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Autore: Ramiza    21/01/2012    2 recensioni
Questa è la storia di Guglielmo IX, duca d'Aquitania e conte di Poitiers, uno degli uomini più potenti del suo tempo. Questa è la storia del primo trovatore. La vita che i documenti non ci hanno mai raccontato. Tutto quello che non ci è stato detto: la storia di un amore segreto tra Guglielmo e il suo servitore, di una devozione infinita, di una tenerezza mai mostrata. Mi sono concessa di giocare con quest'uomo che da anni attraversa i miei studi e le mie letture e di proporlo in una versione assolutamente personale.
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Medioevo
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Nel 1094, a soli 23 anni, Guglielmo d'Aquitania si sposò una seconda volta con Filippa di Tolosa. Le sue successive decisioni avrebbero rivelato chiaramente i fini politici di quel matrimonio. Il matrimonio ebbe durata più lunga del precedente, ma si concluse nel 1116, quando la contessa entrò in convento.

A totz jorns m'es pres enaisi
C'anc d'aquo c'amei no m jauzi;
Ni o farai ni anc non ho fi:
C'az essiens
Fauc maintas ves que l cor me di:
Tot es niens.
(Guglielmo IX, Pos vezem de novel florir)
[Sempre mi è andata così,
che mai di ciò che amai godetti;
non mi succederà come mai mi successe;
per cui consapevolmente
mi comporto molte volte che il cuore mi dice:
tutto è niente]


Tristan bussò nella stanze della contessa ed entrò portando con sé un vassoio di bevande e pietanze. La donna lo guardò sorridendo.
"Non ce n'era bisogno, Tristan. Avrei potuto scendere, non sto più così male" disse lei con dolcezza.
"Non se ne parla. Dovete riguardarvi" rispose serio, avvicinandosi ed approntando tutto per la colazione.
"Sei così premuroso. Vorrei che mio marito mi dedicasse la metà delle attenzioni che mi dai tu: mi basterebbe" sussurrò la donna.
Il ragazzo la osservò con un misto di imbarazzo e dispiacere.
"Il conte è soltanto molto occupato, mia signora. Non dovete soffrire per questo, non ce n'è motivo, le sue giornate sono sempre straordinariamente piene e..." cominciò.
"Troppo piene per preoccuparsi di te, forse?" chiese lei senza tradire alcun rancore.
Il servo si morse il labbro.
"Mi dispiace - riprese la donna - non avrei dovuto dirlo. Sai che non ce l'ho con te. Ti prego, non riferirgli nulla".
Non lo avrebbe fatto. Se Guilhem avesse saputo di quella conversazione sarebbe andato su tutte le furie, poiché erano parole come quelle, pronunciate dalla bocca di una donna che dapprima aveva riscosso le simpatie di Tristan, poi la sua amicizia ed infine quasi la sua adorazione, che temeva potessero allontanarlo da lui.
"Oh, no signora, potete stare tranquilla. Ma non dovete pensare certe cose, il conte si confida con me, talvolta, mi fa questo onore solo perché lo conosco da molto tempo. Lo servo fin da quando eravamo bambini e..." ripose.
Philippie lo interruppe nuovamente.
"Non giustificarlo, non ce n'è bisogno. Capisco bene cosa vi lega e comprendo quale conforto trovi in te. È così anche per me. Hai rallegrato ogni mio giorno qui, Tristan, anche quelli più grigi. Non ti accuso di niente, ti prego, non pensarlo. Non sopporterei l'idea che tu ce l'avessi con me" disse quasi in una preghiera.
"Non potrei mai avercela con voi, contessa, ma non dovreste...perdonatemi se ve lo dico...ma non dovreste parlarmi così. Se qualcuno vi sentisse, cosa penserebbe? Preoccuparsi così dei pensieri di un servo" rispose con tenerezza.
"Non se ne preoccupa forse mio marito? Non ho diritto anch'io alla tua amicizia?" chiese. Il ragazzo annuì titubante.
"Mangia con me - riprese la contessa - siediti e fammi compagnia in questa giornata piovosa. Se come dici il conte è tanto occupato non noterà neppure la tua assenza".
Tristan obbedì. Non era il genere di cose che amava fare, uscire dai suoi ranghi e rapportarsi con un nobile da pari a pari. Raramente si era concesso un tale privilegio, quello di mangiare insieme, per esempio, anche con Guilhem, nonostante i suoi numerosi inviti. La contessa Philippie, tuttavia, era la creatura più dolce che avesse mai incontrato, la più angelica, la più soave e aveva lo straordinario potere di fargli quasi dimenticare chi era e quali fossero i suoi obblighi. Non riusciva davvero a capire come potesse il conte non dedicarsi a lei anima e corpo.

