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Autore: FRC Coazze    20/01/2012    12 recensioni
E se in una notte di fine ottobre 'qualcuno' fosse corso in aiuto ai Potter? E se questo qualcuno fosse riuscito a salvare la giovane Lily? E se sempre questo qualcuno fosse una persona innamorata da sempre di lei? E se Harry fosse scomparso?
Troverete risposta (forse) a queste domande nelle mia ff!
Dal primo capitolo: "Silente si era accostato ancora. La sagoma che giaceva accanto alle ginocchia della professoressa ora aveva un volto… e, per la miseria, anche un nome! Oh, Albus conosceva bene il colore di fuoco di quei lunghi capelli… conosceva bene i lineamenti freschi di quella giovane donna: Lily Evans giaceva lì, sul freddo pavimento, svenuta e con una sanguinante ferita sul petto… ma viva!"
Genere: Mistero, Romantico, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Lily Evans, Severus Piton, Un po' tutti | Coppie: Lily/Severus
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Il Principe della Notte'
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Capitolo 32
 

SOLO UN VERO GRIFONDORO



“Albus, -Disse la professoressa McGranitt, osservando il collega fare su e giù nel suo ufficio. –Io non capisco…” Scosse il capo sconsolata.

Silente fermò il suo avanti e indietro e si voltò lentamente verso di lei, le acque del suo sguardo rese grevi dal petrolio nero della preoccupazione che imbrattava la lucentezza del pelo dei segugi blu.

“Nemmeno io, Minerva.” Le disse sinceramente.

I suoi pensieri tornarono per un attimo alla nottata precedente. Tutto il parapiglia che era seguito alla scoperta del furto… la notte insonne colma di domande senza risposta…  Nessuno, dal più piccolo dei ritratti del castello, ai fantasmi, ai professori si era risparmiato quella notte, avevano battuto tutto il castello, bloccato tutte le uscite, ma non era valso a nulla. Il ladro era svanito nella notte così come era comparso nel castello. Un’ombra, inafferrabile e silenziosa. Albus, d’altra parte, non se ne meravigliava. Severus conosceva il castello bene quasi quanto lui, sapeva come muoversi, conosceva tutti i passaggi segreti e, soprattutto, conosceva in anticipo le mosse del preside, sapeva quali corridoi avrebbero controllato per primi, sapeva quali entrate avrebbero chiuso subito… come avrebbero potuto catturarlo? Quando avevano realizzato che il ladro era lui, quando Phineas aveva detto il suo nome ancora colmo di incredulità, era stato troppo tardi.

“Perché Severus?” Chiese la McGranitt facendo un passo verso il preside, interrompendo lo scorrere dei pensieri di questi. Albus alzò lo sguardo blu verso di lei.

“Suppongo tu intenda: come ha potuto Severus rubare il Cappello.” Disse con un sorriso.

“Quello che ti pare, Albus.” Fece la professoressa, irritata, agitando la mano verso il mago.

“Non credo agisse per sua volontà.” Le disse l’altro, portando le mani ad unirsi dietro la schiena. Era una cosa su cui aveva meditato a lungo in quelle ore insonni. Severus non avrebbe mai, mai, rubato qualcosa alla scuola di sua volontà.

Minerva scosse decisa il capo, incapace di credere che… no, Albus non stava davvero suggerendo quello. Non Severus.

“Oh no, Albus, non  suggerirlo neppure.” Disse decisa.

“Mi limito a valutare tutte le possibilità. E il fatto che Severus possa aver rubato il Cappello per Voldemort di sua spontanea volontà non fa parte delle dette possibilità.” Rispose Silente gettando un’occhiata brillante d’azzurro all’amica.

Minerva parve pensierosa per un attimo, poi disse: “E il fatto che potrebbe averlo rubato di sua iniziativa non è una possibilità?” Azzardò.

Albus la guardò gravemente per qualche istante, parve vagliare per un istante quell’ipotesi e Minerva osò sperare di aver trovato un’alternativa a… non riusciva neanche a pensarci… a quello. Ma tutto le sue speranza svanirono in uno sbuffo quanto vide il preside scuotere tristemente il capo.

“Non è possibile, Minerva. –Disse Albus. –Supponendo che Severus agisse di sua iniziativa, perché rubare il Cappello? Se non era sotto l’influenza di Voldemort, così come è entrato nel castello, poteva chiedere di avere il Cappello. Se fosse stato così, sarebbe stato libero.”

