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Autore: atlanta    26/01/2012    1 recensioni
E’ più o meno così che penso si sentano i bruchi prima di diventare farfalle. Vibrano.
E allora si chiedono se non sia il resto del mondo a saltellare su sé stesso davanti ai loro occhi, si stringono nel loro bozzolo, impauriti e confusi, ma la natura ha un richiamo molto più forte delle loro insignificanti volontà. E lì poi è come dover andare a pisciare di notte, puoi tenertela quanto ti pare, rigirandoti nel letto, accoccolandoti tra le coperte nelle pose più strane, ma prima o poi dovrai spiegare le ali e accettare che la tavoletta ghiacciata del cesso è là che ti aspetta. E non puoi farci nulla.
Genere: Drammatico, Generale, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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“Che cos’hai in programma di fare in futuro, Ram?”.
La voce di Giulia mi sembra molto lontana.
“Non lo so.” rispondo. Poi ci ripenso e dico: “Un viaggio nel mio passato.”.
E’ un po’ una cazzo di frase fatta.
“Ram, tu un passato non ce l’hai! Dove cazzo vuoi andare?”. Appunto.
Sono parole dure, non le è servito un discorso per ferirmi. Solo quelle poche parole.
Non hai un passato, Ram. E’ proprio vero che a volte la verità fa male.
Cerco di guardare in faccia la mia amica e improvvisamente non la riconosco. La osservo, controllandola, ispezionandola.
Vedo i suoi capelli castani e il suo naso sottile. Vedo i suoi occhi verdi e le labbra chiare. Eppure è come se non fosse davanti a me.
Non mi sono mai sentita così.
D’improvviso non sono più al mio posto. D’improvviso tutto diventa intoccato; quel viso, visto e rivisto, è diventato strano. Anzi, no, strano non è la parola giusta. Stranger, questa è la parola che cercavo: straniero. Extraterrestre, quasi.
 
L’appartamento di Giulia sembra roteare attorno a me: è come essere ubriaca, ti ancori solidamente al terreno, stringi le dita attorno al bordo del tavolo davanti a te, ma tutto si muove. O forse sei tu, sei tu che fremi, che vibri.
E’ più o meno così che penso si sentano i bruchi prima di diventare farfalle. Vibrano.
E allora si chiedono se non sia il resto del mondo a saltellare su sé stesso davanti ai loro occhi, si stringono nel loro bozzolo, impauriti e confusi, ma la natura ha un richiamo molto più forte delle loro insignificanti volontà. E lì poi è come dover andare a pisciare di notte, puoi tenertela quanto ti pare, rigirandoti nel letto, accoccolandoti tra le coperte nelle pose più strane, ma prima o poi dovrai spiegare le ali e accettare che la tavoletta ghiacciata del cesso è là che ti aspetta. E non puoi farci nulla.
 
Questo è quello che più o meno mi sta succedendo.
Vibro, saltello, ho freddo e devo pisciare. Tutto sta cambiando.
E da un momento all’altro ho scoperto di non avere uno straccio di nessuno da cui tornare, di non avere più una casa, una famiglia, un posto sicuro. Delle braccia a cui abbandonarmi, una spalla su cui piangere e dei ricordi da tenere a mente.
E’ tutto sfumato, come un disegno a matita su cui qualcuno ha passato, imprudentemente, il palmo della mano. I contorni se ne sono andati ed è rimasta solo l’ombra.
Molto da Caravaggio, come cosa.
Forse voglio solo addolcire la pastiglia e ci metto lo zucchero di questi pensieri, ma il fatto è che è tutto tremendamente complicato.
Cosa pensa la farfalla quando esce dal suo bozzolo?
E’ contenta? O rimpiange amaramente i bei tempi in cui non doveva districarsi dalla sua stessa vita con quelle ali ingombranti?
Forse prendere lezioni di volo non è così accattivante come può sembrare, forse le farfalle non vogliono volare.
O forse sanno che alla fine, quel tragico momento non è altro che il preludio della loro stessa morte.
Sono un po’ delle eroine tragiche, le farfalle, no?
 
Guardo di nuovo Giulia e cerco di cancellarla, cerco di uscire dal bozzolo, guardandomi attorno, ma non ci riesco.
Le parole fredde, gelate, della mia amica rimbombano ancora nella stanza, tornano indietro e mi colpiscono come delle eco impazzite. Mi sento un pipistrello. Mi sento rintontita da quel vuoto rumoroso.
Tutto parla, tutto grida, i muri stessi trasudano dolorose sentenze e io, senza vedere, posso solo ascoltare e giocare a mosca cieca.
Quanto fanno male, quelle parole, quanto profondo è il taglio, non lo saprei quantificare. Sono ancora nel mio bozzolo, non riesco ad uscirne.
 
Stiracchio un sorriso e saluto Giulia. Me ne voglio solo andare a casa per dormire un po’.
Ma casa, quale casa?
Dove voglio andare? Io una casa non ce l’ho.
E se anche ce l’avessi forse non avrei memoria di dove tornare.
  
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