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Autore: Colonnello    20/01/2012    1 recensioni
Diecimila anni dalla Fondazione di Roma (circa 3000 d.C.). L'Impero Romano domina su più della metà dell'Europa e dell'Asia e su tutto il Nuovo Continente... ma la sua egemonia sta per essere messa in discussione...
Genere: Avventura, Azione, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno
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8 E rieccomi! Devo ammetterlo. Il rientro nella vita normale dopo le festività natalizie è stato alquanto traumatico. Tanto per cominciare,  meno di una settimana dopo il 6 Gennaio, mi ritrovo con un esame del quale non conosco ancora il risultato. Subito dopo mi ritrovo a dover riprendere a studiare a spron battutto un gran mattone di materia da portare possibilmente a Febbraio, e contemporaneamente devo preparare gli esami di karate per fine Gennaio. Insomma, fra la stanchezza fisica e quella mentale, mi c'è voluto un po' per rimettermi in carreggiata e ricominciare a scrivere; non che avessi completamente interrotto, ma posso fare decisamente di meglio che due righe al giorno!

*************

Quando Publio rimise piede nel dormitorio, vi trovò Sesto e Furio Olennio seduti sulle rispettive cuccette. La piccola cucina era in funzione con il bollitore del kave sopra e l'odore della bevanda calda che filtrava penetrò le sue narici, alleviando un po' la sensazione di spossatezza che aveva minacciato di farlo crollare a terra nel momento stesso in cui Attico era andato a dargli il cambio.

Senza dire niente ai due commilitoni, si sfilò l'elmo dalla testa, ma lasciò stare il resto dell'armatura. Si passò una mano sulla barba lunga di diversi giorni e sui capelli sporchi e ormai impastati sul capo. Sempre in silenzio, levò uno degli sgabelli da sotto il tavolino dove consumavano il rancio. Si sedette con lo sclopetum fra le gambe e chinò il capo, facendo un profondo sospiro. Era sfinito. Provò a chiudere gli occhi, ma si rivide davanti l'orda di ronin nionici che assaliva con fanatica determinazione le postazioni della valletta che lui aveva appena lasciato. 

Sesto e Furio lo guardarono in silenzio, poi si scambiarono un'occhiata, un po' preoccupati. Avevano saputo che Corinno lo aveva spedito a rinforzare la valletta, naturalmente. Anche loro avevano avuto dei giorni difficili, ma perlomeno erano rimasti al sicuro delle postazioni del Vallo, circondati dal cemento che i missili erano appena riusciti a scalfire. Il modo in cui i ronin si erano scagliati in massa contro le fortificazioni romane aveva fatto loro impressione, ma vi avevano assistito da lontano, con freddo distacco. Nessuno dei due poteva immaginare cosa doveva aver passato Publio ad affrontare quel nemico così spietato e così determinato allo scoperto. Persino Sesto ignorava in buona sostanza cosa volesse dire trovarsi faccia a faccia con uno di quei mercenari. Quando aveva ucciso il suo primo ronin, quella notte dopo la bufera, quest'ultimo si trovava ad una certa distanza, e Sesto aveva potuto prendere la mira solo grazie alla luce dei fari degli autocinetum; Publio, invece, se lo era ritrovato addosso e lo aveva potuto vedere in faccia, prima mentre si preparava ad ucciderlo, poi un attimo prima che lui lo uccidesse.

Insomma, fra loro tre, Publio era l'unico che avesse affrontato il nemico a viso aperto e, fra l'esperienza della ricognizione e la cruenta battaglia che si era consumata nella valletta, non c'era da stupirsi che fosse scosso.

-Ehi, Scipione? Tutto bene?- chiese Furio, tentando di riscuoterlo da quella specie di stato catatonico nel quale sembrava caduto.

-Ma come vuoi che stia?!- lo rimproverò Sesto- Gli sono appena piovuti sulla testa non meno di una ventina di missili e ha appena arrestato una carica di quei demoni gialli!