“Ma, Albus… -Intervenne la McGranitt. –Non puoi pensare che sia-”

“Sotto Imperius?- Concluse il vecchio preside. –Non c’è altra spiegazione.” Concluse aprendo le braccia con fare sconsolato.

“E Lily?- Domandò allora la professoressa, sedendosi stancamente sulla sedia di fronte alla scrivania del preside. –Deve saperlo.”

Silente la guardò profondamente per qualche istante, poi annuì deciso. “Sì. Lo deve sapere. Mi pare di essermi già comportato abbastanza male con quella ragazza.”

“Decisamente.” Commentò sarcastica la McGranitt corrugando appena le sopracciglia.

“Posso chiedere che cosa hai intenzione di fare, Albus?” domandò Minerva.

Silente si voltò lentamente verso di lei, prese un profondo respiro poi disse: “Cosa fare. –Ripetè. –Questa è una buona domanda.”

“Smettila di recitare, Albus. –Gli disse duramente la McGranitt. –Lo so che hai un piano. Mi risulterebbe molto difficile credere il contrario.”

Albus sorrise furbescamente aggiustandosi appena gli occhiali a mezzaluna sul naso. Gli occhi azzurri scintillavano come non mai al di là delle lenti, il loro brillio sagace enfatizzato dal vetro curvo. Oh sì, aveva un piano. Un piano folle, per la verità, ma l’unico che gli fosse venuto in mente. Prima, però, doveva aggirare l’ostacolo Ordine della Fenice, visto che i suoi compagni difficilmente gli avrebbero permesso di fare di nuovo di testa sua, ma per questo aveva già una scappatoia: si chiamava Minerva McGranitt e stava proprio lì davanti a lui, bastava soltanto guidare bene il discorso.

“Minerva, Minerva… -Disse con fare ostentatamente indifferente, spiando la professoressa con raggi appena accennati di blu. –Tu cosa consigli?”

La McGranitt lo guardò stupita, la bocca semi aperta nella sorpresa.

“Come sarebbe ‘cosa consigli’, Albus!- Esclamò indignata. –Sei tu la mente. Sei tu ad avere sempre la giusta risposta. Ci siamo sempre rivolti a te nel dubbio.”

“Ah. –Fece allora Silente. –Pensavo di aver perso quella posizione dopo la birichinata dell’altra sera.” Concluse con un sorriso mellifluo.

“Brichinata…” Ripetè la McGranitt in un sussurro, valutando per un attimo quella parola che sentiva così stonata.

“Per favore, Albus.- Disse poi decisa, alzandosi in piedi. –Questo è giocare scorrettamente.”

Albus Silente si lasciò andare ad una risata sogghignante, divertito dall’espressione indignata che si era dipinta sul viso della McGranitt. Si grattò distrattamente il naso, senza cancellare il sorriso che gli incurvava la barba candida.

“D’accordo, d’accordo. –Fece poi, alzando le mani con i palmi rivolti in avanti come a rallentare l’avanzata degli eventi stessi, come a cercare di fermare quella marea per scandagliare il fondo del mare alla ricerca di eventuali elementi che gli fossero sfuggiti. –Non posso dire di avere un piano. C’è ancora qualcosa che mi sfugge e senza quel tassello non posso collegare gli eventi. Mi manca la chiave, Minerva.”

“La chiave ce l’ha il Signore Oscuro, Albus.” Gli fece allora notare la professoressa.

“Sì, è vero. Ma c’è qualcosa che…- Cominciò Albus, guardò l’aria vuota come a cercare la parola giusta in essa, poi scosse il capo. –Non so.”

“Albus?” Fece la McGranitt, cercando di strappare qualche parola all’amico e collega. Una qualsiasi cosa… non le piaceva rimanere lì, così, in bilico senza sapere cosa fare. Non era una bella sensazione. Albus doveva avere un piano, una risposta. Albus aveva sempre un piano… sapeva sempre cosa fare…

“Come è messa la mia nomea tra gli altri dell’Ordine?” Si informò il preside, gettando un’occhiata cupa alla professoressa.

“Male. –Disse duramente la McGranitt, poi si aggiustò gli occhiali sul naso e trasse un sospiro. –In ogni caso, suppongo che siano disposti a confidare ancora in te. Dopotutto, il tuo geniale cervello è l’unico in grado di srotolare la matassa.” Concluse con tono sarcastico.

