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Autore: Marimo    26/01/2012    6 recensioni
Come vi immaginate un'estate FANTASTICA?
Magari in una località turistica, al mare..
Ma certo, vi ci vedo, stesi su un lettino da mare, sorseggiando chissà quale
bibita esotica a forma di noce di cocco.
Beh, se volete andare avanti a leggere, vi conviene allargare le vostre frontiere.
Potreste visualizzare più squadre, motivate dalle più inspiegabili ragioni.
Ragazzi diversi tra loro, ma tutti uguali, davanti al pallone a scacchi che ha tanto animato i nostri cuori.
Questa estate, calcio spietato, gente.
QUESTA ESTATE, Summer Football Frontier.
So.. Let's Party!!!
Genere: Comico, Generale, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Motivation.


La squadra che lotta per sé stessa.

 

 

 


-FELICE ALLOWEEEEEEN!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!-
-Taci, essere.-
-Perché non ti butti giù da un ponte? Magari, dico MAGARI, con dei pesi di cemento legati a mani e piedi?-
-Ti mancherei.-
-Ovvio!- si allontanò un poco, sbraitando e biascicando alcune imprecazioni.
L’altro sorrise soddisfatto, nuovamente vittorioso in quel giornaliero scontro tra fratelli.
-Vorrei che non fosse imparentato con me, quel coglione.-
-Ti ho sentito.-
-Bravo, allora riesci a sentire anche a tre metri di distanza.-
Uno pari.
Una presenza oscura alla loro destra diede loro l’improvvisa voglia di smettere di litigare.
-Capite al volo, voi due.-
Akari Sasagawa era tremenda, se vedeva quei due scemi bisticciare.
Detestava vedere i loro occhi profondi ed indagatori sprizzare scintille e lanciarsi fulmini e saette, ma in quanto a sguardi poco rassicuranti lei non si batteva.
Non che fosse gelida e distaccata, caratterialmente. Solo che voleva loro molto bene, e sentirli in disaccordo la disturbava e la spingeva ad avvalersi di naturali atteggiamenti violenti.
Poteva picchiarli, poteva prenderli in giro, poteva ricattarli e poteva vestire loro come delle bambole e mandarli in giro.
Lei poteva.
Il più alto dei due le smosse i capelli sulla testa, lasciandole una capigliatura arruffata.
Non che le importasse, i suoi capelli non le arrivavano nemmeno al collo, ed erano di un banalissimo castano chiaro.
Il taglio era più adatto ad un ragazzo, ma le sue forme piuttosto pronunciate non permettevano una spiacevole confusione.
I suoi occhi, anche loro marroni come due nocciole, potevano improvvisamente rabbuiarsi come potevano illuminarsi all’arrivo di una bella notizia.
In caso di estrema gioia, poteva anche apparire un brillantino luccicante attorno alla pupilla, che le dava un’aria da bambina sorpresa che ha appena ricevuto il regalo che desiderava da tempo.
-Non toccarmi i capelli, potresti bloccare loro la crescita.-
-Semplicemente toccandoli? It’s so loveley <3 -
-Smettila, non capisco un tubo d’inglese. Lo fai apposta, vero Tom?-
-Almeno quanto tu ami chiamarmi Tom, mentre il mio nome è THOMAS, ragazza.-
-Tom è più veloce. Rende meglio l’idea.-
Sebbene fosse una ragazza di media corporatura, il suo unico posto in campo era in difesa della porta.
La porta senza patria, nessun paese.
Loro erano la Motivation, la squadra che non si batte per nessuno, solo per riscattarsi nel mondo e per divertirsi giocando a calcio.
C’erano i fratelli inglesi, Jhonson, non ammessi alla nazionale di Gran Bretagna; c’era un prestante australiano, sempre pronto a sfoggiare il suo fisico scolpito nelle più inopportune situazioni; c’erano un ragazzo ed una ragazza, che si muovevano in attacco, che non facevano che limonare, costantemente ed appassionatamente; c’era di tutto e di più.
La maggior parte di loro erano rifiutati dalla società, o non avevano passato le selezioni per le rispettiva nazionali per pochissimi punti.
Tutti valenti giocatori, amici preziosi, generosi collaboratori.
E poi, ovviamente, c’era lei.
Lei, la castana dal taglio maschile, dall’atteggiamento lunatico, dal passato segreto e dal futuro ignoto, dal gioco pesante ma leale, colei che non scherzava mai se non era il momento.
Difficile per lei cedere emotivamente davanti ad un semplice sorriso ammaliatore.
Molti ragazzi che le venivano dietro vedevano in Akira qualcosa che non c’era, e che non ci sarebbe mai stato.
-E poi tu mi chiami Aika, no?-
-Già, e tu mi chiami Tom.-
Tom la faceva sempre sorridere.
La frangetta scura lasciava visibili due enormi occhi grigi ma espressivi, e l’espressione era sempre sorridente e gioviale, mai troppo triste.
