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Autore: Cathy Earnshaw    19/01/2012    1 recensioni
Alcesti è una giovane donna orgogliosa e intraprendente. Vive con la madre e le tre sorelle minori nella ricca città di Darkfield grazie all'eredità lasciata loro da Sir Merthin, suo padre, Cavaliere scomparso in circostanze non accertate. Ma il vento sta per cambiare. La ragazza sta per intraprendere un viaggio sulle orme del genitore che la porterà a scoprire il potere della magia, il valore dell'amicizia e la forza dell'amore.
Genere: Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Alcesti non dovette pentirsi di aver accettato quella creatura come compagna di viaggio. Clodia conosceva l’Everdark alla perfezione, senza contare che quattro occhi erano sicuramente meglio di due. La ninfa era una tipa strana: all’inizio era piuttosto diffidente, d’altra parte erano stati proprio gli esseri umani a decimare la sua popolazione. Col passare delle ore, però, Alcesti cominciava a guadagnarsi la sua fiducia, anche perché le aveva raccontato senza riserve la storia del suo viaggio.
Clodia parlava con la foresta, con gli animali, con le piante. Era una presenza allegra. Conosceva tantissimi cantici antichi, dimenticati da centinaia d’anni. Alcesti ne aveva trovato traccia durante le sue ricerche, e credeva che le note fossero andate perdute per sempre…
Grazie alle sue indicazioni, la giornata trascorse tranquilla: guidava Alcesti per vie sicure e il suo udito infallibile era una prevenzione contro i guai.
Al crepuscolo stavano lasciando l’Everdark in direzione Meritown.
Si trattava di una cittadina piccola, ai margini est della foresta.
- Io… credo che passerò la notte nella foresta. Ti dispiace? Sai, non è che mi piaccia molto stare in mezzo alla gente…-
Alcesti guardò le sue ali, tutt’altro che discrete, e rispose:
- Non preoccuparti. Ci troviamo qui domattina alle otto, ok?-
Si salutarono. Alcesti si ritirò nell’ospitale modesto del borgo domandandosi se Clodia sarebbe riuscita a dire addio alla sua casa per presentarsi all’appuntamento.
 
La mattina dopo splendeva un sole caldo e pulito nel cielo di fine aprile. Dirigendosi al luogo prefissato, Alcesti non riusciva a credere che fosse passato davvero così poco tempo dalla sua partenza. La sua famiglia le mancava, le sembrava di essere in viaggio da una vita. Meritown era bellissima: tutt’altra cosa rispetto alla grande e scura Darkfield. I palazzi e le abitazioni erano in pietra a vista, perfettamente curati. In un quadro sarebbe stata perfetta.
Alle otto e quindici, Clodia ancora non si vedeva. Che avesse cambiato idea? Alcesti non voleva andarsene, non voleva rinunciare a quell’unico elemento che la teneva legata alla convinzione di non aver intrapreso un viaggio inutile: la leggenda non sempre era tale, e le ninfe ne erano la prova! Seduta su Chronos, osservava le persone di passaggio. Notando il terzo contadino con al seguito moglie, prole e carro di prodotti agricoli, la curiosità ebbe la meglio sulla discrezione. Scese da cavallo e, tenendolo per le briglie, si avvicinò all’uomo.
- Perdonate, posso chiedervi dove siete diretti tutti quanti?-
Il contadino sembrò sorpreso della domanda. I bambini scoppiarono a ridere e la madre li zittì con uno sguardo. Poi l’uomo si riscosse e rispose:
- Dovete venire proprio da lontano per non sapere che a Keras è tempo di fiera!-
La fiera annuale! Che sciocca, come aveva fatto a dimenticarlo? Ecco perché nell’Everdark non aveva incontrato i fuorilegge. L’uomo la guardò, preoccupato per la sua espressione persa.
- Signorina?-
- Come? Ah, si… perdonatemi, avete ragione, ora ricordo. Vi ringrazio-.
Si allontanò sotto lo sguardo stupito della famiglia.
A Keras si teneva la meravigliosa fiera annuale, e contadini, mercanti e piccoli imprenditori accorrevano da tutta la contea per vendere i propri prodotti e per comprare il necessario a prezzi vantaggiosi. Era perfetto: chi avrebbe notato due ragazze sole nel trambusto della fiera? Ma sarebbero poi state due?
Erano passate le otto e trenta quando ai margini della foresta comparve la figura della ninfa. Aveva un mantello sulle spalle: molto astuto.
Alcesti scese da cavallo per andarle incontro.
- Credevo che non saresti venuta…- disse con un sorriso.
- Allora perché hai aspettato?-
Alcesti rifletté qualche secondo, per rendersi conto di non poter trovare una risposta.
- Non lo so, Clodia. Forse ci speravo, o forse non volevo credere di aver già perso la mia nuova compagna!- sorrise, e Clodia rispose al suo sorriso.
- Andiamo?- domandò.
 