Albus sorrise apertamente, divertito. “Invero.” Disse, gonfiando il petto con aria scherzosamente arrogante. Volse lo sguardo azzurro, scintillante di nuova luce ai raggi appena sussurrati dell’alba che filtravano attraverso gli spessi vetri delle finestre. Lo allontanò per un attimo dalla professoressa ancora in vestaglia, per posarlo sulla fedele fenice. Guardò quei neonati fasci di luce bianca, silenziosi e indifferenti spettatori, concentrare la loro attenzione sulle vermiglie piume di Fanny, tacitamente appollaiata sul suo trespolo. Li osservò accarezzarne le penne con dita d’argento facendole avvampare di fuoco, mentre Fanny godeva del loro tocco gli occhi dorati fissi in quelli blu del suo padrone come soli sorgenti da quei mari blu. Silente sorrise, era il momento di far scattare la trappola, Minerva non avrebbe avuto scampo.

“Minerva, -Disse Silente, senza scostare lo sguardo dalla fenice, -Ti spiacerebbe contattare gli altri membri dell’Ordine? Urge una riunione straordinaria.”

La professoressa fece un passo avanti. “Un momento, Albus…” Cominciò, ma Albus la interruppe spostando velocemente lo sguardo su di lei.

“Dì loro che si trovino a Villa Silente, tutti, tra un’ora.” Continuò Silente con voce profonda senza dare alla McGranitt modo di ribattere.

“Albus…” Tentò la professoressa, ma l’altro non diede segno di averla sentita.

“Non contattare Lily e gli altri che sorvegliano i Malfoy, non possiamo permetterci di lasciarli senza protezione. Non c’è altro modo. Non credo che Lucius ci permetterebbe di riunirci a casa sua, e poi Brix farà da intermediario.”

“Albus! -Lo rimproverò la McGranitt riuscendo finalmente a guadagnare l’attenzione del preside . – Tu sei la contraddizione fatta persona. Lo sai questo? Hai appena detto che dirai tutto a Lily e poi non le permetti di presenziare ad una riunione tanto importante?”

“Dimmi cos’altro posso fare? –Fece allora Albus, aprendo le braccia con aria rassegnata, ben sapendo che il suo piano stava andando a buon fine. –Voldemort sa di Malfoy, ci metto la mano sul fuoco. Intende punirlo e per punire lui colpirà la sua famiglia. Cosa devo fare io? Dimmelo.”

“Non possiamo fare una riunione. –Gli disse duramente la McGranitt. –Capisco che sarebbe la cosa giusta nei confronti dell’Ordine, confrontarti con loro prima di prendere una decisione, soprattutto dopo l’altra sera. Ma non possiamo aspettare ancora.”

Silente la guardò per qualche istante, soppesando le sue parole. E brava Minerva, dritta nella trappola. Si poteva proprio dire che aveva messo il gatto, anzi, la gatta nel sacco.

“Suppongo, -disse Albus trattenendo a stento il sorriso. –che dovrò prendere in mano io la situazione, allora.”

“Non vedo altra soluzione. Parlerò io con gli altri, se è questo che vuoi.” Si propose Minerva.

Silente trasse un lungo sospiro, sorridendo tra sé e sè. Inutile dire che era esattamente ciò che voleva, se di una cosa si vantava era della sua abilità nel giocare con le parole.  Era proprio lì che voleva arrivare. Proporre la riunione ben sapendo che non ce n’era il tempo, lasciando a Minerva la responsabilità della cosa…. Se qualcuno si fosse lamentato, lui avrebbe potuto nascondersi dietro il fatto che aveva democraticamente proposto la riunione e che poi era stata Minerva McGranitt a convincerlo a fare altrimenti. Si sentiva un po’ in colpa, quello sì. Non era molto carino nei confronti di Minerva, ma era l’unico modo per fare di testa sua pur mantenendo l’appoggio dell’Ordine.

“Molto bene. Parla con gli altri dell’Ordine. -disse allora alla McGranitt. -Soprattutto Alastor e Aberforth, vedi cosa ne pensano. A questo punto, vagliando bene le possibilità, una riunione non è possibile. Hai ragione tu. Parla con loro, cerca di capire se sono disposti a fidarsi ancora una volta.”

“Se mi chiedono cosa hai intenzione di fare, cosa rispondo?” Chiese allora la McGranitt dopo un lieve cenno d’assenso.

Gli occhi di Silente scintillarono per un attimo, poi, il preside disse: “Non intendo lasciare Severus un giorno di più nelle mani di Voldemort. Il tempo dei sotterfugi è finito. Faremo l’unica cosa che Lui non si aspetta: attaccheremo Villa Riddle.”

