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Autore: Shainareth    21/01/2012    6 recensioni
*** Si ringraziano Atlantislux per l'impeccabile betaggio, Ike_ ed Erecose per l'indispensabile consulenza, e Milly Miu Miu per le bellissime illustrazioni. Nonché tutti voi lettori. ***
[Dragon Age: Origins] Ero viva per davvero? O quel disgraziato mi aveva seguita nel regno dei morti col solo intento di prendermi per i fondelli? Pensando a questa possibilità, valutai seriamente l’idea di dargli una testata sul naso. Se non lo feci, fu unicamente perché Duncan si avvicinò a noi e mi porse un boccale d’acqua. Ancora frastornata, mi misi a sedere e bevvi avidamente, come se avessi una sete insoddisfatta da giorni, cercando di mandare via l’orribile sapore che avevo ancora in bocca.
Unica precisazione: la protagonista NON è una Mary Sue. XD
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Spoiler!
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Nimue Surana'
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CAPITOLO TRENTADUESIMO - L'URNA DELLE SACRE CENERI




Trovammo Fratello Genitivi oltre una parete di mattoni, nascondiglio che a primo acchito era impossibile da scorgere. Fu Leliana a capire che si trattava di un muro finto, ne aveva visti tanti durante gli anni trascorsi al fianco di Marjolaine. Oltre l’arco che lo incorniciava vi erano un’ampia sala e uno studio pieno di libri, appartenenti sicuramente al capo della setta del villaggio. Non ci fu possibile lasciarci distrarre troppo dalla mobilia della stanza perché gettato sul pavimento, come se fosse stata una bambola vecchia, vi era il corpo di un uomo.
   Era vivo, benché palesemente stordito, e ci fissava con occhi acquosi, spalancati. Il suo volto era ricoperto di ecchimosi, segno che doveva aver subito parecchie violenze da parte del mago di Haven. Che fosse destinato a diventare la vittima sacrificale di uno dei loro sanguinosi riti?
   «Chi… Chi siete?» boccheggiò, tirandosi appena indietro e atteggiando il viso in una smorfia, a sottolineare il dolore che gli procurava muoversi.
   Wynne si chinò su di lui, e Alistair la imitò poco dopo. «Siamo qui per aiutarvi», lo rassicurò, mentre la mia anziana maestra si adoperava immediatamente per curarlo.
   L’uomo, ancora spaventato, provò a tendere una mano verso il mio compagno, che subito gliel’afferrò per comunicargli conforto. «Voi… Voi non potete immaginare quanto io sia felice di vedere qui qualcuno che non sia del villaggio…» boccheggiò il poveretto, lasciandosi andare ad un gemito.
   «Ha una gamba rotta», osservò Wynne, constatando quale fosse la più grave delle ferite.
   Mi inginocchiai accanto a lei, pronta ad assisterla come potevo, benché in realtà non avessi assolutamente idea di cosa dovessi fare. Non che avessi dimenticato i suoi insegnamenti, ma in quei momenti, così ravvicinati allo scontro appena avvenuto in chiesa e che ci aveva visti vincitori, nella mia mente vi era tutto fuorché chiarezza. Ci eravamo battuti contro degli esseri umani, non contro dei mostri come avevamo fatto quasi sempre durante il nostro viaggio. E poco importava se ci eravamo già trovati altre volte in una situazione simile, come durante l’imboscata di Zevran o gli uomini di Loghain all’ingresso di Orzammar; per me quelli erano ricordi così lontani, così sbiaditi rispetto all’orrore delle Vie Profonde, che mi pareva inconcepibile dover usare le mie magie come mezzo di offesa verso creature che non appartenessero all’oscurità delle viscere della terra. Per colpa della religione, oltretutto. Non aveva senso, per nulla.
   L’uomo sospirò, riportandomi alla realtà. «È per quello che non mi sento più il piede.»
   «Posso alleviarvi il dolore e rimettere a posto l’osso, ma avrete bisogno di molto riposo», gli spiegò Wynne.
   Avvalendosi del sostegno di Alistair, lui si tirò stancamente su a sedere. «No… Non posso riposare adesso che sono così vicino al mio obiettivo… L’Urna è in cima alla montagna», ci rivelò con una vivida luce nello sguardo.
   «Abbiamo bisogno delle Ceneri», gli rivelò il figlio di Maric, sorreggendolo per le spalle. «Arle Eamon è malato, e deperisce giorno per giorno.»
   L’altro batté le palpebre, allarmato. «Arle Eamon è malato? Sopravviverà?»
   «È stato avvelenato da un sicario di Loghain.» Sapevo che Alistair non voleva ferirmi con quelle parole, e non solo perché corrispondevano alla pura verità, ma anche e soprattutto perché era ben conscio di quanto io fossi stata male per aver inconsapevolmente agevolato Loghain nella realizzazione del suo piano criminale. Inoltre io stessa mi ero convinta di aver assolto le mie colpe nel coinvolgimento di Jowan in tutta quella storia recandomi nell’Oblio per riportare indietro Connor e scacciare via il demone che si era impossessato di lui. Eppure in quel momento di confusione, la mia coscienza vacillò di nuovo pericolosamente.
   Calai le ciglia sul viso e continuai a rimanere in silenzio.
   «Politici», sospirò ancora Fratello Genitivi, scuotendo il capo con disappunto. «Mai che ne facciano una giusta.» Alzò gli occhi su Alistair. «L’Arle è un’anima nobile. Sono certo che le Sacre Ceneri lo aiuteranno», gli assicurò. «Le leggende parlano dei loro miracolosi poteri, dopotutto. Ci sono molte storie di pellegrini che sono stati guariti, come ciechi che sono tornati a vedere e infermi che hanno cominciato a danzare per la gioia. Forse è Andraste a farlo. Forse soltanto la forza della persuasione: convincendosi che le sue Ceneri sono magiche, lo diventano per davvero.» Prese fiato. «Haven giace all’ombra della montagna che custodisce l’Urna», prese a raccontarci. «C’è un vecchio tempio, lì, costruito per proteggerla. La porta è sempre chiusa, ma io so dov’è la chiave. Eirik indossa un medaglione che apre la porta del tempio… Ho visto come fare.»
   «Questo medaglione?» volle sapere Leliana, prendendo parola per la prima volta e facendo oscillare a mezz’aria un monile che, a quanto pareva, senza che io me ne avvedessi aveva sottratto al corpo del mago che ci eravamo lasciati indietro.
   «Sì», rispose lui, sollevato di vederlo in mano nostra. «Quella è la vostra chiave. Portatemi con voi all’interno della montagna. Vi mostrerò cosa fare.»
   «Solo quando avrò finito con la vostra gamba», lo mise bonariamente – e imperiosamente – in guardia Wynne, stirando le pallide labbra in un’espressione di rimprovero, la stessa che assumeva quando si ritrovava ad avere a che fare con la smania di Alistair e Oghren di tornare a menare le mani quando invece erano ancora più ammaccati che sani.
   Fratello Genitivi si costrinse ad annuire. «Sapete niente dei cavalieri che erano stati inviati qui?» gli domandò ancora Leliana, approfittando di quella sosta forzata.
