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Autore: hikarufly    29/01/2012    4 recensioni
Post "The Reichenbach Falls", Sherlock Holmes è scomparso e il dottor John Watson ha dovuto voltare pagina... eppure ci sono ancora misteri da risolvere e un nuovo capitolo della propria storia da affrontare: un incontro casuale diventa uno dei momenti più importanti della sua vita.
Genere: Avventura | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Quasi tutti
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Quando John uscì di casa, nei giorni seguenti a quel breve ma intenso incontro, la città gli sembrava meno ostile anche se il vento iniziava a farsi un po' più freddo. Affrontava il tragitto dalla nuova casa, che era sempre felice di lasciare, verso l'ambulatorio con una rinnovata serenità. Si chiese se questo fosse giusto: amava la sua vita prima che Sherlock si buttasse da quel maledetto tetto, gli mancava nel modo doloroso in cui sott'acqua ci manca l'aria quando i nostri polmoni sono ormai vuoti e agogniamo di rompere il velo della superficie. Come poteva una qualsiasi ragazza timida, minuta e senza niente di particolarmente eclatante farlo stare così bene? Era forse il mistero di suo padre ad arrovellargli la mente, era forse quello lo stimolo che seguiva il suo cervello quando finiva per ripensare alla sua piccola figura in quell'immenso cappotto? O era proprio quel capo di Belstaff a continuare ad alimentare e tenere in vita quella parte di lui – la più grossa parte – che non voleva credere alla morte del suo migliore amico?

Eppure, per quante domande si ponesse, la piccola figura di Mary Morstan stava piano piano conquistando un posto, senza altro merito se non quello di essere apparsa all'improvviso nella sua vita. John aveva avuto tante storie insignificanti e frivole e questo perché nonostante fosse lo “scapolo incallito” di Baker Street, sapeva esattamente come ammaliare l'altro sesso. Era il tipo d'uomo che rispettava e ammirava le donne a tal punto da innamorarsi perdutamente di qualunque ragazza si meritasse la sua stima e il suo affetto, e nel mondo si potevano contare sulle dita di una mano. Mary Morstan era una di queste, anche se ancora lui non sapeva per quali meriti.

Una mattina come tante, John ricevette un messaggio proprio da Mary: “Non vorrei disturbarla ma mi farebbe piacere offrirle un caffè, questa volta senza versarglielo addosso!”. Un sorrisetto gli si dipinse in volto mentre le rispondeva per decidere dove e quando, e in meno di una mezza giornata si ritrovarono allo Speedy's, sotto gli occhi amorevoli e incuriositi di Mrs Hudson.

«So che non avrei dovuto farlo, ma l'ho cercata su Google» disse lei, una volta che furono seduti e con le loro tazze tra le mani, appoggiate al tavolo. Lui parve sorpreso, ma non troppo: probabilmente l'avrebbe fatto anche lui, ma non ci aveva neanche pensato.

«Prego, mi chiami John. Non sono abituato a tanta formalità fuori dallo studio» replicò, mentre lei alzava lo sguardo e sorrideva.

«Solo se lei mi chiamerà Mary» ribatté lei, sperando di suonare disinvolta. Lui annuì e lei si portò una ciocca di capelli dietro l'orecchio.

«Ho letto il tuo blog... da quando sei tornato a Londra a quel giorno... di due anni fa...» continuò a spiegare, mentre sul viso di John passava un'ombra, scura e pesante come l'aveva sentita molte volte. Senza una risposta da parte sua, Mary proseguì.

«È strano, è stato come se ti conoscessi da anni, rileggendo tutto quello che hai scritto. Una parte di vita ristretta in alcune pagine di un blog... Ricordo che alcuni colleghi mi avevano parlato di Mr Sherlock Holmes e di quello che era successo ma non ci feci molto caso. Ero corrispondente estera e avevo veramente tantissimo lavoro da sbrigare» concluse, ma con qualcosa da aggiungere che sembrava non osare dire.