La sua altezza la metteva in soggezione, ma non le dispiaceva.
Del resto, tutto quello spazio di corpo era ben curato ed affascinante.
Molto probabilmente ne era innamorata, ma non poteva accorgersene.
Aveva temporaneamente bloccato il suo battito cardiaco, e tutte le emozioni che esso faceva trasparire, per salvaguardare la sua squadra, la sua creazione, il tuo tesoro.
In questo tipo di situazioni, il ragazzo più basso si sentiva fuori luogo. Non che fosse basso oggettivamente, ma messo accanto al maggiore era più che umano per chiunque sentirsi inferiori.
Il fratello, moro, occhi grigiastri, alto, avvenente ed intelligente. Lui biondo, occhi smeraldini e semplicemente sé stesso.
Del tutto diversi, entrambi innamorati della stessa ragazza, Akari.
Era evidente che la ragazza amasse Thom, ma a lui non pesava troppo che il suo unico amore fosse più affezionato a lui, perché lo ammirava molto, a modo suo.
-Scusate ragazzi, io vado a vedere che sta combinando Tsubasa.-  Si allontanò con le mani nelle tasche e fare strafottente.
-Ea…-
Sorrise lievemente. Anche se era invaghita di Thom, le dava ugualmente un soprannome strambo.
Ea era il diminutivo di Andrew, il suo nome di battesimo. Ormai tutti lo chiamavano Ea, e per lui era meglio così.
‘Andrew Jhonson’ era fin troppo formale per un tipo allegro come lui, ma quando si deprimeva non accettava soprannomi. Da NESSUNO.
Ora, fortunatamente, il suo morale era ancora abbastanza elevato.
Come gli era uscito ‘felice halloween’ non lo sapeva, a volte era ispirato da frasi sconnesse ed infantili che non poteva fare a meno di urlare ai quattro venti.
Lui era fatto così, adorabile ed irresistibile quanto testardo e detestabile.
Tsubasa lo sapeva bene.
Era sempre stato il suo migliore amico, non considerando il fratello, ovviamente. Erano simili, da un certo punto di vista, ma nessuno avrebbe mai detto che tra i due ci fosse la benché minima forma di comprensione.
Si comportavano così, era quello il loro modo di dirsi ‘ti voglio bene’, una volta un pugno in faccia, un’altra volta un insulto.
Si amavano, si capivano con gli sguardi, erano legatissimi.
-Muori, Ombra.-
-Tsk.-
Sì, si adoravano.
-Devi sempre venire a rompere me quando tuo fratello tuba con Akari?-
-Che ci posso fare, sei l’unico coglione che mi capisce.-
-Sei parecchio inguaiato, allora.- lo canzonò l’altro, passandosi una mano tra i capelli.
Era un ragazzo pacato e tranquillo, sia quotidianamente che in campo, il suo gioco difensivo non puntava sulla potenza quanto più sull’accuratezza e sulla precisione.
I suoi capelli scuri facevano brillare sul suo volto due occhi blu come la notte, squarciati da un oscuro buco nero.
Era un ragazzo alto, disponibile, con un bel carattere, ma non era perfetto.
Anzi, come Andrew sapeva bene aveva tanti di quei difetti da poterne fare una smisurata lista, come la violenza esagerata, o come i repentini cambi d’umore.
-Ehi, unico coglione che mi capisce, si può sapere perché stai sempre a passarti la mano tra i capelli?-
-È per imitare Leo. Fa sempre così quando gli manca André.-
Gli si sedette accanto.
-Come fa a mancarle? Non fanno che limonare quei due, dannazione!-
-Ma lui mi somiglia, quindi lo imito.-
-Che criterio, Shadow.-
Davanti a loro passarono un ragazzo con occhi azzurri tendenti al verde e capelli scuri, abbracciato ad una ragazzina esile, castana, sorridente.
-Il fatto che quella tipa abbia il mio nome non vuol dire nulla, ma è irritante.-
-Immagino.-
Andrea Ilardi e Leonardo Schiavi, la coppietta italiana.
Fidanzatini fin dalle elementari, costituivano le punte d’attacco della squadra, anche se ogni elemento di essa tremava dallo sforzo di contenersi, nell’atto di lanciare loro della verdura.
Spesso erano nauseanti, ma a loro non importava. Il loro amore era uno dei più belli che tutti avessero mai visto, ed una loro eventuale separazione avrebbe causato per tutti una totale devastazione.
-In fondo, non mi disturba che una ragazza abbia il nome simile al mio. Cosa me ne può importare?-
-Bravo, fottitene del mondo Boy.-
-Io mi fotto di tutto, lo sai. Che fine ha fatto Alan?-
Alan Johnson, un ragazzo piuttosto bassino ma molto robusto, con un carattere unico nel suo genere, capelli chiari ed occhi neri come il buio da cui era uscito.
Per un periodo aveva perduto le capacità visive, lo stesso periodo che gli avrebbe permesso di partecipare alla nazionale Australiana.
Ora aveva recuperato, ed era stato inserito nella squadra della Motivation.