   «Come potrei dimenticare?» mormorò l’uomo, afflitto. «Hanno teso loro un’imboscata. Alcuni furono uccisi, altri portati fin qui per essere interrogati. Eirik era così appagato all’idea di torturarli e ucciderli… Sembrava provare piacere nel farlo.»
   «Lady Isolde mandò quei cavalieri a cercarvi quando siete sparito», gli rivelò Alistair a mezza voce.
   Il volto di Fratello Genitivi si contrasse in un’espressione contrita. «Doveva essere disperata… Non poteva certo immaginare che li avrebbe spediti incontro alla morte.»
   «Haven è davvero un posto… bizzarro», disse Leliana, cercando di moderare le parole. «Perché qui ci sono dei reverendi padre?»
   Lui fece spallucce. «Non ne ho idea», sospirò, dichiarando implicitamente che tutti i suoi studi non gli avevano mai chiarito questo punto. «Anch’io, come voi, so solo che la Chiesa, da che è stata edificata, permette di ordinare soltanto sacerdotesse. Potrebbe darsi che gli abitanti del villaggio, i cosiddetti Discepoli di Andraste, anticiparono gli insegnamenti della Chiesa con la loro religione, e così non sono mai venuti a conoscenza dei nostri dogmi. Sono dei veri fanatici, non mi stupirei se le cose fossero andate così o, peggio, se avessero respinto con la forza ogni tentativo di conversione.»
   Questo era piuttosto probabile, vista la foga con cui si erano scagliati contro di noi, ma non mi consolava poi troppo. Lo fecero però la carezza che Leliana mi passò su una spalla e lo sguardo comprensivo che Alistair mi lanciò: si erano dunque resi conto di quanto ero rimasta scossa da quanto appena accaduto. Mi sentii indifesa, e mi venne da piangere come al solito. Mi facevo pena da sola.
   «Loro dovrebbero proteggere l’Urna», continuava a parlare Fratello Genitivi, senza far troppo caso alla mano che mi stavo passando sul viso per asciugare le lacrime. «E invece parlano ad Andraste, come se fosse ancora viva.»
   «E potrebbe essere vero?» domandai con voce tremula, facendo sorridere di tenerezza gli altri.
   Lo stesso Genitivi mi riservò un’occhiata gentile. «Sono abbastanza vecchio da poter affermare che tutto è possibile, bambina…» mi vezzeggiò in tono paterno.

La fede di quell’uomo, la sua dedizione per i suoi studi… Se da un lato tutto questo mi faceva ritrovare uno spiraglio di stabilità, dall’altro quasi mi spaventava. E non ne capivo la ragione.
   Il tempio non era troppo lontano dal villaggio. Non appena ci trovammo davanti all’ingresso fui quasi assalita dal panico, e se non fosse stato per il braccio che Wynne mi passò attorno alle spalle per comunicarmi un po’ del suo calore, probabilmente mi sarei rannicchiata ai piedi di quel santuario e avrei ricominciato a piangere, senza mai trovare il coraggio di varcarne la soglia. Sostenuto da Alistair, Fratello Genitivi non la smetteva più di parlare, mentre Leliana pareva già entrata in una sorta di silenzio mistico. Oghren e Morrigan sembravano essere i più disinteressati alla questione, stringendosi semplicemente nel mantello, ansiosi di entrare per evitare di morire congelati a causa della neve.
   Purtroppo per loro, l’interno del tempio non era affatto più caldo. Enormi stalattiti di pendevano dall’ingresso, e in alcuni punti esse si erano unite alle stalagmiti sottostanti, creando delle vere e proprie colonne di ghiaccio. Proposi a me stessa di consolarmi grazie all’artistico spettacolo offerto dal Creatore in onore del luogo in cui giacevano le Sacre Ceneri della sua sposa. Inutilmente.
   Ancora abbracciata alla paziente Wynne, con la quale procedevo in fondo al gruppo, osservavo senza vederle realmente le orme che i miei compagni lasciavano sulla neve che era riuscita a penetrare fin sulla scalinata oltre il passaggio d’entrata. Fu in cima ad essa che, davanti ad un portone che ci sbarrava la strada, Fratello Genitivi volle fermarsi e, porgendo la mano a Leliana, disse: «Datemi il medaglione.» Lei obbedì, e lui se lo rigirò fra le dita con fare pensieroso. «Se non ricordo male… Sì, sì, era così», farfugliò fra sé.
   Attenta al modo in cui lui maneggiava il ciondolo, Morrigan s’incuriosì e gli rivolse la parola per la prima volta. «Come fai a saperlo?»
   «Non vi fidate mai di nessuno, voi», commentò Alistair, infastidito.
   Le labbra della strega s’incurvarono in un grazioso e orgoglioso sorriso. «Ti sbagli. Mi fido di una sola persona a questo mondo: me stessa.» Lui ruotò le pupille verso l’alto, per nulla stupito di quella risposta.
   Fratello Genitivi però parve curarsi poco del loro breve scambio di battute e rispose alla domanda di Morrigan. «Esistono solo poche chiavi di questo genere al mondo, e io ne ho vista qualcuna», le rivelò, continuando a manipolare il medaglione.
   Dal punto in cui mi trovavo, alle loro spalle, non riuscivo a vedere nulla, e francamente neanche mi interessava; non ero mai stata davvero curiosa, e di questo la figlia di Flemeth continuava a rimproverarmi, dicendo che questa mia mancanza dimostrava il mio scarso intelletto. Forse aveva ragione, ma io ero – e sono ancora – altrettanto convinta che la troppa curiosità non porta altro che guai.
   «Basta trovare la giusta combinazione», continuava a dire Fratello Genitivi. «È difficile da spiegare.» Sebbene non gli pose nuovi quesiti, Morrigan non mi pareva per nulla convinta. «Ora lasciatemi vedere se riusciamo ad aprire questa porta… Dovrebbe esserci una fessura per inserire la chiave…» ragionò, dando uno sguardo d’insieme al grosso portone che ci barricava il vero ingresso al tempio e che, pochi attimi dopo, si spalancò davanti a noi, introducendoci in un’enorme costruzione di gelida pietra che lasciò incantata la nostra guida. «Finalmente…» farfugliò con occhi colmi di commozione, mentre il suo respiro continuava a condensarsi in leggere nuvolette.
   «Dobbiamo stare all’erta», gli ricordò Alistair, che ancora lo sorreggeva.
   «Oh… Sì, giusto, perdonatemi…» si scusò l’uomo, tornando con i piedi per terra. «Queste caverne furono create subito dopo la morte di Andraste», iniziò a spiegarci. «Potrebbero rivelarci segreti sulla Sua vita che ancora nessuno conosce…» Di nuovo si lasciò distrarre dalla magnificenza che ci circondava. «Mi occorrerà molto tempo per poter studiare questo posto… Lasciatemi qui», ci disse poi, di colpo. «Con la mia gamba rotta sarà impossibile per me proseguire al vostro fianco, rischierei solo di rallentarvi e di essere d’impaccio. Questo luogo sembra sicuro, almeno per ora.»
   «Ne siete certo?»
   «Assolutamente.»
   «Grazie, allora.»
