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Autore: yeahbuddie    24/01/2012    8 recensioni
Ok, questa è la mia seconda fan fiction (la prima è stata su Harry Potter, ma dopo aver pubblicato il primo capitolo ho scordato la password, lol), e non so, spero la leggiate in tanti anche se in alcune parti sarà un po' noiosa. Poco più di un mese fa quei cinque cretini mi hanno rubato il cuore, letteralmente, perciò ho pensato di fare ciò che amo, cioè scrivere, per qualcuno che amo, cioè i One Direction. Come si suol dire, due piccioni con una fava. E vabè, non voglio annoiarvi quindi mi dileguo qui. Spero solo leggiate questa fan fiction in tanti, che recensiate e non so, leggete e basta!
Quindi: peace, love and One Direction.(L)
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Quando uscii dalla doccia, guardai l’orario sul display dell’iPod, che segnava le venti precise. Ci avevo messo più o meno quaranta minuti, ma mi ero presa del tempo sotto il getto caldo e rilassante.
Mi avvolsi subito nell’asciugamano caldo, prendendo l’iPod e uscendo dal bagno. Le luci dei corridoi erano spente come le avevo lasciate, il che voleva dire che avevo ancora casa libera.
Entrai in camera e dopo essermi asciugata per bene, indossai l’enorme maglia viola della New York University che mi aveva regalato Tyler il mese prima, con sotto un paio di culotte. Asciugai al volo i capelli col phon, lasciandoli come sempre mossi naturali, e poi presi l’iPod, con tanto di cuffie, e il libro di Twilight, dirigendomi al piano di sotto.
Era l’ora di cena, ma dato che non avevo ancora abbastanza da fame da tentare di cucinare, decisi di aspettare che tornasse a casa qualcuno e far cucinare e lui, a patto che non fosse Nicole. Avrei preferito morire di fame.
Appena arrivai in salotto, accesi l’iPod mettendo su “Who let the dogs out” degli Baha Man, e mi buttai sul divano, sdraiandomi tenendo le gambe in aria, muovendole a ritmo della canzone. Di solito ascoltavo canzoni lente mentre leggevo, per non distrarmi dalla lettura, ma quella canzone mi ispirava, così, insieme al movimento delle gambe, iniziai a canticchiarla mentre iniziavo a leggere quel libro per l’ennesima volta.
Twilight era uno dei miei libri preferiti, e pure se trovavo che i film avessero rovinato alcuni dei libri della saga, erano anch’essi tra i miei preferiti, in quanto avessi sempre amato le storie su fantasmi, vampiri e cose simili.
“Non avevo mai pensato seriamente alla mia morte, nonostante nei mesi precedenti ne avessi avuta più di un’occasione, ma di sicuro non l’avrei immaginata così.
Con il fiato sospeso, fissavo gli occhi scuri del cacciatore, dall’altra parte della stanza stretta e lunga, e lui ricambiava con uno sguardo garbato.
Era senz’altro una bella maniera di morire, sacrificarmi per un’altra persona, qualcuno che amavo. Una maniera nobile, anche. Conterà pur qualcosa.”
Quelle parole, si mischiavano a quelle della canzone che continuavo a canticchiare, e continuai a leggere, immergendomi del tutto nel libro, nel personaggio che tanto amavo.
“Sapevo che se non fossi mai andata a Forks non mi sarei trovata di fronte alla morte. Per quanto fossi terrorizzata, però, non riuscivo a pentirmi di quella scelta. Se la vita ti offre un sogno che supera qualsiasi tua aspettativa, non è giusto lamentarsi perché alla fine si conclude.”
When the party was nice, the party was jumpin’
“Il cacciatore fece un sorriso amichevole e si avvicinò con passo lento e sfrontato, pronto a uccidermi.”
Voltai pagina nello stesso istante in cui la canzone finì, lasciando il posto a “Naive” dei The Kooks, ma non appena iniziai il primo rigo, un’ombra si piazzò davanti al divano, coprendomi così la luce.
Zayn fece capolino, guardandomi sorridente dall’alto, con in bocca un biscotto, un bicchiere di latte in una mano e il telecomando nell’altra.
«Ti sposti? Mi stai facendo ombra.» Dissi infastidita, riprendendo a leggere. Lui però non si spostava, il che non mi permetteva di tornare al mio libro.
Lo chiusi quasi sbattendolo, alzandomi dal divano e togliendomi una cuffia. «Allora? Vorrei tornare al mio libro, sai com’è.»
Lui tentò di ridere – “tentò” perché teneva ancora in bocca il biscotto – mentre mi squadrava da cima a fondo, con sguardo curioso.
A quel punto abbassai lo sguardo sulle mie gambe, che avevo scordato fossero coperte solo per metà coscia dall’enorme maglia, che tirai subito giù intenta a coprirle il più possibile.
Merda, che figura.
Zayn continuava a fissarmi divertito – stavolta non fissando le mie gambe – così sbottai. «Vuoi una foto o te ne vai? Vorrei leggere, sempre che tu sappia come si fa.» Okay, forse non dovevo insultarlo su cose stupide come quella, ma trattarlo in quel modo era l’unica soluzione al mio essere impacciata quando c’era lui nei paraggi.
Forse gli insulti con lui funzionavano, perché si tolse il biscotto dalla bocca, accigliandosi. «Tu vuoi leggere ed io guardare la tv» cominciò. «Quindi se magari non occupi tutto il divano, ognuno può fare quel che vuole fare senza rompere all’altro.»
Aveva ragione, ma se fosse arrivato prima magari non avrebbe interrotto la mia lettura.
Subito mi si accese quel che la gente chiama lampadina, e incrociando le braccia sul petto lo guardai con appiglio. «Scusa ma tu non dovevi uscire?»
Scrollò le spalle, dando un morso al biscotto e sedendosi sul posto in cui prima penzolavano le mie gambe.
«Ho cambiato idea.»
Scrollai le spalle anch’io, sedendomi poi accanto – ma il più possibile lontano – a lui, che mi scrutava curioso.
«Tu non dovevi uscire con Liam?» Chiese poi.
«Siamo usciti infatti, sono tornata un’ora fa.»
Zayn sembrò pensarci un po’ su, ma senza aggiungere altro accese la tv, mentre io misi di nuovo le cuffie.