-Il grande Alan è qui per mostrarsi nella sua grande magnificenza a tutti voi!!-

Ed apparve, mezzo nudo, da dietro un albero, facendo rabbrividire i due.

Possiamo dire che la sua autostima rientrava nei record mondiali, superando di parecchio quella di Terumi.
Aveva un bel fisico, ma non era proprio il caso di mostrarlo a tutto il mondo urlando come un pazzo.
-Copriti, cazzo.-
-Già, e la prossima volta lascia stare il megafono. Ti si sente lo stesso.-
-Ma che dite, nessuno nel mio paese mi avrà sentito con questo microfono da due soldi!- sbottò riferendosi ad un grosso megafono rosso e bianco, iniziando ad estrarne un altro da chissà dove.
In un attimo i due ragazzi gli furono addosso, e riuscirono a dargli un colpo abbastanza forte da fargli perdere i sensi.
-Giuro che la prossima volta non sarò così clemente.-
-Approvo. E se mai dovessi esserlo io, fammelo notare.-
Nella squadra, o un membro o l’altro interveniva sempre per interrompere le stravaganti prestazioni di Alan.
Spesso reagivano in maniera violenta, ma lui sicuramente non sarebbe stato zitto nemmeno se glielo avesse chiesto Dio in persona.
Possiamo dire che, avendo riacquisito la vista, iniziava a guardarsi con una nuova ottica, forse troppo priva di auto-critica.
-Così impari ad evocarlo, pirla.-
-Ok, colpa mia.-
Si erano appena riaccomodati, quando l’italiana tornò sui propri passi rivolgendosi a loro.
-Sapete dov’è finito Alan? Aika ha detto che si è messo a correre gridando come un cretino venendo da questa parte.-
-Non è proprio il momento migliore per..-
-È qui dietro.-
L’amico lo guardò indispettito, felice di aver ricevuto il suo ‘pieno appoggio’.
-Grazie Shadow. Allora vado, non vedo più Leonardo!-
-Ciao André, corri da lui.-
Mentre Tsubasa rigirava il capo, preparandosi ad incontrare uno sguardo contrariato, si passò nuovamente la mano tra i capelli.
-Sei proprio uno stronzo.- gli disse l’amico.
-Le ho solo detto dov’era. Lo sai che si sente in imbarazzo quando Leo non è con lei, perché devi fare l’antipatico?-
-Su questo hai ragione, ma potevi almeno appoggiarmi!
Hai completamente smerdato la mia opinione, lo sai?-
-Tsk.. Ea, tu lo sai. Le tue opinioni… si smerdano da sole.-
Un pugno colpì in pieno uno degli occhi blu marino del ragazzo, che sorrise assorbendo il colpo.
-Hai la brutta abitudine di scaricarti sui miei occhi, tu. Ne hanno prese tante, a causa tua.-
-Te le sei cercate tutte. Una per una, Ombra.-
Il moro si alzò, e sogghinò beffardo.
-Che puoi fare nella vita se non cercartele?-
E anche lui iniziò a picchiare il biondo, che si difese e rispose a sua volta, rianimando una delle loro risse giornaliere.
Il loro rapporto era una sorta di ‘Fuusuke-Haruya’, possiamo dire per capirci.
Ma fortunatamente, come nel loro caso, arrivava sempre una persona a tentare di rabbonirli.
-Ragazzi, finitela.-
Come due soldatini, al richiamo di Akari si schierarono scherzosamente in fila, con il palmo della mano appoggiato orizzontalmente sulla fronte, a mo’ di saluto militare.
-Agli ordini, capitano!-
-Molto divertenti, ora aiutatemi.-
Il biondo rivolse uno sguardo al fratello, che annuì.
-Avete perso di nuovo Angelica?-
-Non dare la colpa a noi, Ea!-
Intervenne Tsubasa, che disse –Siete voi che stavate flirtando mentre avreste dovuto controllarla!-
I due si imporporarono e chinarono lo sguardo, mentre i restanti roteavano gli occhi.
