Vegeta
aprì gli occhi, infastidito dal sottile raggio di sole che trapelava dalle
persiane. Si girò supino, e guardò la sveglia alla sua sinistra. Segnava appena
le otto.
I
suoi allenamenti iniziavano alle otto e mezza. In un altro momento avrebbe
sfruttato la mezz’ora in più, ma quel mattino non ne
aveva proprio voglia. Aveva dormito male: in sogno gli era riapparso il suo
pianeta, il padre, il terribile momento in cui Freezer aveva gettato la
maschera.
Non
aveva avuto una vita facile. I saiya-jin avevano la prerogativa di iniziare
presto a combattere, ma la maggior parte di loro da bambini si divertivano ad
uccidere, senza prenderlo come un lavoro. Lui no. Lui dovette maturare in
fretta. Per sostituire in parte il genitore, per resistere alle torture e alle
prese in giro di Dodoria, per contrastare il carisma che quel tiranno aveva su
di lui, per non lasciarsi influenzare.
A
sei anni era già uomo.
Cosa
ci faceva in quel pianeta insulso, che secondo la prassi avrebbe
dovuto scomparire almeno ventisei anni fa?
A
saperlo.
Ripugnava
tutti i terrestri. Loro si lamentavano continuamente di cose senza importanza, non
erano mai cresciuti sul serio. Piangevano nelle loro disgrazie, non facevano
nulla per correggere le situazioni. Ipocriti sino in fondo. Una sera dovette
seguire la signora Briefs nelle sue compere, e si era fermato nel reparto
libri. Ormai leggeva bene la scrittura terrestre. Prese in mano un libriccino dalle
pagine tagliate in rosa, cominciò a sfogliarlo. Dovette controllarsi per non
strapparlo di fronte a tutti. Era pieno di stupidaggini su come trovare un
ragazzo, cosa mangiare per non far venire i brufoli, i cosmetici da comprare.
Roba
immensamente, rigorosamente stupida.
Era
di questo che si cibavano le donne di questo pianeta?
A
ben pensarci, come aveva fatto a non pensarci prima?
Bulma
era così. Osservava spesso i suoi comportamenti. Affettati, capricciosi. Poi il
modo di presentarsi: sempre truccata di tutto punto, vestita bene. Non
conosceva il peggio della vita, eppure trovava modo di essere infelice per ogni
cosa.
Un
po’ la derideva, un po’ la schifava, a volte la invidiava. Lui era un principe.
Anche lui avrebbe voluto una vita semplice. Ma così non era.
Il
sentimento prevalente era comunque un senso di ammirazione.
Lei
non lo temeva. Lo punzecchiava spesso. Litigavano, si lanciavano oggetti, si
ridevano in faccia. Una volta a certe provocazioni avrebbe risposto con la
violenza, magari senza ucciderla, forse rompendole un polso o incutendole
terrore. Ma, chissà perché, tutti quei battibecchi lo divertivano. Poi la
ragazza diventava così buffa quando si irritava! Si
colorava il viso di rosso e la punta del nasino le rimaneva bianca. Al pensiero
gli veniva da ridere. Poi storse il naso rimproverandosi di quella debolezza,
mise da parte le coperte e si alzò, si fece una doccia, prese i primi vestiti
che gli capitarono sottomano e quasi senza pettinarsi scese a fare colazione.
-
DONNA!
– Chiamò – La colazione!
Bulma
si presentò dinanzi a lui, truccata, ben pettinata e con un vestito rosso,
corto e smanicato.
Suo
malgrado ebbe un brivido di stupore: nessuna donna del suo pianeta poteva
uguagliare l’effettiva bellezza della ragazza. Un punto in più. Quest’ultima
avvampò di collera:
-
Senti
bello, non sono la tua serva, perciò se vuoi qualcosa te la prendi.
-
Come
osi? Lo sai che potrei distruggere questo posto in un attimo?
-
Lo
so. Fallo.
-
?
-
Distruggi
questo posto.
-
Non
mi sfidare ragazzina.
-
Io
ho un nome, ragazzino, vedi di chiamarmi con quello. Se no, scordati che ti
prepari il cibo.
-
Quanto
la fai lunga! Va bene, va bene… BULMA, dov’è la colazione?- naturalmente alla
minaccia tornò sui suoi passi.