Le parole di Sesto ebbero l'effetto di rievocare nella mente di Publio le immagini terrificanti della battaglia cui aveva preso parte. Un fremito violento gli percorse tutto il corpo e nelle orecchie gli parve di sentire il fragore delle esplosioni a raffica dei missili. L'immagine dei cadaveri dei ronin di fronte alle trincee e alle casematte erano il minimo, considerando che simboleggiavano il fallimento dell'assalto nemico e la seppur solo momentanea vittoria romana. Scosse violentemente la testa e batté le palpebre più volte, cercando di scacciare via dalla sua mente quelle immagini e il turbamento che gli causavano. Chissà se anche mio padre si è sentito così la prima volta che ha affrontato i nionici in battaglia, si chiese. Una parte di lui, infatti, si vergognava ad ammettere, anche solo a se stesso, di aver avuto paura quel giorno. Era stato educato fin dalla nascita come un soldato e il suo orgoglio di romano gli diceva che la paura doveva reprimerla e che non doveva esitare a sacrificare la propria vita nel nome di Roma. Suo padre, però, gli aveva anche insegnato che a Roma non servivano eroi morti, ma soldati e cittadini vivi e capaci. Lui aveva avuto paura, è vero, ma non si era tirato indietro di fronte al nemico e lo aveva vinto. Ma soprattutto era ancora vivo!, pensò, il solo pensiero sufficiente a rassicurarlo e a farlo smettere di tremare. Non era un eroe, ma poteva ancora essere un buon soldato per Roma.

-Sto bene- disse, sia a se stesso che agli altri- Ma... starò meglio quando saremo finalmente usciti di qui!- aggiunse sospirando.

Sesto e Furio annuirono. Anche loro erano ansiosi di essere trasferiti, non aveva importanza dove, purché fossero usciti da quel posto. Coi ronin là fuori a fare pressione continua per sfondare il confine, le spesse mura di cemento del Vallo di Alasia erano ancora più opprimenti. Ciascuno di loro pensava a cosa sarebbe potuto succedere se fossero riusciti a penetrare all'interno delle fortificazioni. Ciascuno di loro poteva facilmente immaginarlo e cercava di scacciare dalla mente quel pensiero.

Il fischio del bollitore segnalò che il kave era pronto. Furio si alzò e andò a spegnere il fuoco e a versare il kave nelle tazze. Porse la prima a Publio, che ne bevve subito un lungo sorso, senza curarsi di scottarsi le labbra e la lingua.

Furio lo osservò un momento in silenzio, poi qualcosa di incredibile attirò la sua attenzione.

-Che hai lì, Scipione?- chiese, indicandogli la canna dello sclopetum, alla cui estremità si trovava la tacca di mira.

Publio osservò l'arma e spalancò la bocca quando vi vide incastrato un proiettile. Gli tornò subito alla mente di aver sentito come un colpo secco, mentre sparava insieme agli altri legionari nel tentativo di arrestare l'assalto dei ronin. In quel momento stava inginocchiato dietro il parapetto di una casamatta e teneva lo sclopetum davanti alla fronte.

-L'hai proprio scampata bella!- esclamò Furio scoppiando a ridere- Quando torni a Roma farai meglio ad offrire un grosso sacrificio a Marte e Mercurio!

Publio fece un sorriso tirato, mentre anche Sesto commentava con una battuta la sua fortuna. Dopo quella giornata incredibile, nulla avrebbe potuto scuoterlo... neanche la prova tangibile di essere scampato per un pelo alla morte. Staccò la pallottola dal mirino, mettendosela in tasca. L'avrebbe messa sull'altare dei Lari quando fosse tornato a casa. Prese nuovamente la tazza del kave e bevve lentamente, assaporandola ad occhi chiusi e lasciando che il calore della bevanda desse un po' di conforto anche al suo corpo sfinito.

