Storie originali > Fantasy
Segui la storia  |       
Autore: Xandrex91    23/01/2012    1 recensioni
Che cosa accade quando delle persone completamente diverse ed estranee fra loro si ritrovano a dover lavorare fianco a fianco in nome di un obbiettivo comune?
Questa è la storia di un gruppo di avventurieri che per puro caso, o forse per destino, si ritrovano a dover affrontare una realtà ben più grande di loro.
Dovranno affrontare ogni tipo di pericolo e imbarcarsi nelle più svariate imprese per portare a termine la loro missione. Un antica civiltà elfica ormai scomparsa, intrighi dal passato e nel presente, tradimenti, passioni, colpi di scena, momenti di introspezione e comicità fanno da sfondo a un avventura fantasy a dir poco epica.
In questo primo racconto verranno narrate le gesta dei beniamini di Avalorn partendo dalle loro origini, in gran parte avvolte dall’oscurità.
Questa storia è liberamente inspirata a Dungeon&Dragons, un noto gioco di ruolo da tavolo.
Non è da considerarsi una fan fiction in quanto il mondo in cui si svolgono le vicende e altri aspetti sono interamente inventati da me.
Da esso riprendo solo alcuni aspetti legati alle razze e ad alcune divinità.
Ogni riferimento a nomi e fatti è da ritenersi puramente casuale.
Genere: Avventura, Commedia, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Capitolo 4


 

Un giorno da leoni


 
 
“Non molto lontano da Arboren, tra le Colline Boscose, vi era un villaggio halfling di nome Little Ling. Nessuno lo avrebbe mai pensato, ma anche fra di loro si nascondeva un piccolo eroe.”
 
Poco distante da Little Ling alcuni giovani halfling[1]erano impegnati in una delle loro attività preferite: il lancio delle pietre.
Se ne stavano seduti su di un pontile a ridosso di uno stagno, a turni ciascuno lanciava un sasso cercando di farlo rimbalzare più volte sulla superficie dell’acqua.
«Mi spiace per voi ragazzi, ma ancora una volta sono io il campione!»
Uno di loro si alzò in piedi di scatto ridacchiando in modo stridulo. Indossava una camicia con bretelle e dei pantaloni di tela leggeri. Sulla testa portava un cappello a bombetta logoro; sotto di esso si potevano intravvedere i suoi capelli, ricci ed arancioni.
«Non c’è gusto a gareggiare con te, Brocco... per questo ho deciso di non partecipare ai giochi questo mese.» disse uno degli halfling che era seduto lì accanto.
«Sciocchezze! La verità è che hai solo paura di perdere un’altra volta!»
«Ah si? Ti faccio vedere io ora!»
I due iniziarono ad azzuffarsi strattonandosi e tirandosi i vestiti ma qualcosa attirò la loro attenzione non molto lontano da lì.
Una melodia riecheggiava nell’aria. Alla fine la melodia si tramutò in un lamento, il lamento di uno strumento intento a suonare qualcosa ma sbagliando completamente le note.
Il giovane halfling dai capelli arancioni sorrise mollando la presa sull’amichetto con cui stava litigando.
«Sentitelo! Il cocco di papà sta ancora suonando quel dannato coso.»
Si fermò per qualche secondo ancora ad ascoltare, poi alla fine scosse la testa sogghignando.
«Andiamo a fare visita a quell’incapace.»
Fece cenno agli altri di seguirlo e insieme si allontanarono tra gli alberi, sghignazzando a tutto volume.
 
