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Autore: Sophie Isabella Nikolaevna    26/01/2012    2 recensioni
N.B.: questa è la ri-pubblicazione di una storia che ho già pubblicato e che per errore si è cancellata!
"Attirerò le persone a me. E allora... allora saranno loro a creare il mio mondo!".
Un piccolo sogno e il suo innocente desiderio di vivere. Ma cosa si intende con "saranno loro a creare il mio mondo?". Qual è il mistero legato alla voce del piccolo sogno? Quale strada macchiata di rosso (ma anche di blu, verde e giallo) stanno per percorrere cinque amici?
E soprattutto, saranno ancora amici o si volteranno le spalle a vicenda?
Troverete queste risposte nelle stanza di una vecchia casa, tra carte da gioco, rose e castelli reali, nella più nera delle notti.
Genere: Dark, Mistero, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Kaito Shion, Len Kagamine, Meiko Sakine, Miku Hatsune, Rin Kagamine
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 4 - Rin e Len

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Quando il piccolo sogno tornò nella buia stanza da letto dei bambini, la trovò vuota. Non c'era traccia degli ultimi due rimasti, i gemelli biondi. Andò a prendere il libro di fiabe come per cercarvi una risposta di cui si era dimenticato e lo aprì dove era arrivato l'utlima volta, con Miku.
"E intanto entrano nel bosco due bambini tra le rose prendono il te con pasticcini. Dal castello un invito arriva a loro, ed è... l'Asso di Cuori. La quarta Alice: due gemelli, e la curiosità nel Paese delle Meraviglie è entrata già; attraverso tante porte passano, di là, su una barca gialla vanno con felicità. Lei idea non cambia mai, lui molto sa e fa. Ma le altre Alici sono troppo vicine, oramai...
Dal loro sogno magico mai si sveglieran, per sempre nel Paese delle Meraviglie andran."
Ah, ecco..., pensò il piccolo sogno. Certo. Ora tutto torna.


