Cap IX Un brutto quarto d'ora
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Cap IX^
13 aprile 1912 – Tempo del
Titanic, ore 16.00
Alle ore 16.00 uscì dalla sua cabina serrando per
bene l'uscio. In realtà sembrava una precauzione inutile poichè sulla porta non
aveva trovato il minimo segno di scasso quindi chi aveva fatto il lavoro era in
grado di aprire di tutto senza lasciare tracce, un professionista dunque. Iniziò
la sua passeggiata sul ponte A, diretto, come sempre ormai, senza pensarci,
verso la poppa della nave. Riflettendo sulle mosse possibili da effettuare nel
breve tempo rimastogli, non si avvide per tempo del cerchio di legno che gli
arrivò all'improvviso tra le gambe, rischiando di fargli fare un rovinoso
capitombolo. Afferrato l'oggetto appena in tempo, Russel, istintivamente
allarmato, si trovò davanti un ragazzino di circa sette anni, che rosso in
viso, presentava educatamente le sue scuse ma allo stesso tempo, richiedeva per
favore il suo giocattolo. Il giornalista, immediatamente tranquillizzato,
riconobbe il giovane Douglas Spadden che aveva incontrato più volte lungo la
passeggiata, intento al suo gioco preferito, appunto il cerchio, assai di moda
fra i ragazzi dell'epoca. Il giovanetto
appare infatti anche nelle foto scattate dal rev Francis Browne, sbarcato a Queenstown . Russel sorridendo,
più per la sua reazione che per il manifesto impaccio del ragazzino, gli
restituì il giocattolo ma immediatamente si sentì chiamare da una voce
femminile. Era la madre del ragazzo, sig ra Daisy Spadden, che assieme ad una
sua amica, la sig ra Vera Dick, dopo essersi presentata , gli rivolse le scuse
a nome del figlio e chiese se per caso si era fatto male. La sig ra Daisy
Spadden, di una facoltosissima famiglia di New York, viaggiava assieme al figlio
ed al marito Frederik, ed era di ritorno da una vacanza che l'aveva portata in
Marocco e a Monte Carlo. La sua amica, a sua volta, accompagnata in viaggio dal
marito Albert Adrian Dick, tornava a casa dopo aver viaggiato in giro per l'Europa,
e in particolare a Londra, in cerca di
elementi di arredamento per la nuova casa da loro acquistata a Calgary in Canada. Al diniego del
giornalista, la sig ra Daisy lo
invitò a scopo di risarcimento, come
diceva lei, a bere un tè nella sala di scrittura di prima classe. Russel rimase
un attimo interdetto poichè gli risultava che quell'ambiente era sempre passato
per un locale strettamente riservato alle signore, quasi una degna risposta
alla sala da fumo, rigorosamente riservata agli uomini. Le donne, ascoltata la sua
osservazione, ridendo risposero che effettivamente era così, ma in realtà loro
facevano come ritenevano più opportuno,
riservandosi il privilegio di essere più elastiche, invitando degli uomini,
quando lo ritenevano importante , come
in questo caso. Russel non aveva ben chiaro il perchè della disponibilità e
della sua popolarità fra le signore, ma accettò di buon grado poichè aveva
l'occasione di visitare un ambiente estremamente esclusivo. Fra l'altro si
chiedeva come era possibile che esse conoscessero il suo nome, non essendo mai
stati presentati. Preferì non indagare. L'ambiente in cui fu introdotto era
estremamente raffinato. Una bella sala in stile tardo-georgiano, separata in
due diversi ambienti da un grande arco, sorretto da colonne corinzie. La
tappezzeria alle pareti era di color celeste con decori floreali. Un caminetto