«Ah, c’è un telefono che squilla, credo sia il tuo» aggiunse tutto a un tratto, prima che premessi il tasto “play”.
«E che aspettavi a dirmelo?» Mi alzai sbuffando, scuotendo la testa mentre lui rideva divertito.
«Non volevo interrompere la canzone» urlò dal divano mentre sparivo su per le scale.
Lo mandai a farsi fottere mentalmente, sorridendo subito dopo. Quel ragazzo mi faceva uno strano effetto, non riuscivo ad essere incazzata con lui come facevo con tutti gli altri.
Non appena misi piede al piano di sopra, sentii la suoneria del mio cellulare, e piombando in camera lo afferrai di tutta fretta. Risposi senza guardare il numero sul display, ma non appena la voce parlò, riconobbi la persona dall’altra parte della cornetta.
«Alex.» Sospirò, quasi fosse sollevato per il fatto che avessi risposto.
«Louis.» Sorrisi, cosa che lui non poté vedere ma che sicuramente sentì, dato che lo sentii sorridere poi dall’altra parte della cornetta. «Ti sei deciso a chiamare, finalmente» continuai io, dato che lui non parlava.
«Già. Volevo ringraziarti per il numero e per, ecco.. per oggi.»
«Non c’è problema, Lou, non ho fatto niente.» Risposi al ragazzo che rise, molto probabilmente per il modo in cui l’avevo chiamato. Mi era venuto spontaneo chiamarlo così, anche se mi ricordava un po’ un nome da gatti.
«Sì invece, nessuno ha mai preso le mie difese in quel modo, nemmeno Niall, e tu beh» prese fiato, forse cercando le parole giuste. «Tu non mi conosci neanche..» rispose infine.
Era ovvio che se avessimo affrontato la questione, avremmo parlato di quel che avevo fatto io, ma non ci avevo pensato prima, perciò non seppi che rispondere. Avevo preso le sue difese perché non trovavo giusto che quell’imbecille del nudista lo trattasse a quel modo, anche se non sapevo esattamente cosa fosse successo, né trovavo giusto far finta di niente quando il giorno prima avevo detto a Louis che gli avrei dato una “possibilità”, che non lo avrei trattato male. Lo avevo difeso perché era la cosa giusta da fare, e se nessun altro lo avesse fatto, beh, era un motivo in più per difenderlo da’ me.
«Allora ecco un buon motivo per farlo» risposi dopo un attimo di silenzio, sorridendo.
«Conoscermi? Non credo sia una buona idea.» Il suo tono era diventato improvvisamente freddo, il che mi spinse ancor di più al volerlo conoscere, e soprattutto a capire quei suoi “sbalzi d’umore”.
«Perché non lo lasci decidere a me?» Tentai di essere il più dolce possibile, sperando che il suo tono tornasse quello di poco prima e che quindi si calmasse.
Louis sospirò, come se stesse prendendo una decisione. «E va bene, come preferisci.» Disse infine.
«Allora ci vediamo domattina, 7.30 a casa mia» lo dissi seriamente, ma con tono scherzoso, sperando che non riattaccasse o tornasse di nuovo freddo.
«Mi stai invitando a fare colazione da te, o stai solo cercando di scroccare un passaggio?» Rise, il che mi fece sorridere. Lo conoscevo da più o meno tre giorni, eppure c’era qualcosa che mi attirava a conoscerlo, nonostante quei suoi sbalzi d’umore.
Tornai alla conversazione, ridendo di rimando al ragazzo in attesa di una risposta. «Entrambi, perciò sii puntuale, o la colazione te la scordi!» Urlai quasi alla cornetta, sorridendo e riattaccando prima che Louis potesse ribattere.
Non avevo intenzione di attaccargli il telefono in faccia, e sperai seriamente che non lo avesse pensato. Sicuramente non lo avrebbe fatto però.
Ero ansiosa di tornare al mio libro, così lanciai il cellulare sul letto e corsi di sotto, precipitandomi sul divano in cui Zayn era appollaiato a guardare la tv.
Non appena tornai in salotto, Zayn si voltò verso di me, seguendomi con lo sguardo finché non mi sedetti.
«Che c’è?» Chiesi di nuovo infastidita dal suo sguardo. O meglio, ero infastidita dal modo in cui mi guardava, anche se avrei voluto che quei suoi occhi così perfetti restassero fissi nei miei tutto il tempo.
Dovevo smetterla di pensare certe cose, o sarebbe finita male. Per me ovviamente. Nessun ragazzo era mai riuscito a farmi lo stesso effetto che mi faceva lui, anche solo guardandomi. Soprattutto guardandomi. Avrei potuto restare un giorno intero a fissare quei suoi capelli corvini sempre pettinati perfettamente, o anche quei suoi occhi nocciola così magnetici. Oppure il suo sorriso, così perfetto e dolce allo stesso tempo.
Forse dolce no, perché non lo avevo ancora mai visto sorridere dolcemente per qualcosa o a qualcuno, anche se sicuramente lo aveva fatto milioni di volte per conquistare una qualsiasi delle tante ragazze che sicuramente aveva avuto. Anche io avevo avuto parecchi ragazzi – che piuttosto erano tutti delle scappatelle – ma sicuramente non avevo mai fatto a nessuno lo stesso effetto che Zayn faceva a chiunque lo guardasse, perché ovviamente nessuno poteva resistere a quel suo sguardo ipnotico, mentre al mio, beh, chiunque poteva resistergli, non avendo nulla di speciale o di.. ipnotico. Per mia sfortuna, avevo ereditato gli occhi castani da quell’uomo che chiamavo padre, mentre Tyler si era beccato la fortuna di ereditare quelli azzurri di mia madre, anche se poi lui aveva ereditato i capelli scuri da mio padre ed io quelli rossi da mia madre. In sintesi, nessuno di noi quattro aveva qualcosa di speciale, perciò non avrei mai potuto far subire a qualche ragazzo quel che io subivo ogni volta che guardavo il ragazzo perfetto davanti a me.
Fissando me che lo fissavo, finalmente Zayn si decise a rispondere, sorridendo compiaciuto.
«Niente, chi era?» Chiese, non tanto per curiosità quanto per gentilezza.
