Anime & Manga > One Piece/All'arrembaggio!
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Autore: Miyuki chan    29/01/2012    6 recensioni
Io, giuro, quella ragazza non l'avrei mai capita.
Prima mi ringhiava contro, poi si arrabbiava, poi mi ignorava, poi ancora fuggiva.
E adesso addirittura mi baciava...
*
Io, un giorno o l'altro, a quello stupido pirata avrei staccato la testa dal collo.
Lui e quella sua perenne aria da moccioso compiaciuto, i capelli corvini e ribelli, le lentiggini, gli occhi scuri e ardenti...
Stupido pirata, tanto bello quanto stupido.
Genere: Azione, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Marco, Nuovo personaggio, Portuguese D. Ace, Smoker, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'The Fire and the Tiger'
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But I ain't got a thing to lose, nothing to defend


Mi svegliai all’improvviso: voci concitate provenivano dal ponte appena fuori la mia cabina, assieme a rapidi e rumorosi passi e tonfi come di oggetti spostati.
Balzai in piedi allarmata, infilandomi al volo braghe e camicia e precipitandomi fuori dalla mia stanza: nella tenue e chiara luce del sole appena sorto sul mare i pirati di fronte a me correvano da una parte all’altra portando armi e barili, mentre un vociare concitato faceva loro da sottofondo.
I miei occhi incontrarono la figura di Ace che, in piedi sul parapetto, osservava gli uomini con un largo sorriso compiaciuto, le mani puntate sui fianchi.
Gli corsi incontro:
“Cosa succede?”
Domandai con urgenza, mentre uno spiacevole presentimento mi faceva contorcere lo stomaco.
Il suo sorriso si affievolì mentre mi rispondeva, guardandomi intensamente:
“Ricordi? Abbiamo una flotta della Marina ormeggiata qui dietro l’angolo: ci stiamo preparando allo scontro”
Deglutii, grattandomi nervosamente il dorso della mano sinistra, abbassando gli occhi sui miei piedi.
Ma che bisogno c’era di dare battaglia?
Quei marines non sarebbero certo stati così stupidi da attaccare Barbabianca in persona, perché non potevano semplicemente ignorarli?
Grattai la mano con maggior forza fin quasi a farmi male, nervosa e frustrata: sapevo che tanto esprimere ad Ace il mio parere in proposito sarebbe stato inutile.
“Hey voi! Non dimenticate la polvere da sparo!”
Urlò il comandante facendomi sussultare, rivolto ad alcuni uomini che alle mie spalle erano intenti a trasportare delle palle di cannone dalla Moby Dick alla sua nave.
Quindi era così?
Intendevano combatterli mettendo in campo solo la seconda flotta?
In effetti non era poi così strano, Barbabianca non si sarebbe certo scomodato per qualche semplice marines.
Rialzando lo sguardo incontrai gli occhi neri di Ace che mi fissavano intensamente, dubbiosi quasi.
Gli risposi con un occhiata ostile: era inutile che mi guardasse così, tanto glielo avevo già detto in faccia, chiaro e tondo, come la pensavo riguardo le battaglie.
“C’è una cosa che dovresti sapere…”
Iniziò titubante, senza smettere di studiarmi.
Corrugai le sopracciglia, senza che la mia espressione si addolcisse: ma che voleva ora?
“E’ Smoker”


