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Autore: SunVenice    27/01/2012    7 recensioni
Il governo mondiale ordina una strage oltre la Red Line, tre ragazzi sono costretti ad un doloroso esodo per recuperare almeno un pezzo della propria vita, e due mondi, da anni separati, si incontreranno sulla Grande Rotta, svelando un segreto che nessuno avrebbe mai voluto venisse divulgato. "Vuoi sapere chi sono?"
La storia continua dopo quasi tre anni di assenza! (psss! è anche ON HIATUS,perchè? Perchè sono masochista!)
Genere: Avventura, Azione, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Barba bianca, Marco, Nuovo personaggio, Portuguese D. Ace
Note: What if? | Avvertimenti: Triangolo
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Le Sirene di Fuoco'
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Kaizoku no Allegretto

L’allegretto del pirata 

Atto 19 -prima parte -

Atto 19, scena 1, Hell Glory

Non era stato l’urlo di per sé ad averla scossa. Di certo sarebbe stata una vera barzelletta se lei, proprio lei, si fosse spaventata per un grido simile, nemmeno lontanamente paragonabile ai suoi, più alti di almeno qualche centinaio di decibel.

Aveva alzato la testa dal cuscino con un ringhio sommesso, ancora troppo sbigottita dal sonno per partorire qualsiasi pensiero che non fosse direttamente rivolto a quella frase appena sbraitatale a pochi centimetri dalle orecchie.

SVEGLIATI STUPIDA IMBECILLE!!

Imbecille...

Imbecille.

... Imbecille.

Una parola che le rimbombò in testa per un tempo interminabile, senza significato, quasi inserita in un groviglio di altrettante sillabe e parole nebbiose.

Praticamente una goccia d’acqua sospesa nell’oscurità.

Senza senso, nè capo, nè coda.

Viola non era mai stata una grande fan delle lunghe dormite, anzi, su Nido Leila era addirittura quella che si riposava meno di tutte, svegliandosi al tramonto ed addormentandosi molte ore dopo l’alba.

Eppure, vuoi per le ferita, vuoi per l’enorme spreco di energie che l’urlare come una pazza le aveva richiesto giorni prima, realizzare quello che stava effettivamente succedendo, almeno nei limiti della stanza che le era stata messa a disposizione, le parve una vera e propria impresa.

Chissà... , forse perchè nessuno mai aveva osato svegliarla di persona e in quella maniera.

Ciondolò mugugnando mentre riemergeva dalle coperte con i capelli sconvolti e gli occhi ancora gonfi dal sonno, la parola nefasta ancora rimbombante nelle orecchie.

Un odore simile alla segatura le colpì il naso, facendoglielo bruciare dall’interno, e si ricordò di Morgan accanto a lei. Il bambino lucertola si era irrigidito come un pezzo di legno ed era quasi un miracolo che lo sentisse respirare in mezzo ai sottili scricchiolii che le sue squame emanavano.

Si strofinò gli occhi con una mano, non dando troppo peso alla cosa e fu allora che una minima parte del suo cervello cominciò ad elaborare quel poco di informazioni ottenute.

Le fasciature strette alle braccia. 

Il ricordi sfocati  di un letto morbido, il calore di qualcosa di secco e ruvido.

Capelli biondi...

La mano le si bloccò tra i capelli colta nell’atto di grattarsi la nuca e gli occhi le si sbarrarono inorriditi, immediatamente svegli e liberi dal torpore del sonno.

Capelli biondi...

Imbecille...

Fasciature alle braccia ...

Imbecille...

Il rumore di passi affrettati  nella stanza e della porta che si apriva e richiudeva le diedero conferma dei suoi sospetti.

“Signorina...” fece in tempo a sussurrare Morgan, nella speranza che l’argentata non fosse così arrabbiata da..

ARCH!!” Fu una fortuna che la gola le facesse ancora male e che il sonno le avesse anche impastato la bocca: non sarebbe stata i  grado di tenere la voce bassa mentre, brancolando nelle pesanti coperte del suo letto, si accingeva a rincorrere il cugino con il preciso proposito di distruggergli le ossa sane rimaste.

L’avrebbe anche fatto se di punto in bianco la porta non si fosse nuovamente spalancata, facendo ruzzolare all’interno della stanza un Archetto che, senza dar troppo peso all’argentata ed imprecando a mezza voce, si fiondò a capofitto nell’angolo più nascosto della stanza, sbattendo le spalle contro la parete di legno con un forte tonfo, facendo traballare le cianfrusaglie disposte sulle mensole.

Neanche un secondo dopo una serie di coltelli si conficcò nelle travi del pavimento, esattamente dove era passato il biondo, facendo ansimare dallo spavento Morgan, ancora rannicchiato sul letto in forma da rettile  scheggioso, ma solo per un istante non appena sulla soglia apparve la figura mastodontica , almeno per lui, di Eustass Kidd, che gli provocò un ringhio mezzo minaccioso all’altezza della gola.

Viola era rimasta impietrita ad osservare per qualche attimo le lame fermatesi a pochi centimetri dai suoi piedi, prima di posare lo sguardo sul rosso appena giunto.

Anche per riconoscere l’uomo che, con un ghigno raccapricciante, le si era parato davanti, il cervello, ancora intorpidito e bisognoso di una bella schiarita, ci mise un po’.

I ricordi dei giorni scorsi faticarono a tornare, ma, man mano che questi andarono a comporsi, i suoi occhi si allargarono sempre di più, pieni di consapevolezza.

Le ferite sulle sue braccia tornarono a bruciarle per un istante e sul suo viso, per una volta nella sua vita sciolto in un’espressione diversa dal solito cipiglio rabbioso, si contrasse nuovamente, puntando con uno sguardo fulminante il pirata.

Arch e Morgan, dalle loro postazioni, osservarono Kidd e Viola squadrarsi per pochi secondi, sia l’uno che l’altra dimentichi del biondo che era stato poco prima oggetto della loro furia.

“Ma buongiorno...” disse con una sottile nota di sarcasmo il pirata, studiando con voracità, a dire di Viola rivoltante, le forme della propria ospite, in quel momento molto lontana dall’essere presentabile con il corpetto allentato e i segni del sonno ancora ben evidenti addosso.

Viola rispose con un ringhio sommesso, bloccando il pirata dall’avanzare di un passo di troppo, per poi scoccare un’occhiataccia ad Arch, ancora addossato al muro con gli occhi blu sottili e guardinghi.

C’erano molte cose che la ragazza ancora non riusciva a capire e, almeno prima di cominciare a distruggere la faccia di quello schifoso umano depravato che le stava davanti per poi passare al cugino, volle tentare di fare una delle cose che Allegra le aveva suggerito fin da quando erano bambine: mettere da parte gli istinti omicidi e discutere.  

Arch...” cominciò, attirando su di sè l’attenzione del biondo “... che stramaledetti è successo mentre dormivo?

Il tono di voce non fu certamente uno dei più cortesi, ma, dopotutto, Arch non si sarebbe di certo lamentato: era già tanto che non gli si fosse fiondata addosso pronta a fare strage delle sue giunture ossee.

Morgan avrebbe tanto voluto chiedere cosa avesse effettivamente detto la più grande, ma, vista l’atmosfera creatasi, optò per il silenzio, continuando a puntare il pirata rosso a mascelle dentate semi-scoperte, sperando in cuor suo di risultare quantomeno minaccioso ai suoi occhi. 

Kidd, tuttavia, aveva smesso di prestare attenzione al bambino lucertola già da un bel po’ e le parole incomprensibili dell’argentata avevano fatto la loro parte, cancellando di netto il suo sorriso.