Minerva lo guardò stupita per qualche istante, non se lo aspettava. Era un’idea tanto folle quanto geniale, in effetti, Voldemort non si sarebbe mai aspettato un attacco frontale, si stava crogiolando tra i tiepidi fumi della vittoria, e quando era sicuro di vincere, Tom Riddle abbassava le difese.

“Ci saranno decine di Mangiamorte, questo lo sai vero?” Disse la McGranitt.

“Sì. –Concordò Silente, -Ma Tom, e tu questo lo sai bene quanto me, avrà abbassato le difese. Crede di avermi battuto, crede di aver ottenuto tutto, crede di aver già vinto, ma così facendo scoprirà il fianco. Non c’è altra soluzione, Minerva. Se vogliamo salvare Severus dobbiamo entrare nella tana del lupo. Anzi, è il caso di dirlo, del Serpente.”
 

***
 

“Te lo chiedo ancora: sei sicuro di ciò che stai facendo?”

Quella voce roca, diversa come appartenesse a tempi lontani, perduti nel nero, continuava a riecheggiare nella sua mente mentre attraversava svelto i corridoi cupi e asfittici di Villa Riddle. Severus fece scattare il capo in un gesto nervoso come a cercare di scacciare quella voce dalla sua testa, gettarla via, fuori dai suoi pensieri, continuò a tenere gli occhi neri puntati al pavimento, occhi che non vedevano, occhi che non capivano, vuoti a guardia di una coscienza rinchiusa nel profondò, prigioniera di catene maledette che le la stringevano come spire di un serpente. Eppure quella coscienza lottava, lottava strenuamente per liberarsi. Premeva su quelle catene, artigliandole, mordendole, ferendosi in quello scontro vano, accanendosi su quel carceriere serpentino con tutta la forza della disperazione, ma non serviva a nulla.

No, non sapeva quello che stava facendo, sapeva solo che doveva farlo. Sentiva soltanto quelle catene stringerlo costringendolo ad avanzare lungo quei corridoi bui tenendo saldamente il Cappello Parlante sotto il braccio sinistro.

Il suo signore desiderava quel Cappello. Il suo signore voleva quel cappello e lui glielo avrebbe consegnato, non poteva fare altro. Era vuoto. Quella lucida scintilla di consapevolezza che ancora brillava dentro di lui, lui stesso la aborriva. Faceva male dare addito alla voce di quella scintilla, faceva male ricordare, capire sapendo che non poteva fare nulla per fuggire. Perché costringersi a rendersi conto?

“Perché tu non sei quello che Lui vuole che tu sia.” Rispose la voce del Cappello nella sua testa.

Severus si stupì ad udire quelle parole. Sussultò, scosso dal dolore che quella voce spandeva nella sua mente.

“E cosa sono?” Osò domandare, senza nemmeno capire cosa stesse dicendo.

“Tu sei Severus Piton. –Gli rispose il Cappello. –Non dimenticare chi sei. La Sua maledizione è potente, ma tu sei più forte, lo hai già dimostrato.”

“Io non so chi sono. Io sono al posto giusto.” Disse allora Severus.

Il Cappello grugnì scettico. “Al posto giusto, dici?- Ripetè. –E allora perché ti sento dibattere come un animale in trappola? Sento il tuo cuore, e non è corrotto nonostante il veleno delle Sue parole. Non ignorarlo solo perché ti fa male. E’ lì il tuo vero io, Severus Piton, e su di esso non ha alcun appiglio la maledizione.”

“Quale maledizione?” Chiese Severus, scuotendo il capo senza capire. Non capiva, lui stava facendo la cosa giusta. Era il servo del suo signore e il suo signore voleva il cappello. Di quale maledizione stava parlando? Perché diceva quelle cose? Perché sentiva di dover combattere contro catene inesistenti… perché si sentiva così? Sprazzi di coscienza, che non capiva se appartenevano a lui o ad altri, a volte lo avvolgevano. Ricordi familiari eppure sconosciuti si affacciavano sul suo cuore. E poi il buio, il vuoto, la tregua, l’ansimare della sua anima nel tentativo di riprendere fiato dopo la lotta vana. Il buio e la voce sibilante, gelida che invadeva la sua mente e lo stringeva a sé.