"Hai mangiato con lei?" gli chiese Guilhem quella sera, mentre lo aiutava a prepararsi per il sonno.
Nella sua mente Tristan maledisse i servi incapaci di tenere la bocca chiusa. Non che gli piacesse avere dei segreti col conte, questo no, ma avrebbe evitato volentieri quella conversazione.
"Mi dispiace - rispose - so che non avrei dovuto".
"Perché?" chiese il conte.
Il ragazzo lo guardò perplesso da quella domanda.
"Dimmi perché non avresti dovuto" ordinò con astio.
Il ragazzo sospirò di fronte all'atteggiamento capriccioso di Guilhem.
"Perché sono un servo e la signora è vostra moglie. È decisamente inappropriato un tale atteggiamento da parte mia, è offensivo signore e vi chiedo perdono" rispose senza menzogna.
"Ma tu non trasgredisci mai i tuoi doveri, Tristan, sai benissimo quel è il tuo posto. Perché questa volta lo hai fatto?" chiese ancora con tono perentorio.
Il giovane servo chinò il capo mortificato.
"Non succederà più signore" disse.
"Ti sto chiedendo perché è successo, dannazione!" urlò il conte scaraventando a terra la brocca di vino appoggiata sul tavolo.
Tristan chiuse gli occhi e serrò i pugni e
"Mi dispiace" disse quasi piangendo e lasciandosi cadere in ginocchio.
Guilhem lo guardò un istante e si calmò improvvisamente, come rendendosi conto di ciò che stava facendo.
"No, no, Tristan, maledizione! Non farmi questo. Ti sto chiedendo perché rifiuti i miei inviti, ma accetti i suoi. Ti sto chiedendo perché a me ribadisci sempre chi sei e chi sono io, ma con lei ti comporti in modo così naturale, spontaneo. Questo voglio sapere" esclamò sconfortato.
"Ti ho spaventato? - aggiunse poi chinandosi affianco a lui e aiutandolo ad alzarsi - non volevo, vorrei solo una risposta".
Allora Tristan fece una cosa che il conte non si sarebbe aspettato, una cosa che in circa vent'anni di conoscenza aveva fatto assai raramente e che lo lasciò completamente di stucco. Gli gettò le braccia al collo e pianse, come un bambino.
Guilhem gli accarezzò i capelli e strinse a sé il suo corpo esile e minuto, con la forza di un guerriero e la delicatezza di un amante.
"Perché se con voi accorcio le distanze, anche una sola volta, non sarò più capace di fermarmi, non saprò più tornare indietro - sussurrò - vi prego, perdonatemi".
Il conte maledisse se stesso e la sua impulsività, ancora una volta. Si odiò disperatamente, ferocemente, rabbiosamente, con un'intensità che sapeva dedicare solo a se stesso.
Alla sua mente tornò lucido e prepotente il ricordo che più di ogni altro detestava e che tuttavia non si era mai sforzato di cancellare. Lo voleva lì, terribile e ingombrante, a simboleggiare per sempre la colpa di ciò che aveva fatto e ad ammonirlo per il futuro.