Nel frattempo, due bambini camminavano per il bosco.
Un maschio e una femmina, mano nella mano, fissavano la selva con gli stessi occhi dorati seminascosti dagli stessi ciuffi color del grano. I loro visi avevano la stessa pelle diafana, e i loro passi risuonavano all'unisono per il sentiero rosso lasciato dalla prima Alice. Poco lontano da loro, attento a non farsi vedere, li seguiva un piccolo fantasmino bianco.
"No, Len, attento!", esclamò ad un tratto la bambina. "Non caplestare quelle rose!".
"Perdonami, Rin. Non me n'ero accorto. Sono davvero bellissimi questi fiori.
Sono bellissimi, però mi fanno anche... mi fanno un po' paura. Mi piacerebbe sapere chi li ha piantati. ".
La loro curiosità era quasi contagiosa, rifletté il piccolo sogno. Li avrebbe lasciati esplorare. Erano... diversi da tutti gli altri, gli stavano simpatici.
"Guarda, Len!". Di nuovo la bambina. Stava tirando il fratello per una manica. "C'è una persona prigioniera, laggiù!".
Len osservò con attenzione davanti a sé
e, attraverso i rovi, poté vedere una gabbia di ferro con dentro qualcuno. Si intravedevano dei movimenti affannosi. Qualcosa di nero stava attaccando il prigioniero, che tentava (invano?) di liberarsi.
"Andiamo a salvarlo, Len!".
"No!". Il fratello bloccò Rin. "E' pericoloso. Ci sono un sacco di altre cose da vedere, qui!".
"Come vuoi".
I due gemelli ritornarono sui propri passi senza lasciarsi le mani. La piccola Rin saltellava, mentre il piccolo Len manteneva un passo calmo e tranquillo. Ammirando le rose e chiedendosi cos'altro avrebbero trovato, raggiunsero la porta blu.
"Che dici... la apriamo, Rin?", chiese Len.
"Certo. Hai detto tu che c'erano un sacco di altre cose da vedere, ma se non apriamo la porta non le vedremo mai. Sei con me?".
Il fratello le sorrise:
"Io sarò sempre con te, sorellina!".
Ma che cari ragazzi, pensò il piccolo sogno. Proprio quello che ci voleva per portare un po' d'amore al suo mondo.
La porta blu si aprì di uno spiraglio e i due gemelli seguiti dal sogno si fecero strada a fatica in mezzo ad una folla. Sembrava di essere capitati nel bel mezzo di un tornado: strani oggetti - note, poterono osservare - vorticavano all'impazzata per la stanza, schiantandosi contro i muri e trasformandosi in rose blu quando cadevano a terra.
"Len!", urlò la bambina. "Che cosa succede qui?!".
"Non lo so! Non lo so!".
L'attenzione della folla era concentrata su qualcosa o qualcuno dall'altro lato della sala, ma i gemelli non riuscirono a capire di chi o cosa si trattasse, la gente e il vortice di note impedivano loro la visuale.
Improvvisamente uno sparo forte e secco fece tremare il pavimento, e tutto come per magia si calmò. Nessuna nota volava più, e la folla cominciò piano piano a svanire.
"Len, quello era lo sparo di una pistola! Potrebbe essere morto qualcuno!". Rin, senza lasciare la mano del fratello, si avviò verso il fondo della sala. "Andiamo a vedere!".
La camera era ormai vuota quando giunsero di fronte alla rosa musicale. La guardarono perplessi.
"No, sembra che non sia morto nessuno", osservò Len. "Questa è solo una della rose. La stanza ne è piena!".
I loro occhi ammirarono insieme i fori blu e il loro colore così bello, profondo ed innaturale per una rosa. Nonostante il trambusto di poco prima, tutti i mobili erano al loro posto: scaffali, divano e un tavolo con tre sedie che faceva capolino
proprio al centro della stanza. Era perfettamente apparecchiato: tovaglia finemente ricamata, tre tazze da te con tanto di piattini e chucchiaini, una teiera, un vassoio di pasticcini e una zuccheriera.
"Che dite, bambini? Ce la prendiamo una bella tazza di te?".
I due piccoli si voltarono stupiti al suono della voce del piccolo sogno.
"Chi sei?", chiese Rin. "La tua voce mi ha ricordato qualcosa".
"Anche a me", continuò Len. "Conosco la tua voce ma non conosco te. Come mai?".
"Io sono un povero, piccolo sogno che ha bisogno di amore, e ha voglia di una tazza di te. E voi gli servite. Ci sediamo?".
Ognuno prese posto su una sedia. Rin fece per versarsi il te ma Len la bloccò e ispezionò il contenuto della teiera.
"Non è avvelenato, se è quello che ti stai chiedendo. Hai visto troppi film dell'orrore, bambino mio...".
"Sentito, Len? Secondo me dovremmo fidarci di lui. Potrà dirci dove siamo".
"Esatto, bambini. Dovete fidarmi di me, perché nessuno conosce questo posto meglio di me. Ci troviamo nel mio mondo, un mondo che ha già la guerra, la musica e la bellezza, ma ha anche coraggio e paura, e follia. Infine, questo mondo ha una regina, ma si trova intrappolata tra la sua vanità e la vecchiaia".
"E...", tentò Len. "Tu vuoi che noi portiamo al tuo mondo l'amore".
"Esatto. Tu sei il più intelligente di tutti, Len".
"Tutti... chi?".
Improvvisamente il piccolo sogno si alzò.
"Devo andare. Fate i bravi, mi raccomando".
"Devi andare dove?".
"Non ha importanza. Ci rivedremo".
Il piccolo sogno, svelto, saltò giù dalla sedia e si diresse in fretta verso la porta rossa. Svelto, l'aprì e se la richiuse alle spalle. Doveva riflettere da solo, lontano dai due bambini. Uccidere Meiko, Kaito e Miku era stato facile: aveva fatto rivoltare il suo mondo contro di loro, mettendo a nudo la paura nascosta dietro il coraggio di Meiko, la follia della musica di Kaito e la vanità dovuta alla bellezza di Miku. Era stato lui stesso ad ucciderli, scatenando contro di loro ciò che i bambini stessi gli avevano portato. Questo era l'unico modo perché le azioni da loro compiute e ciò che avevano donato al suo mondo non andassero perduti: se i ragazzi avessero continuato a vivere, prima o poi si sarebbero svegliati. Se invece il loro stesso sogno li avesse uccisi, non si sarebbero svegliati più...
Con Len e Rin, però, era diverso.
Non se la sentiva di ucciderli. Gli erano simpatici. Al suo mondo mancavano due innocenti bambini, però mancavano anche l'amore, l'affetto e l'amicizia. Avrebbe voluto tenere con se i due bambini per sempre, ma non sarebbe stato possibile. Prima o poi si sarebbero svegliati.
A meno che...
Il piccolo sogno sorrise sinistramente.
Oh, sì. Ora sapeva come fare.
Sperava solo che non fosse già troppo tardi...