-Ora la andate a cercare voi, eh?-
E la ragazza ed il moro dagli occhi color del fumo si incamminarono alla ricerca di An.
-Ti fa rabbia, amico?-
-Tsubasa Rynosuke, sei un asiatico irritante.-
-Sì, ovvio. Troppi italiani in questa squadra, tra André, Leo ed An.-
-Ti danno fastidio gli italiani?-
-Mi piacciono i giapponesi.-
-Sei gay?-
-Mi piacciono LE giapponesi. E tu finiscila con questi pregiudizi, due persone su 25 sono gay.-
Il ragazzo lo guardò storto.
-Scientificamente provato.-
Questa volta fu Andrew a passarsi una mano tra i capelli, iniziando a chiedersi se Theo ed Akari avessero trovato An.
Angelica, per nulla azzeccato come nome.
Era una ragazzina di dieci anni, brunetta, quasi mora, capelli indomabili e costantemente in disordine, occhi castani chiarissimi, espressione da schiaffi.
Sì, da schiaffi, solo così la sua faccia poteva essere definita in maniera dettagliata e completa.
Gli occhi erano grandi, mettevano in soggezione, cambiavano tonalità di marrone a seconda della temperatura.
Le guance paffutelle si gonfiavano quando si offendeva, dandole un’aria adorabile.
Capiva tutto, sempre, ogni cosa.
Forse dal linguaggio del corpo, dai cambiamenti d’umore e di atteggiamento, dai movimenti involontari e dal suono della voce, lei capiva.
Sapeva tutto quello che riguardava tutti, era una bambina fantastica.
Sebbene fosse decisamente giovane per poter giocare in squadra con loro, era una centrocampista piuttosto in gamba, che giocava pulito e semplice.
Tutti la adoravano e le volevano un mondo di bene, ma aveva bisogno di una costante e rigida sorveglianza.
Motivo?
Semplice, aveva un piccolo ed innocentissimo difetto.
Lei osservava il cambiamento, lo sperimentava sui propri occhi.
Se una goccia cadeva da una grondaia, lei la stava guardando, pensando che forse anche lei, un giorno, sarebbe caduta a quel modo.
Se una farfalla si posava su una violetta, per nutrirsi del suo polline, lei ne stava imprimendo i colori nella memoria.
Se una foglia stava prendendo il volo, lei era lì per sorreggerla nel suo viaggio.
Troppa attenzione ai particolari di un mondo continuamente in movimento, An era sempre distratta ed i suoi occhi erano sempre focalizzati su altro.
-Sarà andata a vedere decollare una coccinella.- sospirò Andrew.
Una voce squillante ed entusiasta lo fece voltare di scatto, sorpreso.
-Già, e per tua fortuna era proprio dietro di te. Ho potuto vedere anche l’arrivo! Non è fantastico, Ea-san?-
-Già, meraviglioso. Ora ferma.-
La prese in braccio e le prese dalla tasca una benda.
La teneva sempre in tasca, e quando giocava e quando studiava, momenti in cui aveva bisogno di concentrazione, se la metteva sugli occhi.
Vedeva tranquillamente anche attraverso essa, ma in un’area più ristretta, che le impediva di vaneggiare.
Il biondo gliela posò sullo guardo castano, sorridendo.
-Ecco fatto. Ora raggiungi Thom e Akari, chiaro signorina?-
-Volo!! Ciao Shadow!-
-Ciao piccina. Ricordati, persisti nelle tue idee, sempre.-
A Tsubasa quella bambina andava particolarmente a genio.
Forse perché ogni qualvolta in cui qualcuno le domandava perché era così attenta ai particolari, lei rispondeva sempre:
“Io osservo il mondo cambiare perché sono piccola.
Sono abituata a stare con gente grande, tra i loro problemi e le loro azioni, ed ho paura di perdermi il movimento del mondo.
Non me lo perdonerebbe mai, Shadow-sama.”