«Corrispondente di guerra?» domandò lui, dopo qualche secondo di silenzio.

«Non proprio» replicò, con un sospiro «in certi paesi non si può dire quella parola. C'ero solo io a parlarne ed era rischioso. L'ultima volta, ho rischiato di restare in Birmania per un'intervista un po' troppo ardita, secondo il regime militare. Ci sono pericoli che si devono correre quando il tuo lavoro serve a qualcosa di importate come informare il mondo di quel che succede, in modo che reagisca come dovrebbe» confessò, sorseggiando la sua tazza «sono stata in Afghanistan, e mentre leggevo il tuo blog mi sono chiesta cosa sarebbe successo se ci fossimo incontrati allora» aggiunse, lasciando che la mente di John percorresse delle vie inesplorate e piacevoli, mentre lei arrossiva, senza che lui capisse perché. Mary si schiarì la voce, evidentemente imbarazzata per il suo ultimo commento ma senza sapere come rimediare.

«Mi dispiace» disse, quasi sottovoce «per Mr Holmes. I miei colleghi cercarono di farsi un nome seguendo quella storia, ed è il genere di giornalismo che più detesto. Mi dispiace se qualcuno di loro ti ha offeso, o creato problemi. So cosa vuol dire perdere qualcuno a cui si tiene così tanto» concluse, allungando la mano sul tavolo ma fermandosi, come se volesse prendere la sua ma non osasse farlo. A pochi metri da loro, Mrs Hudson si allontanò mentre in un istante di silenzio il suo piccolo singhiozzo si diffondeva nell'aria.

John ripensò ai vari messaggi che giungevano al 221b di Baker street: tanti anonimi “I believe in Sherlock” erano comparsi qua e là, ma la verità è che nessuno di loro si era fatto avanti davvero per aiutarlo. Mary era a conoscenza di tutto questo da un giorno... avrebbe avuto il tempo di ricredersi, o no? John attese qualche secondo che il nodo che gli si era formato in gola si allentasse.

«Noi non eravamo...» iniziò, volendo di nuovo gridare al mondo che dannazione, non era gay. È mai possibile che nessuno lo capisse?

«Non intendevo... non intendevo niente di tutto quello che puoi pensare, o di quello che hanno insinuato i tabloid» si affrettò a dire Mary, questa volta raggiungendo le sue dita. John notò che il suo tocco era deciso ma delicato «L'amore è qualcosa di così complesso... difficile dargli un confine o una definizione, e non mi sento di farlo. Però penso di comprendere che un legame stretto con un'altra persona, di qualsiasi natura sia, lasci quella persona nel dolore quando si spezza. Non mi devi dire niente, o...» continuò lei, per poi fermarsi e alzare gli occhi al cielo con un sorrisetto di commiserazione per se stessa e allontanando appena le sue mani «che diritto avrei di parlarti di tutto questo, ad ogni modo»

John non lasciò che le sue mani gli sfuggissero così.

«Più diritto di molti altri, credimi»

 

Alcune ore dopo, John e Mary erano al piano di sopra. Il solito scalino scricchiolò, mentre in John ogni sorta di emozione veniva scatenata. Mary si guardava intorno, guizzando gli occhi in ogni direzione, come un topolino in trappola e sembrava che ogni cosa potesse aggredirla. Era come se fosse in un santuario di qualche religione che non era la sua, ed aveva paura di profanare un ricordo con la sua sbadataggine. John si avvicinò alla sua poltrona, sistemò il cuscino con la Union Jack e provò a sedersi. Realizzò che il posto vuoto di fronte a lui era comunque fin troppo vuoto, mentre Mary si avvicinava a lui e gli stringeva la spalla con quella mano ferma ma delicata.