Il Cappello non parlò più. Sospirò, soltanto un sospiro, poi tacque mentre il giovane si fermava di fronte ai due pesanti battenti del portone nero, guardati a vista dalle due torce infernali. Non erano le porte del salone vuoto dove Voldemort aveva posto il suo trono, ma quelle altrettanto imponenti di quella che era stata la sala da pranzo, dove ora si tenevano le riunioni dei Mangiamorte. Le porte si spalancarono innanzi a lui con un rumore sordo, autoritario, come uno scattare sull’attenti di guardie nere e imponenti. Al di là vi era una sala vuota, se non per un enorme tavolo di noce, pesante, dalle gambe finemente intagliate. Il ripiano talmente lucido da specchiare il soffitto a cassettoni. Ai suoi lati v’erano due file di sedie, dieci per lato, più due ai capi tavola, e, in fondo alla stanza un enorme camino di pietra, spento. Tutta la stanza era invasa dalla luce smorta e pallida dell’alba che permeava dai finestroni con languide voci e nenie spettrali. E poi quella voce.

“Ah, Severus!- Esclamò Lord Voldemort allargando un sorriso sottile, là seduto solennemente a capo tavola, le spalle rivolte al camino. –Ti attendevo. Vieni.” Aggiunse, levando una mano bianca con eleganza e facendo cenno al giovane di entrare.

Severus fece alcuni passi nella sala, il tocco dei suoi stivali sulla pietra echeggiò sulle pareti vuote inseguendo sé stesso in una corsa folle, mischiandosi al boato del portone quanto esso si richiuse costringendo Severus in quella prigione fredda di nulla.

I suoi occhi si posarono sull’altra persona presente nella stanza. Solo una. Un ometto tremante, rannicchiato su sé stesso, si premeva contro il muro, quasi nel tentativo di sparire in esso, a distanza di sicurezza da Lord Voldemort a cui non evitava di lanciare occhiate terrorizzate come se si aspettasse di essere colpito da un momento all’altro. Squittiva a balbettava parole incomprensibili tra sé e sé spandendo nella stanza uno strano sottofondo sonoro che non faceva che ampliare la cappa di terrore che vi aleggiava. Severus lo guardò con occhi vuoti, indifferenti, per un istante, poi portò nuovamente la sua attenzione su Voldemort.

 “Bene, Severus. Ottimo lavoro. –Disse questi con voce mielata. –Mostra dunque il nostro ospite.” Lo invitò poi con un lieve cenno della mano bianca, indicò la lucida tavola nera.

Severus estrasse il Cappello da sotto il braccio e lo poggiò davanti a sé con un gesto meccanico, all’estremità del tavolo opposta a Voldemort. Quindi fece qualche passo indietro e rimase in piedi a poca distanza dal Cappello come una guardia silenziosa.

Voldemort osservò a lungo il vecchio cappello, stancamente posato sul legno scuro, la punta incurvata in giù.

“Bene, bene. –Sogghignò infine Voldemort. –Quanto tempo è passato. Benvenuto nella mia umile dimora.”

 “Benvenuto è una parola grossa, signor Riddle.” Disse improvvisamente il Cappello rivelando le pieghe degli occhi e della bocca.

Voldemort rise a quelle parole, ridacchiò di una famelica allegria, mentre guardava il suo ospite, e il suo volto era una maschera malvagia si cera bianca alla luce delle candele. Un fantasma ammantato di nero, un cadavere pallido in quella sala gelida, un cadavere dal volto irridente, malvagio.

“Come siamo prevenuti. –Fece Voldemort, ostentando un falso dispiacere di fronte alle parole del Cappello. –E io che intendevo essere gentile.”

Il Cappello inclinò appena la linea della bocca in una smorfia.

“Vedo che la tua ipocrisia non è calata in tutti questi anni, Tom Riddle. –Disse il Cappello. –Mi chiedo se è davvero questo che volevi. La tua arroganza e ambizione hanno distrutto il ragazzino che conoscevo. Hanno imbavagliato il tuo cuore, Tom Riddle. Era questo che volevi?”

Voldemort ridacchiò appena a quelle parole, divertito.

“Via, via. –Disse. –Non è il momento delle prediche, né tu hai il potere di farle a me, vecchio cappello. Io,- Fece con tono solenne portando le mani al petto ad indicarsi, -io sono andato oltre chiunque altro nella conoscenza della magia. Ho sondato i suoi mari, esplorato le sue sale più oscure… io sono il più grande mago mai esistito e non sarà un vecchio cappello sdrucito e polveroso a farmi la paternale. Era quello che volevo, chiedi? Sì, ti rispondo.”