"Hai finito il tuo te, Rin?".
"Sì, Len. Andiamo!".
I due fratelli si presero per mano e si diressero - lei sempre saltellando, lui con passo calmo e prudente - verso la porta verde.
"Chissà che cosa troveremo dopo questa porta", disse Rin.
"Sorellina, ho notato una cosa", le rispose Len, pensieroso. "Il colore preferito di Meiko è il rosso, e la prima porta era rossa. Quello di Kaito è il blu, e la seconda era blu. Quello di Miku è il verde, e questa porta è verde. Chissà se la prossima porta sarà gialla?, il giallo è il nostro colore preferito".
"Ci resta un solo modo per scoprirlo!".
"Sono curioso, ma ho anche un po' paura".
"Ti proteggerò io, Len!".
Il bambino sorrise all'incoraggiamento della sorella.
"Ma se non hai neanche un po' di muscoli! Come puoi proteggermi?", scherzò.
"Len! Posso proteggerti anche se sono una femmina, cosa credi?".
Stuzzicandosi e ridendo, i due gemelli aprirono la porta verde e si ritrovarono nel prato in cui volavano le lucciole. Poco lontano da loro stava lo specchio infranto dalle rose verdi. Rin iniziò subito a rincorrere alcune lucciole, ma non si avvicinò alle scheggie di vetro e alle spine dei fiori.
"Len, da questa parte c'è qualcosa che sembra l'entrata di un castello!", chiamò. "Vieni!".
Ma Len stava fissando qualcosa davanti a sé, nella parete del corridoio, qualcosa che Miku quando era passata di lì non aveva neanche visto. Una porta. Non quella del castello, una normalissima porta di legno.
"No, Rin, vieni tu qui! Questa è la porta della stanza dei giochi, ricordi?".
All'udire le parole 'stanza dei giochi' Rin ritornò immediatamente dal fratello.
"Non è la porta gialla che dicevi", obiettò.
"Però è la porta della stanza dei giochi".
Si scambiarono un'occhiata d'intesa e poggiarono le mani sulla maniglia.

* * *

"Avevi detto che sarei morta".
"Morirai, morirai. Ma per il momento no. Mi servi".
"E a che cosa?".
Un lucchetto invisibile scattò.
"Vai. Sei libera. Quando ti troverai nella giusta situazione, capirai cosa dovrai fare".
"E dopo?".
"E dopo, mia cara... dopo morirai".

* * *

"AAAAH!".
"Cosa c'è Rin?! Cos'hai visto?!".
"LEN! Len, sei... sei...".
"Cosa?!".
"...sei vivo!".
I bambini lasciarono la maniglia della porta, che si era interamente accesa d'oro. Rin boccheggiava, gli occhi sgranati e le mani nei capelli.
''Certo che sono vivo, Rin. Che cosa ti prende?". Le strinse la mano.
La bambina respirò affannosamente un paio di volte, poi rispose con voce tremante:
"Per un attimo, ti ho visto... tutto coperto di sangue. E... e...". Un altro respiro. "E sulla tua spalla... qualcuno aveva appoggiato una mano. E... e sulla mano c'era disegnata una... una picca rossa".
Len guardò la sorella che tremava di paura e agrottò le sopracciglia. Non stava scherzando, sembrava talmente terrorizzata che doveva aver visto davvero qualcosa. Lui però non si era accorto di niente...
"Magari ti è solo sembrato di vedere queste cose, Rin. A me non è parso che ci fosse niente di strano. Dài, attraversiamo questa porta".
Len abbracciò la sorella per darle ulteriore conforto e, tenendosi per mano, i due gemelli aprirono la porta.
La stanza dei giochi sembrava essere diventata molto più grande di quanto ricordavano. A dire il vero, non pareva nemmeno di essere al chiuso, se non fosse stato per l'altissimo soffitto azzurro che faceva, lontano e mezzo nascosto da qualche nuvola, da cielo. Quello che, metri e metri sopra le loro teste, sembrava essere il sole, era in realtà il lampadario, e l'orizzonte non era che una lontanissima parete dipinta. Tutto questo era però talmente distante da loro - la camera era diventata immensa - che dava l'illusione di trovarsi davvero all'esterno.
Camminavano sullo stesso prato che ricopriva il corridoio, ma lì non c'erano lucciole: dal buio della casa di notte erano improvvisamente passati alla luce del giorno, della quale il lampadario e le pareti azzurre davano una perfetta illusione. L'erba era di un tenerissimo verde speranza, e ogni tanto qualche fiore dai colori pastello sbucava tra i fili verdi, timido. Il prato proseguiva ridente fino ad un grande castello in lontanza, e dietro questo si stendeva una grande città interamente verde smeraldo.
I due gemelli sorrisero: a questo gesto, di fianco ad ognuno dei due sbucò dalla terra una meravigliosa rosa gialla, dai petali che rilucevano alla luce come oro liquido.
"Sai, Rin", disse Len. "Queste rose mi sembrano diverse da tutte quelle che abbiamo visto fino ad ora. Le rose rosse sembravano tanto lugubri, quelle blu tanto tristi, e quelle verdi, con tutte le spine... tanto cattive. Queste invece sono semplicemente bellissime!".
"Hai ragione, Len!". La bambina, rallegrata da quel panorama, non pensava più alla visione avuta poco prima. "Guarda là!", eslcamò poi indicando un punto davanti a sé.
I due bambini corsero verso ciò che Rin aveva indicato. Ad ogni loro passo felice, una rosa cresceva in tutto il suo fulgore.
Si trattava di un ruscello argentato che tracciava una linea scintillante in mezzo al verde del prato, fino al castello. Attraccata ad un piccolo molo stava una barchetta di un giallo fiammante. I gemelli la riconobbero: era, ingrandita a misura d'uomo, la piccola imbarcazione giocattolo con cui si erano sempre tanto divertiti nella stanza dei giochi.
E seduto a prua, con in mano una carta da gioco, c'era il piccolo sogno.