Poco dopo la porta del dormitorio si aprì ed entrò Plauto Corinno. Si guardò intorno brevemente, osservando uno alla volta i tre tribuni con attenzione, come a volerli esaminare. Si soffermò su Sesto, la cui armatura era macchiata di rosso.

-Sei ferito, Balbo?- chiese.

-No, legato- rispose Sesto- Non è sangue mio.

E raccontò che durante la salva dei missili uno di questi era scoppiato proprio contro la feritoia aperta, uccidendo una vedetta e ferendo gravemente l'altra. Il sangue era di quest'ultima, Sesto si era macchiato quando aveva tentato di soccorrerla.

-Così il numero dei morti nella legione sale a dieci- disse Corinno- Il tuo uomo è il primo ad essere stato ucciso nel Vallo... gli altri sono caduti tutti nella valletta.

-Quanti sono i feriti?- chiese Furio.

Corinno scosse la testa e scrollò le spalle. Prima di passare in rassegna i dormitori per andare a trovare chi aveva ricevuto il cambio, era sceso nell'infermeria, che si trovava sottoterra, nelle fondamenta del Vallo, ma non aveva potuto accedervi, tanto era ingombra. I ronin avevano un'ottima mira e, a parte gli osservatori che si trovavano troppo in alto, le feritorie delle altre postazioni non costituivano un bersaglio poi tanto inaccessibile per loro. La salva dei missili, poi, aveva ferito parecchi uomini che si trovavano sulle postazioni di artiglieria scoperte in cima alla fortificazione. Ora Corinno aveva bisogno di stabilire qual'era l'organico attivo della sua legione e poi regolarsi di conseguenza per mantenere intatte le difese di sua competenza. Quattro dei suoi tribuni erano in partenza, e questo lo avrebbe costretto a sostituirli con altri meno capaci che aveva originariamente destinato ai servizi di vettovagliamento. Ma tutto sommato, non poteva lamentarsi. La sua legione aveva retto all'urto della prima offensiva e aveva inflitto pesanti perdite al nemico. I prossimi attacchi sarebbero stati via via meno violenti. Anche quell'anno, Roma avrebbe preservato i suoi confini.

-Te la sei cavata bene laggiù nella valletta, Scipione- disse, rivolgendosi a Publio- Dopo che hai respinto il loro ultimo assalto, gli esploratori di Appio Sempronio hanno effettuato una nuova sortita e hanno eliminati gli ultimi infiltrati. La valletta adesso è completamente sgombra.

-Niente prigionieri?- chiese Balbo.

Corinno sorrise come si sorride all'ingenuità di un bambino.

-Per i nionici la prigionia non è neanche lontanamente concepibile, ragazzo- rispose- Per loro in battaglia si vince o si muore, non ci sono altre possibilità. I nostri hanno provato a catturarne qualcuno, ma piuttosto che farsi prendere due di loro hanno sguainato le spade corte e si sono trafitti il ventre.

I tre giovani tribuni storsero la bocca, disgustati e allo stesso tempo increduli. Anche i romani contemplavano il suicidio come mezzo per preservare l'onore, ma avevano smesso da tempo di farlo pugnalandosi o tagliandosi le vene. Meglio piuttosto un buon colpo di sclopetum alla testa.

-Per loro è una sorta di rituale- commentò Publio.

-Un rituale barbaro- insistette Furio, senza tuttavia insistere oltre.

Normalmente Furio avrebbe usato quell'argomento di discussione per provocare Publio ad un'altro diverbio, ma anche un attaccabrighe come lui non si sarebbe messo a litigare con un commilitone che aveva appena affrontato a viso aperto il nemico... specie dopo che solo pochi giorni prima lo aveva ingiustamente accusato di nutrire simpatie verso il nemico. Quanto avvenuto quel giorno, se non altro, dimostrava l'esatto contrario, anche se Furio, orgoglioso com'era, non l'avrebbe mai ammesso.

-Cercate di riposare adesso- disse Corinno prima di andarsene- Ne avete bisogno.

