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Autore: Darik    30/01/2012    2 recensioni
Dopo l'arrivo del nuovo pilota, giungeranno molti cambiamenti per i piloti di Evangelion.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: AU, Cross-over | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Rewriting of Evangelion'
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1° Capitolo

Asuka picchiettava un piede sul pavimento da almeno un quarto d’ora.

Si reggeva sulla scopa che l’era stata assegnata per le pulizie settimanali, fissava fuori dalla finestra e non sembrava minimamente interessata a svolgere il proprio compito.

Uno dei suoi compagni di classe, di quelli assai diligenti, se ne era accorto, quindi si avvicinò con grande cautela: “Ehm, Soryu, dovresti pulire il pavimento sotto la lavagna”.

La risposta di Asuka fu uno sguardo misto d’irritazione, senso di superiorità e minaccia, che ottenne l’effetto da lei desiderato: il poveretto batté subito in ritirata.

Shinji e Mana stavano parlando tranquillamente, intenti a pulire i vetri della finestra, e si sorridevano a vicenda.

Toji, anche lui con una scopa in mano, se ne accorse. “Guarda guarda, a quanto pare abbiamo una nuova coppia di piccioncini!”

“Non c’è che dire, Shinji sceglie sempre le migliori”, incalzò Kensuke.

Udendo una serie di mugugni divertiti da parte degli altri compagni, Shinji arrossì, perché, in effetti, non si era reso conto di come potevano essere interpretati certi suoi atteggiamenti in classe.

Senza contare che lui già conviveva con Asuka e soprattutto Misato, cosa che Toji e Kensuke gli invidiavano parecchio.

Shinji fece per replicare, quando un panno sporco volò in faccia a Toji, che per la sorpresa spalancò le braccia e con il manico della scopa colpì a sua volta Kensuke in pieno viso, facendolo cadere per terra.

“Doppio centro!”, esclamò soddisfatta Mana, suscitando le risate della classe.

Una mano pallida tolse il panno dal volto stupito e bagnato di Toji.

“Oh, grazie, Ayanami”, disse il ragazzo.

L’incipiente sorriso di Suzuhara, speranzoso che dietro quel gesto di gentilezza ci fosse un’attenzione particolare dell’albina nei suoi confronti, si spense quando vide Ayanami sciacquare quello stesso panno in un secchio d’acqua, perché il suo era ormai troppo sporco, e poi continuare con le pulizie.

“Lasciamo perdere”, mugugnò Toji aiutando Kensuke a rialzarsi e tornando a lavoro, cosa che fecero anche Shinji e Mana.


La capoclasse si avvicinò a Soryu. “Senti Asuka, posso chiederti un favore?”

Asuka si destò dai suoi pensieri e le sorrise. “Dimmi pure”.

L’altra allora le sussurrò qualcosa nell’orecchio.

La proposta doveva aver scandalizzato Asuka, a giudicare dal grido che lanciò, ma Hikari la supplicò, piegando il capo e unendo le mani a mo’ di preghiera.

La rossa ci rimuginò sopra e proprio allora Shinji e Mana uscirono dalla classe con Ayanami.

“Ti farò sapere entro l’ora di pranzo”, rispose Asuka andando alla finestra e cominciando ad armeggiarci intorno.

Con un’espressione assai soddisfatta, sembrò raccogliere qualcosa di molto piccolo da una fessura, afferrò la sua cartella e uscì di corsa salutando Hikari.


“Shinji! Asuka! Sono a casa!”, annunciò Misato rientrando in tempo per l’ora di pranzo.

“Bentornata”, rispose Shinji dalla cucina.

Misato si accorse del silenzio che regnava nel soggiorno. “E Asuka?”

“In camera sua a fare chissà che cosa”.

Mostrando una certa sorpresa, Misato andò a bussare alla porta della ragazza, che solitamente a quell’ora trovava sempre davanti alla televisione del soggiorno. “Asuka, tutto a posto?”

Non giunse risposta, quindi il maggiore della Nerv aprì di poco la porta: vide Asuka stesa sul suo futon e con ancora indosso l’uniforme scolastica, le mani dietro la testa, gli occhi chiusi. La cartella era abbandonata in un angolo.

Sembrava che la giovane dormisse, ma nelle orecchie aveva le cuffie di un walkman*, quindi stava ascoltando con attenzione un nastro.

Il maggiore concluse che doveva trattarsi di musica, e sembrando tutto a posto, richiuse l’uscio.