Il viaggio proseguì più lento. Ora che erano in due, e la ninfa non voleva saperne di Chronos, bisognava procedere a piedi. Ma Alcesti non aveva fretta: aveva aspettato dieci anni, non sarebbe stata una settimana a guastarle la festa.
Il paesaggio scorreva silenzioso accanto a loro. Clodia era di poche parole, e alla sua compagna il silenzio non dispiaceva. Si capivano. Entrambe avevano lasciato la loro dimora alla ricerca di qualcosa che non sapevano se avrebbero trovato.
- Sei stata fortunata a passare dalla foresta in periodo di fiera, avresti potuto incontrare brutte sorprese…- disse.
- Non mi avrebbero trovata impreparata- rispose Alcesti, accarezzando, senza rendersene conto, la sua Maya. La ninfa la guardò sospettosa.
- Quanti anni hai, Alcesti?-
- Ventuno, perché?-
- Mi chiedevo per quale motivo tu sia qui…-
- Ti ho raccontato la storia-.
Clodia sospirò.
- Non intendevo questo. Correggimi se sbaglio, ma le ragazze umane, alla tua età, di solito sono sposate, e i loro mariti non le lasciano viaggiare da sole-.
Alcesti arrossì. Detestava arrossire: faceva sempre la figura della ragazzina. E le succedeva spessissimo.
- Vedi, Clodia, è un po’ complicato da spiegare. Temo che le ninfe abbiano un modo di sentire un po’ diverso dal nostro…-
- Puoi tentare comunque di spiegarmelo, se ti va-.
- D’accordo. Ecco, i genitori sono sempre impazienti di accasare le figlie perché non danno altro profitto se non degli eredi. Lavorano meno, sono deboli, non combattono… molti padri le considerano un peso, e sperano sempre che le loro mogli concepiscano dei maschi. Per questo motivo, appena possono procurano alle figlie un matrimonio, meglio se vantaggioso, e si liberano del problema. Difficilmente una ragazza riesce a sposare l’uomo di cui è innamorata. Una mia amica d’infanzia, ad esempio, quando ha compiuto sedici anni ha dovuto sposare un nobile cavaliere che aveva già trentacinque anni e alcuni figli avuti da un’altra moglie, e il più grande di loro aveva appena compiuto dodici anni… quella ragazza sapeva che un matrimonio simile non l’avrebbe mai resa felice, ma era quello che la sua famiglia si aspettava da lei, così ha obbedito-.
Clodia l’ascoltava con gli occhi sbarrati. Sembrava che nemmeno respirasse. Alcesti continuò:
- Con questo non voglio dire che non ci siano famiglie felici. Mio padre e mia madre si sono conosciuti il giorno del loro matrimonio, e incredibilmente si sono innamorati e sono stati felici. Lui ci voleva bene, non eravamo un peso per lui. Quando sen’è andato io avevo undici anni, Hermione e Antigone non ancora sette, ed Elettra ancora non era nata. Io ero ancora troppo piccola per essere data in sposa, oltre al fatto che mia madre aveva bisogno di aiuto per mandare avanti la casa e per crescere le mie sorelline. Io ero la più grande, era mio dovere aiutarla. Ogni momento libero l’ho passato in biblioteca a fare ricerche su Alia e a studiare… ho studiato tutto quello che credevo avrebbe potuto servirmi: medicina, alchimia, erboristica, storia, geografia… Mia madre era preoccupata. Cominciavano ad arrivare proposte da giovani dell’alta nobiltà, ma anche da cavalieri vedovi e divorziati, ma lei non ha mai voluto obbligarmi a scegliere, - strizzò l’occhio a Clodia – ho un caratteraccio… Così il tempo è passato, le mie amiche ormai hanno le case piene di bambini, e le mie sorelle sono nella mia stessa situazione… ma per fortuna non mi sono ancora innamorata!-
- Per fortuna?- chiese, riscuotendosi, Clodia.
- Direi di sì! Sarebbe stato un problema: non sarei riuscita a partire, mi si sarebbe spezzato il cuore vedendolo sposare un’altra e allora me ne sarei scelto uno a caso nel mucchio, e sarei stata infelice per tutta la vita-.
Clodia si asciugò una lacrima e sussurrò:
- Che cosa triste-.
- Mi sono spiegata bene allora?-
- Molto… ad ogni modo, avevi ragione: non è facile per me capire i vostri sentimenti. Noi siamo abituate all’equilibrio, e raramente ci lasciamo sconvolgere dalle passioni, ma quando questo accade, niente può contenerci…-
 
La giornata passava veloce. Clodia non aveva bisogno di mangiare, era la natura a nutrirla, così Alcesti consumò per strada un pezzo di pane e una mela che aveva avanzato a colazione. Nel pomeriggio, Clodia raccontò ad Alcesti delle storie e delle leggende sulle ninfe e sull’Everdark. Quasi si sorpresero di vedersi comparire davanti le mura della popolosa Keras.  
   
 
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