Non molto lontano, un altro halfling se ne stava seduto ai piedi di un grosso albero. Portava un paio di occhiali a lenti tonde dietro le quali si potevano intravvedere i suoi occhi, azzurri come il cielo d’estate. I suoi capelli, corti e a spazzola, erano di un biondo intenso simile al piumaggio di un pulcino.
Indossava un farsetto bianco con una giacca di color verde scuro e tra le mani teneva un piccolo liuto con diverse decorazioni dorate sulla sua superficie.
Il piccolo halfling guardò il cielo pensieroso, poi si mise ancora una volta a pizzicare le corde dello strumento canticchiando un motivetto.
Dal liuto fuoriuscì una dolce melodia che in poco tempo si tramutò in un lamento assordante.
«Credo che questa parte sia ancora da perfezionare...» disse tra sé sistemandosi gli occhiali.
Da dietro un albero sbucò fuori all’improvviso il piccolo umanoide dai capelli arancioni seguito dai suoi amichetti.
«Ehi ragazzi, guardate chi abbiamo qui... Mirmo, il re dei falliti!» esclamò trattenendo a stento una risata.
«Andatevene!» urlò l’halfling con il liuto alzandosi in piedi di scatto.
Un altro poi si fece avanti, facendogli il verso.
«Guardate! Sono Mirmo! Ops, che sbadato! Ho dimenticato di dire che sono un fallito!»
E gli altri si sganasciarono dal ridere.
Mirmo aggrottò le sopracciglia e si mise a urlare con gli occhi lucidi di rabbia.
«P-p-piantatela! Io non sono un f-fallito! E ve lo d-dimostrerò!»
Dicendo questo si allontanò con passo svelto da quel luogo mentre gli altri ancora ridevano e sparì tra gli alberi.
Quando fu abbastanza lontano da non esser visto, affrettò sempre di più il passo fino a correre con tutte le sue forze verso casa. Mentre ancora correva, delle lacrime iniziarono a scendergli lungo le guance fino a staccarsi dal suo viso e cadere per terra.
 
Arrivato a casa, il giovane Mirmo sbatté rumorosamente la porta correndo al piano di sopra, nella sua camera.
«Mirmo! Quante volte ti ho detto di non sbattere la porta!» si sentì urlare dall’altra stanza.
Suo padre era seduto su di una poltroncina intento a leggere il giornale, scosse la testa amareggiato poi commentò a ad alta voce una delle notizie della settimana.
«Per tutte le monete di platino! Il costo dell’argento è quasi quadruplicato... che diavolo stanno combinando quegli ubriaconi dei nani?»
I suoi capelli erano castani brizzolati con riporto, i suoi occhi erano anch’essi azzurri e nell’orbita dell’occhio destro teneva un monocolo che sistemava ogni tanto per leggere.
Sua moglie arrivò all’improvviso dall’altra stanza allarmata per il tanto baccano chiedendo spiegazioni.
Aveva i capelli biondi, raccolti in una treccia che le scendeva lungo la schiena.
«Credo che Mirmo si sia rintanato per l’ennesima volta nella sua stanza...» sospirò lui, poi riprese «Ma quando si deciderà a mettere la testa a posto?»
«Sii paziente caro, è ancora giovane...vedrai che fra qualche anno capirà...»
«E’ già da qualche anno che vai avanti a ripeterlo, ma io sono stanco di aspettare... sto diventando vecchio ormai. Mi domando... quando non ci sarò più, chi manderà avanti l’attività di famiglia?»
Lei abbassò lo sguardo, rimanendo in silenzio.
«Ho cercato di trasmettere a nostro figlio la passione per gli affari ma non c’è stato verso! No che non c’è stato! Lui non fa altro che starsene tutto il giorno nei boschi a suonare quel...coso e a riempirsi la testa di sciocchezze con quegli stupidi libri!» fece una pausa scuotendo lentamente la testa.
«Dove ho sbagliato?» si chiese tra se, chiudendo il giornale e riponendolo sul tavolino.
Sua moglie gli si avvicinò appoggiando la mano sulla sua spalla per consolarlo.
 
