina prima e si preparò a lasciare quel posto incantevole. In quel momento si rese conto che qualcosa era cambiato: una presenza aleggiava sulla radura. Eppure il silenzio era quasi surreale. Tirando il cavallo, affrettò il passo. Nulla la fermò mentre si allontanava, ma quella strana sensazione di essere osservata persisteva. Riflettendoci, in effetti, era stata troppo improvvisa e completa la tranquillità che aveva provato la sera prima in quel luogo. C’era qualche cosa di strano…
Dopo aver ripreso la sua marcia nel verde, la ragazza aveva tentato in mille modi differenti di sorprendere il suo compagno di viaggio fantasma, tutti immancabilmente falliti. Così, esausta, si sedette su una pietra e sussurrò, più a sé stessa che all’Everdark, “si può sapere chi sei?”.
In quel momento udì lo scricchiolio di un rametto spezzato dietro di lei, balzò in piedi e trovò ad osservarla… una donna! Lo stupore le congelò la lingua: davanti al lei stava una giovane con dei lunghi capelli biondi e un bel paio d’ali sulla schiena. Riprendendosi lentamente dallo shock, sbatté le palpebre e, non del tutto convinta che non si trattasse di un’allucinazione, domandò:
- Chi… cosa sei tu?-
Lei si aggiustò i capelli e la gonna, poi si schiarì la voce e disse, con un timbro cristallino come l’acqua di fonte:
- Scusami. Hai ragione, non sono stata educata, ma… sono qui da sola da così tanto tempo… non ho resistito. Sono Clodia, e sono una ninfa. Una volta eravamo molte qui, ma alcune se ne sono andate, altre sono finite vittime dei fuorilegge, e sono rimasta solo io-.
Alcesti non sapeva cosa dire, così rifletté qualche secondo e si diede un pizzicotto. No, non sognava.
- Così tu saresti… una ninfa?!-
- Esatto! Siamo creature silvestri, viviamo in simbiosi con la natura-.
- Incredibile… sei proprio vera?-
- Che significa?-
- Niente, niente. Perché mi stai seguendo?-
- Perché sei passata per la mia radura e… te ne stai andando da questo posto, giusto? Ti prego, portami con te!-
- Cosa?!- esclamò.
- Ti prego!-
- Non sai nemmeno dove sto andando- disse Alcesti incredula.
- Non importa. Ovunque sarà meglio che qui! Ho bisogno di trovare un’altra foresta, una nella quale le ninfe non siano ancora estinte. Ti prego… posso aiutarti ad uscire di qui, conosco questo posto come le mie ali!-
Senza troppa convinzione, Alcesti portò la ninfa Clodia con sé. 
   
 
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