«Louis.» Risposi secca, dando un’occhiata alla tv. «Sono i Lakers?» Lui annuì, continuando a guardare la partita in gioco.
Non ero un’esperta di basket, ma un giorno, - durante la famosa vacanza a Los Angeles - io e Tyler avevamo incontrato Kobe Bryant, che firmò gentilmente la maglietta della sua squadra che Tyler aveva comprato poco prima, firmando anche la mia che avevo comprato per bellezza.
Tyler era riuscito ad ottenere anche una foto, il che mi fece rosicare parecchio dato che l’unico VIP che avevo mai incontrato in vita mia era un cretino che presentava uno stupido talkshow su un canale tv dimenticato da Dio.
Ignorando del tutto Zayn e la partita, misi le cuffie di nuovo nelle orecchie, anche se non feci partire subito la musica. Mi piaceva il silenzio che c’era in quel momento, interrotto ogni tanto da qualche fischio proveniente dalla partita o da Zayn che sospirava perché segnavano gli avversari.
Tornai finalmente al mio libro, ma dopo neanche cinque minuti, dopo aver sospirato rumorosamente, Zayn interruppe – di nuovo – la mia lettura.
Poteva pure essere bello da morire, ma odiavo essere interrotta mentre leggevo. Alla prossima interruzione gli avrei dato un pugno o molto probabilmente un calcio negli organi genitali.
«Ti piace Liam?»
Come sapeva che non stavo ascoltando la musica? E soprattutto, perché gli interessava?
Per un momento pensai che gli interessasse perché fosse anche solo un po’ interessato a me, ma subito scacciai via quell’idea. Non era possibile e soprattutto sarebbe stato sbagliato.
Rimasi per un attimo spiazzata dalla domanda, ma poi, senza alzare gli occhi dal libro, risposi «E a te che te ne frega?»
Non volevo guardarlo negli occhi per tradirmi da sola, sapendo che quel che avrebbe visto nei miei – nel caso fosse così intelligente da riuscire a leggervi – era stupida speranza.
«Fingendo che tu abbia risposto di sì, la mia è solo curiosità.» Rispose lui, continuando a guardare la partita. Non lo avevo guardato, ma sapevo che non stava guardando me perché avrei sentito il suo sguardo penetrante a metri di distanza.
«Fingendo che la tua sia solo curiosità, sì, mi piace.» Era vero, Liam mi piaceva. O meglio, iniziava a piacermi: era carino, era simpatico ed era stato più che grande ad aver difeso Louis quella mattina, nonostante loro due non fossero amici e nonostante stesse andando contro Harry per difenderlo. Era gentile, e sembrava il tipo di ragazzo che chiunque avrebbe definito il “principe azzurro”.
Mi venne subito in mente la conversazione di poche ore prima, riguardo all’andare alla festa vestiti da Cenerentola e il principe. Io non ero esattamente la persona adatta per quel ruolo, ma Liam l’aspetto del principe ce l’aveva tutto.
Zayn non rispose né fece altre domande: si limitò a socchiudere un po’ gli occhi e a guardare la partita.
Era bello quanto strano, pensai.
Come lui, tornai ai fatti miei, e finalmente ripresi a leggere il mio libro. Come sempre succedeva quando leggevo, il tempo passò in fretta - anche se non era passata ancora neanche un’ora precisa - ma stavolta ad interrompere la mia lettura fu il campanello, che Zayn andò ad aprire.
Ne entrarono mia madre e Mike, entrambi zuppi fino al midollo, il che mi parve strano dato che non c’era stata nemmeno una nuvola durante la giornata. Forse era solo una pioggerella temporanea.
«Ragazzi, che bello trovarvi ancora vivi» scherzò mia madre, poggiando la borsa sul ripiano della cucina mentre Mike appendeva i cappotti bagnati all’ingresso, spostando lo zerbino sotto di essi in modo che non bagnassero la moquette.
«Perché?» Chiese Zayn ingenuo, aprendo il frigorifero.
«Perché siete stati a casa da soli un pomeriggio intero e non vi siete scannati» rise mia madre, accompagnata da Mike che avvicinandosi, le posò un bacio su una guancia, mentre l’abbracciava da dietro.
Troppe smancerie per i miei gusti, anche se erano carini e sembravano una coppia di adolescenti certe volte.
«Non parlate per me» rispose Zayn, chiudendo il frigorifero e sedendosi su uno degli sgabelli della cucina. «Io non ho problemi di convivenza.» Continuò, guardandomi divertito.
Lo fulminai con un’occhiataccia, e non appena il campanello suonò di nuovo, andai ad aprire.
Stavolta entrarono due figure femminili, di cui avrei fatto volentieri a meno quella sera. O anche tutta la vita.
«Finalmente hai imparato ad aprire quando qualcuno suona» disse ironicamente la bionda, che entrò per prima.
«Se avessi saputo che eravate voi, non lo avrei fatto.» Risposi io, sorridendo falsamente alla mora che succedette Nicole.
Madison adocchiò Zayn ancor prima di metter piede dentro casa, e gli sguardi che si scambiavano i due mi diedero il voltastomaco. Ero infastidita dal fatto che a lei piacesse Zayn, ma lo ero ancor di più del fatto che lui la ricambiava.
Ignorai i due e chiusi la porta, mentre Madison, togliendosi la giacca, fece scrollare l’acqua su di me apposta. Certo, era solo qualche goccia, ma l’avrei volentieri presa a pugni sulle gengive anche solo per essere entrata in casa mia.
«Imbecille» borbottai, avvicinandomi alla cucina. Mia madre era impegnata a cucinare, con Mike che sbucciava le patate e Nicole che iniziò a tirar fuori piatti e bicchieri per apparecchiare la tavola.
Solo in quel momento mi accorsi di essere ancora in mutande, così corsi di sopra ad infilarmi un paio di pantaloncini, e quando scesi trovai la tavola apparecchiata, con Nicole, Madison e Zayn già seduti.
«Ovviamente quando c’è da apparecchiare scappa di sopra» mormorò a voce alta Nicole, non appena andai al divano a recuperare il mio libro. Ignorai la sua frecciatina, ignorando così anche la voglia di strozzarla, e mi sedetti accanto a Zayn, per non dover stare accanto ad una delle due oche, anche se la bionda era seduta di fronte a me.