Quella era la seconda volta che sentiva parlare uno dei suoi ospiti in quella maniera. La sera prima il biondo si era addormentato borbottando qualcosa di molto simile, ma era stato un istante e non ci aveva riflettuto più di tanto.

Ora però che le parole erano di più e non potè fare a meno di notarlo.

Non era una lingua della Grande Rotta. Poco ma sicuro. Era troppo fluida.

E non furono solo questione di parole utilizzate, ma anche di tono e del modo di pronunciare le parole.

Alle sue orecchie l’intera frase, per quanto duro fosse stato il tono della stangona, era parso suadente, attorniato da una sorta di leggerezza paragonabile solo a quella del vento o dell’acqua che, per quanto forte potessero colpire o muoversi, rimanevano pervasi da quell’alone di mistero e sottigliezza intangibile.

Che razza di lingua era quella?

Si riscosse, scrollando lievemente la testa quando sentì il biondo risponderle. Non capì una sola parola di quello che si dissero, ma non fu certamente una discussione tranquilla da quel che dedusse dall’aspetto poco amichevole dell’argentata.

Hai richiamato un RE, Viola. Abbiamo fatto malapena in tempo ad andarcene dall’isola.

Dov’è la Clara?

Ci fu un attimo di silenzio scomodo da parte del biondo.

Andata.

Il rosso vide la ragazza serrare più duramente la mascella e gli occhi saettare per un attimo tutt’intorno alla stanza, forse non trovandola famigliare.

Dove siamo Arch?

La domanda era stata meno pesante rispetto alle precedenti, ma alle orecchie di Kidd parve la più pericolosa e il fatto che Arch si fosse per la seconda volta ammutolito di colpo gliene diede conferma. Poi accadde qualcosa di inaspettato: con uno scatto quasi felino Viola si lanciò sull’altro, mirando chiaramente ad afferrarlo per il collo e, chissà, magari tirarglielo anche come si fa con le galline.

Fortunatamente il biondo, quasi avesse previsto con largo anticipo quella mossa, si scansò giusto in tempo per vedere la mano dell’altra affondare nel muro in un mare di schegge.

DANNATO BASTARDO!!

Quell’urlo quasi lo sconvolse. Kidd era certo di non aver mai visto una donna più rumorosa di quella. E dire che la gola doveva anche esserle ancora dolente dopo gli strilli di tre giorni fa. Sogghignò deliziato, incrociando le braccia al petto, ormai dimentico dei suoi precedenti progetti di vendetta nei confronti della fatina.

Chi l’avrebbe mai detto che alla fine si sarebbe goduto uno spettacolo tanto interessante in prima fila?

“Signorina!!” esclamò il bambino lucertola ancora tra le lenzuola del letto, gli occhi gialli spalancati dal terrore.

Viola nemmeno si voltò verso il piccolo e caricò una seconda volta, stavolta riuscendo a sfiorare e quasi afferrare con una mano alcuni fili dorati dei capelli dell’altro, cercando di strapparli di netto.

Però... - pensò, colpito per l’ennesima volta, poggiando distrattamente la spalla allo stipite della porta - la fatina non scherzava a proposito della stangona, quando diceva che l’avrebbe ammazzato.

Arch, dopo aver scansato il secondo attacco, quasi inciampò nelle coperte del letto, scivolate a terra dopo che Viola si era alzata di scatto dalla branda, ma riuscì in qualche modo a rimanere in piedi, rifugiandosi dalle mani della ragazza continuando ad indietreggiare.

Kidd si accorse di una cosa e sfoggiò il più glorioso e subdolo dei propri sorrisi.

Intanto Viola era passata ad un altro tipo di attacco: il lancio di oggetti.

Il biondo scansò a malapena un pugnale di piccole dimensioni che, roteando di poco accanto alla sua spalla, andò a cadere con frastuono assurdo sulla parete dietro di lui.

Arch sapeva bene di averla fatta arrabbiare ed era in quello a cui aveva sperato quando, soppesando l’ira di Kidd con quella della cugina,  aveva deciso di svegliare quest’ultima, sbagliando clamorosamente e per la prima volta in vita sua i propri calcoli.

Uscendo dalla porta della stanza come un matto, pronto ad allontanarsi da quella bomba ad orologeria appena innescata di nome Viola, aveva incontrato niente meno che una seconda ondata di arnesi taglienti diretti verso di lui con il volto arcigno e spaventosamente incazzoso del pirata rosso a farne da sfondo.

Tornare nella stanza era stata una scelta obbligata, per quanto suicida, ma il rimanere fuori dall’uscio un solo nanosecondo di troppo lo sarebbe stato ancor di più, a meno che non mirasse a farsi qualche altro buco dopo quello de-..

Il pensiero che gli balenò in testa lo bloccò, lasciandolo ad occhi spalancati ad osservare il vuoto.

L’orecchino!!

A nemmeno un metro di distanza dietro di lui, Eustass continuava ad osservare il tutto con estremo divertimento, aspettando tranquillamente lo svolgersi degli eventi, come se quelli che gli si stavano scannando innanzi non fossero altro che una coppia di mocciosi attaccabrighe, piuttosto che una coppia di ricercati piuttosto suscettibili.

Trattenne una risatina rauca quando, chissà per quale colpo di fortuna, la Sollevapesi afferrò per il colletto il ragazzo, bloccatosi improvvisamente, avvicinandoselo quel tanto che bastò per sbraitarli in faccia quello che aveva da dirgli, qualunque cosa fosse.

CHE COSA HAI PROMESSO A QUESTA BANDA DI VERMI SCHIFOSI?! DIMMELO!

Un attimo di silenzio, in cui la testa bionda di Angelo infido parve ciondolare smarrita, prima di tornare a rispondere per le rime all’altra.

NIENTE! CAPITO? NON H-!

Un movimento delle mani e la Sollevapesi lo scaraventò lontano, facendolo rotolare letteralmente ai piedi di Eustass Kidd.

Cooff!!” tossì, sentendo i polmoni contrarsi e protestare dolorosamente per il colpo subito, e cercò immediatamente di rimettersi in piedi, ma qualcosa all’altezza della spalla, anzi, sulla spalla glielo impedì, inchiodandolo esattamente dov’era atterrato.

“Signor Arch!”

Non gli servì la voce allarmata di Morgan per capire cosa, o meglio, chi lo stesse effettivamente trattenendo.

Sentì il viso sbiancare lentamente, e,pregando il Grande Spirito per un miracolo, una catastrofe, una cosa  qualunque, lanciò un rapido sguardo in basso a sinistra.

Cinque dita smaltate attaccate ad una mano tozza e chiara lo salutarono deridendolo, facendo crollare di colpo ogni sua speranza.

“Andavi da qualche parte, fatina?”

Il primo istinto fu ovviamente quello di dimenarsi, stroncato di netto dalle dita del pirata, artigliatesi alla sua spalla come per cercare di penetrargli la carne, e da uno strattone ben assestato che non fu altro che uno dei primi.

Eustass fu più che felice di essere riuscito finalmente, anche se con un sotterfugio un po’ sleale, ad agguantare il biondino e, più lo trascinava per la spalla verso la porta, più pregustava la sua personale e piacevole vendetta progettata in precedenza.

Viola!!!” piagnucolò il biondino in quella strana lingua, continuando a cercare di fargli mollare la presa con colpi ripetuti al polso e cercando di fargli ritrarre le dita da quella che, sapeva benissimo, era una stretta dolorosissima, visto il punto della clavicola che stava impietosamente stringendo.

E strinse con ancor più decisione, ricevendo un rantolo soffocato che gli mandò ancor più sangue al cervello.

Roger ... che sensazione quella di avere l’assoluto controllo della situazione. 