* * *

"Sei viva?".
Qualcosa, nello specchio, sorrise, mostrando una fila di denti storti.
"Lei ormai non è lo è quasi più.Tra poco sarò sopravvissuta solo io. L'anima del suo più grande difetto".
"Bene, bene. E' importante che tu svolga un compito per me".
"Credo di sapere già di cosa parli".
"Benissimo. Quando sarai nella giusta situazione, saprai che cosa fare".
"Tranquillo. So già cosa fare".
Qualcosa, nello specchio, cominciò a scrivere su una carta da gioco.

* * *


"Sono tornato, bambini miei!".
"Piccolo sogno!". I due fratelli salirono sulla barchetta. "Che cos'è quella carta che hai in mano?".
Il sogno mostrò l'oggetto a Len e Rin. Un semplice ritaglio rettangolare di cartoncino, dipinto di bianco, con al centro un cuore rosso.
"E' l'Asso di Cuori".
"E a cosa ti serve?".
Il piccolo sogno girò la carta. "Cara quarta Alice", c'era scritto in una grafia verde e tremolante, "ti invito al mio castello. Saluti, Sua Maestà la Regina Miku".
"Quarta Alice? Chi è la quarta Alice?", chiese Rin.
"Ma siete voi, naturalmente".
"Noi?".
I due stettero in silenzio, straniti.
"Rin, hai uno strano segno sulla mano!", esclamò ad un tratto Len. La bambina, perplessa, osservò la strana figura gialla che le era comparsa sul dorso della mano: un cuore a metà.
"L'altra metà del cuore potresti averla tu, Len", suggerì il piccolo sogno, al che Len controllò la propria mano e notò un simbolo giallo, lo speculare di quello della sorella.
Si presero per mano, e le due metà si unirono a formare un cuore dorato. Si sporsero a guardare l'acqua argentata del ruscello, e poterono vedersi riflessi tra le piccole onde.
C'erano, come dipinti sulla superficie del fiumiciattolo, due ragazzi di circa quattordici anni che si tenevano per mano, negli occhi l'esperienza e la seriteà di chi ha vissuto già una lunga vita. Di chi ha navigato su quella barchetta per tante, tante volte...
"Cosa significa tutto questo, piccolo sogno?".
"Che siete la quarta Alice, naturalmente".
"Ma insomma!", protestò Rin. "Si può sapere che cos'è questa quarta Alice?".
"La Regina Miku è... è proprio Miku? La nostra amica?", volle invece sapere Len.
"Certo che è lei".
Il bambino guardò la sorella:
"Sentito, Rin? C'è Miku! Andiamo!".
Rin sospirò e annuì, e il piccolo sogno slegò dal molo la barca, che prese a scivolare dolcemente lungo il corso del ruscello, verso il castello. Ormai nessuno pensava più alla visione di Rin.