Nel frattempo Mirmo si era chiuso nella sua stanza al piano di sopra.
La prima cosa che fece fu quella di buttarsi sul letto appoggiandosi il cuscino sulla faccia.
Per l’ennesima volta Brocco e i suoi amici avevano colto l’occasione per beffeggiarlo. Era stanco dei suoi coetanei, perché nessuno voleva lasciarlo in pace? Tutto solo perché lui era l’unico halfling del villaggio a non saper lanciare le pietre... beh forse non solo per quello. È vero, forse era un po’ impacciato; forse quello che faceva non sempre gli riusciva... probabilmente colpa di quell’episodio alla Fiera. Se ne vergognava tanto.
Un giorno, mentre sperimentava una delle sue invenzioni, finì con l’incendiare mezzo villaggio. Gli sembrò quasi di rivedere le facce della gente che lo fissava, le stesse persone che incontrava ogni giorno per strada.
Si rigirò nel letto, questa volta a faccia in su, ripensando a quel giorno.
Oh beh, poi c’era anche suo padre. Come dimenticarselo? Fu proprio lui a scusarsi con tutti etichettando così suo figlio come un imbecille. Ma probabilmente era più preoccupato per la sua reputazione che per il resto...
Perché nessuno al villaggio riusciva ad accettarlo per ciò che era? A lui non importava nulla delle feste, dei mercati, degli affari di suo padre... e tanto meno gli importava di quello stupido villaggio e dei suoi abitanti. O forse non era così.
Mentre pensava disteso sul letto, dei rumori provenivano dall’esterno passando attraverso la finestra socchiusa.
Mirmo si alzò, poi si diresse lentamente verso la finestra per chiuderla quando qualcosa attirò la sua attenzione.
C’era un sacco di gente alta, umani. Si trascinavano dietro dei carri pieni di provviste e di oggetti vari. C’erano anche dei bambini, alti proprio come lui, e molte donne.
Ai lati della carovana si potevano distinguere facilmente dei soldati, erano equipaggiati con una semplice armatura di cuoio imbottito, alcuni di essi impugnavano delle piccole spade, altri delle lance rudimentali.
Molti di quelli sui carri erano feriti, altri praticamente già morti.
Poi un giovane soldato dai capelli scuri si fece avanti e iniziò a dialogare con il capo del villaggio.
Non riusciva a capire cosa si dicessero, ma aveva il presentimento che fosse accaduto qualcosa di grave, non molto lontano da Little Ling.
La curiosità lo spinse a scendere le scale, evitando di farsi vedere da suo padre per risparmiarsi la solita ramanzina.
Uscì di casa e assaporò ancora una volta la ventata di liberà che solo l’aria fresca delle colline poteva dargli. Si diresse verso la carovana per indagare.
Poi rivide di nuovo il miliziano e il capo del villaggio, intenti a discutere vicino a un carro. Corse rapidamente a nascondersi sotto di esso.
Le uniche cose che riusciva a vedere erano i piedi e le loro ombre, ma sentiva benissimo ciò che si dicevano. Riconobbe la prima voce, era quella di Bernardo, il capo villaggio.
«Arboren è caduta dite? Ma come è possibile!»
Poi sentì una seconda voce, quella del soldato.
«Sono stati i goblin, signore. Quei piccoli bastardi hanno attaccato al tramonto... e in forze.»
«Ecco che cosa stavano tramando, rintanati nella loro fortezza... è da tanto che non riceviamo loro visite. Pensavamo si fossero arresi...»
«A quanto pare ora sono più forti e determinati di prima...»
«Dobbiamo tenere gli occhi aperti dunque, anche se non capisco perché proprio Arboren... è fuori dal loro territorio di caccia.»
«Io... non lo so.... so solo che il mio patrigno è ancora laggiù, e probabilmente con lui molti altri. Anche se non credo ce l’abbiano fatta...»
«Mi dispiace ragazzo, so che è stata dura. Siete diretti a Forte Harmbridge avete detto?»
«Si, questi uomini e queste donne hanno bisogno di un posto dove sentirsi al sicuro e dove ricevere delle cure adeguate, almeno per il momento»
«Siete nostri ospiti dunque! Vi forniremo tutto ciò che vi serve per il vostro viaggio.»
«Grazie, ma faremo una breve sosta giusto per rifornirci e poi ripartiremo»
Vide le ombre dei due staccarsi le une dalle altre, Bernardo se ne stava ancora fermo in piedi, il miliziano si allontanò per andare di nuovo dagli altri profughi.
 