era presente su una delle pareti. Era arredata con una serie di tavolini
rotondi circondati da simpatiche poltroncine imbottite. Effettivamente non era
l' unico uomo. Ad un tavolo infatti era seduto assieme alla sua giovane moglie
Madalein e ad altre signore, lord Astor. con a fianco la sua inseparabile
femmina di airdale Kitty, e che
vedendolo, gli rivolse un cenno di saluto. Russel prese posto ad un tavolo che
gli venne indicato, e fu obbligato praticamente ad accettare una tazza di tè e
pasticcini. Nel giro di pochi minuti, la compagnia si allargò ed il
giornalista, dal tono che aveva preso la conversazione, scoprì finalmente che
la sua improvvisa popolarità derivava dal fatto di essere stato invitato quella
sera al Ristorante A la Carte, da quello che era ritenuto il fior fiore della
buona società a bordo. Tutte le convenute volevano sapere di lui il più
possibile, certo per inserirlo come nuovo elemento nelle conversazioni del
giorno. Il giornalista ringraziò in cuor suo la attenta e scrupolosa
preparazione a cui era stato sottoposto, altrimenti di certo non sarebbe stato
in grado di superare il terzo grado a cui quelle professioniste del
pettegolezzo lo stavano sottoponendo. Russel si rese conto però che questa
poteva essere una occasione da sfruttare. Dopo un 'oretta circa, indubbiamente
l'interesse si spostò dalla sua persona a qualcos'altro e la compagnia, così
come si era formata, si sciolse. Egli allora approfittò per chiedere ad una
delle signore rimaste, che si era dimostrata estremamente informata sulle cose
di bordo e su tutti i passeggeri che contavano, se per caso non avesse qualche
notizia anche di un gruppo formato secondo quello che aveva visto. La signora
sembrò esitare un attimo, ma poi si avvicinò come per una comunicazione molto
confidenziale. Appena un attimo prima che iniziasse a parlare, però, ebbe uno
strano comportamento. Qualcosa o qualcuno, alle spalle del giornalista,
attrasse la sua attenzione. Immediatamente la signora, cambiò atteggiamento e, scostatasi da lui, con una scusa banale,
approfittò per alzarsi ed andarsene. Per quanto Russel si fosse girato in
fretta, non vide nulla se non altre signore ai tavoli o uno steward addetto al
loro servizio. Arrivato alla conclusione che in quel luogo non avrebbe più
concluso niente, salutando educatamente, se ne andò. Aveva bisogno di pensare a
quanto accadeva. Quegli strani atteggiamenti della gente quando parlava delle
persone del gruppo misterioso gli davano ai nervi. Come se gli altri sapessero
tutto e non volessero o non potessero parlare. Arrivato allo scalone di 1^
classe, discese fino al ponte C, momentaneamente sollevato alla vista dello
scenario che lo circondava. In particolar modo veniva affascinato dalla luce
proveniente dalla cupola in vetro in
alto. Era una vera opera d'arte. Giunto sul ponte proseguì con la sua
passeggiata verso poppa, come ormai era solito fare. Incontrò con una certa
sorpresa il sig Guggenaim con la sua compagna. Era una cosa piuttosto insolita
in quanto la loro souite era fornita di
una passeggiata privata e gran parte della loro vita a bordo si era svolta con
grande riservatezza. Il punto, molto probabilmente, era che lui, un bell'uomo
di 47 anni, robusto, massiccio, un bel viso simpatico e intelligente, capelli
ondulati e striati di grigio, ricchissimo per proventi in campo minerario, era
sposato ma non con la sua compagna di viaggio. Nel 1894 infatti, egli aveva