Senza badare ai tre, aprii il libro, alzandolo all’altezza del viso così da non dover subire le occhiatacce delle due, e ricominciai a leggere. Non feci caso alla chiacchiere che i tre scambiavano con Mike e mia madre in cucina, non m’interessava e volevo concentrarmi sul mio libro, ma dopo all’incirca venti minuti, la cena era pronta e fui costretta a chiuderlo per la millesima volta nel giro di due ore.
Sbuffai, poggiandolo sul tavolo accanto al piatto di pollo e patatine che Mike mi aveva appena posato davanti.
Pollo? Perfetto, avrei saltato la cena.
Odiavo il pollo fatto in casa, e mia madre lo sapeva bene, eppure lo aveva cucinato lo stesso. Avevamo cambiato casa e famiglia, ma non avrei cambiato le mie abitudini alimentari. Non avevo mai mangiato il pollo in casa, e mai lo avrei fatto.
Non appena mia madre e Mike si sedettero a tavola, Madison non mancò di fare la leccaculo, così, alzando il bicchiere manco fosse il papa, fece uno stupidissimo brindisi. «Alla famiglia.» Disse sorridendo ai due genitori seduti nei rispettivi capotavola, che ricambiarono il sorriso alzando anche loro i bicchieri, seguiti da Nicole e Zayn, che lo fece nonostante sembrasse alquanto disinteressato.
Io non ci pensai nemmeno di unirmi al gruppo, così tenni lo sguardo fisso sul piatto per non dover vedere mia madre lanciarmi occhiatacce o scuotere la testa in segno di disapprovazione come faceva ogni volta che facevo qualcosa di sbagliato.
Finirono di brindare – chi con acqua, chi col vico e chi con la Coca-Cola – quanto velocemente avevano iniziato, e non appena si buttarono sul cibo, sentii addosso lo sguardo di uno dei presenti.
«Non hai fame?» Mi chiese Mike, facendo un cenno al mio piatto, che guardavo scettica.
«Non mangio questa roba.»
Se fosse stato possibile, in quel momento lo sguardo di mia madre mi avrebbe trafitta. «Tesoro, che c’è che non va?» Chiese, con tono che agli altri poteva sembrare dolce, ma a me dava l’impressione contraria.
Ma mi prendeva per il culo? Che faccia tosta, aveva precisato più volte prima della nostra partenza che nonostante la nuova famiglia, non avremmo cambiato mai niente della nostra vecchia vita se non le persone con cui avremmo vissuto. «Sai benissimo che non mi piace il pollo.» Risposi un po’ brusca, guardandola con sguardo accusatorio.
«Non sapevo non mangiassi il pollo» s’intromise Mike, forse per paura che reagissi male, magari tirando il piatto e il suo contenuto in testa a qualcuno o rovesciando il tavolo per protesta. «Sei vegetariana?»
«Non sono vegetariana, semplicemente non mangio il pollo.» Mi lamentai, incrociando le braccia sul petto.
«Andiamo, Al, non fare la bambina e mangia quel pollo» disse Madison, fingendosi interessata.
Una parola, una sola parola e le avrei ficcato la coscia del pollo su per il setto nasale. Odiavo lei e odiavo le persone leccaculo, il che me la fece odiare ancor di più.
«Perché non lo mangi tu, quel pollo?» Sbottai, prendendo la coscia di pollo nel mio piatto e lanciandola verso di lei con l’intento di colpirla. Non successe però, ma la coscia finì nel bicchiere colmo di vino, il che schizzò fuori da esso finendo sul tavolo e poi su di lei.
Sentii Mike soffocare una risata, mentre mia madre spostò la sedia piuttosto rumorosamente, per andare accanto alla mora a tentare di pulirle via il vino.
Con noncuranza presi il mio libro e mi alzai da tavola, scuotendo la testa per la stupidità di mia madre.
«Vai in camera tua!» Urlò lei alle mie spalle, non appena mi alzai. «E non uscire fino a domattina!»
«E’ quel che stavo andando a fare!» Le urlai di rimando, lanciandole un’occhiataccia mentre strofinava un tovagliolo bagnato sul top scollatissimo della ragazza, che tentava in tutti i modi di pulir via l’enorme macchia.
Corsi su per le scale, e noncurante di chiudere la porta a chiave, la sbattei violentemente, per poi buttarmi sul letto. Ero incazzata, e in un certo senso ferita per lo stupido comportamento di mia madre, quindi, come facevo sempre durante i miei “attacchi” di nervosismo, piansi.
Non persi tempo ad asciugare quelle stupide lacrime; sapevo già che non appena avessi ripensato qualche minuto dopo a quel che era appena successo, sarebbero riscese come niente fosse.
Odiavo sentirmi debole, ma soprattutto odiavo piangere. Non lo facevo mai se non per nervosismo, il che non mi capitava spesso dato che di solito ero io a far innervosire gli altri.
Chiusi gli occhi, aspettando che la rabbia svanisse, iniziando a fare quel che facevo in quei casi: pensare a dieci cose belle per cui essere felice. In cima alla lista, c’era Nora: lei era l’unico vero motivo per cui ero stata felice negli anni precedenti. Insieme avevamo affrontato tante cose, e da quando era entrata a far parte della mia vita, l’aveva migliorata come nessuno avrebbe potuto mai fare.
Al secondo posto, c’era New York. Quella era la mia casa, oltre che una delle città – se non l’unica – più bella del mondo. Ripensandoci sentii un po’ di malinconia, ma se ne andò con la stessa fretta con cui era arrivata.
Al terzo posto, c’era Taylor Lautner. Era il mio attore preferito – nonché uno degli attori principali di Twilight – e lo seguivo da quando era bambino, dato che aveva solo un anno in meno di me. Praticamente ero cresciuta con lui, guardando i suoi film, le sue interviste e vedendolo crescere giorno dopo giorno, fino a diventare quel gran bel ragazzo che era diventato. Un giorno di tanti anni prima, avevo promesso a Nora che l’avrei sposato un giorno, mentre lei aveva promesso di sposare Robert Pattinson.