Forse aveva trovato ciò che stava cercando, una carovana di profughi diretta proprio a Forte Harmbridge. Avrebbe potuto mischiarsi a loro e scappare via da quel villaggio. Nella Città imperiale ci sarebbe sicuramente stato un posto per lui, la gente lo avrebbe apprezzato di più per ciò che era e per ciò che sapeva fare. Non era un viaggio poi così lungo.
Ma qualcos’altro stava per accadere, qualcosa che avrebbe cambiato definitivamente i suoi piani.
Una donna halfling corse incontro alla folla urlando, Mirmo la conosceva bene. Si chiamava Lenora ed era la moglie del fabbro del villaggio.
«Vi prego! Qualcuno deve aiutarmi! Mio figlio è sparito!»
Tutti smisero di fare ciò che stavano facendo e si voltarono verso di lei.
Bernardo, il capo del villaggio, le corse incontro chiedendo spiegazioni.
«E’ da stamattina che non lo vedo più... lui... stava giocando in giardino io mi sono distratta e... ed è sparito! Vi prego! E se i goblin lo avessero rapito?»
Mirmo si alzò in piedi di scatto, sbattendo la testa contro il carro sotto il quale era, ricadendo poi a terra rumorosamente.
Imbarazzato strisciò poi fuori assicurandosi che nessuno lo guardasse e si avvicinò anche lui insieme agli altri passanti.
Bernardo teneva le spalle alla donna, parlando in tono pacato.
«Lenora, ti prego non c’è motivo di allarmarsi. Sai che tuo figlio ama girovagare per i boschi, non è la prima volta che succede.»
«No! Questa volta è diverso! Lo sento! Gli è accaduto qualcosa di brutto... ti prego, manda qualche tua guardia a cercarlo.»
«Non posso farlo, lo sai. Con la minaccia dei goblin che incombe abbiamo bisogno di tutte le guardie qui al villaggio.»
Il piccolo halfling sostò pensieroso, forse scappare non era la soluzione.
Ma come poteva far capire ai suoi genitori e agli altri che lui era diverso da ciò che loro si aspettavano?
Poi gli balenò in testa un idea. Un idea folle forse, ma valeva la pena tentare.
 
 
«Andrò io a cercarlo!» esclamò all’improvviso facendosi largo tra la folla.
Il capo del villaggio si voltò verso di lui e rise.
«Tu? Ah! Questo non è un gioco ragazzo, levati dai piedi. Hai già combinato abbastanza guai alla Fiera.»
La gente che si era radunata lì attorno iniziò a mormorare, altri scoppiarono a ridere.
Mirmo aveva sentito abbastanza, si allontanò lentamente fino a raggiungere casa sua, suo padre lo aspettava sulla porta.
«Che cosa vuoi fare? Sei impazzito! Ho sentito ciò che hai detto in piazza.» dicendo ciò lo afferrò per un braccio.
«Lasciami. Devo farlo.»
Il giovane halfling scansò la mano del padre e salì in camera sua.
«Non posso lasciartelo fare! Mi hai sentito? Non posso!» urlò lui mentre lo guardava salire.
Mirmo si mise a riempire uno zaino con tutto il necessario per una spedizione, anche se non aveva la minima idea di cosa gli occorresse per un impresa simile. Aveva letto di situazioni del genere nei suoi libri, i grandi eroi non si tiravano mai indietro. Avrebbe portato con se una mappa, qualcosa da mangiare e magari anche qualcosa con il quale difendersi.
Suo padre lo seguì, ma si limitò ad osservarlo. Sostò per qualche istante, poi si mise a sussurrare tra sé.
«Mi spiace...mi auguro che un giorno capirai.»
Chiuse lentamente la porta, estrasse una chiave dal taschino della giacca e la chiuse.
Mirmo si accorse della situazione e si precipitò contro di essa tentando di aprirla, ma era chiusa. Tirò qualche pugno, poi iniziò a urlare.
«Apri! Tu non capisci! Tu non hai mai capito niente!»
Suo padre chiuse gli occhi, come se ogni parola del figlio fosse come una pugnalata al cuore, poi scese le scale in silenzio.
Quando capì che non gli avrebbe riaperto, il giovane tirò un calcio alla porta in preda alla rabbia e inseguito si mise a sedere sul letto fino a che non si calmò.
No, non poteva arrendersi. Suo padre non gli avrebbe impedito di riscattare il suo onore e nemmeno gli altri abitanti del villaggio, avrebbe ritrovato quel bambino, lo avrebbe riportato a sua madre e tutti a quel punto si sarebbero rimangiati quello che avevano da dire sul suo conto.
Doveva solo trovare il modo di andarsene da lì.
 