   Pur volgendoci indietro di tanto in tanto per assicurarci che non gli accadesse nulla, lasciammo Fratello Genitivi lì all’entrata e ci spingemmo all’interno di quell’antica costruzione sepolta dal ghiaccio e dal mistero. Nell’aria si poteva avvertire un velo palpabile di quella che non avrei neanche saputo definire magia, ma che per certi versi la ricordava non poco. O forse era la suggestione, come ci aveva detto Fratello Genitivi? Se fosse servita a rendermi più forte e a scacciare tutti quei dannati dubbi che mi avevano assalita da quando eravamo arrivati a Haven, allora sarei volentieri caduta in quell’innocuo, miracoloso tranello. Tuttavia, per quanta fede potessi avere nel Creatore, non mi riusciva di averne altrettanta nella sua religione in sé, nella Chiesa e nei vari culti esistenti al mondo – opera di creature mortali e non di divinità – e nelle loro assurde regole.
   Fu la voce di Alistair, dopo un po’, a rompere il silenzio che regnava in quel posto assai suggestivo. «Perché La raffigurano sempre così bella?» domandò, mentre passavamo davanti ad una delle tante statue di Andraste che incrociammo lungo il nostro cammino. «E se invece avesse avuto i denti da coniglio?»
   «Siete blasfemo», lo rimproverò Leliana, fervida credente a dispetto delle sue abilità di spia e assassina. Poteva sembrare una meravigliosa contraddizione, forse, ma di certo ormai aveva deciso di abbandonare la vecchia vita per abbracciarne una di gran lunga migliore per se stessa e per gli altri.
   «Perché?» volle sapere Alistair, senza cattiveria. «I denti da coniglio La renderebbero meno santa? Se Nimue avesse le corna, l’adorerei comunque.»
   «Se le avessi, sarei io a non adorare te», puntualizzai, piccata.
   Lui strinse le labbra con fare pensieroso. Poi mormorò: «Perché ho l’impressione di essermi dato la zappa sui piedi?»
   «Sei un idiota, di che ti stupisci?» gli ricordò soavemente Morrigan. «E ora piantala con tutti questi perché o ti tramuto in una statua di ghiaccio», lo minacciò, facendolo sbuffare.
   «Sarò anche un idiota, ma ci scommetto che su tutta questa storia sono molto più ferrato di voi», si vantò Alistair, contento, almeno per una volta, di poter far sfoggio della sua cultura di ragazzo cresciuto in chiesa pur di farle dispetto. «Per esempio, come si chiamava il marito di Andraste?»
   «Che domande stupide…» brontolò lei, manifestando indirettamente la propria ignoranza al riguardo. «Non è forse il vostro Creatore?»
   «Quello spirituale, certo. Ma io parlo di quello mortale.»
   «Se la passava bene…» commentò con sarcasmo, facendo ridere Oghren, che le diede manforte con una battuta assai blasfema per davvero, e che mortificò le orecchie mie, di Alistair e di Leliana.
   La quale subito borbottò tra i denti: «Spero che quando troveremo l’Urna voi due possiate essere i prossimi Heressian.» E poiché sia Morrigan che Oghren la fissarono dando prova di non avere idea di chi fosse costui, fu costretta ad aggiungere: «Fu Heressian a condannare Andraste al rogo. E, paradossalmente, egli fu anche la prima persona che si convertì al Canto della Luce durante la Sua esecuzione. Spero che sappiate almeno cos’è, il Canto della Luce.»
   «Ormai lo so a memoria, per tutte le volte che sei stata a recitarlo all’accampamento…» sbuffò la figlia di Flemeth, mostrando tutto il proprio disappunto al riguardo. Per quanto noiose potessero essere per lei certe questioni, per lo meno avevano il potere di farmi rilassare un po’.
   Continuammo a parlare fino a che non fummo costretti a tacere per colpa del freddo che ci congelava i polmoni e per la strada che si inerpicava sempre più verso l’alto, fra scale e salite che evidentemente continuavano a portarci verso la cima della montagna. A ben guardare, solo un fervido credente avrebbe potuto percorrere tutto quel cammino, e in quelle condizioni, per raggiungere l’Urna – ammesso che ci fosse davvero. Non eravamo neanche liberi di accendere un fuoco magico per riscaldarci un po’ per paura che esso potesse far sciogliere il ghiaccio che si trovava all’interno di quell’immensa costruzione, magari arrecandovi dei danni imperdonabili ed irrecuperabili. Senza contare il rischio che dei lastroni potessero crollarci addosso.
   Ci eravamo ormai rassegnati alla sola compagnia dei nostri respiri affannati e dello scalpiccio dei nostri piedi sul pavimento, scivoloso e pericolante, specie quando il tempio terminò in un lungo tunnel che di tanto in tanto si apriva in ampie caverne ancora più gelide. Poi, di colpo, un verso sconosciuto risuonò nella profondità di un antro appena imboccato facendoci sussultare così tanto che io e Oghren slittammo sul ghiaccio e per poco non ci rompemmo l’osso del collo. Se io fui sorretta al volo da Leliana, il nostro compagno nano non ebbe la stessa fortuna, ma per lo meno la sua armatura ne attutì la caduta, provocando un bel frastuono che ebbe come accompagnamento diverse imprecazioni nello stretto, quanto incomprensibile, dialetto di Orzammar.
   «Draghi!» esclamò Alistair, incredulo di trovarne all’interno della montagna e mettendo già mano all’elsa della spada. La sola idea di dover affrontare un altro drago, com’era stato nelle antiche rovine di Brecilian, mi prosciugava ogni energia. Certo non sarebbe stato nulla se confrontato all’implacabile Arcidemone che avevamo scorto nelle Vie Profonde, e però…
   «Sono solo dei cuccioli», constatò Wynne, vedendoli zampettare nella nostra direzione, seppur con intenzioni non propriamente amichevoli. Non erano loro, in effetti, a preoccuparmi, quanto il pensiero che se c’erano dei draghetti e delle uova in quella caverna, di certo anche la loro mamma doveva essere nei dintorni. Guaii in preda alla rassegnazione e alla commiserazione di me stessa e della fine che avrei potuto fare lì. Per lo meno, mi consolai, il ghiaccio avrebbe conservato il mio corpo all’usura del tempo.
   «Fermi!» tuonò poco dopo una voce che ci colse impreparati quando riuscimmo a sfuggire alle grinfie di quelle bestiole. «Non proseguirete oltre!»
   Guardandoci attorno con fare allarmato, scorgemmo delle figure più in fondo che si stagliavano contro la luce che proveniva da un’apertura che conduceva finalmente all’aria aperta – e il vento gelido che ci sferzava i volti stanchi ce ne dava la conferma.
   «Chi siete?» chiese Wynne. Era sempre stata una donna coraggiosa e intraprendente, ma in quell’istante ebbi la sensazione che era anche grazie allo spirito che la possedeva che riusciva ad essere tanto forte.
   «Non avete alcun diritto di chiedere il mio nome», ribatté quello che doveva essere il capo del gruppo riunito lì. Che ci stessero aspettando o meno, li reputavo dei pazzi a rimanere in quel luogo inquietante, per certi versi, e soprattutto esposto così tanto al freddo. «Siete voi, piuttosto, a doverci dire chi siete e perché avete profanato questo tempio!» continuò con impeto l’uomo in armatura, dirigendosi a grandi e sicure falcate verso di noi.
   Wynne non si scompose e anzi ebbe la lucidità necessaria per replicare con garbo: «Diteci il vostro nome e noi vi diremo perché siamo qui.»