Il Cappello si lasciò andare a un strano grugnito, sollevò appena la piega del sopracciglio come ad analizzare l’essere serpentino che aveva davanti.

“La tua stessa arroganza ti acceca, Tom Riddle. Hai sondato sentieri molto pericolosi, ti sei perso nel loro labirinto. Non hai alcun potere al di sopra di altri, sei solo un ragazzino perso nel buio che si nasconde dietro una facciata di falsità.” Disse il Cappello. E quelle parole parvero segnare una breccia nelle difese del Signore Oscuro, parvero alimentare le fiamme dei suoi occhi in una vampata d’ira. Voldemort si alzò di scatto dal suo scranno spingendolo indietro. Si appoggiò con le braccia al tavolo protendendosi in avanti come un serpente pronto ad attaccare sotto gli sguardi, l’uno impassibile, l’altro terrorizzato, di Severus e Minus.

“Folle!- Sibilò il Signore Oscuro. –Nessuno può stare al mio pari! Nemmeno Albus Silente! Nella sua arroganza ha creduto di potermi battere, ma io l’ho umiliato, sconfitto, distrutto!”

“Attento a non crogiolarti troppo nella tua onnipotenza. –Lo avvertì il Cappello, con voce pacata. –Albus Silente pecca di arroganza esattamente come te, è vero, ha intrapreso le tue stesse vie, ma a differenza di te ha saputo fare dietrofront. E questo lo rende un mago migliore di te.”

E Voldemort rise. Rise forte, dando voce ad una risata che penetrò a fondo nelle ossa degli spettatori di quello strano dibattito. E strano era davvero, a vedersi. Una tavolata vuota, in una sala piena di luce gelida, e i due duellanti al centro. Ben starni duellanti a dire il vero: da un lato il più potente e terribile mago oscuro della storia, dall’altro un vecchio cappello polveroso.

“Questa battuta mi è piaciuta davvero.” Commentò Lord Voldemort, sulla bocca le ultime gocce di riso. Si sedette nuovamente sulla sedia, lasciandosi andare comodamente contro lo schienale.

Gettò un’occhiata a Severus, ancora immobile, in piedi all’altro capo del tavolo, ritto e immobile come una statua.

“Che ne dici, Severus?- Fece Voldemort. –Non è divertente? Albus Silente un mago migliore di me…” Disse poi sovrappensiero posando gli occhi distrattamente sulla sua mano bianca, il palmo posato sul tavolo nero in un contrasto forzato.

Severus guardò il suo signore per un istante senza rispondere.

“Lo è, mio signore.” Disse infine con voce atona.

Voldemort parve compiaciuto da quella risposta. Giocherellò un po’ col bordo del tavolo, quindi alzò gli occhi vermigli sul Cappello e socchiuse le labbra pallide in un ghigno.

“Sentito?- Fece. –Anche i seguaci stessi di Silente lo credono inferiore a me.”

“Non hai il diritto di fargli questo.” Disse semplicemente il Cappello.

Voldemort sollevò appena le sopracciglia, senza capire. Poi, però, comprese ciò che intendeva dire il Cappello. Guardò Severus, analizzandolo, studiandolo per qualche secondo, poi portò nuovamente gli occhi sul Cappello.

“Lui è mio, vecchio. –Gli disse mellifluo, accennando a Severus. –Lui stesso ha scelto me tre anni fa. Il mio marchio segna la sua carne. Io sono il suo signore, ciò presuppone che abbia il diritto, anzi, che mi sia dovuta la sua obbedienza.”

“Così debole, Tom Riddle, da dover ricorrere alla maledizione Imperius per assicurarti la fedeltà dei tuoi seguaci?” Chiese sarcastico il Cappello allargando appena il sorriso.

Voldemort lo guardò senza rispondere, il fuoco rosso della rabbia fiammeggiante nei suoi occhi, il sorriso mellifluo sostituito da una linea retta, decisa, terribile. Pareva tremare, l’Oscuro Signore, sotto gli scrolloni dell’ira che avvampava dentro di lui. Quell’inutile cappello stava diventando decisamente irritante. Debole! Come osava quel pezzo di stoffa essere tanto sfacciato? Debole!

“E credi, nella tua arroganza, che possa bastare?- Continuò il Cappello.- Credi che queste tue catene siano infrangibili? Beh, mi dispiace deluderti, ma non è così. Tanto è arida la tua anima che non comprendi il potere di sentimenti quali lealtà e amore, ed essi, credimi, sono lame infrangibili che tutto recidono, anche i fili e le manette della magia oscura.”