sposato la sig ra Florette Seligman da cui aveva avuto tre figlie, Benita,
Margaret e Barbara. Pur essendo dotato di una viva e spiccata intelligenza, non
era estremamente portato per gli affari e quindi, fra le varie attività a cui
si dedicava, c'era quella di viaggiare. Agli inizi del 1911, nel corso di un
viaggio in Europa, aveva fatto la conoscenza della signorina Paoline Leontine
Ninette Aubart, una bellissima cantante francese e se ne era immediatamente,
perdutamente innamorato. Ora si stavano concedendo questa crociera per stare un
poco assieme in pace. Evidentemente, però, la ragazza, amante di un certo stile
di vita, ogni tanto insisteva per uscire dalla cabina, e respirare un poco di
quella vita mondana a cui era abituata e che apprezzava in modo particolare. L'attenzione
di Russel fu attratta all' improvviso
dalle risate di un gruppetto che lo incrociò andando verso prua. Si trattava di
una signorina di una discreta classe, accompagnata da due giovani, apparentemente
appartenenti all'equipaggio. Il giornalista riconobbe la signorina Marie Gricie
Young, una donna di 36 anni, bionda, capelli corti, magra e apparentemente
delicata, ma di carattere piuttosto forte e dotata di un notevolissimo
entusiasmo. Aveva comprato in Europa, per un suo progetto, del pollame di razza
estremamente selezionata, che era stato sistemato in capaci stie e imbarcato
sul ponte F, accanto al canile. Era sorvegliato e accudito da un membro dell'equipaggio
ma la signorina preferiva controllare tutti i giorni di persona il suo
investimento. Aveva trovato un valido aiuto nella persona di un carpentiere di
bordo, conosciuto per caso, John Atchison, con il quale era nata una bella
amicizia. Spesso li accompagnava un amico di John, l' addetto alla tipografia
Ernest Theodor Corben, il quale appena libero dai suoi incarichi, approfittava
per uscire all' aperto per osservare il mare che era la sua passione. Questo
rapporto, sia pure molto corretto, non era visto di buon occhio dalla sua
compagna di viaggio, la sig ra Jenny Stuart White. Essa riteneva infatti che
una musicista del suo livello, che era stata perfino insegnante di musica di
Ethel Roosvelt, figlia del presidente in carica degli Stati Uniti, avrebbe
dovuto scegliere con più attenzione le persone con cui trascorreva il suo
tempo. Essa stessa, per evitare contatti con quella gente, come essa definiva i
due giovanotti, si teneva a distanza dal gruppetto. La stessa opinione era
stata espressa dal maggiore Boot, che aveva conosciuto la signorina Young a
casa del presidente. Il giornalista raggiunse il limite della passeggiata a
poppa del ponte C, affacciandosi come altre volte in passato per osservare la
scia che la nave lasciava dietro di sè e la zona del del ponte D nella quale i
bambini avevano preso l'abitudine di giocare assieme ai cani, sotto l' occhio
vigile dei genitori e degli addetti agli animali. Quella vista riusciva a
trasmettergli sempre una sensazione di serenità, cosa di cui, in questa
avventura, aveva proprio bisogno. Notò in un canto una signora che controllava due bambini piccoli mentre
questi facevano delle carezze ad un piccolo pechinese di proprietà del sig.
Hanry Harper, facoltoso imprenditore operante nel ramo della pubblicità. A
breve distanza, un uomo guardava sorridendo la scena. I due bambini erano
Edmund Roger, di anni 2, e Michel Marcel, di anni 3, entrambi nati a Nizza.