*



La osservai preoccupato, chiedendomi se avessi fatto la cosa giusta nel rivelarle che la nostra vedetta aveva scorto, sulla vela della nave che capitanava la flotta, il nome del marine a chiare lettere nere.
Mikami rimase qualche secondo a fissarmi in silenzio, la bocca socchiusa per lo stupore.
I suoi occhi spalancati si illuminarono un istante, per incupirsi subito dopo mentre il suo sguardo si faceva serio ed affilato.
“Vengo anch’ io allora”
Disse solo con un tono di voce freddo e duro, lo stesso che usava durante i nostri primi dialoghi.
“Non credo sia una buona idea. Rischieresti solo di farti male”
Commentai, serio a mia volta.
Assottigliò il suo sguardo che si fece ancora più affilato, conficcando i suoi occhi nei miei come lame di ghiaccio:
“Io. Vengo.”
Scandì lentamente.
Esitai: lo sapevo che non era una buona idea, che non avrei dovuto acconsentire.
“Non puoi decidere per me, non ne hai nessun diritto.”
Mi ringhiò minacciosa, scoprendo mentre parlava i denti come avrebbe fatto un animale feroce.
A quel punto anche il mio sguardo si fece più duro:
“Credevo che avessi chiuso con la Marina.”
“E quindi? Voglio venire.”
Mi rispose, meno aggressiva questa volta, recuperando parte del proprio contegno freddo e distaccato.
“Come vuoi allora”
Risposi atono, scendendo con un balzo dal parapetto e incamminandomi verso la mia nave, dandole le spalle.
In fondo aveva ragione: non era affar mio ciò che decideva di fare.


*



“ALL’ATTACCO!”
Subito le grida di battaglia dei pirati coprirono la mia voce, mentre senza esitare si lanciavano all’arrembaggio.
Le prime baionette ed i primi fucili iniziarono a tuonare, riempiendo l’aria fredda dalla mattina con l’odore acre della polvere da sparo, nello stesso istante in cui anche le prime spade e sciabole iniziavano a scontrarsi con sibili metallici.
Vidi Smoker fermo sul ponte principale, gli occhi fissi su di me, mentre digrignava minaccioso i denti attorno ai suoi sigari.
Appena lo scorsi puntai dritto su di lui, spiccando un balzo ed atterrandogli proprio di fronte, un grosso ghigno stampato sul viso:
“Vecchio, ci si rivede!”
“Portgas…”
Ringhiò minaccioso in risposta.
Senza darmi il tempo per altri convenevoli, tramutò in fumo il proprio braccio destro e lo scagliò nella mia direzione.
Non mi feci trovare impreparato: fiamme scarlatte scaturirono dal mio palmo aperto e si gettarono tra le spire di fumo con un ruggito sordo, ingaggiando con esse una feroce lotta che si concluse in qualche secondo con l’annientamento in un sibilo di entrambi gli elementi.
Sogghignai, per nulla preoccupato: certo che, se continuavamo così, lo scontro sarebbe andato per le lunghe!
Il marine non aspettò un secondo di più, e ben presto il suo intero corpo divenne fumo che mi avvolse e mi oscurò la vista.
Ma cosa credeva di fare?
Lui sarà anche potuto essere fumo, ma io ero fuoco: avrebbe dovuto saperlo che certi trucchetti con me non avrebbero mai funzionato.
Rimasi immobile, attendendo paziente la sua mossa, mentre lingue di fuoco danzavano sul mio corpo pervaso dall’adrenalina.
D’un tratto sentii la sua presenza alle mie spalle e, prima che potessi voltarmi, qualcosa di freddo e duro premette sulla mia gola.
Le fiamme sulla mia pelle si spensero all’istante, ed io non ci misi molto a capire il materiale con cui quell’arma era stata forgiata: agalmatolite.
…E quindi era così che cercava di fregarmi?
“Vecchio, giochiamo sporco, eh?”
Andiamo, ci sarebbe voluto ben altro per mettermi in difficoltà.
Mentre cercavo faticosamente di allontanare la jitte dal mio collo la sua mano mi bloccò il polso sinistro in una stretta ferrea: aumentai la forza che stavo esercitando sull’arma, riuscendo a liberarmi con un repentino scatto di lato ed un brusco strattone, tornando a fronteggiarlo.
Tuttavia la sensazione di avere qualcosa che mi stringeva il polso non mi abbandonò: abbassai lo sguardo sul mio arto, perplesso e un po’ confuso.
Mi feci serio tutto d’un tratto, rendendomi conto che ciò che si era serrato attorno al mio polso non erano state le dita di Smoker: era una manetta di agalmatolite.
Riportai repentinamente lo sguardo su Smoker appena in tempo per vedere la sua mano guantata impugnare saldamente la jitte, colpendomi allo stomaco con un brusco affondo.
Accusai il colpo, sulle labbra il sapore ferroso del sangue ed il respiro che improvvisamente mi veniva a mancare.
Indietreggiai di qualche passo, boccheggiando e premendomi la mano sullo stomaco, digrignando i denti: che bastardo, utilizzare uno sporco trucchetto del genere…
Avevo abbassato la guardia credendomi invulnerabile grazie al potere del frutto Foco-Foco e non avevo calcolato che Smoker lottasse usando l’agalmatolite, che a lui non aveva causato problemi perché l’aveva maneggiata coi guanti, senza entrarne mai in contatto diretto.
Pessimo, pessimo errore il mio.
…Ma non mi sarei arreso per così poco.