Tutti e tre i tribuni seguirono il consiglio e s'infilarono nelle loro cuccette. Publio faticò a prendere sonno. Nel timore di un nuovo allarme, si erano coricati senza togliersi l'armatura e l'equipaggiamento, che adesso gli pesavano addosso. Ma nemmeno nel morbido letto di casa sua, a Roma, sarebbe riuscito a stare più comodo. La battaglia era finita, ma la tensione che gli aveva lasciato dentro rimaneva e gli impediva di rilassarsi abbastanza da prendere sonno, nonostante la stanchezza. Se non fosse stato per tutta quella roba che aveva addosso e che lo appesantiva, avrebbe passato le poche ore di riposo concessegli a girarsi e rigirarsi nella cuccetta. Invece dovette starsene fermo, disteso sulla schiena, a fissare il soffitto grigiastro del dormitorio e ad ascoltare il lieve russare di Sesto e Furio che, non soffrendo delle sue stesse pressioni, si erano addormentati quasi subito.

Alla fine, tuttavia, la spossatezza dovette pure avere la meglio, perchè Publio percepì nella propria mente come un vuoto di memoria, dal quale si riscosse quando Sesto lo scosse delicatamente ma con decisione per le spalle. Ebbe un sussulto e aprì gli occhi di scatto, fissando il commilitone che appariva ben riposato.

-È arrivato il rancio, Scipione!- disse allegro- Su, scendi a mangiare!

Publio annuì e si passò una mano sulla faccia, prima di levarsi a sedere. Non si sentiva molto riposato, doveva aver dormito non più di un'ora dopotutto, ma il rancio caldo che lo aspettava al tavolo del dormitorio era più allettante dell'idea di rimettersi a dormire. Saltò giù dalla cuccetta e raggiunse i due commilitoni al tavolo. 

Dopo aver consumato il rancio, Publio si sentì molto meglio e accettò di seguire Sesto e Furio in un altro dormitorio dove si erano radunati gli altri ufficiali che avevano ricevuto il cambio. Qui regnava una confusione incredibile e inusuale in quegli ambienti solitamente sobri e ovattati. Sembrava quasi che, rientrando dai combattimenti, i tribuni si fossero portati dietro il clamore dei combattimenti cui avevano preso parte. Tutti parlavano ad alta voce, e tutti erano straordinariamente euforici. Publio notò che non c'era nessuno dei tribuni veterani; probabilmente Corinno li stava tenendo alle postazioni il più a lungo possibile; e questo spiegava il motivo di quell'atmosfera esaltata. Finalmente, dopo tanta attesa e tanta tensione, quei giovani tribuni avevano avuto la loro giornata di gloria e stavano festeggiando. Chissà se avrebbero ancora tanta voglia di festeggiare se ciascuno di loro si fosse trovato steso a terra con un nionico inferocito pronto ad infilzarlo, pensò Publio laconicamente. D'altro canto, poteva anche comprendere che quell'euforia, per quanto fuori luogo in un momento in cui l'emergenza non era ancora cessata, era anche un mezzo per scacciare via la tensione e la paura inconscia accumulatesi nel corso della battaglia. Chi avrebbe potuto biasimare la loro felicità per l'essere ancora vivi e tutti interi, del resto?

I nuovi arrivati vennero immediatamente presi d'assalto e bersagliati di domande su come si erano svolti i loro combattimenti, quanti nemici avevano ucciso, se avevano subito perdite e altre domande simili. L'armatura di Sesto, ancora sporca di sangue, suscitò sgomento e ulteriori interrogativi su come il tribuno e i suoi avevano reagito quando il missile aveva centrato la feritoria della loro fortificazione. Publio, naturalmente, fu quello su cui si concentrò maggiormente quell'interrogatorio serrato, ma lui non aveva troppa voglia di ricordare le ore appena passate. Sì, aveva difeso un settore particolarmente cruciale e vulnerabile del confine e una parte di lui era consapevole di aver evitato la catastrofe che si sarebbe certamente verificata se i nionici avessero forzato la valletta, ma in quel momento la consapevolezza di esserne uscito vivo era di gran lunga più tonificante dell'orgoglio per il valore dimostrato. Per quello, pensò mentre si congedava dagli ultimi interlocutori, ci sarà tempo dopo.

