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Autore: controcorrente    28/01/2012    0 recensioni
Quinta classificata al [Mini Original 3] Il Medioevo e... l'Albero. Fine della guerra dei Cento Anni. Un cavaliere, figlio bastardo di un nobile torna nella casa che considera il suo nido d'infanzia per adempiere alla sua promessa. Il passato ed il senso del dovere dominano i suoi propositi...ma non è il solo. Storia, nata per questo magnifico contest. Sono contenta del risultato ed auguro a tutti buona lettura!
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Medioevo
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II

 

Agnes conosceva ormai a memoria quella via. La percorreva tutte le mattine, da ormai sette anni.

Si svegliava all’alba, sbrigava la cura dell’orticello e i vari lavori domestici, poi si recava al faggio. I ricordi ed il passato non la lasciavano un solo istante, occupando il giorno e la notte in ugual misura. Erano sempre lì, pronti a farle compagnia, con il loro peso di omissioni e rimpianti.

Pure in quel momento.

Vedeva l’ombra del cavaliere accanto a lei, qualcosa che non aveva fatto altro che fantasticare in tutti quegli anni, unica ancora a nebbia perenne di dolore e memoria che avvolgeva la sua anima. Socchiuse gli occhi e, senza rendersene conto, strinse la mano della piccola Anais. La bambina la guardò un momento, sorridendole poi, senza un perché, ignara dell’angoscia della zia.

Agnes si morse il labbro, tentando di frenare l’agitazione. Un’onda di emozioni contrastanti, di gioia feroce, di rabbia impotente, di sollievo senza scampo, di speranza senza senso.

Si era quasi pentita di averlo invitato per la notte. La sua presenza aveva il potere di destabilizzarla, di confonderla…ma non poteva abbandonarlo lì. Non ci riusciva.

Intanto, la minuscola casa fece capolino, da dietro i pochi alberi radi di quella terra brulla. Marc fissò sorpreso l’abitazione. Non era cambiata affatto, malgrado la sua lontananza.

-Perdonatemi, se l’alloggio non sarà confortevole- mormorò la donna, aprendo la porta- ma posso garantirvi che non rischierete la vita come in una locanda.-

Il buio, intanto, aveva quasi del tutto avvolto la sagoma dell’edificio ma nemmeno quell’assenza di luce riusciva ad impedirgli di riconoscere le forme che avevano accompagnato la sua infanzia.

C’era il minuscolo cortile.

                                             Dove rincorreva la piccola Marie e Laurent.

 

C’era la finestra che vi si affacciava sopra.

                                             

Da dove, durante gli allenamenti con la spada, provava a sbirciare Marie, scoprendo poi, non senza imbarazzo, di aver sbagliato stanza, scambiando Agnes per la sorella minore.

 

 

A quel pensiero, una risata, improvvisa e del tutto inattesa, iniziò a germogliare nel cuore del cavaliere, senza tuttavia raggiungere le labbra.

Non era più abituato a sorridere sinceramente ed ora, dopo aver abbandonato le speranze, quel sentimento, per lui ormai completamente nuovo, lo lacerava, spiazzandolo e ferendolo là dove non lo credeva possibile. Marc si posò una mano sul cuore, scrutando il leccio che, solitario, emergeva nella radura.

-Dovresti entrare- disse improvvisamente Agnes, comparendo sulla soglia.

Il conte la guardò.

Si era tolta il minuscolo mantello che le copriva le spalle ed ora, nella penombra del camino appena acceso, poteva vedere la sua sagoma flessuosa e solida, quasi attraente. Istintivamente, spostò la sua attenzione alla porta, non seppe dire se per rabbia o imbarazzo.

-Anais?- domandò, tentando di pensare ad altro.

-E’a tavola. Vieni a mangiare.-rispose l’altra, scomparendo poco dopo.

Marc la seguì, stroncando sul nascere quei pensieri inopportuni.

Agnes, del tutto ignara del suo turbamento, si era accomodata alla tavola. Il cavaliere si pose di fronte a lei, rifiutando, malgrado le insistenze della donna, di sedere sul lato corto.

Non sono il capofamiglia aveva detto, un po’disorientato.

La padrona di casa rimase qualche secondo immobile ed il conte poté vedere, con un certo sgomento, la sorpresa dovuta alla sua risposta. –Certo- rispose, abbassando la testa- avete ragione.-

Non parlò più, limitandosi ad assistere la piccola Anais, quando le sue piccole braccia non riuscivano a raggiungere le pietanze più lontane.

Marc la osservava affascinato.

Ogni volta che passava di fronte alla dimora della famiglia delle due sorelle, aveva sempre visto la bellezza sfolgorante di Marie. Non aveva tenuto conto del fatto che la maggiore aveva sempre vegliato costantemente su di lei, né che la perdita della madre l’avesse spinta a prenderne le veci, portandola a sacrificare la personale cura di sé in favore del benessere altrui. Quelle attenzioni, così vive e sentite, lo facevano tornare indietro...A quando Marie e Laurent erano ancora vivi.

Per un momento, ebbe l’impressione di sentire il calore di una famiglia, una dimensione che gli era sempre stata preclusa, per via della sua origine illegittima.

Anais mangiò la propria cena, sotto lo sguardo attento della donna. Una volta finito, guardò il cavaliere e, salutando entrambi con la mano, salì al piano di sopra. Agnes prese alcuni pezzi di stoffa, poi si accomodò davanti al caminetto, con l’intenzione di rammendarli. Marc, invece, si mise a fissare le fiamme, con la testa a metà tra i ricordi ed la nostalgia.

Ogni tanto, gettava un’occhiata alla donna sotto di lui.