   Lui si lasciò subito persuadere. «Sono Padre Kolgrim, capo e guida dei Discepoli di Andraste.» Un altro reverendo padre. Armato, per di più. «Uccideteci, e affronterete Andraste. Fiuterà il sangue che avrete addosso, il nostro e quello dei Suoi bambini, e sarà la vostra fine.»
   Fiutare? Sangue? Bambini? Che andava farneticando, quell’invasato?
   Fu Morrigan ad analizzare la cosa meglio di quanto avremmo potuto fare noialtri credenti. «Per bambini intendi i draghi? Andraste è un drago?»
   In un’altra circostanza l’avrei senza dubbio catalogata come un’assurdità, ma la serietà con cui l’altro reagì, infervorato, non lasciavano adito a dubbi. «Lei è molto di più! È assai più gloriosa di tutti gli Antichi Dei messi insieme!» Era pazzo, non c’era altra spiegazione. E dicevano che la follia collettiva era quella di noi poveri, infelici maghi, reietti in una Torre dove, per un verso o per l’altro, non potevamo uscirne propriamente sani di mente. «Dopo la Sua morte è tornata in una nuova forma che non potete neanche sperare di immaginare! Nessuno più potrà condannarla a morte, ora!» Fissò i suoi occhi spiritati in quelli di Morrigan. «Cosa sperate di fare?»
   Leliana anticipò la sua risposta. «E che ne è stato delle Sue Ceneri?»
   «Sono qui, in questo tempio», ci spiegò l’uomo. Per essere uno che ci aveva ammoniti di non avere alcun diritto di porre domande ci stava dando fin troppe informazioni. D’altra parte, però, se non ci stava con la testa c’era ben poca logica da ricercare nei suoi comportamenti. «Ma che bisogno abbiamo delle Ceneri quando possiamo servire Andraste in tutta la Sua gloria?»
   «Parlate delle Ceneri con un certo sdegno…»
   «Che altro sono, se non i resti di una donna mortale?»
   «Quindi non vi farete alcuno scrupolo a consegnarle a noi?» Checché ne dicessero gli altri riguardo alle mie capacità di persuasione, anche Leliana aveva una lingua assai astuta.
   L’uomo ci scrutò con fare pensieroso. «E così siete qui sulle tracce delle Ceneri… Forse potremmo perdonarvi per quest’intrusione… Chiunque ha diritto a una seconda opportunità. Forse la grazia di Andraste ha deciso di tramutare il Suo nemico nel Suo campione…»
   «Potrebbe essere», gli diede corda la mia amica, inducendolo a proseguire con il suo ragionamento.
   «Le Ceneri si trovano sulla cima di questa montagna, protette da un guardiano immortale che si rifiuta di accettare la verità sulla nostra Signora.» E se la loro Signora aveva le ali e sputava fuoco non c’era da meravigliarsene. «Esse rappresentano la Sua passata incarnazione, e non Le permettono di muoversi da qui. Sono come legate, e finché Esse esisteranno…»
   «Volete distruggere le Ceneri?!» s’intromise Alistair, quasi con violenza. Che fosse credente o meno quanto Leliana aveva poca importanza: l’Urna era l’unico modo che ci era rimasto per tentare di salvare Arle Eamon, per radunare i nobili del Ferelden e per contrastare Loghain. «Piuttosto vi vedrò morto, prima!»
   Si venne perciò allo scontro, ma nessuno di noi se la sentì di dar torto al nostro compagno, foss’anche solo per non dover arrivare a pensare di aver fatto tutta quella strada, attraversando tutto il regno da Denerim alle Montagne Gelide, senza ricavarci neanche un pugnetto di quelle Ceneri miracolose. Stanchi e con le membra intirizzite dal freddo, trovammo delle evidenti difficoltà di movimento, che tuttavia non ci impedirono di riportare una vittoria senza poi gravi conseguenze. La magia guaritrice mia e di Wynne fu accolta persino con gioia perché capace di irradiare un lieve tepore che a quelle temperature parve non poco rinfrancante.
   Abituata com’era a perquisire da sempre le proprie vittime, Leliana non si fece scrupoli a mettere le mani addosso al corpo di Kolgrim, trovando un corno. Che servisse per annunciare battaglia o semplicemente come richiamo non ci era dato saperlo né in quel momento ci premeva scoprirlo; suonarlo avrebbe potuto risultare pericoloso se non addirittura fatale – per via della neve che entrava dal fondo della caverna e per l’eventuale presenza di altre creature, qualunque tipo di forma avessero avuto.
   Quindi, dopo una breve sosta che ci servì non solo per riprendere le forze ma anche per rinfrancare lo spirito, imboccammo quella che doveva essere la via d’uscita per raggiungere la cima dell’altura che avevamo salito in quelle ultime ore. La luce del giorno ci ferì gli occhi quasi come aveva fatto quando avevamo lasciato Orzammar, e la neve delle Montagne Gelide ci fece rivivere in modo quasi completo quel déjà-vu di alcune settimane prima. C’era, tuttavia, una sostanziale differenza: ad attenderci lì fuori non trovammo una folla di mercanti nani e di clienti d’ogni tipo, bensì un grande drago che planò sulle nostre teste, allarmandoci non poco, e finendo poi per appollaiarsi su una sporgenza rocciosa non lontana dal punto in cui ci trovavamo. Quella creatura, che incrociò le zampe anteriori per poggiarvi sopra il muso come volesse riposare, doveva essere la famosa Andraste venerata dagli abitanti di Haven. Il corno di Kolgrim serviva per richiamare quel bestione? Per prudenza, non ci azzardammo a suonarlo, e lui non diede modo di farci credere che volesse attaccarci ma, anzi, rimase fermo lì dov’era. Eravamo un curioso gruppetto eterogeneo formato da umani, elfi, nani, maghi, guerrieri, spie, templari e apostati, eppure la strada che ci separava dalla piccola costruzione che scorgemmo tra noi e il drago era spianata. Forse la vera Andraste ci invitava a proseguire verso la nostra meta senza più ostacolarci.
   Con grande cautela mettemmo un piede davanti all’altro e ci affrettammo a raggiungere l’uscio del vero tempio, addossato alla parete rocciosa della montagna e vegliato da quel drago che si ostinava a scrutarci dall’alto. Una volta attraversato il grande portone d’ingresso, fummo investiti da una sensazione molto più forte di quella che ci aveva colti quando avevamo lasciato Fratello Genitivi. Non so dire cosa avvertirono gli altri, ma per quanto riguarda me, allo stesso tempo sentii inquietudine e pace nel mio cuore, come se volessero darsi battaglia senza che io potessi fare nulla per impedirlo. Era disarmante e mi lasciava intontita e sperduta.
   «Questo posto è molto diverso dalle altre rovine…» Fu questa osservazione di Alistair che mi convinse che non ero l’unica a trovarmi in quelle condizioni.