Poco dopo Asuka si tolse le cuffie e guardò il calendario.

“Capita a fagiolo”, disse tra sé e sé recuperando il cellulare dalla cartella. “Hikari? Sì, sono io. Volevo dirti che accetto e che faremo alle quattro e mezza. Digli che o si fa così o niente! Ciao”.

“Sì! E’ davvero questo il modo migliore per cominciare un pranzo!”, esordì Misato scolandosi in un solo sorso mezza lattina di birra.

A tavola con lei c’erano anche Shinji, che per un momento la osservò rassegnato, e Asuka, del tutto disinteressata.

Misato decise di rinviare il secondo sorso. “Sembra che oggi abbiamo tutti da fare”.

“Infatti”, rispose Shinji apparendo alquanto corrucciato, soprapensiero, e cominciando a mangiare con scarso interesse.

La sua tutrice se ne accorse. “Sei ancora preoccupato per l’incontro di oggi pomeriggio?”

“Non so proprio cosa dovrei dirgli”, ammise il ragazzo.

La donna attese qualche attimo, quasi come se sperasse in un qualche intervento di Asuka, ma poi capì che la sua coinquilina intendeva solo mangiare restando in silenzio.

Quindi parlò cercando di essere sia decisa che comprensiva.

“Non posso dirti quali parole dovrai usare, queste sono faccende personali. Posso però consigliarti di andare rilassato. Vedrai che le parole ti usciranno da sole. Tu limitati a non restare in disparte, non essere troppo teso, sarebbe imbarazzante se dovessi trasalire a ogni suo movimento. Inoltre”, terminò Misato sfoderando un sorriso e uno sguardo ammiccante, “non dimenticare che questa ricorrenza è importante anche per il comandante, perciò non penso proprio che ti dirà cose spiacevoli”.

Shinji assentì e parve rincuorato. “Comunque”, aggiunse lui, “dopo l’incontro, non verrò subito a casa. Andrò a fare una passeggiata”.

A quelle parole, Misato si sporse in avanti, poggio i gomiti sul tavolo, intrecciò le mani e ci posò sopra il mento. “Ah già, negli ultimi giorni rincasi più tardi di Asuka. Spero che non combini niente di particolare durante queste passeggiate”.

Shinji sapeva che era inutile fingere, alla sua tutrice bastava guardare i rapporti dei servizi di sicurezza per sapere con chi stesse in quei lassi di tempo. Ma cosa intendeva dire con quel particolare?

“Voglio solo ricordarti che siete entrambi troppo giovani per certe cose”, spiegò il maggiore come se gli avesse letto nel pensiero. Mostrò anche un sorriso malizioso, grazie al quale fece finalmente ben capire che cosa intendesse.

Shinji sentì fortissimo il desiderio di sparire sotto il tavolo, mentre Asuka seguitava a mangiare con indifferenza.

“E tu, Asuka, non dici niente?”, domandò Misato notando quel silenzio continuo, così strano per una ragazza dalla parlantina sciolta come la Second Children.

“Su cosa?”, replicò quest’ultima continuando a mangiare e senza neppure guardare in faccia la sua interlocutrice.

Anche quel tipo di atteggiamento non poteva sfuggire alla curiosità del maggiore. “Come ‘su cosa’? Oggi pomeriggio non mi hai detto che hai da fare?”

“Figurati, esco con un tizio insignificante solo per fare un favore a Hikari”.

“Chi può dirlo? Magari dimostrerà di essere la tua anima gemella…

Asuka, sentendo quella punzecchiatura, alla fine si degnò di guardare in faccia Misato, sfoggiando un mezzo ghigno. “Se davvero ci fosse un rischio simile, allora preferisco restare zitella per sempre. D’altronde ho proprio qui in casa un ottimo esempio di zitella quasi trentenne!”

Essendo colpita e affondata da tale affermazione, Misato poté solo decidere di finirla lì, riprendendo a mangiare.

Quello era un argomento delicato, specialmente per una donna che quel pomeriggio doveva andare al matrimonio di un amico d’università, e doveva andarci insieme al suo ex-ex-ex fidanzato.


Arrivò il fatidico primo pomeriggio: Asuka, Shinji e Misato uscirono uno dopo l’altro, salutando Pen Pen che restava a fare la guardia alla casa.


Maaya, con indosso un grembiule, stava pulendo il bancone di legno, con sopra la cassa, usando uno strofinaccio.