“Basta!” Ordinò il Signore Oscuro, in uno scatto facendo sobbalzare Codaliscia che squittì spaventato nel suo angolo, ripiegandosi ancora di più su sé stesso, azzittendosi improvvisamente. Lui non voleva essere lì. Perché il Signore Oscuro lo aveva voluto lì?

“Sono stufo delle tue ciance, vecchio cappello. Sei stato portato a me per un motivo, non certo perché mi facessi la predica!” Ruggì con voce tagliente, come se il suo suono fosse formato da note appuntite, lame di ghiaccio che ponevano fine a qualsiasi altro suono.

“Sei pazzo se pensi di ottenere da me ciò che cerchi. –Gli disse il Cappello, tranquillamente, ponendo fine al dominio di quel silenzio gelido. –La tua magia ha già corrotto molti nobili oggetti, Tom Riddle. Credi davvero di poter raggiungere ciò che custodisco?”

Voldemort continuò a ridere a quelle parole, poi gettò al Cappello un’occhiata gelida, seppur così colma di fiamme rosse.

 “Sei tu il folle. –Sibilò. –Avrò ciò che voglio. Io ho ottenuto tutto, io ho battuto Albus Silente e ora, a breve, egli riceverà il colpo di grazia. Non può fare nulla come non puoi fare nulla tu, vecchio cappello.”

“Le tue mani sono sudice di  sangue, Tom Riddle. Non ti sarà concesso di toccare la spada.” Disse allora il Cappello.

Voldemort lo guardò con fare arrogante. E così il cappello sapeva ciò che voleva. Lo sapeva, ma, d’altronde, non era così difficile indovinarlo. La Spada di Grifondoro. Era quello che voleva. Era l’oggetto che cercava, l’oggetto perfetto per portare a compimento la sua strada verso l’immortalità.

“Oh, ma davvero?” Fece con voce falsamente mielata.

“Codaliscia!” Esclamò poi improvvisamente facendo sussultare la figura rannicchiata nell’angolo, al buio, tremolante come un topo in gabbia.

L’ometto gettò un’occhiata spaventata verso il Signore Oscuro, quindi si alzò su gambe malferme e fece alcuni passi verso di lui tenendo gli occhietti acquosi puntati al pavimento.

Il Cappello sollevò appena la piega dell’occhio con fare interrogativo mentre guardava quel patetico ometto strisciare verso il suo signore. Severus osservava la scena con sguardo distaccato, vuoto, in attesa.

Il Signore Oscuro gettò un’occhiata disgustata a Codaliscia, gli fece cenno di avvicinarsi ancora e l’altro eseguì, tremebondo, terrorizzato, il panico che lo rivestiva come un mantello permeando in profondità nella sua carne.

“Ho sempre pensato che avere un Grifondoro tra i miei sarebbe servito un giorno.” Spiegò Voldemort al Cappello con un sorriso. Quindi si rivolse di nuovo a Peter Minus.

“Prego, Codaliscia. –Lo invitò indicando il Cappello con un gesto ampio del braccio. –A te l’onore di estrarre la spada.”

Codaliscia deglutì, quindi si avvicinò con passetti incerti al Cappello. Esitò nel momento in cui si trovò accanto ad esso, le mani tese nel vuoto, le dita si ripiegarono su sé stesse, tremanti. Chiuse gli occhi per un istante, troppo spaventato per muoversi, pietrificato dal panico che lo attanagliava.

“Devo aspettare a lungo?” Fece Voldemort, sarcastico.

Codaliscia gettò un’occhiata acquosa verso di lui, poi spostò lo sguardo su Severus, impassibile, a poca distanza da lui, come a cercare una sorta di supporto, un gesto di incoraggiamento che non sarebbe mai arrivato. Deglutì ancora, cercando di farsi forza, tese di nuovo le mani e, questa volta, riuscì ad afferrare il Cappello. Lo sollevò dal tavolo sotto lo sguardo terribile e pieno d’aspettativa del Signore Oscuro, quindi guardò di nuovo Severus, insicuro, avrebbe voluto sparire, diventare invisibile, sentiva la punta della spada di Damocle premere contro il suo capo, pronta a calare su di lui.

Voltò il Cappello e vi infilò dentro una mano tozza, gli occhi serrati, sperando fortemente di riuscire ad afferrare la spada, di sentire il freddo dell’impugnatura sotto le sue dita. Annaspò all’interno, cercando disperatamente la spada, premette a fondo la mano agitandola a destra e a manca, passando le dita sulle pareti di stoffa del cappello, ma v’era solo il vuoto. La spada non c’era.