   In fondo alla prima sala in cui entrammo se ne stava una figura solitaria: un semplice uomo o lo spirito immortale di cui ci aveva parlato Kolgrim? Chiunque egli fosse, non mostrò alcuna intenzione ostile nei nostri confronti, anzi. Ci sorrise, nonostante fossimo coperti di sangue. «Vi do il benvenuto, pellegrini.» Se fosse stato un altro di quei fanatici avrebbe dovuto insospettirsi per l’aspetto con cui ci stavamo presentando, accusandoci di aver dissacrato quel luogo e di aver levato la spada – e non solo quella – contro i Discepoli di Andraste. Ma, dopotutto, lo stesso Kolgrim ci aveva detto che il Guardiano si rifiutava di accettare il loro credo. Dunque era davvero lo spirito immortale messo a guardia delle Sacre Ceneri? Se lo era, non c’era ragione perché gli mentissimo.
   «Siamo qui per l’Urna delle Sacre Ceneri.»
   «Siete qui per onorare Andraste», ci corresse lui, con la presunzione di poter leggere nelle nostre menti. Non che avesse torto, in effetti: se ritenevamo sacra quell’Urna un motivo doveva esserci. «Potrete farlo, se vi dimostrerete degni. Se lo sarete, potrete prendere un po’ delle Ceneri per voi. Altrimenti…» Si fermò, ma nessuno di noi volle sapere cosa ci aspettava se avessimo fallito; non erano contemplati errori, nel nostro percorso.
   «Chi sei?» non riuscì a trattenersi dal domandare Morrigan che, come sempre, tendeva a diffidare del prossimo.
   L’altro non si mostrò infastidito da quella curiosità e, anzi, rispose in tono gentile. «Sono il Guardiano che protegge l’Urna delle Sacre Ceneri. È il mio compito, la mia vita.»
   «Cosa potete dirci del culto di Andraste che si è diffuso in questo posto?» si azzardò a chiedere Leliana, cercando di capirne di più. La sua voce aveva ripreso lo stesso tono mistico con cui si era presentata a noi a Lothering e che le avevo sentito usare nell’Oblio, quando era raccolta in preghiera all’interno del suo incubo.
   «Il culto del drago», rettificò di nuovo il Guardiano, «nacque quando uno degli antenati di Kolgrim si convinse di essere un nuovo profeta.»
   «Dunque il drago non è Andraste.»
   «No. La nostra Andraste si trova accanto al Creatore. Non ritornerà.»
   Quindi il grosso lucertolone alato fuori da quel tempio era autentico, e se non ci aveva attaccati era stato per puro caso. O magari davvero il Creatore ci stava benedicendo e lo teneva alla larga di proposito. Qualunque fosse la verità, sperai che le cose fossero rimaste invariate fino a che non fossimo tornati a Redcliffe con le Ceneri.
   «Prima che procediate oltre questa porta e affrontiate delle prove che stabiliranno se il vostro animo merita o meno quelle Ceneri, c’è qualcosa che dovrei chiedervi. C’è molta sofferenza nel vostro passato… vostra e degli altri che avete amato…» Gli occhi del Guardiano si soffermarono anzitutto su di me, ed io mi chiesi perché dovevo sempre essere la prima ad affrontare prove come quella. «Hai aiutato Jowan a fuggire dal Circolo», mi disse, lasciandomi non poco spiazzata. Conosceva Jowan? No, impossibile. Jowan aveva passato quasi tutta la vita rinchiuso alla Torre con me, Wynne e gli altri maghi, e subito dopo era stato a Redcliffe per conto di Loghain; inoltre, adesso si trovava ancora nei sotterranei del castello dell’Arle. Semmai avevo dubitato delle parole che il Guardiano ci aveva rivolto, ormai non aveva più senso che io lo facessi. «Credi di aver fatto il possibile per lui?»
   No. No, e benché tante, troppe volte mi ero convinta di odiarlo, la verità era soltanto una: se Jowan era caduto in tentazione la colpa doveva per forza essere anche mia, perché non mi ero accorta dei suoi problemi, non mi ero resa conto di quanto stesse male. Benché mi fossi persuasa di essermene lavata la coscienza tornando nell’Oblio per salvare Connor dal demone, non potevo continuare a mentire ancora a lungo a me stessa: Jowan era stato una delusione, ma io dovevo esserlo stata per lui.
   Tutto ciò, però, non cambiava il fatto che quel ragazzo avesse scelto la via più sbagliata per risolvere ciò che lo faceva soffrire, e se solo fosse stato più avveduto, avrebbe potuto confidarsi. Lo avrei capito, probabilmente, perché in fin dei conti, se lui viveva un amore infelice per Lily, io vivevo una situazione simile con Cullen.
   Presi un grosso respiro. «No», ammisi, cercando di farmi coraggio. «Ma Jowan ha avuto comunque ciò che si meritava.» Purtroppo.
   «Vedo che non rimugini troppo sugli errori del passato… né su quelli degli altri», osservò lo spirito. Mi sembrava un’assurda contraddizione, la sua, vista la mia risposta, ma non questionai. Non ne avevo la forza. Non ero neanche degna di essere lì, a dirla tutta.
   «È facile giudicare ciò che hanno fatto gli altri, col senno di poi», venne prontamente in mio aiuto Alistair, ben sapendo quanto la questione Jowan mi avesse fatto stare male – e mi facesse ancora stare male, a quanto pareva.
   «Non è semplice vedere l’esito delle nostre azioni», gli fece notare gentilmente Wynne, più diplomatica, «ma ciò non significa che esse non causino degli effetti su coloro che ci circondano.»
   «Il passato è passato», intervenne Leliana. «Perché riportarlo a galla e riaprire le vecchie ferite?»
   Il Guardiano questa volta parve non ascoltarla, poiché la sua attenzione era già tutta rivolta al nostro Principe. «Alistair, cavaliere e Custode Grigio…» lo richiamò con calma. «Ti stai chiedendo se le cose sarebbero andate in modo differente se tu fossi stato con Duncan sul campo di battaglia.» La sua non era una domanda, leggeva davvero nei nostri cuori intrisi di dolore, sfiorandoli e facendoli sanguinare. «Avresti potuto fargli da scudo per quel colpo mortale. Ti stai chiedendo se saresti dovuto morire tu al posto suo, non è così?»
   Davvero se lo stava chiedendo? Ancora, dopo tutto quel tempo?
   «Io…» balbettò Alistair con qualche esitazione. E quando lo vidi chinare il capo in segno di resa, compresi che eravamo tutti sulla stessa barca, pieni di rimorsi per quella dannata vita che di lì a poco forse ci sarebbe stata stroncata a causa del Flagello. Potevamo sul serio lasciare le cose come stavano, senza porre rimedio a niente? «Sì», confessò infine il mio compagno, con chiara mortificazione nel tono della voce. «Se fosse stato Duncan a salvarsi, anziché io, probabilmente tutto sarebbe andato meglio. Se solo ne avessi la possibilità, forse io…»
   «Fatemi la vostra domanda, Guardiano», lo interruppe Wynne, sollevandolo da quella rivelazione che avrebbe fatto del male sia ad Alistair che a me – e a quanti gli volevano bene. La mia buona maestra era venuta ancora una volta in aiuto dei suoi ragazzi. «Sono pronta.»
   Lui non si lasciò pregare. «Sei sempre stata un’ottima dispensatrice di consigli con la tua saggezza. Forse sei stata soltanto uno strumento per diffondere la legge del Circolo e della Chiesa. Non c’è qualche dubbio su queste tue verità?»
   «Vi ostinate a formulare sotto forma di domanda ciò che già sapete», gli fece notare l’Incantatrice, senza mostrare la minima esitazione. «Non c’è alcun motivo per nasconderlo. Sì, ho dubitato di ciò che dicevo, a volte. Solo un folle sarebbe completamente sicuro di se stesso.»