Passò qualche ora e scese la notte, con essa cessò anche il via vai di gente per la strada. Tutto taceva, era il momento di agire.
Il piccolo halfling si mise allora a rovistare fra le cartacce e gli oggetti vari sparsi sulla sua scrivania in cerca di un qualcosa che potesse aiutarlo. Niente.
Si inginocchiò ed aprì un baule che stava li vicino. Con una gran fretta scagliò le cose che non servivano sul pavimento dietro di se fino a che non trovò ciò che stava cercando.
Una piccola balestra, una faretra per le munizioni e una corda molto robusta.
Li appoggiò sul letto, poi si diresse verso la finestra spalancandola completamente. Guardò di sotto: non c’era nulla a cui si sarebbe potuto aggrappare per scendere. Si guardò allora in giro, c’era un albero non molto distante dalla casa. Sistemò la balestra dietro la schiena, poi prese la corda e realizzò un nodo scorsoio, la afferrò e si mise a farla roteare cercando di lanciarla verso qualche ramo.
Il primo lancio fallì miseramente, riprovò ancora e poi ancora una volta fino a che non riuscì ad incastrarla fra i rami.
Diede qualche strattone assicurandosi che fosse ben salda e si preparò a saltare. Chiuse gli occhi lasciandosi semplicemente andare.
Precipitò così velocemente che non poté fare a meno di gridare per lo spavento, cadde con una traiettoria a parabolica andando a sbattere rovinosamente contro il tronco dell’albero.
Si rialzò da terra traballando fino a che non si riprese dalla botta, poi raccolse le sue robe si diresse verso la boscaglia, dileguandosi in breve tempo.
 