«È caduto. Semplicemente, dopo avermi detto di fissarlo, si è buttato. Si è schiantato sul marciapiede e...» ricordò, non riuscendo a concludere e nascondendo il viso tra le mani. Lei girò intorno alla poltrona e si inginocchiò, prendendogli le mani e stringendole tra le sue. Le avvicinò al viso e le portò sulle sue guance, senza sapere con che parole riuscire a farlo smettere di stare male.

«Ero così.. solo e senza speranza. Poi sono arrivato qui, per caso...» continuò lui, tormentato eppure felice di poterlo dire ad alta voce, mentre aiutava lei a sedersi sulle sue gambe. Si accoccolò nel suo abbraccio e i loro occhi si incontrarono.

«Vorrei averti conosciuto in quei giorni...» sussurrò lei, carezzandogli appena il viso.

«Ma è ora che ho davvero bisogno di qualcuno come te» replicò John e, nonostante l'intesa che si stava creando spontaneamente, arrossì. Lei avvicinò il viso al suo e posò le labbra sulle sue, prima timidamente, poi stringendosi di più a lui quando John a sua volta la circondava e la baciava. Si separarono solo di pochi centimetri, con il fiato corto e il dolore di lui che si scioglieva e quel nuovo sentimento incendiava ad entrambi il viso e il cuore. Lei si alzò tenendolo per mano e lui tornò in piedi a sua volta, portando i suoi passi verso le scale. Il respiro e il battito di lei erano accelerati: John poteva sentirlo quasi tamburellare nel suo petto, all'unisono con il suo. Mary era spaventata, eppure, come aveva già dimostrato, era decisa come un animale in procinto di difendersi: innocua a prima vista eppure pronta a scattare. Quando di nuovo le sue mani scivolarono sul suo petto, sul suo collo e sul suo volto e tornò a baciarlo, John non ebbe più niente a frenarlo e la portò al piano di sopra.

 

Mary aprì gli occhi all'improvviso, quando era appena spuntata l'alba. John era accanto a lei, beatamente addormentato come non riusciva ad esserlo da più di un anno. Lei sorrise appena, quando il suo cellulare, a qualche metro da lei, vibrò dentro una tasca. Si alzò silenziosa e veloce come un gatto, e lesse. Entro pochi secondi, mise su un'espressione atona e recuperò i suoi abiti, rivestendosi. Tornò al piano di sotto con le scarpe in mano e puntando dritto al camino: appoggiò le scarpe sulla poltrona di John e prese in mano il teschio, togliendo un piccolo involto dal palato e rimise tutto a posto, come se nulla si fosse mosso. Scese gli ultimi scalini, evitando quello che scricchiolava e uscì come un alito di vento che approfitta di una finestra chiusa malamente.

Entro poche ore era arrivata a Roma Ciampino. Chiamò un taxi e giunse in via Napoli, civico 58, in poco meno di 30 minuti dal suo atterraggio. Con la testa alta per osservare il rosone, entrò nel piccolo giardino di fianco alla chiesa di Saint Paul within the walls. Abbassò gli occhi per lanciare un'occhiata ai folletti impressi nelle pietre circostanti ed entrò. Lasciò la valigia vicino alla porta e i suoi tacchi risuonarono nella navata principale, sotto gli occhi dei mosaici di Burne-Jones qualche metro sopra di lei. C'era una sola persona, seduta in terza fila: un reverendo vestito di nero e con i capelli rossi. Mary lo raggiunse e si sedette accanto a lui, lentamente.

«Perdonatemi, padre, perché ho peccato» sussurrò, con voce dolce.

«Parli del furto o del sesso?» replicò il prete, con voce profonda. Lei si voltò con gli occhi sgranati.

«Come...?» domandò, senza fiato e lanciando un'occhiata colpevole al centro dell'abside. Lui alzò una mano, come in attesa di una consegna, e lei gli porse il piccolo involto preso a Baker Street. Dopo che lui l'ebbe esaminato e lei ebbe mormorato una piccola preghiera di perdono, i due si guardarono in volto: Mary Morstan e Sherlock Holmes.

   
 
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