Ed era vero.
La piccola An era ammirata da Ombra proprio per questo, non aveva paura delle sue scelte, e si godeva il presente in tutto il suo splendore.
-Ti lasci andare solo con An, com’è?-
-Mi piace quella bimba.-
-Pedofilo.-
-Coglione, sai benissimo che intendevo.-
-Ma Pedofilo ti dona, sai?-
Si sbatté una mano contro la fronte, capacitandosi di un altro po’della stupidità dell’amico.
-Mi hai rotto abbastanza per oggi, che ne dici di tornare la campo?-
-Va bene, dici che i due stanno ancora tubando?-
-Naah, non sono come André e Leo.-
-Ci mancherebbe altro..- sussurrò laconico alzandosi ed aiutando l’amico, per poi tornare al prato verde che usavano per allenarsi.
Lì, tutti i membri della squadra attendevano l’arrivo della manager che avrebbe illustrato loro gli aspetti generali del Summer Football Frontier.
Gli unici quattro individui che non conosciamo erano costituiti da tre giocatori ed una riserva, un libero.
Charo Casid, una giovane spagnola troppo povera per potersi permettere il lussuoso posto nella nazionale del suo paese.
I capelli neri come la notte, privi di riflessi, e gli occhi arancioni che brillavano sulla sua pelle abbronzata la rendevano molto attraente, ma il suo carattere non accettava nessuno.
Mai aveva amato, mai avrebbe amato.
Il suo cuore era una porta chiusa che si apre solo dall’interno. Lei, per di più, l’aveva sigillato anche da lì.
Troppa paura di perdere la sua forza di carattere, la sua dolcezza, la sua intimità ed il suo essere.
Perché c’era chi il cambiamento lo osservava attentamente, e chi fuggiva da esso, temendolo.