Era talmente perso nelle proprie euforiche riflessioni che si perse un paio di sussurri e qualche scambio di battute di troppo tra i suoi due ospiti, ma che gliene fregava? L’unica cosa che gli interessava di vedere era l’esterno della stanza riservata alla Sollevapesi e nient’altro che non fossero i suoi alloggi privati come meta ultima!

Ci avrebbe pensato dopo a rendere omaggio anche alla stangona tett-.

Crack.

Per un istante fu certo di vedere il mondo traballare, incupendosi sui bordi, poi capì di essere stato colpito da qualcosa, letteralmente tra capo e collo.

La sensazione pungente di piccoli pezzi di legno più o meno all’altezza della nuca, unito all’intontimento dovuto al forte colpo subito, lo fecero voltare lentamente all’indietro giusto in tempo per vedere Angelo Infido sgusciare via dalla sua presa, approfittando di quel suo minuscolo attimo di distrazione che gli aveva fatto allentare le dita.

Subito dopo gli occhi furiosi della Sollevapesi entrarono nel suo campo visivo, talmente vicini da permettergli di notare che, incredibilmente, erano diventati rossi

E non per modo di dire.

Indietreggiò con la testa appena in tempo, più per la sorpresa che per il riflesso, prima che un pugno gli sfiorasse il mento squadrato.

Il disarmonico suono delle nocche dell’argentata scrocchiate una ad una fece da accompagnamento alla  sua figura scombinata e chiaramente furibonda che, avanzando verso di lui, lo indusse ad indietreggiare fino ad uscire sul ponte.

Le cicatrici sulle gambe e le braccia della Sollevapesi brillarono alla luce del sole, risplendendo bianche e lisce sul resto del corpo in modo inquietante. 

I segni del suo scontro con il Massacratore, richiusesi attorno gli innumerevoli giri di filo con cui Angelo Infido ne aveva costretto i bordi slabbrati, avevano dato vita ad una sorta di trama sulla pelle della ragazza, quasi un manto striato.

Viola grugnì infastidita dalla luce del sole, stringendo gli occhi scocciata.

Ritrasse le proprie fiamme dalle pupille, mormorando improperi verso il suddetto globo incandescente, tornando poi a dedicare ogni singolo grammo della propria attenzione verso il pirata.

Eustass la guardò con un pizzico di ammirazione mentre i suoi occhi ricadevano nel loro originale colore scuro come un paio di tizzoni ardenti freddati dall’aria invernale e la sua bocca sottile e dipinta si costrinse a recuperare un minimo della solita sfrontata compostezza, irrigidendosi quel tanto che bastò per non fargli assumere un’espressione strabiliata.

Non aveva capito un’accidente di quello che si erano detti i suoi ospiti, ma da come si erano accapigliati gli era parso che la stangona non si sarebbe certamente lamentata se ad occuparsi del biondino fosse stato qualcun altro.

Digrignò i denti.

Evidentemente si era sbagliato.

Alzò la mano destra con il palmo verso l’alto e le dita mezze piegate.

Tutte le armi sparse sul ponte iniziarono a lievitargli attorno, attratte dal centro magnetico che aveva creato proprio al centro della propria mano, ma questo la ragazza non poteva saperlo e, con un certo compiacimento, la vide bloccarsi ed allargare gli occhi, completamente presa alla sprovvista.

Viola flesse le ginocchia grugnendo alla faccia euforica del pirata e si preparò a scattare in qualsiasi momento: vedere una simile quantità di armi metalliche svolazzare liberamente per aria guidate da un singolo movimento del rosso non fece che aggiungere altro malumore a quello che già provava, specialmente dopo quello che Arch le aveva detto.  

Maledetto...” ringhiò correggendo immediatamente la lingua “ ...Hai davvero mangiato uno di quei frutti marci. Vero?!”

“Ooh! Molto acuta, bambolona.” la schernì divertito, avvertendo finalmente di star recuperando il controllo della situazione “Anche se mi stupisce che solo la fatina là dentro se ne sia accorta prima.” Aggiunse allusivo con tono di scherno, ottenendo esattamente quello che voleva, ovvero, farla scattare.

Come previsto, le spalle della Sollevapesi scattarono in avanti, pronte a caricare, ma, come succedeva maledettamente spesso di recente, qualcosa mandò a monte i propri progetti, impedendogli di lanciare gli oggetti taglienti sotto il suo controllo per tagliuzzare i vestiti già sgualciti della ragazza.

“Ferma Viola!!”

La voce di Arch Angelo Infido intervenne giusto in tempo per rompergli le uova nel paniere.

Merda. - imprecò internamente, dovendo rinunciare alla deliziosa prospettiva di far cadere nel più completo imbarazzo la panterona isterica che aveva di fronte.

Il biondo uscì alla luce del sole con calma, seguito a ruota dalla sagoma tremante di Morgan, accostatosi con timore vicino allo stipite della porta dopo aver riassunto forma umana.

Kidd detestava essere interrotto, quindi gli venne più che naturale progettare, anche solo per un attimo, di scagliare giusto un paio di spade dritte addosso alla fatina impertinente.

Il motivo per cui non lo fece fu senza ombra di dubbio legato al fatto che, per un altrettanto breve istante, la Sollevapesi parve essere del suo stesso avviso, mentre si voltò di scatto verso il compagno di viaggio.

“Arch...” righiò in tono per nulla affabile l’argentata “... hai intenzione di cucirti la bocca da solo o ci devo pensare una volta per tutte io?!”

Angelo Infido scoccò uno sguardo gelido e colmo di sfida all’altra e, Eustass notò che lo fece zoppicando leggermente, continuò a camminare verso di lui, arrivando infine a poco più di un metro di distanza davanti alla ragazza, interponendosi così tra di loro.

Il pirata lo guardò stranito, inarcando un sopracciglio sulla fronte solida, mantenendo sempre le armi metalliche sospese, pronte ad attaccare ad un proprio cenno.

Doveva ammettere che il fegato ed il sangue freddo a quella fatina non mancavano. Non era da tutti stare fermi ed impassibili davanti a delle lame affilate puntate dritte verso di te.

La mano del biondo si tese verso di lui a palmo aperto, attendendo, chissà perchè, di essere riempita.

Non fece in tempo a chiedere spiegazioni che la voce monotona del ragazzo intervenne in suo favore.

“Credo che lei abbia qualcosa di mio, capitano.” 

Ora, non che Kidd soffrisse di manie di persecuzione... oh, bhe.. forse un tantino, ma gli sembrò che la sua carica fosse stata pronunciata con una nota di scherno e disgusto.

E gli piacque. 

Oh, sì. 

Un mondo.

Lì per lì non capì a cosa esattamente si stesse riferendo Angelo Infido, né gli interessò granché, troppo preso dall’accorgersi del brusio che, pian piano, era andato ad aumentare alle proprie spalle, segno che la sua ciurma, attratta dal casino decisamente poco convenzionale a quell’ora, anche se sulla Hell Glory, si era radunata in coperta.

Ehihihihi! Sembra che il capitano abbia già cominciato le avances!” ridacchiò uno dei suoi in prima fila, provocando qualche commento generale che lui, nel modo più assoluto, non gradì.

“Dici? Ahahaha! Credevo fossero finite nel momento in cui ha rischiato di rimetterci i coglioni!”

“Non sarà facile da ammansire quel tipetto.” “C’è mai stata una conquista del capitano che lo sia mai stata?” “Mai.” “Appunto.”

“FATE SILENZIO VOI!!”

Davanti a lui Arch continuò a tenere la mano tesa, in attesa, per nulla disturbato dallo scatto del più alto, ma  comunque impaziente.