Questi, nella loro innocenza non potevano sapere di essere al centro di una
brutta avventura familiare. Il padre, l' uomo che li guardava sorridendo, era un sarto di origine slovacca, Michel Navratil,
il quale dopo diversi episodi burrascosi con la moglie, l'italo-francese
Marcella Caretto, divorziò da questa. L'affido dei figli venne dato alla madre
ma essa concesse comunque loro di trascorrere le vacanze di Pasqua con il padre
a Monte Carlo. Dopo pochi giorni, però Navratil partì con i bambini, facendo
perdere le loro tracce, dopo aver deciso
di emigrare in America di nascosto, per non essere privato dei figli. Così,
giunti in segreto a Southampton, si imbarcarono con il nome fittizio di Hoffman sul Titanic, in seconda classe. Il
gruppetto fece amicizia con la donna che in quel momento controllava i bambini
da vicino, la sig ra Bertha Lehmann, la quale non immaginava nemmeno
lontanamente la verità, anzi come tutti gli altri, aveva accettato la storia
secondo cui il sig Michel era un vedovo. Per quanto Russel cercasse, non vide
traccia di Teresa. In realtà si era aspettato di vederla, ma probabilmente non
le era stato possibile sgattaiolare via come al solito. Essendosi approssimata
l'ora di cena, si recò in cabina per abbigliarsi in modo acconcio per quella
serata speciale. Avrebbe fatto conoscenza direttamente, infatti, con il fior
fiore della buona società, imbarcata sul Titanic. Si avvicinò alla sua cabina
con molta circospezione ma non accadde nulla di strano ed entrato, potè
verificare che non c'erano state ulteriori visite. Come prescriveva l'etichetta,
indossò lo smoking di ottimo taglio che gli era stato fornito, con cravattino
bianco e scarpe lucide di vernice. Completò il tutto con un magnifico ampio
mantello nero e cilindro. Rispetto alla moda del suo tempo, sarebbe sembrato in
maschera, ma dovette comunque riconoscere, guardandosi allo specchio, di avere
invece un aspetto elegante. Quegli abiti, così curati, così adeguati
all'occasione ed al periodo,
possedevano un certo fascino,
derivante dalle cose belle del passato. Terminò di vestirsi con cura ma senza
perdere tempo, perchè doveva avere un importante chiarimento. Alle ore 19,45 fece in modo di
trovarsi nelle vicinanze della famigerata cabina C-10, con l' intenzione, però,
questa volta di stare molto attento a non farsi vedere. Alle ore 20.00,
puntualissimo, vide arrivare il cameriere con il carrello delle vivande e
subito si nascose dietro un angolo del corridoio. Attese che le vivande fossero
servite e quando la porta della cabina si richiuse dietro le spalle del
cameriere, Russel uscì dal suo riparo per avere spiegazioni dal cameriere.
Rimase molto sorpreso dal fatto che la persona che si trovò dinanzi non era
quella con cui aveva parlato la prima volta. Quando chiese informazioni sull'altro
cameriere, questo cadde dalle nuvole dicendo di avere sempre provveduto lui al
servizio giurando di non aver mai visto il giornalista prima di quel momento.
Accortosi che nella discussione i toni della voce si stavano alzando, temendo
che dalla cabina interessata si potesse sentire qualcosa, Russel preferì
lasciar perdere, almeno per il momento, prendendo atto che si era
effettivamente imbattuto in qualcosa di veramente strano. Un cameriere
scomparso, un sostituto che certamente sapeva tutto. Chi altri c'era in quella
storia, e che cosa stava succedendo? Con questi interrogativi in mente, si
affrettò al Ristorante A la Carte, posto sul ponte B, fra il grande scalone di
prima classe e la sala fumatori di seconda. dove lo stavano aspettando. Entrando,
rimase sorpreso per l' ennesima volta da ciò che i progettisti e i costruttori
avevano realizzato su quella nave. Si trovò in un incredibile ambiente, di
circa 300 metri quadri, decorato in stile Luigi XVI, con pannelli in noce
chiaro cesellati con festoni dorati. Il pavimento era ricoperto con una
moquette color rosa antico. Le vetrate erano abbellite da tende di seta color
rosso rame, ricamate e bordate con motivi floreali. Il soffitto, rifinito in
gesso con elaborate decorazioni, era sostenuto con colonne in bronzo su cui
erano stati realizzati, complessi motivi floreali, modellati in bassorilievo.
L'illuminazione era fornita da plafoniere decorate di bronzo al soffitto e da
delicate applique alle pareti con elementi a forma di goccia. Nel locale, che era
aperto ininterrottamente dalle 08.00 alle 23.00, erano posti 49 piccoli tavoli in grado di
accogliere dalle 2 alle 5 persone per un massimo di 137 posti. Su ogni tavolo
era posizionata una lampada abat-giour rosa. Le poltroncine in noce chiaro,
imbottite e rivestite con un fine tessuto con fantasia di rose. In un angolo,
una orchestra di tre elementi, si esibiva con una musica discreta, adatta all'ambiente.