   «Tutti noi commettiamo degli errori», borbottò Oghren, dimostrando a suo modo la propria solidarietà.
   «Ah, il nano», prese a dirgli lo spirito. «Hai lasciato la tua casa e sei venuto qui in superficie, pur sapendo che…»
   L’altro lo interruppe con un gesto delle mani, come a voler frenare il suo fiume di parole. «Sì, mi piacerebbe aver potuto salvare la mia famiglia da Branka», lo anticipò allora, prendendo Wynne ad esempio e raccontando lui per primo ciò che lo affliggeva. «Mi sarebbe piaciuto essere un compagno migliore, così che forse lei sarebbe rimasta a casa con un piccolo Oghren anziché partire sulle tracce dell’Incudine. Forse ho fallito, con lei. E sì, sono salito in superficie perché posso definirmi a malapena un nano. La mia famiglia è morta, il mio onore di guerriero è andato perduto molto tempo fa, insieme alla mia casta e alla mia casa. Non è rimasto niente che mi tenesse legato laggiù, niente ancora da perdere.»
   Piccolo, grande Oghren. Dietro quel nano rozzo e impertinente continuava a battere con impeto e passione un cuore sensibile, lo stesso che ci aveva commossi per quel suo amore incondizionato per sua moglie e che ci aveva fatti affezionare a lui in barba a tutti quei difetti piuttosto marcati che non si curava di correggere o anche solo di smussare.
   Lo sentimmo tirare rumorosamente su col naso, ma se fosse per il dolore di un pianto soffocato o se per il freddo di quel luogo non avremmo saputo dirlo. Frattanto, il Guardiano aveva già rivolto la sua attenzione a Leliana, che forse più di noialtri sentiva tutta la grandezza di quella missione. «E tu… Perché dici che il Creatore ti ha parlato, quanto tutti noi sappiamo che non è possibile? Lui parlò soltanto con Andraste. Credi di poterti paragonare a Lei?»
   Lo sguardo afflitto e corrucciato della nostra compagna rivelò tutto il suo disappunto. «Non ho mai detto questo!» protestò, scuotendo il capo con forza. «Io…»
   «Ad Orlais eri qualcuno», la interruppe lo spirito. «A Lothering avevi paura di perdere te stessa, diventando una di quelle tristi sorelle. Quando al chiostro criticarono le tue parole, ne fosti ferita, ma allo stesso tempo felice. Ti rendeva speciale, tu amavi quell’attenzione, anche se negativa.»
   Fu allora che, per la prima volta, uno di noi si trovò in totale disaccordo con lui. «State dicendo che l’ho fatto per… per avere attenzioni?» ribatté allibita Leliana. «Non è vero! Io so ciò in cui credo!» E dal modo in cui pronunciava quelle parole, senza neanche alzare il tono della voce, sembrava stesse dicendo il vero. Forse avremmo potuto dubitare davvero di lei e di ciò di cui si era convinta a Lothering, tuttavia Leliana si era sempre dimostrata un valido aiuto, e tanto bastava.
   Morrigan sbuffò, incrociando le braccia al petto e attirando lo sguardo dello spirito, che subito le parlò. «E tu, Morrigan, figlia di Flemeth… Cosa…»
   «Sparisci, spirito», gli intimò lei, con coraggio e incoscienza. Se pure Oghren, che non credeva nel Creatore e in Andraste, aveva accettato di interloquire con il Guardiano, lei pareva non voler scendere ad alcun compromesso. «Non starò al tuo gioco.»
   L’altro non reagì come avevamo temuto, ma, anzi, annuì. «Rispetterò i tuoi desideri», rispose soltanto prima di tornare a parlare a noi tutti. «La strada è aperta. Possiate trovare ciò che cercate.» Detto questo, svanì in una luce abbagliante che ci lasciò pieni di meraviglia, paure e dubbi. Non era davvero quello il modo migliore per intraprendere la nostra avventura lì dentro, soprattutto se dovevamo dimostrare di essere degni dell’Urna. Non era da escludere, però, che lo spirito avesse risvegliato di proposito in noi quello stato d’animo.
   Ciò che trovammo al di là della porta avrebbe forse dovuto meravigliarmi e confondermi ulteriormente, tuttavia non lo fece: mi aspettavo di tutto, ormai. Non so cosa videro i miei compagni, ma a me apparve Jowan. Lo riconobbi persino di spalle, tanto ero stata abituata a farlo negli anni trascorsi con lui al Circolo. Probabilmente era una visione, una qualche prova che ognuno di noi doveva vivere per conto proprio; forse Alistair vedeva Duncan, forse c’era Branka davanti ad Oghren, e chissà chi altri si era manifestato a Wynne, Leliana e Morrigan.
   Jowan si voltò nella mia direzione e mi guardò con benevolenza, accogliendomi con una delle sue solite battute di spirito. Mi venne spontaneo sorridergli, illudendomi quasi che fosse libero e non più in attesa di una condanna. «Tu non sei Jowan…» fui comunque costretta a mormorare, mio malgrado. Avrei voluto che lo fosse. Se lo fosse stato, probabilmente lo avrei abbracciato.
   «Non pensavo di imbrogliarti», mi rispose lui. «Ma sono davvero uno spirito? O forse è tutto frutto della tua mente? Sei forse nell’Oblio?» Se fossi stata nell’Oblio non era da escludere che uno dei demoni avrebbe potuto trovare in me una facile preda, in quel momento di debolezza. «A dire il vero, non lo so», fu onesto Jowan – o ciò che era. «Sono parte di questo posto. Sono Jowan. Sono te. Tutte queste affermazioni sono vere.»
   Esausta com’ero, mi rifiutai di soffermarmi su un ragionamento tanto contorto che mi avrebbe portato ad ammattire del tutto. Preferii porgli una domanda molto più semplice, senza girare attorno a niente com’ero invece solita fare. «Qual è il tuo scopo, qui?»
   «Parlare con te. Offrirti un consiglio.» Non ero certa che lo avrei accettato dal vero Jowan. «Le ultime catene che ti tenevano legata al Circolo si sono rotte.» Questo era vero. Me n’ero resa conto anch’io, in un modo o nell’altro. Non mi sentivo più parte di quel posto, e tuttavia non mi sentivo parte di nessun altro posto. Non c’era più niente che dentro di me riuscivo a chiamare casa. «Sei libera dal tuo passato e niente ti riporterà indietro.» Purtroppo no. Perché nonostante il mio grande amore per Alistair e l’affetto per gli altri miei compagni, non potevo nascondere a me stessa che l’esistenza a Kinloch Hold fosse di gran lunga migliore di quella che mi toccava vivere adesso. Maledissi il Flagello una volta più, seppur soltanto per un egoistico capriccio tutt’altro che encomiabile. «Sii forte, amica mia. Non tentennare. Mi rende felice sapere che sarai tu quel mago che io non avrei mai potuto essere.»