“Il mio orecchino, Kidd.” sibilò stringendo gli occhi cobalto.

Eustass ebbe un attimo di smarrimento, prima di afferrare appieno quello che la fatina gli aveva detto e storse la bocca in una smorfia incredula.

“L’orecchino?” ripetè, lanciando una rapida occhiata a Viola, ricevendo conferma dalla faccia ancora furiosa della ragazza.

Le lame e le armi che aveva tenuto a mezz’aria caddero allo stesso tempo, provocando un frastuono assordante.

“Avete fatto tutte queste storie per un fottuto orecchino?!” disse ancora incredulo, ripercorrendo tutto quello che era stato costretto a subire da parte dei due, comprendente sia il danno alle proprie parti basse che il repentino sbalzo d’umore della panterona. 

“Se fosse solo un fottuto orecchino non saremmo qui.” specificò a mezza voce Arch, stendendo le braccia lungo i fianchi, facendo di tutto per ignorare Viola che, dietro di lui, scalpitava.

“Tre giorni fa su quell’isola me lo hai strappato via dall’orecchio.” si indicò il lobo sinistro, dove ancora erano visibili alcune tracce di sangue incrostato. “Adesso lo rivoglio, Kidd.” concluse tendendo nuovamente la mano in avanti.

Kidd osservò il palmo aperto offertogli pensieroso, il suo solito sorriso da iena scomparso come ghiaccio al sole, e con un turbinio di ragionamenti a rimbombargli in testa.

L’orecchino.

Si ricordava di un orecchino. L’aveva visto penzolare all’orecchio dell’angioletto poco prima di cambiare il proprio stato magnetico e disarmarlo dei coltelli. Però non ci aveva fatto molto caso e di certo il biondino non gli era parso particolarmente preoccupato di averlo perso.

Che importanza poteva avere poi un gingillo così insignificante?

Magari affettivo? 

E montare su un simile casino per un normalissimo accessorio?!

Anche se ... ripensandoci... c’era stato qualcosa di strano.

Non gli era mai capitato che a rispondere al suo magnetismo fossero oggetti tanto piccoli. D’accordo, chiodi, bulloni ed altri oggetti metallici non contavano perché comunque di lega abbastanza sensibile all’influenza del suo magnetismo, ma un gioiello non aveva mai risposto in modo tanto netto al potere che gli derivava dal Frutto del Diavolo.

Questo perchè la maggior parte della bigiotteria che la gente indossava, fatta eccezione per i Nobili che certamente non potevano sminuire le proprie figure con volgari fondi di bottiglia intagliati, avevano una percentuale minima di potenziale magnetico, dovuto alla bassa presenza di metalli preziosi o comunque pesanti.

E questo voleva dire che...

Stese finalmente le labbra, ghignando.

Arch fece in tempo a ritrarre la mano prima che le dita di Eustass Kidd gli si chiudessero attorno al polso.

Un coro di risatine a stento trattenute serpeggiò tra i pirati radunati poco più avanti e il capitano non fu certo da meno, sfoggiando la propria dentatura da iena come mai in vita sua.

Angelo Infido trascinò un piede all’indietro, avvertendo chiaramente che il rosso aveva realizzato qualcosa. Dannazione, ma perché tra tutti i pirati che giravano per la Grande Rotta dovevano beccare l’unico con abbastanza cervello da fare due più due?

Gli occhietti neri di Kidd brillarono vittoriosi alla reazione del biondino.

“Di cos’è fatto quel gingillo?”

Arch avrebbe tanto voluto alzare gli occhi al cielo e maledirsi in tutti i modi possibili ed immaginabili, ma ci avrebbe comunque pensato Viola quindi, perché disturbarsi?

“In che senso?”

“Oh, piantala con la commedia angioletto. Io sono magnetico, attraggo oggetti metallici di qualunque dimensione e misura a metri di distanza, non gioiellini comuni come quella pagliuzzetta dorata che avevi all’orecchio e, a meno che tu non sia un Nobile, il tuo amato orecchino non può essere fatto di puro metallo prezioso.”

Il biondo rimase zitto. Non sapeva cosa rispondere a quelle parole, pur comprendendone il ragionamento logico.

Si trovò combattuto sul da farsi. Che fare? Vuotare il sacco ed assicurarsi così un’ora o due di fuga dall’ira di Viola o continuare a negare, rischiando di peggiorare così la situazione?

Tentennò e non era una cosa che gli accadeva molto spesso. Solitamente era molto bravo a concepire strategie, ma il pirata che aveva dinanzi era un individuo assolutamente imprevedibile, in grado di mandare in fumo anche il più fine e studiato dei propri ragionamenti. Avrebbe dovuto però saperlo, fin da quando avevano oltrepassato l’Orizzonte Rosso, che gli umani avrebbero potuto rivelarsi più problematici di un comune mostro marino o infernale del Nuovo Mondo con cui era abituato ad avere a che fare.

Il collo tozzo del capitano si torse un po’ di lato in modo inquietante, permettendo al proprio sguardo rapace di sondare da capo a piedi sia lui che Viola.

“E da quel che vedo non siete nemmeno muniti di Log Pose o altro. Dimmi, come avete fatto ad orientarvi in un mare come questo?”

O forse erano semplicemente più intelligenti di quel che pensava. Stava intuendo fin troppe cose per i suoi gusti.

Questo però non comportava assolutamente un punto a suo favore. Anzi, la situazione rimaneva invariata. Lui rivoleva indietro l’orecchino, doveva riaverlo, e avrebbe lottato per ottenerlo.

“Dammi l’orecchino e lo saprai.” affermò deciso, ma il sorriso del rosso non accennò a sfumare neanche di un millimetro e questo, aveva imparato in poco tempo, non era un buon segno.

“Non sei nella posizione per dettare condizioni, angioletto.” ridacchiò Kidd “Perchè invece di fare il difficile non facciamo una chiacchierata io e te a quattrocchi? Credo che tu abbia parecchie cose da dirmi e chissà, se riuscissi a riscuotere il mio interesse, potrei anche pensare di restituirtel- ouch!...” 

“Hai detto la tua ultima sillaba di troppo, verme bipede!!”

Kidd scrollò la testa, capendo che a colpirlo dritto in mezzo agli occhi era stato un pezzo di legno ricurvo, saltato fuori da chissà dove, e che, a lanciarlo era stata, neanche a dirlo, la stangona argentata.

“VIOLA!”

“Zitto Arch! Se l’è cercata!” sbraitò di rimando la ragazza, tenendo nel frattempo per la coda uno spaventatissimo Morgan sotto forma di lucertola che, con un paio di lacrimoni agli o occhi, tentava invano di sgusciare lontano dentro le ombre sicure della stanza, artigliando il pavimento e puntandosi con tutta la forza che poteva, guaendo mortificato.

“Non c’era bisogno di strappare una squama a Morgan! Mollalo Viola!” sbottò, girandosi all’indietro, il biondo, guardando con rimprovero la ragazza continuare ad infierire sulla corazza del povero cucciolo rettile, tentando continuamente di strapparne ancora un paio di pezzi.

“Può sopravvivere benissimo anche con una o due di meno!”

“Signor Arch!!!” l’urlo disperato di Morgan si aggiunse ai suoi lamenti acuti, zittendo dallo sconforto ogni pirata presente. 

Caspita, quelli sì che erano suoni strazianti.

Imprecando sottovoce, Arch si voltò completamente verso la ragazza e, con un paio di falcate ben calcolate, le fu subito accanto, fermandole con una mano il braccio occupato a fare razzia di ciò che ricopriva il corpo di Morgan.