Stava per decidere di andarsene, accampando la scusa di dover ancora preparare la propria roba per la partenza, quando vide che nel dormitorio c'era qualcun'altro che, al pari di lui, si sentiva fuori posto. Adriano Rufo era là anche lui, ma se ne stava in disparte, seduto sulla sua cuccetta a leggere un libro senza troppa convinzione. Sembrava più depresso del solito. Publio gli si avvicinò e si sedette accanto a lui.

-Ave, Rufo!- lo salutò sforzandosi di suonare allegro- Giornate faticose queste, eh?

-Suppongo- rispose Rufo scrollando le spalle- Stavi già andando via?

-Sì, volevo fare alcune cose, prima di partire.

-Pensavo di andare via anch'io, almeno per un po'. Non credo di essere il benvenuto qui.

Publio lo guardò stupito.

-Ma come, questo è il tuo dormitorio, no?- fece.

-Sì, ma...

E senza aggiungere altro, Rufo indicò con un cenno del capo gli altri che continuavano a far confusione e a parlare della battaglia, vantandosi delle rispettive prodezze, più o meno realmente compiute. Publio capì immediatamente il motivo per cui Rufo si sentiva a disagio. Lui non aveva nemmeno uno straccio di merito da vantare, visto che il legato lo aveva assegnato al deposito munizioni. Della battaglia, lui, aveva visto solo il sali e scendi del montacarichi.

-Bah... non badarci più di tanto, Rufo!- tentò di risollevarlo- Sono solo chiacchiere e vanterie! Se vuoi la verità, mi danno anche un po' fastidio.

-Tu non capisci, Scipione!- ribatté Rufo con veemenza.

Publio si voltò a guardarlo e vide che i suoi occhi erano lucidi, i lineamenti del viso tesi e induriti dall'amarezza e dal rancore. Quando riaprì bocca, la sua voce sembrò sul punto di incrinarsi.

-Tu potrai anche trovare sciocco tutto questo, ma hai pur sempre un motivo per sentirti fiero e soddisfatto di te, anche privatamente. Io non ho neanche questo, invece! Non sono riuscito a combinare nulla... come al solito!

-Rufo, ma che vai dicendo?- rispose Publio con forza- Nè tu, nè quegli sciocchi vi rendete conto che se non fosse stato per te che gli mandavi su le munizioni, non sarebbero riusciti a combinare nulla!

-È qui che ti sbagli!- disse Rufo, ora piangendo per la rabbia e la vergogna- Ha fatto tutto un centurione! Arrivavano così tante richieste di rifornimento, mi sono confuso... ho anche mandato in panne il montacarichi caricandolo troppo!

Publio rimase in silenzio, incerto su cosa rispondere di fronte alla disperazione di Rufo. Era totalmente inadeguato per la vita militare, persino per i servizi ausiliari. Messo sotto pressione, perdeva totalmente il controllo di se stesso e riusciva solo a peggiorare la situazione. Ma la cosa più grave, e probabilmente era quello che faceva tanta rabbia a Rufo in quel momento, era che fallire come ufficiale della legione significava tagliarsi ogni possibilità di intrapresa della carriera politica, che per un giovane appartenente all'aristocrazia romana era il massimo cui si potesse aspirare. Un vero peccato, perché Rufo rimediava egregiamente alla sua inadeguatezza militare con un ingegno e una capacità di ragionamento fuori dal comune, cosa che non si poteva dire di alcuni dei giovani tribuni presenti nel dormitorio.

-Hai solo bisogno di fare più esperienza- disse Publio, cercando di tirarlo su- Vedrai che con un po' di tempo...