Quando giunsero davanti al castello, Rin ne riconobbe l'entrata.
"E' quella porta nel muro di pietra che ho visto in corridoio!", esclamò. "Come fa ora a trovarsi qui in mezzo ai prati?".
"E' semplice. La porta verde da sull'entrata del castello, e basta. La porta gialla invece da su tutto il regno. Voi avete attraversato la porta gialla, vosì potete accedere al castello dal suo giardino".
"E come mai nel corridoio della porta verde c'erano le lucciole ed era buio?".
Il piccolo sogno sospirò.
"Perché quella parte del mio mondo non è stata creata da voi, e dall'amore che sapete portare ovunque andiate".
I due gemelli stettero in silenzio e il piccolo sogno, da solo, aprì il grande portone.
Dentro, l'immensa sala da ballo era vuota e in penombra, una penombra quasi piacevole dopo la luce splendente dell'esterno. I loro passi risuonavano con un'eco che giungeva fino all'alto soffitto affrescato.
"C'è nessuno?", esclamò Rin. La sua voce le tornò indietro.
"Rin, il piccolo sogno!", la richiamò il fratello, prendendola per il polso. "Se n'è andato!".
I due si guardarono intorno nervosamente, ma non c'era traccia dello strano fantasmino. Un attimo dopo il grande portone d'ingresso si richiuse alle loro spalle con un tonfo cupo e profondo.
"Ci ha chiusi qui dentro", disse piano Len con voce apatica.
"Vieni, Len". Rin lo condusse di corsa verso il sontuoso scalone. "Andiamo a cercare Miku".
Salirono i gradini, e mano a mano che andavano verso l'alto il buio aumentava. Le finestre erano coperte da tende che lasciavano filtrare via via sempre meno luce, e l'ultima dello scalone era chiusa da pesanti tendaggi di velluto che oscuravano completamente l'ambiente.
Era tornato il buio, buio come la notte.
"Pensavo che questo castello fosse un luogo sfarzoso", disse Len mentre si aggirava per la stanza completamente avvolta nell'oscurità. "Invece, con questo buio, sembra quasi... quasi cattivo. Come le rose verdi".
"Hai ragione, Len. Ma credimi, quando voglio so rendere questo posto il più sfarzoso di tutti".
Non era stata Rin a parlare, e nemmeno il piccolo sogno. Era una voce conosciuta, una vocina graziosa di bambina...
"Miku! Sei tu?".
"Sì, Len, sono io".
"Dove sei? Non ti vediamo!", esclamò Rin.
"Qui".
"Qui dove?!".
"Stai bene?".
"Certo che sto bene, amici miei. Ora farò un po' di luce, così potrete vedermi".
Una scintilla balenò improvvisa nell'oscurità, e una luce di fiammifero si accese proprio davanti a Rin. Due occhi dalle cornee completamente nere con al centro due piccole rose verdi la fissavano, folli e malvagi. Sotto di essi, nascosto da qualche filo di capelli bianchi e verde acqua, un ghigno si aprì in mezzo alle rughe del viso. Un ghigno fatto di denti storti. Qualcosa tra i capelli risplendette: una coroncina d'oro e smeraldi.
"AIUTO!!!", urlò Rin con tutte le sue forze. "LEN!".
La bambina fece un passo indietro, fissando terrorizzata ciò che aveva davanti. Uno specchio. La terribile visione era riflessa sulla superficie liscia di uno specchio. Rin si voltò, eppure dietro di lei c'era solo il fratello. Boccheggiò. Tornò a guardare lo specchio, il cuore in gola, e vide che una mano dalle dita ossute era uscita dal vetro e si allungava lentamente verso di lei.
"Rin, so che cos'è successo agli altri". Len era diventato bianco come un cencio. Qualcosa si era appena fatto strada nella sua mente. "Sono morti tutti. Meiko è stata la prima, Kaito il secondo, Miku la terza. Sono morti, Rin, sono morti!".
Proprio mentre la mano stava per afferrare Rin, alla luce del fiammifero che si era acceso nello specchio la bambina vide qualcosa sul pavimento. Rose verdi, centinaia di spinose rose verdi che avevano avvolto qualcosa. Qualcuno. Un ciuffo di capelli verde acqua spuntava tra le spine. E, sparso sul pavimento, un mazzo di carte da gioco... Probabilmente mancava l'Asso di Cuori...
Poi, improvvisamente, tutto tornò come prima. La luce si spense, la mano scomparve. Len e Rin erano insieme nella stanza buia e si tenevano per mano, respirando affanosamente e tremando. Era come se il tempo fosse tornato a pochi istanti prima.
"Bambini?".
Un fantasmino bianco era comparso vicino alle loro caviglie.
"Piccolo sogno!".
"E' tutto a posto, bambini, non preoccupatevi".
"Piccolo sogno, abbiamo avuto delle visioni! Il sangue... lo specchio...", cominciò Rin.
"Moriremo anche noi, piccolo sogno, non è così?", chiese Len. "Come tutti gli altri?".
"Calmatevi, bambini. Ora vi dico quello che c'è scritto nel libro di fiabe... ve lo ricordate il libro di fiabe?