Per l'occasione dirigeva il trio il capo dell'orchestra, sig Wallace Henry
Hartley, il quale aveva avuto l'incarico di selezionare i migliori musicisti
presenti a Londra in quel periodo, in grado di suonare ad alto livello sia
brani classici che moderni. Appena
entrato, fu immediatamente riconosciuto e ricevuto da Andrews, il quale fece
gli onori di casa, presentandolo a molti degli altri ospiti intervenuti a
quella festicciola. Ebbe modo di conoscere quindi con grande emozione, suo
malgrado, dei personaggi passati alla storia . Strinse la mano ai coniugi
Widener, gli anfitrioni, ed al loro
figliolo Harry, ai signory Thayer, ai signori Carter, al maggiore Butt. Erano presenti anche i coniugi Duff Gordon, i
quali però si tennero piuttosto in disparte per tutto il tempo della cena. Fu
fatto accomodare al tavolo con il maggiore Butt, accompagnato dall'inseparabile
amico Francis Davis Millet e dalla loro 'protetta', la sig. ra Helen Churchil Candee. Russel ebbe modo di conoscere, con grande
emozione, un autentico mitico personaggio che si presentò al tavolo con il menù
per le ordinazioni. Si trattava del
gestore del ristorante, il sig. Luigi Gatti. Era un italiano originario di
Montaldo Pavese, un uomo di 37 anni, alto, asciutto, elegantissimo e
intransigente con il personale sulla qualità del servizio, atteggiamento questo
che aveva fatto registrare come migliori del mondo i ristoranti che aveva
gestito. Chiamato a dirigere il ristorante di lusso a bordo dell'Olympic, dopo
l'ennesimo successo, si era visto offrire l'opportunità di spostare la sua
attività a bordo del Titanic. Aveva accettato di buon grado ma aveva posto la
condizione che lo seguisse lo chef
Pierre Rousseau, elemento di altissimo livello, a cui era dovuta buona
parte del suo successo. Vestiva con estrema eleganza e sfoggiava un anello con
un grosso brillante e dei vistosi gemelli in oro con sopra incise le sue
iniziali L.G. Russel, dopo un attimo di
incertezza per la scelta delle vivande, una più appetitosa dell' altra, decise
di seguire l' esempio degli altri commensali, ossia di affidarsi totalmente al
sig Gatti, famoso, fra l'altro, per saper combinare le sue specialità in modo
da servire pasti favolosi e indimenticabili, accompagnati da vini eccezionali.
Ebbe effettivamente l'opportunita' di assaggiare piatti di carne e pesce
sapientemente fusi insieme, con salse squisite e tutto annaffiato di volta in
volta con vini particolari e unici, quali chiaretti Cheateau Rauzan Seglà, vini
bianchi del Reno, come il Rudesheim, vini più robusti della Borgogna, come il
Volnay. E poi champagne, favolose bottiglie di Moet and Chandon, Dry Imperial del
1898. Russel si sentì letteralmente estasiato da quell'esperienza. Non c'era
dubbio che in quell' epoca, malgrado tutti i particolari problemi, chi aveva
disponibilità di danaro, sapeva come soddisfare i propri desideri. Alla fine
del pasto fu servito un delizioso sorbetto alla crema e vaniglia che chiuse degnamente
la cena. Come da tradizione su ogni tavolo venne posata una ciotolina con
dentro degli speciali bon-bon, segreto e specialità della casa. Russel vide che
tutti gli ospiti si servivano generosamente ed a sua volta ne prese alcuni e se
li mise in tasca. Era un omaggio del locale che li preparava e li confezionava
in modo che i suoi clienti, al momento di andare a dormire, si potessero
addolcire la bocca. Aveva trovato anche estremamente gradevole la conversazione
con i suoi commensali, ambedue uomini di ingegno e buon carattere. La musica,
presente tutto il tempo, era stata discreta e gradevole. Alla fine della serata
tutti gli intervenuti si salutarono e il sig Widener li invitò anche per la serata
successiva, dedicata al comandante che, eccezionalmente, avrebbe partecipato.