Al quarto posto, c’era la musica. Non c’era bisogno di spiegazioni, lei meritava di essere in quella lista, forse anche prima di New York, al secondo posto.
C’era sempre stata, e sempre lo avrebbe fatto, nei momenti belli e in quelli brutti, come una migliore amica.
Al quinto invece c’erano i libri, tutti i miei libri preferiti, che nella mia vecchia camera tenevo in un o scaffale basso per paura che potessero cadere e rovinarsi se fossero stati ad un piano più alto.
Il sesto posto spettava al mio negozio preferito: H&M. Non c’era da dare spiegazioni, era un negozio favoloso e non c’era un solo vestito brutto. Al settimo posto c’era..
Qualcuno interruppe i miei pensieri ticchettando sulla porta.
«Posso entrare?» La porta era aperta, e l’uomo poggiato su di essa mi scrutava curioso, finché non entrò dopo che gli feci sì con il capo.
Mike si sedette sul mio letto, poggiandoci su una scatola di quelle in cui mettevano la pizza da portar via.
«Ti ho portato questa.» Disse gentilmente, mentre io mi sedevo. «Ho pensato che avessi fame, così ho fatto una corsa da Jimmy e te l’ho presa.» Mi sorrise, e rimasi quasi estasiata dal suo sorriso perfetto.
«Grazie.» Risposi un po’ incerta, colpito dal suo gesto.
Notando che non aggiunsi altro, continuò a parlare lui. «Mi dispiace per prima, Sarah ha esagerato, ma forse non dovevi tirare il pollo addosso a quella.» Sul finire della frase iniziò a ridere, e non potei fare a meno di notare che aveva chiamato Madison “quella”.
«Non piace neanche a te, eh?» Gli chiesi sorridendo.
Come spesso faceva il figlio, scrollò le spalle. «Sinceramente? No, ma se è una buona amica per Nicole allora sono contento che lei ci si trovi bene.» Sorrise, un po’ amaramente forse, pensando al cattivo gusto della figlia nello scegliersi le amiche.
«Sei un buon padre» dissi sincera, accennando un sorriso.
Era vero, era un buon padre, e avrei pagato oro per averne uno così. Purtroppo però, non si può sempre avere tutto nella vita, no?
«E tu una buona figlia.»Rispose lui, sorridendomi. Di nuovo ricambiai il sorriso, abbassando poi lo sguardo.
«Scusa se a volte, non so, ti tratto male.» Cominciai, un po’ in imbarazzo. Era giusto scusarmi per come l’avevo trattato da quando lo avevo conosciuto, ma non trovavo le parole giuste per farlo. «Voglio dire,» ritentai «Mi dispiace se a volte sono un po’.. come dire, fredda. Ma non è per te sai, è che non sono abituata ad avere un padre» lo dissi in fretta, quasi avendo paura della sua reazione al sentirsi chiamare “padre” da me, o forse per paura della mia al chiamarlo così. Lui però sorrise, e non appena aprì bocca per ribattere, lo fermai con un cenno della mano. «Io penso che tu sia un grand’uomo, nel senso che sei un bravo dottore, e un bravo padre e forse anche un bravo marito» mi impicciai un po’ con le parole, ma continuai, decisa su quel che volevo dirgli, o almeno fargli capire. «E sono contenta che tu abbia scelto proprio mia madre.» Ero sincera, ero più che contenta che si fossero trovati. «Sai, quando lui se n’è andato lei è stata male per mesi, forse anni e forse ci sta ancora male, non lo so, ma da quando ti conosce ha ricominciato a sorridere, e a comportarsi da madre, come non faceva ormai da tempo.. Certo, forse il mio comportamento non è mai stato dei migliori, ma c’è stato un periodo in cui non parlavamo più a causa di mio padre, perché lei non riusciva a far nulla senza che le tornasse in mente lui, ed io non sapevo come aiutarla, mi sentivo impotente.»
Forse stavo cominciando a blaterare, ma continuai dato che lui non accennava a fermarmi e ascoltava attentamente. Quel che stavo dicendo era la verità, tutto quel che mia madre aveva passato era stato un inferno, ed io mi ero sentita impotente ogni santo giorno, a guardarla star male senza riuscire a farla sorridere. Avevo cominciato a stare meno tempo a casa e più fuori, in modo da non vederla star male giorno dopo giorno, ma in quel modo soffrivo anch’io per non starle vicina. Così un giorno presi Nora, corremmo nella videoteca e affittammo all’incirca una ventina di film, tra cui alcuni horror, alcuni film d’azione e la maggior parte commedie. Poi corremmo anche al supermercato, a comprare enormi barattoli di gelato e di nutella, insieme ad altre schifezze quali patatine e caramelle, e non appena arrivammo a casa mia, portammo quasi di peso mia madre sul divano, su cui ci sedemmo anche noi e iniziammo a guardare tutti quei film.
Lo facemmo per una settimana di seguito – io e Nora saltammo anche una settimana di scuola – e tutto finché mia madre non tornò a star bene, più o meno. Quel che le serviva era compagnia, era una famiglia ed era divertirsi, così le demmo tutte e tre le cose. Dopo quella settimana, insieme a delle amiche, iniziò ad uscire per locali e a scattare di nuovo le sue amate fotografie, e così cominciò a riprendersi pian piano, finché poi, qualche anno dopo, non conobbe Mike.
Continuai con il mio specie di discorso, sperando che l’uomo seduto di fronte a me capisse quel che volevo dire nonostante il mio essere impacciata.
«Tu le hai salvato la vita sai?» Lo dissi guardandolo negli occhi, che erano azzurri come quelli di Nicole.
Zayn non aveva ripreso niente da lui, perciò doveva aver ereditato tutto dalla madre, sicuramente bellissima come lui. Non che Mike fosse brutto, ma sembrava il tipico inglese: occhi azzurri, carnagione chiara e capelli tra il castano e il biondo. Zayn invece era l’opposto, e se non lo si conosceva, si poteva dire per certo che non erano padre e figlio.