-CHAAAAROOOOOOOOOO!!!-
E la povera ragazza dalla pelle scura fu atterrata da un’Angelo volante.
O, per meglio dire, da un’Angelica volante, che per saltarle in braccio l’aveva accidentalmente investita.
-An, fai attenzione quando salti per abbracciarci..-
In effetti la bimba aveva capacità notevoli di elevazione, ma avendo il campo visivo limitato dalla benda aveva avuto un atterraggio leggermente accidentato.
-Che stiamo aspettando, Charo?-
-La manager.- Rispose Tsubasa arrivando da dietro, aiutando entrambe ad alzarsi.
Intervennero anche due volti noti a tutti, i gemelli Cinesi.
I loro nomi erano impronunciabili per ogni membro della squadra, perciò avevano dato loro due pratici ed appropriati soprannomi: Yin e Yang.
Yang, un ragazzo moro, dalla carnagione tipicamente giallina, occhi a mandorla, neri, profondi e tranquilli.
Un ragazzo semplice, dai gusti genuini e non troppo raffinati, sincero come uno specchio d’acqua, uno che si accontenta di una spudorata e violenta semplicità.
Yin, l’esatto contrario. I suoi capelli erano grigi, con riflessi argentei, ma non per questo le davano un’aria particolarmente vissuta.
Anzi. Trovava sempre un modo originale, o meglio estremamente stravagante, di acconciarli.
Una volta poteva legarli in una coda, altre poteva sbizzarrirsi in pettinature degne di una regina cinese.
Ovviamente, a fargliele era sempre Yang, il suo paziente gemello.
Era lui a comprarle ogni ninnolo che le interessasse dietro alle più improbabili vetrine per le strade di Shangai, la loro città.
Collezionava ogni piccolo oggetto che luccicasse, che le ricordasse una mela e che non fosse troppo caro, o il Yang-san sarebbe presto finito in rovina a causa sua.
Era una ragazzina alta, magra, dagli occhi di un azzurro vitreo, tanto chiaro da sembrare bianco, con uno stile di gioco complesso ed articolato, contrapposto a quello semplice e mirato del moro.
Erano due micidiali centrocampisti, due opposte parti di un intero, due gemelli.
-Dicono che sia una ragazza poco normale.-
-Già, Yang-san. Ma cosa intendono seconde te?-
La ragazza trovò una risposta nel rumore stridulo emesso dal cancello del campo.
Ancheggiando con aria da primadonna, nel campo si avvicinava una ragazza di circa quindici anni, ovviamente vestita come una ‘ballerina’ ventenne e rovinata da alcol e droga.
Per spiegare meglio, una simil-troia.
Capelli biondo platinato, spudoratamente tinti, tagliati a caschetto.
Occhi azzurri come il cielo, che ovviamente snobbava con estrema nonchalance, camminando muovendo sinuosamente i fianchi.
Cervello di un massimo di due neuroni ed una sinapsi, inutilizzati, ammuffiti ed arruginiti.
Gonnellina che le arrivava appena sotto il sedere, di un rosa acceso e luminescente, stesso colore del top che le copriva il petto abbondante.
Masticava una gomma, facendo tremare tutta la maschera di cera che si era creata con il trucco, che le faceva da seconda pelle.
-Salve ragazzi, io sono Phobe, la nuova manager.-
Dall’accento giapponese decisamente pessimo che caratterizzava il suo linguaggio, si poteva avvertire la sua nazionalità tedesca anche indossando la bendina di An.
-Con me niente schezi, chiaro? Si gioca sodo.- iniziò a sentenziare, agitando l’indice alzato ed iniziando ad avanzare verso Thom.
Ovviamente, muovendo il fondoschiena come fosse stata una maracas.
La reazione di Andrew fu di disgusto, aveva sempre detestato le bambole. Quella altro non era che una bambola, fottutamente sexy e vivente.
Non era nemmeno degna della sua attenzione, nonostante dopo poco avesse già iniziato a corteggiarlo. Come fece con tutti, del resto.
Akari era sconvolta. Inorridita dalla sua immediata reazione di ‘attacco’ dopo aver visto i fratelli Jhonson, e dalla consapevolezza che quella era la squadra che lei aveva creato, e che da ora in poi sarebbe stata accompagnata da quell’essere.
Sì, umana era un insulto, ragazza non ne parliamo.
La vedeva strofinarsi addosso ad Ea e Teo, come se fosse una saponetta.
In quel gesto il suo cuore e tutte le sue convinzioni sulla sua squadra iniziarono a vacillare.
La Motivation era il tuo tesoro, il suo scrigno delle meraviglie.
Fin da bambina aveva coltivato la passione per il calcio, ma essendo priva di contatti con il mondo la nazionale Giapponese nemmeno se la era sognata.
Aveva iniziato a radunare talenti che, come lei, erano stati ripudiati dalla propria patria, e ne aveva fatto una squadra propria, motivata più che mai.
Tutti sapevano parlare un discreto giapponese, ed avevano un gioco pulito e sincero.
Erano una grande famiglia, e lei l’aveva creata appositamente per dare ad ognuno di loro una seconda possibilità.
Perdere la Motivation per lei significava perdere tutto.
-La vedo difficile, messa così.- 
An, Akari, Yin, Yang, Tsubasa, Alan, Leo, André, Charo, Andrew e Thomas. Ora, Phobe.