Ognuno, entusiasta, dette il suo consenso, compreso Russel, il quale ben sapeva
che la sua assenza non sarebbe certo stata notata. Il giornalista, lasciato il
locale, approfittò della passeggiata per schiarirsi le idee. In realtà malgrado
quello che aveva mangiato e quello che aveva bevuto si sentiva
sorprendentemente in forma e respirare la fresca brezza marina concorse a farlo
sentire veramente bene. Forse fu per questo che, improvvisamente, ebbe la netta
sensazione di non essere solo, come se qualcuno lo stesse discretamente
seguendo. Di solito dava retta a queste impressioni che più volte, in passato,
in situazioni serie, gli avevano salvato la vita. Raggiunse lo scalone di
seconda classe e iniziò a scendere con cautela. Se qualcuno lo avesse seguito,
lo avrebbe di certo visto. Non vide nessuno ma udì dei passi. Giunto al ponte
C, uscì sulla passeggiata quasi istintivamente. Ora i passi li aveva sentiti
distintamente e si insospettì perchè questi si fermarono appena egli si arrestò
per ascoltare con maggiore attenzione. Cercò di pensare i fretta. Quasi
certamente si trattava di qualcosa legato con la sua indagine. Se il cameriere
era d'accordo, certamente avrebbe avvisato il gruppo che lui non aveva
desistito dal suo atteggiamento e forse, era stata decisa una nuova azione nei
suoi confronti. Davanti a lui, a poppa, si trovava la solita parte di ponte
piena di ombre e anfratti. Chissà perchè, praticamente dalla notte in cui si
era imbarcato, immancabilmente finiva sempre in quel posto! Con una breve corsa
superò lo spazio che lo separava dal parapetto e dalla scaletta per raggiungere
il livello inferiore. Scesa la scaletta con la maggior velocità possibile, si
nascose dietro un boccaporto in attesa di vedere cosa accadeva. Prima sentì i
passi e poi vide le sagome di due uomini che alla balaustra, cercavano di
scrutare nel buio per vedere di scorgerlo. Era chiaro che quei due ce l'avevano
con lui. Rimpianse di non aver portato con sè la sua arma. In realtà si
trattava solo di uno storditore e per di più a breve distanza. Quello però era
l'unico strumento di difesa consentito a chi viaggiava nel tempo. Solo il cielo
avrebbe potuto dire quali sarebbero state le conseguenza dell'uccisione di una
persona del passato. Le due ombre, dopo un
breve conciliabolo, scesero lentamente la scaletta e poi si separarono
per cercarlo con maggiore efficacia. Russel si spostò con grande cautela e
continuò a farlo nella speranza di sfuggire a quei due. Purtroppo quelli si
muovevano con una tecnica molto efficace, restringendo sempre di più le
possibilità di fuga e sospingendo la loro vittima verso un punto preciso.
Russel si sentiva perso. In quella situazione, al buio, senza testimoni, se
qualcuno gli avesse fatto fare un volo al di là del parapetto, sarebbe
semplicemente scomparso e nessuno ne avrebbe saputo più nulla. Ormai pochi
metri lo separavano dai cacciatori ed egli si addossò ad una sorta di cassa
metallica in attesa del peggio. D'improvviso il coperchio della cassa si
sollevò ed una voce disse al giornalista di infilarsi dentro e di sbrigarsi.