“Me la cavo io con l’umano, Viola. Tu fatti da parte e smettila di fare del male a Morgan!” disse di getto, riuscendo a bloccare le azioni sconsiderate della compagna che, a quelle parole, si girò verso il biondo con un’ombra di indecisione ad attraversarle gli occhi.

Tutto nel giro di pochissimi attimi, prima che un movimento sul proprio collo avvertì, decisamente con troppo ritardo, Arch dell’avvicinarsi di una mano, prima che questa gli si stringesse attorno al proprio collo.

Il rantolio sorpreso di Viola non fu che un sussurro paragonato al suono del pavimento che si abbatté sul suo viso.

“Preso!” esclamò trionfante Kidd, inchiodando a terra il biondo con una mano, avvertendo sotto le dita i muscoli della gola contrarsi in cerca d’aria.

Un paio di pirati borchiati esultò all’azione del loro capitano, ma solo per mordersi la lingua, vedendo un piede della Sollevapesi abbattersi  repentinamente sul naso del rosso.

Giù le mani dal bastardo, faccia da Vermsoglia!” esclamò l’argentata, scaraventando il pirata all’indietro in un groviglio di versi doloranti ed imprecazioni.

Libero dalla stretta al proprio collo, Arch provò subito a mettersi in piedi, rantolando con la testa piegata in avanti tossendo un po’ e scattando poi con la testa verso il pirata, ancora a terra con le mani strette sul proprio naso, seminando improperi al cielo senza quasi prendere tempo per respirare.

“Capitano!” “KIDD!” esclamarono i suoi facendo un passo per accorrere in suo aiuto, ma vennero prontamente bloccati da un braccio teso alla fine del quale faceva la propria figura una lama ricurva ed appuntita.

“Killer!!” “Che ti prende!? Facci passare!”

La maschera striata del Massacratore si voltò verso i propri compagni sondandoli senza emozione, tornando poi alla figura del capitano, rimessosi lentamente in piedi.

“Lasciatelo fare.”

Se fossero stati davanti a Kidd i pirati della Hell Glory avrebbero potuto assistere in prima fila all’espressione più feroce e crudele del loro capitano, ma questo, purtroppo, fu un privilegio di cui solo Arch, Viola e Morgan poterono vantare.

Un gesto secco della mano destra, poi della sinistra e le armi tornarono a lievitare, tintinnando minacciose.

REPEL!” 

Ai tre sventurati si mozzò il fiato in gola guardando quello stormo grigio di lame puntare dritte verso di loro. Fu tutto talmente veloce da impedire quasi loro di realizzare quanto successo, almeno finchè non si ritrovarono centinaia di oggetti appuntiti a solleticare loro le gole.

Ferme. Immobili.

Arch potè vedere il filo di una lama sfiorare di poco il suo occhio destro ed avvertì moltissime altre puntellargli il resto del corpo.

Stentava a respirare. Un solo millimetro di troppo e si sarebbe ritrovato a competere il titolo di colabrodo con l’omonimo utensile.

Stessa cosa per Viola e Morgan, con la sola differenza che Morgan, ritraendo la propria forma animale, riuscì a sgusciare via, annaspando all’indietro sul pavimento con neanche tutte le squame ritratte, lasciandone qualcuna sulla fronte e le guance.

I passi pesanti degli stivali di Kidd  scandirono il tempo in cui furono costretti all’immobilità.

“Vediamo di chiarirci subito, carissimi ospiti.” sibilò a denti stretti il rosso, ma non stava affatto sorridendo. 

E quando Kidd non sorrideva era come avere una raccomandazione per l’altro mondo.

Il rosso circuì i due come un grosso avvoltoio, osservando con interesse le loro espressioni inorridite e spaventate. Si avvicinò  ad Arch osservandolo intensamente dall’alto, studiando i suoi occhi cobalto tremare e diventare liquidi dallo sforzo di mantenersi aperti.

“Magari cominciando dalle presentazioni: Sono Eustass “Captain” Kidd e quella dove ora vi trovate ... è la mia nave. ” dichiarò ritraendo finalmente le lame anche se solo di un paio di centimetri, conquistando un piccolo respiro di sollievo da parte dei due.

“Qui prendo io le decisioni, qui si rispettano le mie regole, e se non vi piace...” un cenno da parte di entrambe le mani e i coltelli tornarono esattamente dove erano state.

Una goccia di sudore colò da entrambi le fronti dei due ragazzi, ora di nuovo occupati a regolare il respiro.

“Beh...” sorrise infine Kidd,  ritraendo le proprie mani più verso le spalle, muovendo di conseguenza gli arnesi “... credo che il concetto sia chiaro, no?”

Arch e Viola crollarono inginocchio a terra boccheggiando con il cuore nelle orecchie.

Mai stati così vicini alla morte prima di allora. Il Demone Rosso e Nero era stato nulla a confronto.

Angelo Infido sentì di nuovo una mano sfiorargli il collo, serrandoglielo in una morsa meno forte, ma non meno decisa. Questa volta però lui non fece nulla per sottravisi e lasciò che Kidd lo costringesse a rimettersi in piedi, non mancando comunque di giurare vendetta appena possibile.

“Abbiamo una chiacchierata da fare io e te, fatina.” sogghignò il rosso cominciando a spingerlo in avanti, costringendolo a camminare.

ARCH!” proruppe la voce di Viola allarmata.

“Killer, tienila a bada.”

Bastò quello e subito la sagoma slanciata del Massacratore si fiondò sull’argentata, bloccandone i movimenti con le lame ricurve incrociate sotto la sua gola.

“Uunggh!”

“Signor Arch!” esclamò stavolta Morgan, facendo per lanciarsi in suo soccorso, ma un’occhiata da parte del pirata lo bloccò dalla paura.

Con una risata gutturale Kidd lo portò via, senza però sapere che nella sua testa bionda il pensiero della rivincita non era stato affatto domato.

Il rosso aveva vinto un match, ma la partita restava aperta.

 

Atto 19, scena 2, Moby Dick

 

Il ponte della grande nave Balena dal placido e quieto piazzale a cui si era abituata in quel momento non era altro che un miscuglio di ordini urlati e figure umane agitate.

“Presto!! Presto!! Spiegate tutte le vele!” “Aumentiamo la velocità più che possiamo!”

Allegra guardava i suoi fratelli acquisiti scattare da una parte all’altra e lei, giunta da poco in coperta, non poteva fare a meno di considerare ammirata e forse anche un po’ intimorita, come tutta quella frenesia le ricordasse l’atmosfera della sua isola.

Le palpebre le si allargarono, mentre stupita vedeva sagome femminili e svelte sovrapporsi a quelle maschili  dei compagni persi nella confusione degli ordini dettati a voce alta dai comandanti.

O forse... no ... quello che lei ricordava non era un momento così teso. Ricordava velocità, premura, ma di certo non paura.

“Momo!!” due mani le si posarono bruscamente sulle spalle, riportandola alla realtà.

Marco le si accostò col respiro leggermente accelerato e con in viso un’espressione contrariata.

Allo sguardo severo della Fenice la Paradisea ingoiò un po’ di saliva. 

Decisamente saltare via e dirigersi a gran velocità sul ponte, ignorando le urla di divieto del biondo, non era stata una grande idea, ma era stato più forte di lei.

Una volta giunte dall’altra parte della nave era stata poggiata delicatamente a terra dal Comandante della Prima flotta, ma, non appena messi i piedi per terra lo scoppio di un’altra palla di cannone le aveva fatto rizzare i capelli sin dietro la nuca, portandola a gettarsi letteralmente nei corridoi e guidandole le gambe prima che potesse rendersene conto.

Sentì le mani sulle sue spalle stringerla un po’ più forte e vide la bocca di Marco aprirsi per dire qualcosa.