Tsubasa rimase commosso da quella scena. Pensava alla reazione di Akari, a cosa stava avvenendo nella sua mente, mentre la ‘nuova manager’ si apprestava a provarci con il suo Tom e con il suo Ea. Si sarebbe avviata anche alla sua conquista, ed era determinato ad evitarlo.

Ombra non sopportava le corti serrate. Le sue poche esperienze sul campo gli avevano insegnato che l’indifferenza, a volte, è più rassicurante dell’appiccicume.
Un’ottima scusa per defilarsi dalla spiacevole situazione si nascondeva nello sguardo di Angelica, che era sul punto di scoppiare a piangere.
La piccola si avvicino a lui, e si arrampicò sul suo corpo fino ad arrivare sulla schiena.
Poi si avvicinò al suo orecchio, e sussurrò: -Dovremo farci istruire da questa Battaccia?-
Pensò che fosse uno dei tanti termini che inventava giornalmente, e ci passò sopra.
-Pare di sì, ma per adesso.. Che ne dici di andare a vedere la brina che si posa sulle foglie, An?-
Si strinse al suo Shadow-sama, la bambina. 
Lo amava, e lei lo sapeva. Perché lui era Shadow, la sua ombra, il suo pensiero.
Anche lui preferiva guardare la rugiada che stare ad ascoltare una ragazza mezza nuda blaterare con un accento incomprensibile circa un campionato per cui avrebbero dovuto aspettare ancora una settimana e più.
Anche lui, come lei, lo sapeva.
–An si sente bene, adesso.-
Quando era felice parlava in terza persona, perché rendeva meglio l’idea di un sentimento raccontato da un narratore esterno.
-Anche Shadow si sente bene, con An-chan.-
Si sedettero a guardare una fogliolina verde, mentre gli occhi di lei si facevano tondi e luccicanti, chiari come il sole, ed una goccia azzurrina cadeva al suolo, infrangendosi.
Come un sogno irrealizzabile, come il sogno di Angelica di poter diventare grande, di avvicinarsi al suo Ombra, senza essere osservata come una bambina, di poterlo amare senza sembrare ridicola e di poter essere ricambiata.
Ma per ora, si accontentava di un sorriso. Uno solo, delicato come la stessa goccia che le ricorda sé stessa.


-Un’altra, Shadow-sama!!-


 

 

 


A volte arrivano certe persone che ti fanno sentire leggera e felice in un attimo.

Poi arriva una troia come un’altra, e addio motivazione.

[ Akari ]

 

 


*Angolo*

 

Nessun nome, perché non ho niente da dire riguardo questo obrobrio :DDD

Spero non abbia vomitato nessuno :*

Ah, solo una cosetta. Non ho riguardato il capitolo perchè il soltio elemento di disturbo (leggi: Miam) mi ha imposto di pubblicare -.-

Quindi, compatitemi (?)  <3

Vado <3

 

Angy <3

 

 

   
 
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