*



“White Snake!”
Anche con le manette serrate su un polso riuscì a schivare il serpente di fumo ma, prima che potesse reagire in alcun modo, gli fui addosso colpendolo di nuovo con la jitte.
Il mio secondo attacco, portato alle costole, lo costrinse in ginocchio mentre soffocava un gemito di dolore tra i denti: stava diventando più debole e lento ogni secondo che passava, l’agalmatolite stava facendo effetto assorbendo velocemente tutte le sue energie.
Sollevò gli occhi su di me, in uno sguardo misto di astio e serietà, provato e ansante.
Lo liquidai con uno sguardo sprezzante:
“Portatelo via.”
Ordinai ad una coppia di soldati fidati che, anziché unirsi alla battaglia che infuriava tutto intorno a noi, erano rimasti in disparte in attesa dei miei ordini.
Soffiai nell’aria tersa una nuvola di fumo: potevo dirmi soddisfatto.
Portgas in quello stato era innocuo, l’avrei chiuso nella prigione della nave e, una volta messi al fresco anche i suoi uomini, avrei preso in consegna la sua imbarcazione; e, allora, sarebbe stato meglio per lui che Mikami stesse bene.
I due imponenti marines afferrarono il pirata per le spalle e lo fecero alzare a forza, decisi a trascinarlo in cella, mentre io li osservavo soddisfatto.
Vidi lo sguardo di Portgas farsi all’improvviso freddo e affilato, ma non feci in tempo ad intervenire: liberò il braccio che uno dei due uomini stava tenendo con uno strattone e gli sferrò una gomitata alla bocca dello stomaco.
Questo si piegò in avanti boccheggiando, colto alla sprovvista, ed il pirata ne approfittò colpendolo dritto sul naso con le nocche della propria mano serrata in un pugno.
Liberatosi quindi del primo uomo si rivolse al secondo: il soldato però era riuscito ad estrarre la propria spada e, rendendosi conto di essere appena diventato il bersaglio di un poderoso pugno, menò un fendente riuscendo a ferirlo alla spalla.
Sentii Portgas gemere, un secondo prima che le spire del mio White Snake si avvolgessero attorno al suo corpo e lo immobilizzassero.
Strinse i denti per impedirsi di emettere alcun suono indice di dolore, mentre il suo cappello finiva a terra e la mia presa su di lui si faceva più stretta e forte.  
Dopo qualche secondo, quando ritenni che ne avesse avuto abbastanza, lo lasciai andare: cadde con un gemito rumoroso sulle travi del ponte, ansimando vistosamente.
“Portatelo via, ora non darà più problemi”
Ordinai nuovamente e con rinnovata freddezza ai due uomini, uno dei quali aveva ora il viso e la divisa macchiati di rosso: quel pirata doveva avergli rotto il naso.
Nessuno dei due marines comunque diede alcun segno di esitazione, ed entrambi sollevarono di peso il moccioso ormai esausto.
Alle sue spalle sentii alcuni pirati urlare il suo nome, ma le loro voci furono presto coperte dal clangore delle spade e dal tuonare delle armi da fuoco mentre i marines si frapponevano tra loro ed il comandante, impedendogli di avvicinarsi.
Con un cenno della mano e un ringhio, invitai i due uomini a fare in fretta, e portare Portgas nella cella che lo avrebbe ospitato fino all’arrivo ad Impel Down, mentre io gli voltavo le spalle preparandomi ad affrontare il resto della sua ciurma.
All’improvviso però, un ruggito violento riempì l’aria, sovrastando persino i rumori della battaglia.