E intanto entrano nel bosco due bambini
Tra le rose prendono il te con pasticcini

Dal castello un invito arriva a loro
Ed è... l'Asso di Cuori.
La quarta Alice: due gemelli, e la curiosità
Nel Paese delle Meraviglie è entrata già
Attraverso tante porte passano, di là,
Su una barca gialla vanno con felicità.
Lei idea non cambia mai
Lui molto sa e fa.
Ma le altre Alici sono troppo vicine, oramai...
Dal loro sogno magico, mai si sveglieran
Per sempre nel Paese delle Meraviglie andran.

Ecco. Non vedete che state benissimo? Dov'è il problema?".
"Moriremo, piccolo sogno! Io lo so!".
"Continuo a non capire dove sia il problema, Len. Voi state bene, così, no?".
"COSI' COME?!".
Il piccolo sogno fece una pausa.
"Nello stato in cui vi trovate ora. Voi siete già morti, bambini miei".
Len aprì la bocca per dire qualcosa, ma non riuscì ad emettere alcun suono. La voce del piccolo sogno risuonava nella sua testa - risuonava dappertutto - occupando ogni angolo del suo animo. Ed ecco che il cielo era giallo, un giallo freddo e spettrale, screziato da nuvole nere. Ecco che Len correva e correva per il grande prato, una ferita alla spalla che lo macchiava di sangue - la stessa spalla dove era stato toccato nella visione di Rin. Tra le braccia teneva proprio la sorella, morente. Correva e correva per il prato, mentre le rose gialle piangevano. Ed ecco che arrivava in uno strano posto pieno di pietre dalle forme particolari che sbucavano dall'erba. Correva tra le pietre cercando aiuto, ma lì non c'era anima viva. E quando si rendeva conto di essere finito in un cimitero, capiva che era giunta la fine, la prorpia fine e quella della sorella, e cadeva disperato in ginocchio di fianco alle lapidi dei suoi tre amici, pronto a dare un nome all'unica lapide che era rimasta senza iscrizione...

Ma in realtà era ancora lì, nella stanza buia del castello. Era morto, eppure i suoi polmoni trasformavano l'ossigeno in anidride carbonica come avevano sempre fatto. Era morto eppure era lì in piedi, a guardarsi intorno spaesato. La sorella, morta anche lei, ma con un cuore che, inspiegabilmente, batteva. Il piccolo sogno aveva ragione: stavano bene. Chissà quanto tempo sarebbe passato prima che si fossero accorti da soli di essere morti...
"Piccolo sogno. Come siamo morti? Ci hai uccisi tu?".
Il piccolo sogno sospirò.
"E' giunto il momento delle spiegazioni, credo", disse, e tutto si dissolse.





* * *
BUONASERA!
Eh, scrivere questo capitolo è stato impegnativo. Prima di tutto perché ho dovuto decidere come far morire quei benedetti figlioli, cosa che nella canzone non è chiara. Il testo dice "si spinsero troppo vicini alla prima Alice", quindi in teoria li dovrebbe uccidere Meiko, però in molti video ho visto che era Miku ad ucciderli, oppure le due se li "spartivano" D: anyway, mi sono presa una licenza poetica e ho cambiato il verso dove dice, appunto,
"si spinsero troppo vicini alla prima Alice", perché con la mia versione della storia è inesatto. Se qualcuno non ha capito come sono morti, no worry, nel prossimo capitolo si spiega.
Appunto... IMPORTANTE, la storia non è ancora finita, anche se la canzone invece lo è! Nel prossimo capitolo troverete TUTTE le spiegazioni, in primis il perché della familiarità della voce del piccolo sogno. Del quale mi sto praticamente innamorando, è un personaggio che adoro far vivere! Perché il prossimo capitolo dev'essere l'ultimo?! Sigh. (parlo come se stessi leggendo la storia di qualcun altro o.o)
AH, se ci sono errori di battutira vi prego di segnalarmeli, thanks!
Al prossimo capitolo (e ultimo),
SophIsabella



   
 
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