Quel
round si era concluso a suo favore. Ma non sarebbe finita lì.
Il
guerriero finalmente si sedette a tavola, e con fare regale mangiò ogni
pietanza, sotto lo sguardo un po’ divertito e un po’ incantato della giovane.
-
Ti
sei imbambolata?
-
No-
Trasalì – solo che non riesco ad abituarmi al tuo modo
elegante di fare le cose, al confronto di Goku che si affoga come un maialino.
-
Come
puoi anche pensare di mettere al confronto il Principe dei Saiya-jin con quella
scimmia d’infimo livello?- Chiese risentito.
Lei
si strinse nelle spalle, prese la borsa, salutò e uscì.
“
deve andare da Yamcha” pensò lui. Gli dava leggermente fastidio che uscisse con quell’idiota. Avrebbe forse preferito Kuririn a
quel decerebrato. Ma che ci poteva fare?
“
Devo andare da Yamcha” pensò lei. La borsa firmata le sbatteva fastidiosamente
nel retro del ginocchio destro, e le scarpe dal tacco alto le facevano male.
Voleva
che la sua vita cambiasse. Anche nettamente. E il modo migliore era tagliare
con le consuete abitudini.
Purtroppo,
la sua relazione col ragazzo era fra queste. Avrebbe sofferto. L’avrebbe
pregata di rivedere la sua decisione. Ma sarebbe stata irremovibile. Era un
amore adolescenziale. Se n’era resa conto da mesi ormai. Lui invece no, era
rimasto come la prima volta che si erano conosciuti.
O
forse no?
La
sua visita era una sorpresa non annunciata. Nella sua borsetta c’erano tutte le
cose di valore che le aveva regalato. Le avrebbe restituite non per cattiveria,
solo perché magari lui le avrebbe potute riciclare con un nuovo amore. Sapeva
che dal fidanzato non giravano molti soldi. Prese la copia delle chiavi,
sospirò, ed entrò nel suo appartamento.
Strabuzzò gli occhi: nel luogo regnava un disordine
incredibile: nel pavimento c’erano un mucchio di indumenti, nel divano stavano
due bicchieri di cristallo umidi di brandy. Le
sedie erano a terra. Col cuore in gola s’incamminò verso la stanza di Yamcha,
dalla quale proveniva musica ad alto volume. Aprì la porta, poi lo shock: nel
letto cigolante c’erano lui e un’altra donna, cosa facessero è piuttosto
scontato.
Era
venuta lì per troncare, sì. Ma provava ancora affetto per l’ex. Gli voleva
bene. Non poteva credere che potesse farle un affronto del genere. Non era
giusto. Poi le tornò tutto in mente. Il rossetto nel colletto di una sua
camicia era rosso carminio, non bronzo dorato. Spesso aveva visto delle mutande
da donna sotto il suo letto. Quante volte aveva chiuso gli occhi pur di non
ammettere…?
Quando
si accorsero di lei, la donna sconosciuta dette uno schiaffo a Yamcha, anche
lei inconsapevole dell’esistenza di un’altra. Si rivestì e se ne andò sbattendo
la porta. Il verme restava invece là, tremante, nelle lenzuola umide. Bulma non
battè ciglio.
-
Comunque
ero venuta con l’intenzione di troncare.
-
C…
cosa?- Mormorò, facendosi piccolo piccolo.
-
Fai
davvero schifo, sei
un essere inutile, uno spreco di spazio. Chi ti ha comprato questa casa? Chi ti
ha assunto nella sua azienda? Sanguisuga. Da oggi ti scorderai di me. Fra una
settimana questa casa dovrà essere vuota. Toglierai tutti i tuoi pupazzetti
dalla tua scrivania in ufficio. Non più accozzato. Io volevo rompere con te, ma
provavo affetto. Lo stesso affetto che ci ha permesso di continuare questa
farsa per dodici anni. – Concluse serafica.
-
N…
non la amavo, comunque.- si difese rauco
-
NON
ME NE IMPORTA NULLA! QUANTE ALTRE VOLTE L’HAI FATTO? QUANTE VOLTE HO SUBITO?
Detto
questo, aprì la
borsa e ruppe ad uno ad uno tutti i doni che si era portata dietro. Poi,
ultimo, si sfilò l’anello e glielo tirò in un occhio con sorprendente mira. Si
ricompose e tornò a casa.