 
Il giorno stava velocemente lasciando il posto al buio e al freddo della notte nella Foresta degli Avi.
Eleanor, Marcus e Khaleil avevano camminato per quasi tutto il giorno ed ora si erano fermati a riposare prima di trovare un riparo per la notte.
Marcus si lasciò andare a terra, sfinito.
«Non ce la faccio più... ma come fate voi druidi ad andarvene in giro per tutto il giorno nella foresta?»
Anche Eleanor si sedette a terra, accennando appena un sorriso.
«Di solito non andiamo a piedi, semplicemente... voliamo.»
«Ma certo... stupido io che l’ho chiesto...»
Fece una pausa, ansimando e deglutendo a fatica, poi riprese.
«Beh, sai una cosa? In questo momento mi piacerebbe essere un druido.»
Questa volta l’elfa sorrise scuotendo la testa, ma ad un tratto il suo sorriso si spense. I suoi sensi acuti avevano captato un suono cupo e ripetitivo molto distante.
Si alzò in piedi di scatto e si diresse nella direzione dalla quale proveniva.
Marcus, ormai abituato ai comportamenti bizzarri della druida, si alzò anch’egli per seguirla.
Si trovavano nei pressi di un dirupo che segnava il confine tra la foresta e le pianure coltivate. Da lassù si poteva benissimo scorgere Arboren, o almeno ciò che ne restava.
Colonne di fumo si alzavano dalle case andate distrutte e un’ infinità di piccole luci rossastre erano sparse qua e la sul terreno, come in un cielo stellato.
Eleanor sostò in silenzio osservando il paesaggio, poi ad un tratto prese a parlare con voce calma e fredda.
«Tamburi. I goblin sono sul piede di guerra.»
Il ragazzo strinse gli occhi.
«Goblin? Perché sono ancora ad Arboren?»
«Non lo so... forse cercano ancora l’amuleto.»
Marcus rimase sconvolto alla vista del villaggio ormai distrutto, se i goblin erano ancora lì era impossibile ormai trovarvi dei sopravvissuti.
Poi un pensiero folle si fece largo nella sua mente. I mostri che avevano massacrato il villaggio in cui era cresciuto, quello sciamano, erano ancora lì.
Erano così vicini... sarebbe stato uno spreco lasciarsi scappare l’opportunità di fargliela pagare. Forse sarebbe morto nel tentativo, ma non gli importava.
In silenzio si avviò lungo il dirupo alla ricerca di un punto poco scosceso dove sarebbe potuto scendere.
Eleanor continuò a fissare il villaggio fumante ascoltando il ritmo incalzante dei tamburi che riecheggiavano nella pianura. Poi si voltò e vide che Marcus se ne stava andando.
«Dove stai andando?» gli chiese assumendo un tono inquisitorio.
Il ragazzo non rispose e continuò a camminare verso l’accampamento.
L’elfa lo chiamò ancora una volta ma non ottenendo una risposta soddisfacente decise di correre avanti per fermarlo.
Afferrò entrambe le braccia del ragazzo, che fu costretto a guardarla.
Per la prima volta i due si ritrovarono faccia a faccia, per la prima volta da quando si erano incontrati si guardavano negli occhi.
«Lasciami.» rispose secco lui.
«Cosa hai intenzione di fare? Farti uccidere forse?»
«Non lo so. So solo che devono pagare per quello che hanno fatto.»
Eleanor aggrottò le sopracciglia in un espressione di rimprovero.
«Vendetta. E’ dunque questo ciò che cerchi? Se ti fai uccidere nel tentativo di adempiere alla tua vendetta l’amuleto sarà perso insieme a te. Non lo capisci?»
Inseguito si mise una mano sulla fronte comprendo in parte gli occhi, come per calmarsi.
«Io... io capisco che tu abbia sofferto molto, ma non è certo affrontandoli che risolveresti le cose. Uccidere quei goblin non riporterà in vita le persone che hai amato.»
Appoggiò entrambe le mani sulle spalle del ragazzo poi continuò a parlare con voce calma.
«Dobbiamo concentrarci sull’amuleto ora, è questa la nostra missione ricordi? Non lasciare che il tuo cuore si corrompa con il veleno dell’odio.»
Marcus sembrò confuso, ma alla fine annuì con la testa.
«Andiamo. Dobbiamo ancora trovare un riparo per la notte.» aggiunse poi l’elfa facendo cenno di seguirla.
 