Era il 4 marzo del 1086, lui e Tristan avevano quindici anni.
Poiché l'aiuto stalliere, un ragazzo più o meno della loro età, aveva lasciato che il cavallo preferito di Guilhem si ferisse uno zoccolo durante una corsa, il futuro conte si era infuriato. Gridava mentre lui balbettava scuse incomprensibili.
"Avrai 5 frustate per questo" aveva detto infine.
Tristan tuttavia si era intromesso.
"Non è stata colpa sua, signore. Come poteva prevederlo?" aveva chiesto.
"Non sono affari che ti riguardano. Stanne fuori" aveva sbottato. Poi si era rivolto all'aiuto stalliere e gli aveva semplicemente ordinato di prepararsi.
Il ragazzo era spaventato e confuso, il conte lo ricordava, ma aveva obbedito cominciando a sfilarsi la camicia.
"No! - aveva esclamato Tristan - è ingiusto! Siete ingiusto!".
Guilhem aveva sentito una rabbia nuova crescergli dentro: perché lo stava difendendo? Lui e Tristan si conoscevano praticamente dalla nascita e il loro rapporto assomigliava a un'amicizia, se ne poteva esistere una tra persone di ranghi sociali così diversi (ancora non sapeva, ancora non capiva), ma il giovane servo non aveva mai osato rivolgersi a lui in quel modo, non lo aveva mai contestato prima. Dunque perché adesso, per un insignificante aiuto stalliere? Non era tanto l'aristocratica indignazione che avrebbe provato suo padre, era qualcosa di più strano e di più insidioso quel sentimento che gli si stava insinuando dentro, di mai provato prima. Perché lui, Guilhem, futuro conte d'Aquitania, era abituato ad avere tutte le attenzioni su di sé, ad esserne il fulcro, il centro e non aveva mai avuto prima qualcosa di cui essere geloso. Tuttavia non aveva spiegato le sue ragioni a Tristan.
"Come osi parlarmi così? - aveva tuonato dall'alto dei suoi quindici anni - vuoi essere punito anche tu?".
Negli occhi del servo era guizzata una scintilla di sfida, non l'aveva mai veduta prima né l'avrebbe rivista dopo.
"Voglio essere punito al suo posto" aveva risposto sbottonando la camicia sul petto. Poi gli aveva dato la schiena.
Era stato a quel punto che il conte aveva perso ogni controllo. Aveva afferrato il frustino che portava alla vita e lo aveva colpito: una, due, tre volte, con forza e foga, Tristan era rimasto immobile, mordendosi il labbro per non gridare. Allora Guilhem era corso via, maledicendo lui e sé stesso.
Quella sera Tristan era entrato nella sua stanza. Guilhem si era aspettato di vederlo triste o arrabbiato, ferito o offeso, ma lo aveva trovato sorridente come sempre.
"Vorrei chiedervi scusa per il mio comportamento di oggi" gli aveva detto senza falsità e lui non ce l'aveva fatta: era scoppiato a piangere e gli aveva chiesto perdono, giurando che non sarebbe successo mai più. Il resto era stata la mano di Tristan che gli accarezzava i capelli, che gli diceva di non piangere mentre i suoi occhi piangevano a loro volta.

Sebbene il 4 marzo del 1086 fosse il giorno in cui aveva smesso di chiedersi se un conte ed un servo potessero essere amici, sebbene potesse dire che quel giorno aveva fatto di lui una persona nuova - e forse migliore -, sebbene, in ogni caso, quel giorno lo avesse reso - incredibilmente e nonostante tutto - migliore agli occhi di Tristan, il giovane conte lo ricordava come un incubo, il più grande errore della propria vita e la tragedia da cui non si sarebbe mai liberato.

"Cosa ti fa pensare che se lo facessi dovresti tornare indietro?” chiese.
“È così che deve essere” disse solo, senza smettere di piangere.
“Va tutto bene - sussurrò il conte con dolcezza infinita - sono un'idiota, come sempre. Non ci hai ancora fatto l'abitudine? Te ne turbi ancora?".
Tristan non rispose.
"Sai che non potrei mai farti del male, vero? Per quanto io sembri arrabbiato o furioso, per quanto possa essere geloso..." cominciò. Il ragazzo lo interruppe, intuendo facilmente il filo dei suoi pensieri.
"Non ho paura che possiate farmi del male, non ne ho mai avuta. Temo di ferirvi e di avervi ferito, nient'altro. Vi prego, non rivangate ricordi che vi sono dolorosi, non ce n'è alcun motivo".
"Sono la mia gelosia e la mia rabbia a ferire te. Ogni volta mi ripeto che sarà l'ultima e accade di nuovo" rispose.
"La contessa è una creatura straordinaria. Merita il vostro affetto e la vostra stima. Io so di averli. Voi non dovrete mai temere di perdere i miei, sono incondizionati e totali. Entrambi. Ciò che ho non è molto, ma lo possedete interamente" disse con fermezza.

Oh, sì. Fortunatamente il 4 marzo 1086 era lontano e molte cose erano cambiate da allora. Guilhem era diventato uno degli uomini più potenti del mondo, suo padre era morto e lui si era sposato due volte, entrambe per assecondare un gioco politico da lui stesso pensato e voluto. Entrambe le volte se n'era pentito nell'attimo stesso il cui lo stava facendo, ma non era riuscito a fermarsi, troppo smanioso di vincere. Di essere il più grande.
Egoisticamente sicuro che lo avrebbe trovato al suo fianco, qualunque cosa avesse fatto.
Su un fatto, tuttavia, non nutriva alcun dubbio. Era quella presenza silenziosa e sicura al suo fianco ad aver fatto di lui ciò che era e se per un solo attimo avesse pensato di poterlo perdere avrebbe mandato al diavolo la partita, il gioco stesso, avrebbe dismesso i panni che da troppo tempo portava e si sarebbe trasformato fino a riprenderlo con sé.
Egoisticamente.
Fino alla fine.



Nota autrice.
Rieccomi infine. Capitolo meno scoppiettante, drammatico...amo Guglielmo d'Aquitania e lo immagino così. Come sempre, che la storia mi perdoni. Ma in fondo la mia ipotesi è forse meno verosimile di altre?

  
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