«Voglio dire,» continuai, fingendomi modesta «Io ho fatto la mia parte, ma tu hai fatto il resto: l’hai resa felice, perciò, grazie.» Forse, quello era il momento più sincero della mia vita. Gli avevo detto tutto con il cuore, ed era quel che pensavo di lui, non volevo che si facesse un’idea sbagliata su di me solo perché lo ignoravo o rispondevo male. Era il mio modo di fare con tutti, non era qualcosa contro di lui, e volevo farglielo capire.
Mike sorrise, guardandomi fissa negli occhi come avevo fatto io poco prima. «Sai, Alex, sei più matura di quanto tua madre pensi.» Beh, grazie. «Sono sincero, se sapesse quel che mi hai detto, sarebbe fiera di te, e per quanto possa importarti, lo sono anch’io.»
Senza pensarci mi avvicinai a lui e lo abbracciai, stringendo sempre più la presa, che lui ricambiò.
Era strano, ma non volevo staccarmi da quell’abbraccio; era come quello che di solito si danno padre e figlia, ed io non ne avevo mai avuto uno. Mi piaceva quella sensazione di calore e di amore, e mi piaceva sapere di avere una figura.. paterna su cui contare.
Lentamente e di malavoglia, mi staccai. «Grazie.» Dissi ancora, sorridendo sinceramente.
«Mangia, o si fredda» rispose lui, accarezzandomi i capelli e facendo un cenno col capo verso la scatola di pizza. Io annuii, e dopo avergli dato la buonanotte, Mike si alzò e si avviò verso la porta, prima di fermarsi e voltarsi di nuovo. «Un’ultima cosa» disse ridendo.
«Sì?» Chiesi un po’ confusa.
«Perché non mangi il pollo fatto in casa?»
«Alle elementari la maestra mi costrinse a mangiarlo, e non so perché lo vomitai. Non lo avevo mai mangiato fatto in casa prima d’ora, sai, di solito mangio quello fritto dei fastfood, quindi non mi piacque e lo vomitai. E da lì mamma decise che non lo avrebbe mai cucinato, o meglio, se lo avesse fatto, non mi avrebbe costretta a mangiarlo.» Magari era una cosa stupida, ma avevo ancora impressa nella mente la scena della maestra che mi imboccava a forza per farmi svuotare il piatto come gli altri bambini.
Mike non disse niente, forse aveva preso la cosa sul serio quanto me, perciò si limitò ad annuire e a sparire nel buio del corridoio.
Mangiai lentamente, godendomi ogni morso, per poi ripulire tutto.
Improvvisamente ricordai di aver lasciato l’iPod al piano di sotto, e anche se non avevo voglia di vedere nessuno dei presenti – a parte Mike – scesi le scale, dirigendomi verso il salotto.
Per mia solita sfiga, trovai tutti seduti lì, chi sul divano e chi sulle poltrone, mentre si godevano chissà quale film in compagnia. Grazie per avermi chiesto di partecipare.
Feci l’indifferente, e avvicinandomi al divano su cui sedevano mia madre, Zayn e Madison, presi l’iPod sul tavolino di fronte ad esso, e mi voltai per tornare su, con lo sguardo di tutti – a parte Nicole - su di me.
Mia madre mi tenne per il braccio, e mi voltai sbuffando. «Che c’è?» Dissi acida.
«Dovremmo parlare.»
«Sono stanca ora, sto andando a letto.» Tagliai corto, non volendo prolungare quella stupida scenata.
Certo, prima mi caccia via da tavola e poi vuole parlare, ma per favore. E quella cretina di Madison se ne stava sul divano come se niente fosse, per di più abbracciata a Zayn che anche se guardava me, era completamente preso da lei.
Dio, che nervi. Scrollai il braccio per sciogliere la presa di mia madre, e poi salii di nuovo di sopra, pestando i piedi sulle scale per fare più rumore possibile. Entrata in camera chiusi la porta a chiave e mi buttai di nuovo sul letto, attaccando il cellulare e l’iPod ai rispettivi caricabatterie, per poi spengere la bajour e infilarmi sotto le coperte. Con tutto quel nervosismo e il pianto di prima, mi era venuto un enorme mal di testa, ma come al solito sarebbe passato durante la notte, quindi non avrei avuto problemi il giorno dopo.
Mi voltai su un fianco, sospirando, e lentamente chiusi gli occhi. Mi addormentai poco dopo, e come le notti precedenti, non sognai niente.
 
La mattina dopo mi risvegliai un po’ intontita, forse per le “troppe emozioni” della notte precedente. Erano le 6.00 – quindi presto – così decisi di restare altri dieci minuti a letto, guardando il soffitto.
Era di un bianco spoglio, come le pareti, e mi sarebbe piaciuto dargli un tocco di colore, magari celeste come piaceva a me. Mentalmente, presi nota di sistemare la mia camera come si deve, in settimana.
Cinque minuti dopo, mi alzai dal letto, stiracchiandomi, e dopo essere andata in bagno a lavarmi faccia e denti e a pettinarmi, misi di nuovo un po’ di trucco – matita, fard e mascara – e aprii l’armadio.
Non avevo un’ampia scelta di vestiti, dato che alcuni di essi erano ancora a New York ad aspettare di essere spediti con il resto della mia roba, perciò scelsi la minigonna nera a balze, con sopra una canottiera di quelle larghe, con sopra qualche citazione di qualche rock band. Sopra il tutto misi un giacchetto nero, e frugando tra le scarpe – le uniche cose che ero riuscita a portarmi dietro senza lasciarne neanche un paio a New York – trovai quelle bianche col tacco, che avevo comprato il Natale scorso. Si intonavano perfettamente con le scritte sulla canottiera, perciò, guardandomi compiaciuta allo specchio, raccolsi la borsa da terra, presi iPod e cellulare e scesi di sotto, picchiettando silenziosamente con i tacchi sulla moquette.
«Ti sembra quello il modo di andare in giro di prima mattina?» Chiese una voce nel corridoio buio, facendomi quasi saltare. Nicole era apparsa all’improvviso, vestita ma con i capelli più che arruffati, e guardava le mie scarpe come se fossero immondizia.
«E parli tu?» Risposi a tono, indicandole il groviglio di capelli con un cenno della testa.
La sentii borbottare un “deficiente”, ma la ignorai e scesi al piano di sotto, poggiando la borsa su uno degli sgabelli. Mi avviai verso il frigorifero, a aprendolo ne tirai fuori il succo alla pesca, versandolo in un bicchiere, e dopo averlo richiuso aprii la credenza, prendendo l’enorme barattolo di Nutella che Mike aveva comprato il giorno prima.