Russel, quasi senza pensare, eseguì all'istante. Il coperchio di quello che poi
era un boccaporto destinato al passaggio dei marinai per carico e manutenzione, tornò subito a posto e al passaggio delle due
ombre, non risultò nulla di insolito. La loro caccia proseguì con l'ostinazione
di chi, sicuro di aver messo la preda in trappola, improvvisamente non ne trova
più traccia e non capisce come sia potuto accadere. Il giornalista, piuttosto
agitato per il pericolo corso, ritrovato un minimo di controllo e di
raziocinio, prese atto che si trovava all'interno di un ambiente di modeste
dimensioni, da cui attraverso una scaletta, su cui ora si trovava, si aveva
accesso al ponte D. Ricordava di aver visto, durante le soste a Cherbourg e a
Queenstown, che i marinai avevano usato quella strada per eseguire lavori di
sistemazione sul ponte e per caricare oggetti di piccole dimensioni. Poi si
rese conto che ai piedi della scaletta c'era una figuretta che guardava verso
di lui. Non credette ai suoi occhi quando abituatosi alla penombra dell'ambiente
riconobbe Teresa, la bambina siciliana. "Signor Russel, stai bene? Chi
erano quelli?" - chiese a bassa voce la bambina. "Ma tu che ci fai
quì? E come hai fatto a capire che ero in pericolo?"-disse il giornalista.
La bambina spiegò che quella era la strada che, quasi subito dopo l'imbarco,
aveva scoperto durante le sue esplorazioni per arrivare 'di sopra'. In fondo al
corridoio delle cabine di 3^, sul ponte F, c' era un portello che dava nel
passaggio di sevizio fra il ponte D e i livelli inferiori. Era quella la via
che le consentiva di arrivare nella zona preclusa ai passeggeri di 3^. La
bambina aggiunse che l'aveva visto arrivare di corsa e poi aveva notato quei
due che evidentemente lo seguivano, così si era rifugiata nel suo nascondiglio
chiamandolo appena gli era passato vicino. Disse con parole sue che aveva già vissuto un' esperienza simile,
quando degli uomini di notte erano andati a casa sua e.... La bambina tacque di colpo e le si bagnarono
gli occhi di pianto. Russel provò a farle aggiungere qualcosa ma non ci riuscì.
Teresa non sapeva o non voleva ricordare e sembrava incapace di aggiungere
altro. Il giornalista capì di aver fatto un altro piccolo passo avanti nella
storia di quella ragazzina. Probabilmente i suoi zii, più che cercare un'occasione
nel nuovo mondo, avevano deciso di scappare da qualcosa di molto pericoloso. La seguì fino all'uscita sul corridoio delle
cabine di 3^ e poi ringraziatala, le raccomandò di stare attenta nei suoi giri.
Poi, ricordandosi di ciò che aveva in tasca, prima di andarsene, prese i bon
-bon e li regalò tutti alla bambina. Il
tragitto fino alla sua cabina fu un incubo. Attendeva di veder sbucare qualcuno
da ogni anfratto o piega del corridoio. Si muoveva ogni volta che incrociava
altri passeggeri ma quando, per brevi tratti restava solo, era veramente
terribile. Arrivato nella sua cabina entrò di corsa e si chiuse immediatamente
la porta alle spalle. Solo dopo pochi secondi realizzò che forse era proprio lì
che lo attendevano. Con dita di tremanti e sudando freddo allungò la mano verso
l'interruttore e accese la luce. Non c'era nessuno. Tirò un sospiro di sollievo
e per un attimo si sentì esausto per la tremenda tensione a cui era stato
sottoposto. Per prima cosa si versò una generosissima dose di whisky e poi
corse a recuperare la sua arma. Non era un granchè ma era capace comunque di
infondergli un minimo di sicurezza. Ora doveva ragionare. Il giorno seguente
sarebbe stato coinvolto in eventi terribili che avrebbero richiesto tutta la
sua energia per essere affrontati nel modo previsto. Aveva quindi da scegliere:
o passare tutta la notte in ansia riducendosi uno straccio, o trovare il modo
di dormire e recuperare le energie per il giorno seguente. Scelse la seconda
possibilità. Barricò al meglio la porta della cabina e poi ,aiutato dai liquori
e dalla sua solita farmacia, si mise a dormire con la sua arma sotto il
cuscino.