Il fischio di un’altro globo metallico li distrasse appena in tempo perchè la Fenice, con riflessi degni della propria carica, si accorgesse del pericolo e la prendesse nuovamente in braccio, uscendo con un balzo fuori dalla traiettoria del proiettile sferico.

Allegra trattenne il respiro con gli occhi talmente sbarrati da risultare tondi, guardando con orrore lo squarcio che la palla aveva creato proprio dove pochi istanti prima erano stati lei ed la Fenice.

Con un rapido movimento delle braccia Marco la rimise giù, fronteggiandola però subito dopo sempre con lo stesso sguardo accigliato.

“Torna immediatamente giù.” disse perentorio il comandante in prima, con una voce talmente limpida da sembrare irreale in mezzo a tutto il trambusto che li circondava.

Processare le parole dell’altro le richiese più tempo del normale, ma, non appena carpito l’ordine espresso dalle parole del ragazzo, che in quel momento le stava chinato leggermente davanti, non potè fare a meno di sentire qualcosa scattarle dentro.

Un’assoluta, categorica negazione ad accettare quelle parole.

Quell’ordine.

Sentì le guance imporporarsi di botto e il calore scenderle come lava bollente lungo le braccia.

Marco quasi saltò all’indietro vedendo di colpo le fiamme della Paradisea divampare rabbiose, candide, senza neanche passare per il giallo, seguendo l’espressione rigida e seria della ragazza, accigliatasi pochi istanti prima che le lingue infuocate tornassero a ricoprirle braccia e capelli.

A braccia lungo i fianchi la creatura che prima aveva raccolto da un miscuglio di polvere e schegge in infermeria, in quel momento lo stava letteralmente fronteggiando, negandogli l’autorità che per diritto e necessità aveva reclamato su di lei.

Era pur sempre un comandante sì o no?

Gli occhi cerulei della Fenice risposero per le rime allo sguardo di sfida della Paradisea, rispondendo allo stesso modo.

“Momo.” la richiamò duramente, sperando di riuscire a farla ragionare. Non sapeva combattere e di certo il ponte non era esattamente il posto migliore dove potesse stare durante un’attacco avversario.

“Torna in sottocoperta.”

“No.”

Pochi metri più in là Vista, Satch e alcuni dei componenti più vicini lasciarono le mascelle libere di ciondolare, fissando letteralmente sconvolti la piccola, anche se per motivi ben diversi l’uno dall’altro.

Vista e gli altri l’avevano finalmente sentita parlare di giorno senza trillare come un campanello da pesca per dei Re dei Mari, il secondo per averla, effettivamente e senza alcuna ombra di dubbio, sentita dire esplicitamente di no ad un ordine diretto di Marco.

Chi altri sulla Moby poteva vantare di una cosa simile?

Marco era un ottimo compagno, severo, naturalmente autoritario, coerente  e votato al comando in maniera quasi innata, quindi nessuno si era azzardato mai a negargli l’autorità conferitagli sia dalla sua stessa carica.

Nemmeno il diretto interessato parve credere alle proprie orecchie e sulle prime si trovò indeciso su cosa fare: infuriarsi oppure assecondarla?

Da una parte quegli occhi a lui tanto cari, rimasti  in quel momento del loro colore naturale, apparivano talmente decisi da tacere quasi ogni suo dubbio sul fatto che potesse resistere in coperta, ma dall’altra, a tirare fastidiosamente, c’era il suo orgoglio, quello che la secca risposta di Momo aveva ferito come una coltellata. 

Vinse l’orgoglio.

“Momo. Torna. In. Coperta.”

A quell’ennesimo ordine la ragazza si accigliò ancora di più, puntellando le mani scoppiettanti sui fianchi, sondando attentamente l’espressione dell’altro a labbra strette.

Satch si concesse di deglutire a vuoto per la tensione creatasi.

Per mille scialuppe bucate, l’aria era talmente densa da poter essere quasi tagliata con un coltello!

Cos’era uno scontro tra titani?!

La ciurma e lo stesso Bianco, straordinariamente calmo nonostante fosse seduto sotto una pioggia di cannonate da far invidia alla marina, videro Marco rispondere allo sguardo rovente della paradisea divampando fiamme azzurre sulle braccia, tramutandole in pochi istanti in un paio di ali azzurre. 

Momo sembrò a quella vista tentennare, ma solo per un attimo, prima di fare una cosa totalmente inaspettata.

Sorrise.

“Costringimi.”

E in un lampo bianco sparì, riapparendo proprio accanto sartie, dove un gruppo di uomini stava salendo per sistemare in modo appropriato le vele.

Una rapida occhiata colma di vittoria verso la Fenice e la ragazza si rivolse verso i suoi altri fratelli, sbalorditi quanto lo stesso comandante, chiedendo tra i fischi continui delle palle di cannone:

“Ditemi cosa fare.”

Un attimo di smarrimento. La manciata di uomini appeso alle cime per un attimo si chiese cosa fare. Avevano sentito anche loro l’ordine perentorio di Marco e di certo non ci tenevano ad andare in contro a una severa e giusta punizione per aver ignorato un suo ordine, d’altra parte... loro erano della Terza flotta.

All’unisono i malcapitati cercarono lo sguardo burbero del proprio comandante, vedendolo deviare appena in tempo un proiettile passato troppo vicino al Babbo, mentre un altro ancora veniva fatto esplodere da nientemeno che un’occhiata dello stesso gigante.

Ecco perchè Oyaji non interviene! - si disse Allegra, inarcando un sopracciglio, ammirata dal padre adottivo e dall’amico, il quale, nonostante la ferita, continuava a girare attorno ad Oyaji  proteggendolo a suon di pugni adamantini, pur tenendosi il fianco incrinato durante i contraccolpi.

La ragazza tornò sui propri fratelli, ma questi, evidentemente non avendo ricevuto alcuna risposta dal comandante in terza, fecero le spallucce dispiaciuti, tornando rapidamente ad arrampicarsi verso la vela maestra.

Contrariata, Allegra sbatté un piede a terra, gonfiando le guance.

Diamine. Finalmente riusciva a parlare, non senza poca fatica, in pieno giorno e quelli che facevano? La ignoravano! Insomma! Sapeva anche lei fare qualcosa!

O forse era una dote naturale di quelli della terza flotta essere di poche parole?

Due ali acquamarina le si circondarono per poco attorno, dandole appena in tempo la possibilità di fare un piccolo salto e sgusciare via.

Si trattenne dal lanciare un grido di stupore, non essendo certa di riuscire a mantenere il tono di voce basso.

Gli occhi azzurri di Marco la inchiodarono di nuovo, minacciandola di riprovare a trascinarla di peso in sottocoperta se non l’avesse nuovamente ascoltato.

Momo.” l’avvertì stavolta con voce incrinata da una nota di impazienza.

La ragazza fece per dare aria alla bocca, quando un fischio poco promettente le solleticò un’orecchio. 

In attimo la Paradisea si trovò con una palla di cannone vagante che le passò a pochi centimetri dallo stomaco, tonfando miracolosamente dall’altra parte della nave con uno scroscio d’acqua senza provocare alcun danno.

L’intera nave trattenne il fiato.

La ragazza, che nello stupore si era bloccata con gli occhi sbarrati e fissi nel vuoto, parve per qualche secondo come caduta in trans. Le fiamme, come partecipi di quel momento di confusione, si erano leggermente ritirate, riassumendo il solito colore giallognolo, ma tutta la ciurma sapeva che, come già successo una volta, il piccolo scricciolo non era tipo da scoppiare in lacrime davanti una cosa simile. 

Spaventarsi sì, ma sicuramente rannicchiarsi e implorare aiuto non più.