Drizzai il capo, sorpreso, e scrutando attentamente il ponte della nave non tardai a vedere ciò che avevo già immaginato: una grossa tigre bianca aveva fatto la sua comparsa sul campo di combattimento.
Avanzò veloce e rapida tra i pirati ed i marines, arrivando in pochi secondi di fronte a me.
I sigari mi caddero quasi di bocca: anziché fermarsi, si avventò con un ringhio sinistro su uno degli uomini che stavano portando via Portgas, atterrandolo con il proprio peso ed affondando le zanne affilate nella sua spalla.
L’urlò di dolore e sorpresa dell’uomo riempì l’aria, ed il felino si voltò verso l’altro marine con uno scatto repentino.
Il fatto che il soldato avesse nel frattempo lasciato andare il pirata ed estratto la propria arma non gli giovò minimamente, e si ritrovò con il petto squarciato dai grossi artigli ricurvi prima ancora di rendersi conto di ciò che stava accadendo.
“Mikami”
Chiamai agghiacciato.
Si voltò, immobile davanti al pirata, con la coda che frustava minacciosa l’aria, e lasciò per la prima volta da quando era comparsa che i suoi occhi gelidi incontrassero i miei.
I soldati le puntarono contro i fucili ma non osarono sparare, confusi e storditi quanto me dal suo comportamento.
“Che diavolo credi di fare…”
Dissi più minaccioso che mai, la voce così bassa da essere ridotta ad un ringhio appena udibile, mentre sentivo la rabbia montarmi dentro.
Il suo corpo rimpicciolì, assumendo una forma ibrida tra umano ed animale che mi era molto familiare: ora potevo vedere chiaramente il tremito delle sue gambe e sentire il suo respiro tremante ed affannoso, il viso solcato da strisce nere e le labbra dello stesso colore serrate in una smorfia che non riuscii a capire se di rabbia o di terrore.
Portgas… doveva averle fatto qualcosa, la ragazzina che conoscevo io non mi si sarebbe mai rivoltata contro.
“Spostati”
Le ordinai rabbioso avanzando verso di lei, decidendo che la mia priorità al momento era il pirata e che con Mikami avrei fatto i conti più tardi.
“Mi hai mentito”
Ringhiò tra i denti, tremante e con gli occhi lucidi.
Le mie sopracciglia si corrugarono maggiormente, scavando una ruga profonda nel mezzo della mia fronte:
“Ragazzina, ti rendi conto della tua situazione? Non sei nella posizione di accusare nessuno, tanto meno me.”
Le risposi a mia volta, la voce bassa e minacciosa:
“Levati di torno.”
“Perché non mi hai detto che non è vero quello che mi hanno insegnato sui pirati? Lo so che sai di cosa sto parlando! Perché continui a dare la caccia ai pirati? Perché anche tu mi hai mentito!?”
Mi arrestai, colto alla sprovvista dalle insinuazioni che Mikami aveva pronunciato con voce sempre più stridula e gli occhi sempre più lucidi.
…Sapevo che prima o poi sarebbe successo, che se ne sarebbe accorta…
Ma così presto… Non potevo affrontare quell’argomento ora, davanti a tutti gli altri soldati.
Mentre riflettevo sul da farsi, i sigari nervosamente stretti tra i denti, un ombra oscurò il sole.
Un secondo dopo venni sbalzato in aria a diversi metri d’altezza, ricadendo pesantemente sul legno del ponte fracassando alcuni barili.
Mi rialzai in piedi con un ringhio rabbioso, i muscoli sotto la giacca aperta tesi e pronti all’azione, trovandomi a fronteggiare il primo Comandante della flotta di Barbabianca, le ali di fenice che tornavano ad essere braccia umane mentre atterrava sul ponte.
Maledizione, le cose andavano di male in peggio…