Fissava, non visto, i biondi capelli che, acconciati in una crocchia improvvisata, evidenziavano, senza volerlo,  il collo affusolato, illuminato dagli sprazzi del fuoco.

Qualcosa si incrinò nel nobile, mentre un pensiero, una realtà inaspettata si materializzò nella sua mente.

  Agnes era bella. 

                       

Il respiro, improvvisamente si volatilizzò nell’aria, lasciando spazio ad uno sconcerto misto a sorpresa.

 

Agnes era affascinante e lui non se ne era mai accorto.

 

Le immagini di Marie, cristallizzate nella memoria del passato felice, si mescolarono alla sagoma, nuova,  della sorella maggiore che, silenziosa, aveva accettato nuovamente la sua presenza in quella piccola casa di ricordi.

-Marc- domandò, improvvisamente, senza guardarlo- per quale motivo sei venuto solo ora?-

Il cavaliere sussultò.

Sapeva che gli avrebbe fatto una simile domanda…eppure, malgrado questa consapevolezza, non riusciva a non sentirsi ugualmente impreparato.

 

E solo Agnes era capace di farlo sentire in quel modo.

 

Non udendo risposta, Agnes si voltò verso di lui, scoprendolo, a distanza di anni, vulnerabile e solo. Il cuore le si strinse in una morsa penosa simile, forse, al periodo precedente la sua partenza, quando era ormai palese che nessuno avesse colto il suo amore, discreto ma ugualmente profondo. E come accadeva allora, quando si struggeva in silenzio per la propria pena, così in quel momento, mise a tacere il proprio cuore.

-Poco prima di lasciarmi- Laurent mi ha chiesto di prendermi cura del figlio che Marie portava in grembo…nel caso in cui fosse morto.- fece il cavaliere-Perdonami Agnes, per non essere venuto, per  non essermi fatto carico di questo dovere, per averti lasciato da sola, ad affrontare questo peso…-

La voce di Marc si disperdeva nell’aria, come se fosse un insieme di raffiche di vento. Avrebbe continuato per ore… se un suono, secco e deciso, non si fosse abbattuto sul suo volto.

Stupito fissò la beghina, la mano tesa e tremante.

Non riusciva a credere che Agnes lo avesse schiaffeggiato.

-Non osate mai più dirmi simili astrusità. Anais è mia nipote, figlia di mia sorella.- sibilò.

Il conte di Fussac la osservava muto.

Il volto della riservata primogenita di quella famiglia di contadini appariva completamente stravolto. Quelle iridi, prima glaciali, sembravano attraversate da una strana fiamma, che rendeva quel mare d’inverno, vivo e combattivo.

Quei capelli, biondi e illuminati dalle fiamme, simili ad oro liquido.

Quel corpo che, scosso dalla rabbia, sembrava sprigionare un calore inatteso, insopportabile…un fuoco che il conte, nella sua grigia esistenza di sopravvissuto alla guerra e agli stenti, aveva sempre cercato.

La ragione non andò oltre questa consapevolezza, troppo stanca di giudicare le insensatezze della mente e della sorte.

Con un gesto brusco ed inaspettato, la afferrò saldamente e, senza darle il tempo di replicare, poggiò le proprie labbra su di lei.

Agnes lo lasciò fare: aprì la bocca, dandogli accesso e concedendogli la possibilità di approfondire.

E il conte di Fussac si gettò su quell’inattesa offerta, troppo stanco ed affamato di umanità per rifiutare. Lasciò che il calore di quella bocca gentile penetrasse nel suo corpo arido, come l’acqua nelle zolle di terra secca. Si nutrì dell’aroma di quella pelle, avido, come chi vede, dopo tanto tempo, un pezzo di pane...E, forse, avrebbe continuato, abbeverandosi fino in fondo a quella fonte, se la vista di quel faggio solitario, non avesse spinto la sua mente là dove non gli era permesso.

-Marie…-mormorò involontariamente, rompendo quella bolla di pace effimera.

Marc però non si accorse di nulla, fino a quando non percepì che quel calore, tanto cercato, si era fatto lontano e distante. Fissò allora Agnes, che prima aveva stretto tra le braccia, guardarlo contrita, senza più quell’armatura di riserbo e compostezza, con la quale si era sempre mostrata a lui.

 

E mai come in quel momento le era parsa così viva.

 

Aprì e chiuse la bocca per parlare, senza successo, come se la voce fosse stata risucchiata via.

-Marc- mormorò allora Agnes, non riuscendo a guardarlo in volto-ti prego, non farmi questo. -

Il cavaliere provò ad afferrarla per il braccio ma lei, più veloce dell’aria, eluse la sua presa. –Posso sopportare tutto…la povertà, il dolore, la perdita…-disse, prima di alzare finalmente lo sguardo, asciutto e lucido- anche a perdere il mio onore…se sei tu… solo tu…Ma non posso tollerare una simile concessione, se la tua mente è occupata da Marie. Io non sono e non voglio essere una sostituta.-

Agnes lo guardò un’ultima volta, alla disperata ricerca, in quei tratti fonte di emozioni che con fatica aveva sempre soffocato, di una sua reazione ma il corpo dell’uomo pareva congelato nei propri pensieri.

Non disse una parola e quel silenzio penetrò la dura corazza di doveri e rimpianti, mettendone a nudo l’anima. Il peso di quei sentimenti, privò ormai di quella difesa, divenne qualcosa d’insostenibile per lei, una debolezza dolorosa che non poteva più accettare.  La vergogna e la paura, che aveva sempre soffocato, divamparono improvvise: non si rese nemmeno conto di aver abbandonato la stanza e di essersi precipitata in lacrime nella propria camera.

 

   
 
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