Si era perso. Mirmo era stato più volte nei boschi, ma di notte tutto gli sembrava così diverso, così minaccioso. Le fronde scure degli alberi sembravano dotate di vita propria e i loro rami sembravano allungarsi verso di lui, come per ghermirlo.
Correva in ogni direzione alla ricerca di un qualcosa che lo aiutasse ad orientarsi, a capire dove fosse.
Iniziò ad avere paura. Aveva sbagliato a scappare in quel modo di casa, ora era tutto solo e chissà quando avrebbe ritrovato la strada per tornare.
Poi si udì un susseguirsi di ululati in lontananza. Lupi forse, o peggio ancora  worg.
Non aveva minimamente considerato il pericolo che un branco di worg poteva rappresentare.
Si mise a correre non appena udì un altro ululato, questa volta più vicino dei precedenti. Non aveva la minima idea di dove stesse andando ma in quel momento non gli importava, il panico si era ormai impossessato di lui.
Era così spaventato che non si preoccupò minimamente di guardare dove metteva i piedi.
Corse per un po’, poi ad un tratto si sentì mancare la terra sotto i piedi e precipitò in una grossa buca.
Non vedeva nulla, ma si accorse che stava rotolando giù per una specie di tunnel.
Poi si sentì precipitare ancora una volta fino a che non cadde a terra con un tonfo secco.
Sostò per un po’ confuso fino a che non si accorse di provare un dolore intenso alla caviglia.
Si guardò attorno, cercando di capire dove era finito. Ma niente, era troppo buio per vedere.
Esitò un attimo ma poi iniziò a tastare il terreno intorno a lui. C’era del terriccio umido tutt’intorno e sotto ad esso si poteva sentire il freddo della pietra. Poco più in là avverti la presenza di un oggetto leggermente ruvido al tatto, passò la mano sopra di esso: aveva forma sferica e diversi fori erano presenti sulla sua superficie.
«Ma dove sono finito?» si chiese fra se, la sua voce rimbombava.
Si ricordò poi di un incantesimo che aveva letto tempo prima su di una pergamena magica.
Chiuse la mano in un pugno e sussurrò: «Luxe Celah Abios.»
Nella sua mano comparve una piccola sfera luminosa.
Aprì la sua mano, la luce si espanse in tutta la stanza. Ora riusciva a vedere ciò che lo circondava.
Attorno a lui c’erano solo pareti rocciose dalla conformazione naturale, stalattiti e stalagmiti erano sparse qua e la per quella che sembrava una caverna. Guardando verso l’alto riuscì a vedere l’apertura dalla quale era caduto.
Ma la sorpresa peggiore l’ebbe quando giro la testa. Affianco a lui giaceva lo scheletro di un umanoide di piccole dimensioni ormai ridotto a pezzi, quello che aveva toccato era in realtà un teschio.
Si alzò in piedi di scatto per il disgusto, nonostante la caviglia gli dolesse.
Poi si allontanò zoppicando, alla ricerca di una via di fuga.
Si appoggiò a una parete e la percorse in tutta la sua lunghezza fino a che non vide una piccola apertura, a forma di arco, dinnanzi a se.
Entrò ritrovandosi in una stanza completamente diversa.
C’erano ragnatele, o frammenti di esse, sparse ovunque. Proseguì lentamente scostandone qualcuna fino a che non si ritrovò in un'altra stanza più grande.
Si guardò ancora attorno, la volta rocciosa della caverna era completamente ricoperta da una ragnatela di grosse dimensioni.
Appesi al soffitto c’erano diversi corpi penzolanti, difficile stabilire chi o cosa fossero, avvolti accuratamente in diversi involucri appiccicosi.
Un brivido scese lungo la sua schiena. Iniziò lentamente a indietreggiare tenendo lo sguardo fisso verso quella strana ragnatela.
Era talmente sbigottito che non si accorse di urtare contro un qualcosa di molliccio alle sue spalle.
Sostò per qualche secondo paralizzato dalla paura, poi si voltò e rimase completamente spiazzato da ciò che vide.
Appeso alle sue spalle c’era un altro di quegli involucri appiccicosi, ma la cosa ancora più inquietante era il fatto che si poteva benissimo riconoscere il corpo di un halfling all’interno di essso.
Non poté fare a meno di lasciarsi scappare un urlo che echeggiò nella caverna.
Mirmo avvertì qualcosa alle sue spalle. Qualcosa si muoveva zampettando velocemente.
Si voltò di colpo puntando la luce in quella direzione. Ma niente, il suono cessò.
Dopo pochi secondi avvertì di nuovo il suono, ma questa volta sopra la sua testa. Puntò rapidamente la luce, ma non c’era nulla sul soffitto.
Non era certo una buona idea rimanere lì. Il piccolo halfling iniziò a correre, purtroppo nella direzione sbagliata.
Senza accorgersene finì dritto in un ragnatela, rimanendo impigliato tra i suoi fili appiccicosi. Cercò di divincolarsi, ma sembrava tutto inutile.
Dopo diversi tentativi riuscì a liberare un braccio, poi un altro fino a liberarsi completamente.
Ma quando fu quasi libero avvertì un dolore dietro la spalla seguito da un bruciore intenso.
La vista iniziò ad annebbiarsi, i muscoli si intorpidirono e perse così il controllo dell’incantesimo, la luce si spense. Sentiva qualcosa sopra di lui che si muoveva rapidamente, lunghe zampe lo sfioravano avvolgendolo lentamente in una sostanza appiccicosa.
Non riusciva più a muovere un muscolo, era chiaro che le forze lo stavano abbandonando. Poi anche gli ultimi sensi si spensero e non vide ne udì più nulla.


[1]Halfling: umanoide di bassa statura, simile agli umani nell’aspetto. Hanno orecchie leggermente a punta e i loro piedi sono lunghi e tozzi.
  
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Fantasy / Vai alla pagina dell'autore: Xandrex91