Non dopo aver preso abbastanza coscienza di sé e delle proprie capacità.

Marco la vide girarsi piano, verso la nave avversaria di colpo zittitasi, sicuramente per via delle munizioni, che, decisamente, dovevano essere terminate, e sbattere un paio di volte le palpebre ... prima di riaccendersi di bianco e con gli occhi che mandavano saette per la rabbia.

“Oh per la Marina!” imprecò Satch schiaffandosi una mano sulla fronte. Ci mancava solo lo scricciolo a dare di escandescenze! Veloce come un felino il comandante della quarta flotta si girò verso Marco che, preso alla sprovvista dalla rapidità con la quale era successo il tutto, si era bloccato ad osservare la ragazza assumere quell’aspetto selvaggio e quasi feroce che le aveva visto assumere la prima volta quando si era lanciata all’inseguimento di Monster per riavere indietro una mela.

A Satch però cosa stesse pensando il biondo non interessava e di certo non ebbe il tempo per farlo.

“Marco! Fermala! Prima che-”

Troppo tardi.

Un battito di ciglia e la ragazza era saltata verso la nave avversaria.

Disperato il biondo dal pizzetto si lasciò cadere a terra, sconsolato, mentre al suo fianco si radunarono subito gli altri comandanti.

“Scriccioloooo...!” lamentò semplicemente prima di lasciar ciondolare la testa con uno sbuffo affranto “Non pensavo fosse capace di simili colpi di testa.”

Una risata discreta di Vista aiutò ad alleggerire la tensione, nonostante Marco non parve volersi staccare di dosso la propria espressione corrucciata, sicuramente troppo conscio della gravità della situazione per potersi rilassare.

Semplicemente la Fenice guardò la fiammella bianca quale era diventata Momo tracciare un’arco in aria e cominciare ad atterrare con apparente lentezza sull’imbarcazione di Doma. Avvertiva una certa delusione per non essere riuscito a fermarla e il fatto di averla vista fiondarsi letteralmente sul pericolo non faceva per nulla da consolazione.

Si accorse di essere osservato e, constatando di essere effettivamente tenuto sott’occhio da quasi tutti sulla nave, Oyaji compreso, sciolse le braccia dal petto ed iniziò ad incamminarsi verso il parapetto a ringhiera della nave, già con qualche piuma infuocata a brulicargli sulle braccia.

“Vado a recuperare quei due.” disse monotono, riferendosi anche ad Ace, certamente occupato a darle di santa ragione a Doma da qualche parte nella sua nave. Caricò il peso su una gamba, innalzandosi sul parapetto, e si lasciò cadere nel vuoto per un piccolo tratto, prima di portare indietro le ali e dare una delle tante falcate che l’avrebbero mantenuto in aria.

Assumendo piena forma di Fenice, Marco guardò prima disinteressato poi con sospetto la nave del Boemo.

C’era troppa calma.

Non era da Ace fare così poco casino. 

Certo, non sarebbe stato male se Ace si fosse finalmente dato una calmata, ma pensare che da un giorno all’altro avesse cambiato il suo modo di fare, specie nei confronti di Doma, era come sperare che i Cinque Astri tirassero le cuoia tutti insieme nello stesso giorno.

Tecnicamente impossibile. 

“Che diavolo combini Ace?” sussurrò, intercettando nel frattempo la figura più piccola e graziosa di Momo. Era praticamente circondata da alcuni compari del Boemo, più spaventati che agguerriti, ma comunque bene armati. Nonostante però la netta posizione di svantaggio il biondo non la vide indietreggiare nè cambiare atteggiamento di un millimetro, mantenendo la schiena ben ritta, dando l’impressione di essere più che sicura di quanto stava facendo.

La Fenice sospirò.

“Ace deve aver avuto una brutta influenza su di lei.” mormorò, preparandosi a planare.

  

Atto 19, scena 3

 

Guardandosi attorno Allegra constatò con ancora la vista annebbiata dalla furia bianca delle sue fiamme  di essere letteralmente circondata da niente più che un semplice branco di mercenari tremanti di paura.

Da come la guardavano stralunati, le mani strette convulsamente attorno all’impugnatura delle loro spade, quei poveracci non desideravano altro che fuggire a gambe levate lontano da lei e dalla nave del Babbo. Con tutta probabilità erano stati pagati a dir poco profumatamente per essere lì, a sparare contro una nave gremita dei pirati più pericolosi al mondo fino alle stive.

La Paradisea storse la bocca al pensiero nauseabondo di come in quel mondo, così lontano dalla sua casa, bastasse il tintinnare di qualche spicciolo per comprare la libertà di una persona.

Ma non era per quel motivo che si era lanciata sulla nave del Boemo.

Lottando per ritirare almeno la luce di cui erano intrise le sue pupille, iniziò a sondare il resto dell’imbarcazione, aspettandosi di vedere da un momento all’altro Ace ed il capitano della nave piombare da chissà dove mentre se le davano di santa ragione.

Aveva un bel po’ di cosette da dire al carissimo Doma il Boemo. 

A cominciare dalla sua brillante idea di rischiare di prenderle in pieno lo stomaco con una palla di cannone. 

Nulla di quello che si aspettava, nessun rumore, nessun urlo o imprecazione che le ricordasse, anche lontanamente,  la voce del comandante della seconda flotta, le solleticò l’orecchio.

Anche dopo un minuto buono a tendere i sensi al massimo l’unico rumore che Allegra poteva percepire era lo stridore nervoso dei denti degli sgherri di Doma.

Le sue pupille si dilatarono, mentre un terribile presentimento la colse impreparata.

Fece in tempo a voltarsi di scatto verso la ciurma tremante del Boemo, provocando un sussulto generale, prima di sentire un battito d’ali crepitante avvicinarsi.

Alzò la testa, ignorando gli urli spaventati che seguirono di quell’apparizione azzurra, non stupendosi più di tanto riconoscendo in essa la figura animale di Marco, giunto sicuramente per venirla a recuperare.

Un urletto decisamente poco adatto ad un uomo prevalse su quello di tutti gli altri, proclamando, non prima di aver abbandonato in grande stile armi e bagagli con un ben poco elaborato tuffo oltre il parapetto della nave:

“Marco la Fenice!!!” 

E con uno scroscio d’acqua che segnò l’inizio di un fuggi fuggi generale, l’intero ponte iniziò a svuotarsi, ognuno degli uomini assoldati da Doma più che mai desiderosi di farsi un bel tuffo in mare.

Frastornata, Allegra rimase a guardare l’ultimo dei mercenari abbandonare la nave, gli occhi le si erano allargati talmente tanto da risultare globi perfettamente tondi.

Si ricordò di ricollegare il cervello quando, di nuovo, le sue orecchie intercettarono il suono delle ali di Marco, stavolta fattosi più vivido e vicino.

Di nuovo i suoi occhi furono rivolti verso l’alto, ma stavolta ad apparirle non fu la figura completamente infuocata dell’aggraziato volatile, bensì quella ibrida del comandante della prima flotta.

Marco continuò a planare verso il basso con movimento verticale, le braccia alate, unica parte del corpo insieme ai piedi che ricordassero la sua forma di animale mitologico, rivolte verso l’alto, completamente spiegate, in modo tale che l’aria, salvo quando le sbatteva per rallentare la propria discesa, scivolasse loro attorno.

Non aveva l’aria contenta, nonostante la sua venuta avesse dato luogo ad una scena abbastanza divertente, nulla pareva scalfire la sua espressione e di certo non lo fece nemmeno il visino di Momo che, intuita più meno le acque in stava nuotando, cercò di assumere l’espressione più dispiaciuta e tenera che riuscì a racimolare, mettendo da parte la rabbia accumulata prima.