   Avrei voluto dire qualcosa, ma non ci riuscii. Lui sollevò una mano nella mia direzione e la posò sul mio capo, quasi volesse accarezzarmi e benedirmi al contempo. Mi venne da piangere, tanto per cambiare, e alla fine dalle mie labbra fuoriuscì un solo bisbiglio. «Perdonami.» Lo vidi sorridere attraverso il velo delle lacrime e poi, così come aveva fatto il Guardiano, sparì. Decisi allora che, prima che fosse troppo tardi, quando saremmo tornati di nuovo a Redcliffe avrei cercato Jowan, quello vero, e gli avrei parlato. Non sapevo ancora cosa gli avrei detto, ma dovevo farlo.
   Quando cercai con lo sguardo gli altri miei compagni, mi diedero l’impressione di essere smarriti proprio come lo ero io. Mi affrettai ad asciugarmi gli occhi, e non appena fummo nelle condizioni psicologiche per farlo, avanzammo nella sala adiacente.
   Ad accoglierci trovammo dei nemici. Né demoni né altri fanatici religiosi, soltanto spiriti o forse nuove proiezioni della nostra mente. Quel che è certo è che erano delle copie esatte di noi stessi. In altre parole, fummo attaccati da Alistair, Morrigan, Wynne, Leliana, Oghren e Nimue. Sei contro sei. Fu più spiazzante della visione avuta poco prima, per certi versi, perché metteva in dubbio l’identità nostra e dei nostri compagni; tuttavia esitare ci avrebbe fatti crollare prima di raggiungere l’Urna. Non potevamo permettercelo. Avanzammo mettendo mano alle armi, decisi a non farci fermare da niente e da nessuno. Tuttavia, quando ci rendemmo conto che se avessimo continuato a batterci in un duello uno contro uno non saremmo arrivati da nessuna parte perché Wynne e Nimue – quelle false – continuavano a prodigarsi per la cura dei membri del loro gruppo, mi venne voglia di urlare per l’esasperazione. Non ne potevo più di quel luogo, benedetto o meno che fosse.
   «Uccidete quelle dannate maghe!» mi sgolai, scagliandomi contro il doppio della mia maestra, la più esperta di noi. Tutto ormai appariva un colossale paradosso che non ci lasciava neanche il tempo di porci una singola domanda. Vidi però Alistair accanirsi con gusto contro la falsa Morrigan, avvalendosi anche dei suoi poteri di templare, ma quando lei riuscì ad attuare una trasformazione grazie alla propria capacità di mutare forma e si manifestò a noi con l’aspetto di un grosso orso peloso, il giovane titubò un attimo. Un roco ruggito si levò alle sue spalle e Oghren si scagliò contro la bestia armato della sua pesante e infallibile ascia da guerra. Per venirgli incontro, allora, approfittando di un istante di pace, paralizzai il suo avversario per mezzo di uno dei miei incantesimi.
    Concentrata com’ero su di loro, non mi avvidi di una delle frecce della falsa Leliana che per puro miracolo non mi colpì al viso, passando come una saetta oltre la mia testa e sibilando forte vicino al mio orecchio. Fu Wynne a venire in mio soccorso, avvertendomi del pericolo in cui si trovava ora Alistair. Forte della sua protezione, mi volsi immediatamente nella direzione del mio amante e lo trovai cocciutamente impegnato a difendersi da degli incantesimi senza osare attaccare; tutto per paura di fare del male al mio doppio. Avrei dovuto essere furiosa con lui, ma non me la sentii di rimproverargli il suo buon cuore e la solita sensibilità che mostrava nei miei confronti, seppur indirettamente; tanto più che io cercavo in tutti i modi di non rivolgere il mio sguardo al suo gemello fasullo per la stessa ragione. Concentrai una certa quantità di energia magica sulla cima del mio bastone e, senza esitare, lasciai che una folata di fuoco investisse in pieno l’altra Nimue. Alistair urlò, ma quando si rese conto che ero stata io stessa ad attaccarla non obiettò più e anzi, mortificato, lasciò che mi mettessi fra di loro, limitandosi a coprirmi le spalle.
   Infine, quando l’esclamazione trionfante della nostra Morrigan annunciò la sua vittoria su un certo templare che, crollando al suolo, svanì in un’esplosione di scintille, ci prendemmo qualche attimo per guardarci gli uni con gli altri e renderci conto che quelli rimasti in piedi eravamo noi, quelli veri e non i nostri doppi.
   «Sei scarso», non si risparmiò di commentare la Strega delle Selve, poggiando la punta del proprio bastone per terra per appoggiarvisi.
   Passandosi stancamente una mano sulla nuca attraverso le fessure dell’armatura, Alistair la fissò in tralice. «Talmente scarso che sono stato l’ultimo a cadere», le fece notare senza vantarsene troppo.
   «Solo perché sei abituato a prendere bastonate, questo non significa che tu valga qualcosa», infierì l’altra.
   Lui la lasciò perdere con un gesto infastidito del braccio e si sporse ad aiutare Leliana, rimasta intontita per una spallata che il falso Oghren le aveva assestato allo sterno. «Va meglio?»
   «Sì, grazie…» annaspò lei, mentre Wynne le prestava soccorso. Quanto a me, ero alle prese con una ferita vistosa, ma per fortuna superficiale, che l’orso-Morrigan aveva inflitto al nostro compagno nano con una zampata in volto.
   «Mi chiedo se abbiamo già dimostrato di essere degni dell’Urna», ponderò a mezza voce Alistair, evidentemente stanco anche lui di tutte quelle prove più mentali che fisiche.
   «L’unico modo che abbiamo per scoprirlo è procedere oltre», commentai con indolenza, mentre Oghren tentava di sottrarsi alle mie cure con la convinzione che una cicatrice in più – e di quella portata, soprattutto – lo avrebbe reso senza dubbio più affascinante.
   Recuperato il fiato e accertatici che Leliana si fosse ripresa almeno in parte, tornammo sulla via che si apriva davanti a noi, e dopo aver attraversato un ponte di pietra pericolante sospeso nel vuoto, ai nostri occhi arrivò la viva luce del fuoco. Si trovava fra noi e un’alta scalinata che conduceva ad un altare sul quale potevamo scorgere qualcosa. Provai ad aguzzare la mia vista di elfo, ma il bagliore delle fiamme mi impediva di capire di cosa si trattava.
   Saltare quella barriera era impensabile, e poiché sembrava essere opera di un prodigio, prima Morrigan e poi Alistair provarono inutilmente a vincerla con un incantesimo del ghiaccio e le abilità dei templari. Non era una magia, quella, ma nemmeno un fenomeno naturale. Se provavamo ad avvicinarci troppo finivamo per subirne le conseguenze a causa del calore troppo forte.
   «L’umiltà», mormorò di colpo Leliana, benché sembrasse assorta in un pensiero tutto suo. «Noi ci siamo presentati qui armati e ricoperti di sangue.» Scosse il caschetto rosso. «Non va bene. Andraste non ci farà mai passare.»
   «Cosa proponete di fare?» domandò Wynne, cercando di seguire il filo dei suoi ragionamenti.
   «Se vogliamo arrivare dall’altra parte, dovremo farlo nudi. Così come il Creatore ci ha fatti, dimostrando di essere tutti uguali», le spiegò l’altra, volgendo i suoi occhi azzurri su di noi.