Sedendomi, aprii il barattolo e iniziai a spalmare la Nutella su una fetta di pane tostato, che era sul ripiano della cucina da poco, dato che era ancora calda. Probabilmente Mike o mia madre avevano scaldato il pane da poco, prima di uscire per andare a lavoro.
Addentai la fetta di pane, alternandomi con il succo, e non appena finii scesero Zayn, Nicole e sfortunatamente anche Madison. Non sapevo avesse dormito lì, altrimenti le avrei tagliato i capelli durante la notte o non so, magari le avrei sgonfiato le tette con uno stuzzicadenti come se fossero palloncini. Sarebbe stato divertente per me e disastroso per lei: due piccioni con una fava.
Non appena mise piede in cucina, mi squadrò da capo a piedi come suo solito, per poi sorridere maliziosamente a Zayn, che ricambiò il sorriso e si sedette accanto a me.
Di nuovo quelle “smancerie”. Se avessero continuato, avrei vomitato sicuramente, anche solo ripensando a quello stupido pollo della sera prima.
Avrei tirato volentieri il barattolo di Nutella in testa ad entrambi, i quali continuavano a fissarsi, quasi mangiandosi con gli occhi. Feci una smorfia e mi voltai, bevendo il succo.
Neanche avessero messo la sveglia, suonò il campanello, e non appena Nicole andò ad aprire, ne entrarono come il giorno prima, Liam ed Harry, che come suo solito mi squadrò.
Lanciai un’occhiata al riccio, poi alla mora che ancora fissava Zayn e infine al barattolo di Nutella che tenevo tra le mani. Liam si sedette accanto a me, sullo sgabello libero, ma non ci feci caso e puntai gli occhi su Harry.
Volevo provocare Madison, e per come il riccio mi guardava tutti i giorni, non sarebbe stata una cosa difficile.
Infilai un dito nel barattolo di Nutella, per poi portarlo alla bocca e leccare via la Nutella in modo provocante, facendo sì che Harry – quasi – sbavasse.
Continuai a leccarmi il dito, guardando Harry che se ne stava senza problemi a bocca aperta, deglutendo di tanto in tanto, spostando lo sguardo dal dito a me e viceversa.
Sentii subito puntati addosso gli occhi degli altri due ragazzi,dei quali uno – Liam – deglutì piuttosto rumorosamente. Zayn era silenzioso, e non mi voltai a guardarlo: dovevo fingermi indifferente, anche se mi dava più che fastidio il suo comportamento con Madison.
Quest’ultima, mi guardò con rabbia, e potei quasi vederle il fuoco nelle pupille, come succedeva nei cartoni animati. Sorrisi mentalmente, compiaciuta dal successo della mia azione, continuando a leccare la Nutella.
Sentii anche Nicole mormorare all’amica un “che schifo” sotto voce, ma continuai a provocare Harry e i ragazzi, finché il campanello non suonò di nuovo.
Io non mi mossi però, e neanche i ragazzi, i quali continuavano a fissarmi mentre leccavo via il resto della Nutella sul dito, così, sospirando piuttosto rumorosamente, Nicole si avviò verso la porta, dal quale entrò un Louis piuttosto sorpreso.
Cazzo, Louis!
Avevo scordato di averlo invitato a fare colazione, ma dopo quel che era successo con Harry il giorno prima, non volevo che i due stessero nella stessa stanza per più di cinque minuti, così, prima che entrasse del tutto in casa, mi alzai in fretta dallo sgabello, facendolo quasi cadere, e prendendo la borsa a tracolla mi diressi verso Louis. Aveva lanciato un’occhiata frettolosa a tutti i presenti, per poi posare lo sguardo su di me.
La colazione. Merda, quella mattina ero un po’ sbadata, forse per la presenza della cogliona di turno, che era tornata a mangiarsi con gli occhi il moro che sedeva accanto a me.
Tornai verso il bancone della cucina, prendendo un bicchiere di carta di quelli in cui mettono il caffè a portar via, e lo riempii di caffè, con tanto di zucchero, e poi con un tovagliolo presi uno dei pancake che Nicole aveva appena poggiato sul ripiano.
Mi affrettai verso la porta sulla quale Louis osservava la scena curioso, prima di essere fermata da Liam.
«Ti serve un passaggio?» Chiese gentilmente, come il giorno prima.
Pensavo l’avesse capito che sarei andata con Louis, ma forse sperava gli dicessi comunque di sì. Magari però l’avrei fatto il giorno dopo, quel giorno avevo detto a Louis che mi doveva un passaggio, ed io la colazione, anche se già quella non stava andando come previsto.
«No, vado con Louis, grazie» risposi a Liam, sorridendogli, mettendo il pancake e il caffè in mano a Louis, per poterlo poi spingere lentamente verso l’uscita.
«Ma che è successo?» Chiese Louis non appena fummo fuori casa.
«Perché?»
«Beh, Liam ti stava mangiando con gli occhi, ed Harry dava l’impressione di volerti saltare addosso.» Rise, ma si accigliò anche un po’, forse confuso per l’accaduto.
«Sarà per questa» risposi indicando la minigonna. Non avrei mai detto a Louis della scena di poco prima, mai e poi mai.
Guardò la gonna con ammirazione, per poi sorridere mentre ci avvicinammo alla sua auto.
«Peccato, mi piaceva essere gemelli.»
Ricordai subito a quando il giorno prima aveva scritto sul bigliettino che gli avevo rubato il look, e subito risi, entrando in macchina.
«Non era esattamente questo che intendevo con “fare colazione da me”, ma mi farò perdonare, magari domani.» Dissi tutto a un tratto, guardando fuori dal finestrino non appena Louis partì.
Ogni tanto sorseggiava il caffè e dava grandi morsi al pancake, lanciandomi di tanto in tanto qualche occhiata preoccupata.
«Non preoccuparti, ti perdono.» Rispose dopo aver ingoiato l’ultimo pezzo di pancake. «Però l’invito per domani è accettato.»