-Sono un pessimo soldato, Scipione! Pessimo e senza speranza!- lo interruppe Rufo- Che bella carriera, poi, che ci farei! Tribuno addetto ai vettovagliamenti! A questo mi è servito studiare tanto?!- esclamò sventolando davanti alla faccia dell'amico il libro che aveva in mano- Lascia perdere!

Così dicendo, si alzò di scatto e uscì dal dormitorio, sbattendosi dietro la porta. Publio cercò di andargli dietro, ma si sentì afferrare per una spalla.

-Lascialo perdere, quella donnetta buona a nulla!- disse una voce in tono di scherno- Piuttosto, dicci come è fatto uno di quei barbari da vicino, tu che ne hai visti tanti in un giorno solo!

-Dicono che fra quelli che si sono sventrati per non farsi prendere vivi, ce n'era uno con i denti colorati di nero! Tu lo hai visto?- chiese un'altro, ridendo divertito.

Publio si voltò e si scrollò di dosso con violenza la mano di Flavio Tiburtino, fissando poi con rabbia lui e gli altri. I loro sorrisi beffardi e arroganti si spensero in un attimo di fronte a quell'espressione tetra e adirata, a quegli occhi che sembravano volerli fulminare tutti. Per un attimo, un silenzio carico di tensione regnò nel dormitorio fino a quel momento rumoroso. Poi, Publio si decise a rispondere.

-Ci sono venuti addosso in massa, sparando all'impazzata e decisi a farci a pezzi. La prima cosa che ho pensato quando me li sono visti venire contro è stata che volevo girarmi e scappare da lì. Non l'ho fatto, certo... ho resistito, certo... ma ero confuso e terrorizzato, non meno di quanto lo fosse Rufo laggiù nel deposito senza sapere che cosa stava succedendo.

Nessuno osò rispondere. Qualcuno distolse lo sguardo, qualche altro chinò il capo. Tutti erano rimasti profondamente imbarazzati e sgomenti da quell'ammissione. Si erano riuniti lì per vantarsi di fatti e gesta eroiche gonfiate oltremisura o addirittura inventate. Invece Publio Giulio Scipione aveva detto esattamente loro cosa aveva fatto e cosa aveva visto... e aveva addirittura ammesso di aver avuto paura!

-Se non ci sono altre domande del cazzo, avrei altro da fare!

Così dicendo, Publio si voltò e uscì a sua volta da dormitorio, sbattendosi anche lui la porta alle spalle.

****************

Ecco qua! Dopo l'estenuante capitolo d'azione precedente, mi ci voleva un attimo di riflessione. Prima di rimettermi a scrivere, ho riletto i capitoli precedenti e ho notato qua e là alcune lacune che spero di colmare. Una di queste è la descrizione fisica di Publio, per la quale ho escogitato un espediente a mio parere interessante, ma che richiederà un notevole avanzamento della trama; strano, ma a tempo debito capirete il perchè.
L'altra lacuna spero di essere riuscita a colmarla con questo capitolo. Volevo dare l'idea dello stato d'animo e delle reazioni dei personaggi, e soprattutto del protagonista, dopo aver visto la guerra per la prima volta. I romani erano un popolo bellicoso, ma erano pur sempre esseri umani che cavolo! Mi riesce molto difficile immaginare i legionari (soprattutto reclute e giovani ufficiali) rimanere indifferenti di fronte al massacro di Teutoburgo o a quello di Canne. Grazie a Edge of Darkness per avermi fatto notare il gap, quindi.
In ultimo, avverto chi ha letto il capitolo che all'interno è presente un riferimento apparentemente insignificante, ma che in realtà è estremamente importante ai fini della trama. In genere non faccio spoiler, tanto meno sulle mie creazioni, ma questo è veramente importante e allo stesso tempo passa inosservato (No, non vi dirò io qual'è!), quindi... leggetevi bene il capitolo, così quando arriverà il momento ve ne ricorderete! Sappiate solo che io non aggiungo dettagli a caso! 
  
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