“No.- mormorò Codaliscia, nel panico- No!”

“Allora?” Fece la voce gelida di Voldemort.

Codaliscia deglutì un’altra volta, rumorosamente. Si voltò verso il suo signore tremando vistosamente, sentendo la sua condanna pesare su di lui, marchiarlo con lettere cubitali.

“I-io…io…i…” Balbettò, premendo ancora a fondo la mano nel cappello cercando disperatamente quella spada, l’unica sua salvezza dall’ira di Voldemort.

E gli occhi di Voldemort erano ridotti ormai a due fessure, vomitanti fuoco, ira, tanto possente da far tremare l’aria intorno a lui, tanto terribile da spaventare anche Severus che si scoprì a fare un passo indietro involontariamente.

Il movimento fu tanto svelto che Severus a malapena se ne accorse.  Soltanto un lesto, terribile lampo di luce smeraldina che saettava verso l’ometto che squittiva terrorizzato. Soltanto un fascio verde, inarrestabile ladro di vita che sfrigolava di magia nera. Soltanto due parole, sputate con tutta la noncuranza e la rabbia che macchiavano le labbra di Voldemort.

“Avada kedavra!”

Severus vide la maledizione colpire Codaliscia in pieno petto. Lo vide cadere indietro, colpendo il pavimento di legno della sala come un pupazzo senza vita, il Cappello vuoto ancora stretto tra le dita tozze, spasmodicamente ritorte nella presa, gli occhietti da roditore spalancati e vitrei.

Severus rimase qualche istante a fissare quegli occhi vuoti. Guardò il corpo senza vita di Codaliscia riverso sul pavimento senza riuscire a provare alcuna emozione.

Voldemort ansimava nella sua ira, cercando di riprendere il controllo. La mano stretta sulla bacchetta, tremante di rabbia non repressa, e anche lui fissava il corpo di Peter Minus, lo guardava con occhi ancora luccicanti di ira. Si alzò di scatto, rischiando di rovesciare la sedia, e si avvicinò, scivolanto silenziosamente, al cadavere. Lo guardò dall’alto con disgusto, eppure con un sadico sorriso sulle labbra.

“Severus.” Disse, alzando lo sguardo sul giovane.

“Mio signore.” Disse allora questi, trattenendo in sé la paura che provava.

“Ho un incarico per te.- Spiegò Voldemort con voce ancora irata. Fece alcuni passi verso di lui finchè non si trovò a poche decine di centimetri dal ragazzo, gli occhi infuocati ad illuminarne il volto.

“E’ ora di sistemare la faccenda Malfoy. Trovali. Uccidi Narcissa e il bambino, ma Lucius lascialo in vita. E portami il giovane Potter.” Disse allora Voldemort.

“Il giovane Potter, mio signore?” Azzardò Severus.

“Si trova a Villa Malfoy. Portalo da me.” Sibilò l’Oscuro Signore, mentre si voltava con un ondeggiare delle ampie vesti, senza vedere il cenno d’assenso che gli rivolgeva Severus.

“Quanto alla spada…- Sussurrò poi Voldemort, fissando il cappello tra le mani rigide di Codaliscia. – Dopotutto, anche il cappello è un oggetto interessante…”
 

*******

 

Va bene, ora voi sicuramente mi darete torto, ma questo capitolo mi ispira poco. A parte l’ultima parte, il resto mi pare un po’, un po’ tanto, tirato per le orecchie, tanto per scrivere qualcosa. A meno, questa è la mia impressione.

Non posso dire, comunque, che sia stato un capitolo facile, anzi. In ogni caso, la parte di Silente mi sembra vuota, senza colore, non so come spiegarmi… vabbè, non sono riuscita a tirar fuori di meglio, perdonatemi.

La parte con Voldemort e il Cappello è stata un Calvario. Che diavolo si dicono Voldy e il Cappello? Ho passato ore a scervellarmi, e non è venuto fuori un granchè purtroppo. L’unica cosa che è venuta bene è la parte con Codaliscia. Tra l’altro, penso che sia proprio la fine che meritava: anonima e inutile.

E Sev mandato a punire i Malfoy? Povero ragazzo… tutto a lui capita. Bella punizione per Lucius, poi: vedersi annientata la famiglia…

Va bene, mi raccomando, aspetto i vostri commenti.

Alla prossima!
 
 
 
 
 
  
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