Sorrisi per il suo modo di fare, e mi voltai a guardarlo. Era davvero bello, anche se non era esattamente il mio tipo, però quei suoi occhi blu e quei capelli spettinati ad arte, avevano un non so ché che mi attirava.
Smisi di pensare alla sua bellezza, e di nuovo mi voltai verso il finestrino, a guardare le case che lentamente sorpassavamo. Nessuno dei due parlava, ma non c’era quel silenzio imbarazzante che c’era di solito nei film in scene tipo quella, al contrario, stavamo bene entrambi. Almeno io stavo bene, anche se avevo l’impressione che neanche a Louis desse fastidio quello strano silenzio.
Poco dopo però parlò, ma non mi voltai per guardarlo.
«E’ successo qualcosa?»
«Perché?» Chiesi stupidamente, continuando a guardare fuori.
«Perché sei strana.» Disse guardandomi, per poi tornare a guardare la strada. «Magari è un’impressione mia, ma è così.»
«Non è successo niente.» Risposi con tono secco, il che praticamente mi tradì.
«Se non vuoi parlarne va bene, ma vorrei aiutarti se posso, come d’altronde hai fatto tu ieri con me.»
Era gentile, e apprezzavo il suo gesto, ma non volevo raccontagli della stupida litigata con mia madre per uno stupido pollo. Anche se quella stupida litigata mi aveva fatta star male e mi aveva fatta sentire in un certo senso tradita; non gli avrei detto nulla. Di solito tenevo i miei problemi per me perché non mi piaceva addossarli alle persone che amavo, quindi mi limitavo ad ascoltare sempre gli altri, fingendo di star bene anche quando stavo in tutt’altro modo. Ero fatta così, per me venivano sempre prima le persone a cui volevo bene, e anche se non conoscevo ancora Louis, sentivo di potermi fidare, di potergli voler bene. Perciò decisi di tacere.
«Grazie.» Gli risposi semplicemente, abbozzando un sorriso.
Non mi ero accorta che eravamo già arrivati a scuola, così non appena parcheggiammo, presi Louis sotto braccio e ci avviammo verso l’entrata, in cui trovai Amy seduta a leggere un libro.
«Buongiorno!» Esclamò allegra, alzando gli occhi dalla pagina e guardandoci sorridente.
«Niall dov’è?» Le chiese Louis, guardandosi intorno.
«Oh, non è ancora arrivato.» Sorrise la bionda, per poi alzarsi e prendermi sotto braccio – cosa che fece staccare l’altro mio braccio dalla presa su Louis.
«Volevo chiedertelo ieri, ma poi ti ho vista occupata con Liam..» cominciò Amy, alzando le sopracciglia in segno di approvazione, facendo chissà quali pensieri su me e Liam. «Quindi,» continuò, sistemandosi gli occhiali sul naso. «Ti va di venire a casa mia, oggi pomeriggio? I miei sono fuori fino a stasera, e mi piacerebbe passare del tempo con te, anche per conoscerci.» Il sorriso si allargò, mostrando i suoi denti perfetti e le fossette che le apparivano agli angoli della bocca ogni qualvolta sorrideva.
«Certo, mi farebbe piacere.» Risposi sorridendo alla bionda.
Vidi Louis voltarsi in fretta verso la strada da cui eravamo appena arrivati, facendomi notare una testa bionda correre tra i tanti studenti.
Quando arrivò accanto a noi, quasi cadde, frenando sulle punte dei piedi, mentre pian piano riprendeva fiato per la corsa.
«Scusate, non è suonata la sveglia» disse Niall affaticato, portandosi una mano sul petto mentre con l’altra si reggeva su Louis, che rideva insieme a noi per il biondo appena arrivato.
Li guardai uno per uno, da Niall a Louis, da Louis ad Amy, e non potei fare a meno di sorridere, pensando al gruppetto che si era formato in soli tre giorni.
«Allora, pronti per l’inferno?» Sospirò Niall, dopo essersi finalmente ripreso dalla corsa.
«Pronti.» Rispose deciso Louis, guardando di fronte a sé con aria piuttosto teatrale, come se stessimo per affrontare chissà che cosa.
«Ragazzi,» li ammonì un’Amy sorridente. «Non siamo in un film, è solo la scuola.»
«Ho sentito bene?» Chiese Louis al biondo, sempre con aria teatrale, a cui si unì anche Niall. «Non è “solo la scuola”, cara Amy, è l’inferno.» Continuò, guardando l’entrata della scuola come se fossero le porte dell’inferno, appunto.
Scossi la testa ridendo, per poi avviarmi con i miei tre amici verso “l’inferno”. 




Myspace: allora, boh vado di fretta perché sono le 5, e se i miei mi beccano al pc mi tagliano i viveri, infatti corro in camera ahahahah vabbè, chiedo scusa per sto schifo che mi è uscito fuori, ma questo è solo un capitolo di “transizione”, perché dal prossimo succederanno tante care cose, ma non fatemi spoilerare sennò è la fine D: chiedo scusa per averci messo tanto a postare, ma da giorni avevo problemi di connessione, che per fortuna oggi si è ripresa çç non so che altro aggiungere, se non che spero vi sia piaciuta la scena con la nutella ahahahahah mi è venuta in mente ieri e non potevo non metterla, come quella di quel maledettissimo pollo D: non chiedetemi perché, ce l’avevo con il pollo u.u comuuunque, non vi chiedo molto, solo una piccola cosa, cioè di recensire per bene çç intendo dicendomi se c’è qualcosa che vi piace, qualcosa che non vi piace e magari dicendomi cos’è che vi piace e non vi piace (?). so che magari vi annoia stare a scrivermi una recensione, e vi capisco benissimo, ma vorrei sapere in cosa non vado bene e in cosa sì, così da potermi migliorare çç perciò vi sarei più che grata se mi scriveste quali scene vi piacciono e quali trovate noiose, eccetera eccetera :3 oh, e (solo per questa volta) a sei recensioni pubblico il prossimo capitolo, da cui vi ricordo che inizieranno a svolgersi delle cosucce (?) uù
ps: vi ricordo che mi hanno bloccato l’account su twitter, quindi se volete dirmi lì cosa ne pensate, mi trovate qui http://twitter.com/#!/69withpayne 
   
 
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