   «Sembra divertente, ci sto», l’appoggiò in pieno Oghren, battendo le mani tra loro. Mi chiesi segretamente se uno come lui fosse davvero degno di trovarsi in quel posto, ma poiché io ero l’ultima a poter parlare vista la gelosia che già mi stava montando dentro, scacciai con forza la questione nei meandri della mia coscienza e cercai di non pensare al fatto che Leliana e Morrigan erano fatte meglio di me.
   Una luce accecò lui e Alistair, che subito esclamarono per la sofferenza di quella crudeltà voluta da Morrigan. «C’era bisogno di accecare anche me?!» volle sapere il più giovane che, poveretto, in effetti non aveva neanche fiatato.
   «Finché mi è possibile evitare di farti godere in qualche modo», fu ciò che ribatté la Strega delle Selve, senza scomporsi troppo. Leliana non si curò di loro, già impegnata com’era a liberarsi dell’arco, della faretra, dei pugnali e dei primi indumenti. Wynne la fissò perplessa per qualche attimo, ma poi iniziò a fare la medesima cosa, e presto anche io e persino Morrigan la imitammo.
   «Che state combinando?» volle sapere Oghren, non accettando di essere stato gabbato in quel modo e, soprattutto, privato di quel passatempo non proprio onorevole.
   «Non fate scherzi», fu invece la preoccupazione di Alistair, sicuramente rivolta alla sua acerrima nemica. «Ma poi… come pretendete che vi seguiamo se non riusciamo a vedere un accidenti?»
   «Oh!» esclamò il nano, tutto eccitato. «Ho capito. Dev’essere uno di quei giochetti perversi dove noi fingiamo di essere bendati e loro pensano a tutto.»
   «Volete piantarla di essere così blasfemo?!» lo rimbrottò aspramente il Custode Grigio, inorridito a quel pensiero.
   «Spero che Wynne tocchi a me», lo ignorò Oghren, ormai perso nelle proprie fantasie.
   Leliana ci precedette verso il fuoco e, recitando forse una muta preghiera a fior di labbra, avanzò dentro di esso e lo superò incolume. A quel punto anche noi maghe la seguimmo senza più alcun indugio, ma prima ancora che potessimo avanzare verso la scalinata, una voce si levò alle nostre spalle e il Guardiano comparve accanto ad Alistair e Oghren, rimasti più indietro, loro malgrado.
   «Siete riusciti a passare le prove che vi hanno concesso di purificare il vostro animo», esordì lo spirito, facendo sobbalzare i due guerrieri che non potevano vederlo. Cercai di capire esattamente quali fossero i metri di giudizio del Guardiano, dal momento che anche quando avevo risposto alla sua domanda riguardo Jowan mi era sembrato che ci fosse qualcosa di illogico nelle sue parole. «Avete dimostrato di essere degni. Potete avvicinarvi liberamente alle Sacre Ceneri, ora.»
   A un suo cenno, il fuoco scomparve e lui con esso. Infreddolite, ci precipitammo ad indossare anzitutto tuniche e mantelli e poi, con più calma, anche tutto il resto. Nel frattempo, poco alla volta, la vista dei nostri compagni parve tornare a funzionare a dovere, e mentre Morrigan sbeffeggiava Alistair per essersi fatto imbrogliare dalla magia ancora una volta ed io prendevo le difese del giovane facendole notare che quella di lui era semplice ingenuità e non incapacità, Leliana era già tornata ad avanzare verso la scalinata che, a quanto pareva, portava davvero all’Urna.
   «Pensavo fosse una leggenda…» si lasciò andare a quella confessione Wynne, affannandosi dietro di lei. «Non credevo…» Il suo farfugliare si perse lungo i gradini e quando fummo davanti alle Ceneri, restammo in silenzio senza osare toccare nulla per alcuni attimi.
   L’Urna giaceva ai piedi di una statua di Andraste nel cui palmo della mano ardeva una fiamma, del tutto simile a quelle che ci avevano ostacolato il cammino fino a poco prima. «Non… Non avrei mai creduto che i miei occhi potessero posarsi sull’Urna delle Sacre Ceneri… Non… Non ho parole per esprimere…» Anche la voce di Leliana si spense in un bisbiglio incerto.
   Ormai eravamo lì, però, e avevamo ricevuto anche la benedizione del Guardiano. Non aveva più senso esitare, e fui io stessa, con mano tremante, a sfiorare per prima quella sacra reliquia. Mi fermai un istante dopo e mi volsi verso la mia amica di Orlais. Non sapevo se il suo sogno, la visione avuta a Lothering fosse autentica, ma la rosa che lei aveva visto esisteva per davvero e io la conservavo come pegno di un amore che adesso non mi sembrava più limitato al solo Alistair.
   «A voi l’onore», dissi. Leliana sorrise, commossa.













Questa è la ragione per cui mi sono rifiutata di definire "incompiuta" questa storia. Ho sempre avuto intenzione di continuarla, dovevo soltanto ritrovare l'antico stimolo e sono felice di essere riuscita in quest'impresa. Forse ormai molti lettori si saranno persi lungo la via, e a loro e a quanti hanno aspettato fino ad ora, è d'obbligo che io porga le mie più sentite scuse.
Tuttavia, sapete, questo lungo periodo di pausa credo mi abbia fatto bene. Ho avuto modo di rendermi conto di alcune cose, di migliorarmi (spero) e di ragionare su quanto scritto sin qui a mente fredda e con maggiore lucidità. Rileggendo i vecchi capitoli (operazione che a dire il vero sto ancora finendo di fare) mi sono accorta che dovrò editare un paio di dialoghi, senza però stravolgere niente: colpa mia che, all'epoca, scrissi andando a memoria e dimenticandomi di alcuni dettagli importanti. Si tratterà quindi solo di piccole (grandi) cose, niente di troppo vistoso che implichi delle correzioni macroscopiche (e il primo dialogo che dovrò rivedere è quello in cui Alistair afferma di essere stato cresciuto a Redcliffe per via di Rowan, che però era già morta quando lui venne alla luce).
Questa revisione sommaria e in qualche modo superficiale (se mi mettessi a fare ora quella puntigliosa non la finirei più), come dicevo prima, mi ha anche fatto capire che per mantenere IC la protagonista di questa storia mi toccherà, almeno nel prossimo capitolo, raccontare di una cosa che in realtà nella mia partita è andata diversamente. Esigenze di copione, sorry. Ne parlerò meglio la prossima volta, visto che tanto aggiornerò di nuovo in tempi brevi. Non più una volta a settimana come facevo prima, chiaramente, ma cercherò comunque di tenere dei ritmi più o meno regolari. Ci tengo a concludere questa storia, anche perché ormai mancano davvero una manciata di capitoli e sarebbe un peccato mollarla così.
Detto questo, mi scuso ancora con chi ha atteso tanto a lungo e ringrazio chiunque sia arrivato sin qui, vecchi e nuovi lettori, e tutti coloro che hanno inserito questa fanfiction tra le preferite, le ricordate e/o le seguite.
In ultimo, un grazie ad Atlantislux per il betaggio di questo capitolo, a Ike_ e Shadow Eyes per i preziosi consigli, alla fedelissima Milly Miu Miu per l'incessante incoraggiamento, a Mikoru per le minacce col bazooka (era un bazooka, sì? XD) e a sese87 per la bella, divertente chiacchierata di alcuni giorni fa.
Buon fine settimana e a presto!
Shainareth





  
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