*



Ero rimasta immobile, con un senso di vuoto che mi dilaniava il petto: avevo appena tradito Smoker e mi ero messa contro tutta la Marina.
Non sapevo nemmeno io il vero perché di quel gesto, sapevo solo che non potevano portare Ace ad Impel Down, perché se fosse accaduto… non ci volevo pensare.
Dovevo salvare Ace, perché ero in debito con lui.
E dovevo affrontare Smoker.
Lo sapevo che fine faceva chi tradiva la Marina però… non mi importava.
Avevo solo bisogno di risposte, non mi interessava quanto mi sarebbero costate.
Quando vidi una scia di fuoco blu sfrecciarmi al fianco per avventarsi su Smoker, e riconobbi Marco in quelle fiamme, sentii un enorme stanchezza mista a disperazione assalirmi: se lui ed i suoi si immischiavano, Smoker non mi avrebbe mai detto ciò che volevo sapere.
E il motivo per cui avevo così disperatamente bisogno di risposte, anche a costo di rischiare la vita, era semplicemente questo: da quando avevo aperto gli occhi sulla Marina non avevo più uno scopo.
Sogno, motivo di vivere, desiderio da realizzare… chiamatelo come volete.
Non avevo più uno scopo.
…E, Dio, mi sentivo così vuota…
Queste sensazioni vennero alleviate nel vedere un gruppo di pirati che si precipitava verso Ace soccorendolo ma…
Io dovevo sapere! Soltanto quando fossi riuscita a sapere la verità sarei riuscita a capire cosa volevo davvero.
Un grosso uomo con un cilindro nero in testa si parò davanti a me, dandomi le spalle e fronteggiando anch’esso Smoker.
“Ci pensiamo noi qui, signorina”
Disse mentre con un lieve sibilo estraeva dai foderi due spade identiche.
“Andiamo Mikami”
Sentii Marco dire mentre mi si avvicinava con passo veloce, lasciando che fosse il pirata dal cilindro a vedersela con Smoker.
Mi sentivo così debole, stordita, confusa, triste… che non mi mossi.
“Andiamo!”
Ripeté la Fenice con una nota di impazienza nella voce, afferrandomi per un braccio ed iniziando a trascinarmi.
Mi lasciai guidare docilmente, la testa vuota e leggera come un palloncino; davanti a noi alcuni pirati della seconda flotta stavano portando via Ace, mentre i loro compagni gli coprivano le spalle gettandosi con urla selvagge contro i marines.
Mentre Marco mi trascinava osservai distrattamente la battaglia che infuriava attorno a noi; scoprii che non potevo fare a meno di invidiarli, sia i pirati che i marines: loro, almeno, avevano qualcosa in cui credere e per cui lottare.  



Spazio autrice:
Contro ogni previsione, riesco ad essere puntuale con l'aggiornamento!
Inutile dirvi che questo capitolo mi ha fatto parecchio sudare: non avete idea di quanto io mi sia maledetta per aver scelto, tra tanti marines stupidi e balordi, uno coi controcaz*i come Smoker...
Ad essere sincera non sono pienamente soddisfatta di come è uscito il capitolo... ma cosa volete farci, mi sa che descrivere le lotte non è proprio il mio forte!
Ma da qualche parte bisognerà pur iniziare no?
Va bene, chiudiamo subito questo breve sfogo.
Come avrete notato(?) stavolta ho dato un titolo al capitolo, e credo che ne darò uno anche a quelli che ho già pubblicato mano  a mano che mi verranno in mente, perchè così mi sembrano un po'... tristi!
Povero Ace, gli ho fatto prendere un sacco di legnate...
Ahhhhh, a presto col prossimo aggiornamento ragazze! :*

  
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