Non appena posati i piedi a terra il biondo la inchiodò con lo sguardo, incrociando le braccia al petto.

“Ehm... ecco io...” tentò la ragazza, ma bastò poco per farle capire che non avrebbe ottenuto nulla, facendo l’innocente.

“Oh, senti!” esplose nuovamente, le fiamme innalzatesi insieme al suo tono di voce “Prova tu a rischiare per ben due volte di essere colpita da una di quelle... quelle... cose!” si limitò a dire, girando i tacchi e gonfiando indispettita le guance.

Marco la guardò costantemente serio mentre si allontanava.

Sospirò chiudendo gli occhi e, con un fragore di fiamme azzurre, la raggiunse afferrandole le spalle da dietro con entrambe le mani.

Allegra, sorpresa da quel contatto, rantolò un grido, riuscendo però a coprirsi la bocca con entrambe le mani appena in tempo per ricacciarlo indietro: sarebbe stato un bel guaio se avesse richiamato un Re dei Mari, la Moby era danneggiata e piena di falle un’attacco da parte di uno di quei serpentoni sarebbe stato fatale.

Le mani di Marco comunque non si mossero dalle sue spalle, anzi, rimasero lì anche per troppo tempo, così tanto che alla fine la Paradisea cominciò a provare l’impellente bisogno di saltare via.

Il dorso della mano le pizzicò, riscaldandosi leggermente in un certo punto...

Inghiottì un poco di saliva.

Decisamente voleva saltare via.

“Momo...” la richiamò Marco.

Un brivido le percorse la nuca, riconoscendo la sensazione che le stava solleticando la base del collo.

Cominciò ad agitarsi, liberandosi dall’altro balbettando la prima cosa sensata che le venne in mente.

“A-ah... io... vado a cercare Ace.” 

“Momo!”

Di nuovo la voce della Fenice la bloccò, ma stavolta, forse per il tono di voce, forse per l’urgenza implorata con la quale il ragazzo pronunciò il suo nome, le venne da fermarsi.

Su due piedi. Le spalle rivolte verso il biondo, sentendo quasi di sapere cosa le stesse per dire.

“Quanto ti sei ricordata?”

O chiedere.

Allegra aprì la bocca indecisa. Gli occhi di nuovo la ingannarono e sul ponte fantasmi di figure fiammeggianti iniziarono a danzarle davanti.

Aveva ricordato molto.

Il demone nero e rosso fece capolino sul bordo della sua visione, quasi un ombra indistinta e crudele ai margini di un bellissimo quadro.

Sotto il manto tiepido delle proprie fiamme, la pelle le si alzò rabbrividendo.

Aveva ricordato anche troppo.

“...”

“Momo?” 

“Abbastanza.”

Fu tutto quello che disse, tornando a camminare.

Marco l’avrebbe anche lasciata andare se una voce non l’avesse messo in allarme, prendendo forma davanti a lui impugnando un paio di spade dalla lama stranamente scura.

Con gesto rapido scattò di nuovo verso Momo e la riafferrò, riportandosela al petto nel giro di pochi istanti giusto in tempo perchè la ragazza vedesse una figura umana fendere a pochi centimetri da lei un colpo che le sarebbe anche potuto costare la vita.

La paradisea sentì la gola solleticarle e d’istinto riportò le mani alla bocca, guardando con terrore il pirata dalla fascia squadrare sia lei che Marco con sguardo indecifrabile.

Il biondo se la strinse protettivamente al petto, facendo sì che la schiena di lei gli aderisse contro.

Sarebbe stato anche un momento di cui avrebbe preferito godere, o addirittura scherzare, se soltanto Doma non avesse attirato la sua attenzione ondeggiando una delle spade.

Era sangue quello che gocciolava dal filo della lama?

Si accigliò, squadrando il Boemo pieno di rancore.

Cos’aveva fatto ad Ace?

“Salute a voi, Marco la Fenice.”

 

Atto 19, scena 4

 

Nella sottocoperta Ace rantolò a schiena a terra, dimenandosi come un topo in trappola. L’odore spugnoso e pungente degli interni umidicci e freddi della nave gli penetrò il naso, invadendogli la testa, regalandogli, anche se per un breve istante, un poco di sollievo.

Come aveva fatto a finire in quella situazione, rannicchiato in un angolo tra un paio di botti di polvere da sparo era presto spiegato dalla ferita che gli squarciava il braccio, colando più sangue di quanto ne avesse mai perso in tutta la sua vita da quando aveva ingoiato il suo frutto del Diavolo.

Il taglio di per sè non era tanto profondo e neanche sembrava aver reciso vene o punto vitali, ma bruciava e luinon era certo di voler rischiare di morire dissanguato, visto che il suo fuoco non riusciva a ad agire velocemente come al solito e ciò la diceva lunga sul materiale di cui erano fatte le lame di Doma.

Algamatolite.

Soffiò tra le labbra pieno di rabbia.

Prima i cannoni, ora l’algamatolite. 

Doma stava superando se stesso, e non nel senso buono.

Si passò una mano sulla fronte ed aguzzò un orecchio.

Niente.

Doma doveva essersi allontanato per cercarlo altrove.

“Appena riesco a mettergli le mani addosso...” sibilò, decidendo di sacrificare un lembo dei propri pantaloni per tamponare la ferita. Strinse il pezzo di stoffa più forte che potè poco sotto la spalla, rallentando così il passaggio del sangue, ma lo stesso i lati slabbrati pungevano e ciò gli impediva di pensare correttamente.

Non era abituato al dolore fisico, o almeno, il fatto di essere diventato un Rogia, aveva contribuito a farglielo dimenticare. 

Le tempie non facevano che rimbombargli come tamburi e il fatto di avere  alle calcagna qualcuno in grado di trapassarlo da parte a parte non aiutava.

Prese due respiri profondi e poi rialzò lo sguardo. Il deposito delle polveri era quasi completamente vuoto, fatta eccezione per quella manciata di botti in mezzo alle quali si era rifugiato, e a parte il rumore del mare sulla chiglia non riuscì a sentire nient’altro che potesse metterlo in allarme.

Che vergogna - pensò rialzandosi e procedendo cautamente fuori dal proprio nascondiglio - se Marco o il Babbo sapessero che mi sono andato a nascondere come un poppante... 

“MARCO LA FENICE!!”

Uno splash fuori dall’oblò lo colse impreparato e gli occhi gli strabuzzarono un paio di volte prima che realizzasse che uno degli uomini di doma si era letteralmente fiondato fuori dalla nave.

Marco era sulla nave?!

Le sue gambe scattarono prima di riuscire a processare del tutto quel pensiero.

Quell’imbecille si sarebbe fatto ammazzare!

 

Fine prima parte Atto Diciannovesimo

 

Super mega iper mostruoso ritardo!

Lo so ne sono consapevole e mi dispiace. Sono mortificata, spero solo che non abbiate abbandonato  in molti e che non abbiate trovato troppo noioso questo capitolo.

Per chi mi segue anche su Deviantart sarà chiaro il fatto che non ho mai abbandonato KnA e che mai lo abbandonerò!!

Ho notato che di recente il mio stile sta subendo un’ulteriore trasformazione (O.o) il che è strano dato che credevo che un’ulteriore evoluzione del mio modo di scrivere fosse oramai impossibile, ma noto piccoli e confortanti miglioramenti. 

Speriamo solo che questi miei cambiamenti non siano troppo shoccanti per voi che magari eravate abituate ad un diveso tipo di scrittura da parte mia.

Con questo vi lascio in attesa della seconda parte e come sempre:

  1. Suggerimenti liberi

sempre accetti! XD

   
 
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