Gli incassi giornalieri fino a quel momento erano stati esigui: pochi clienti in giro, pertanto iniziò a pensare di chiudere in anticipo, nonostante fossero solo le quattro e mezzo del pomeriggio.

Fu allora che entrarono Shinji e Mana.

“Benvenuti!”, esordì Maaya, resa raggiante da quella vista. Saltando agilmente sopra il bancone, corse a stringerli entrambi con un abbraccio assai poderoso.

“Gr-grazie”, mormorarono i due ragazzi tentando di respirare dopo quella presa mozzafiato. Maaya li fece accomodare a un tavolo e, dopo aver preso nota dell’ordinazione di Mana, passò a quella di Shinji.

“Che ti porto, cucciolo?”

“Cu-cucciolo?”, ripeté Shinji facendo una buffa faccia sorpresa.

“Sì. Non ti piace? Hai ragione, cucciolotto, suona molto meglio”, corresse Maaya con grande naturalezza.

“Ecco… veramente preferirei che non mi chiamasse in nessuno dei due modi. Mi accontento di Shinji”.

“Come vuoi”, rispose l'altra prima di annotare anche la seconda ordinazione.

Quando poi si recò in cucina, rimasti soli, Shinji e Mana cominciarono a parlare. Erano uno di fronte all’altra e il ragazzo vedeva molto bene la cucina, inclusa la proprietaria del locale che maneggiava tre grossi barilotti da birra.

Maaya si voltò fugacemente verso Shinji, come se si fosse accorta di essere osservata da lui, e tirando fuori uno strano sorriso di complicità cominciò a far volteggiare con gran naturalezza e senza alcun problema i tre barilotti, nonostante dessero l’impressione di essere assai pesanti, come fosse un giocoliere con dei birilli.

Poi rientrò un momento e collocò i tre barili sotto il rubinetto della birra alla spina, provandolo un momento e dimostrando così che quei contenitori erano pieni.

“Shinji? Ehi Shinji?”, lo richiamò Mana.

“Che… che c’è?”

“Io non ho niente. Invece tu sei rimasto a bocca aperta. Mi sembri persino un po’ impallidito. Va tutto bene?”

“Oh sì, certo”.

Maaya ci mise poco tempo ad arrivare con le pietanze. “Ecco qua. Uno alla fringuella e uno al cucciolotto. Ops, scusa, dimenticavo che non vuoi essere chiamato cosi”.

“No, non fa nulla”, rispose Shinji mettendo le mani in avanti. “E poi lo trovo un aggettivo simpatico.”

Maaya, assai soddisfatta, gli mise una mano in testa e gli arruffò capelli. “Ti ringrazio”.

I due clienti iniziarono a mangiare con gusto, parlando tra di loro, per poi uscire una volta pagato il conto.

“Eh, mi dispiace ma affibbiare nomignoli è uno dei pochi passatempi che ho”, disse tra sé e sé Maaya mettendo i soldi in cassa.

Qualche minuto dopo l’uscita della prima, una seconda coppia entrò nel locale: una bella ragazza con lunghi capelli rossicci e un ragazzo dall’espressione strana, che sembrava non capacitarsi del suo atteggiamento.

A prima vista, infatti, potevano sembrare la classica coppietta, ma era lei a trascinarlo per mano, per poi costringerlo a sedersi. Infine si sedette a sua volta, spazientita. Il ragazzo pareva non sapere proprio come comportarsi.

Maaya andò loro incontro per servirli.

“Un piatto di spaghetti!”, tuonò la ragazza.

“Ehm… ed io?”, accennò timidamente il ragazzo.

“Oh sì. Spaghetti anche per lui”.

Maaya, finito di scrivere le ordinazioni, ritornò in cucina.

Essendo dei piatti molto semplici, ci voleva poco tempo per cucinarli, e nel frattempo tentò di ascoltare cosa si dicevano i due avventori. Ma il loro silenzio era totale, e al suo ritorno vide che la ragazza si era messa sul grembo una borsetta a tracolla e armeggiava con qualcosa che stava all’interno di quest’ultima.

L’altro, invece, ogni tanto si guardava intorno, oppure teneva lo sguardo basso.

“Tipico atteggiamento di chi non sa proprio che pesci pigliare”, realizzò Maaya inarcando un sopraciglio.

Poggiò il piatto davanti al ragazzo, facendogli un sorriso, e poi servì l’altra cliente: “Eccoti gli spaghetti, chica”.

“Chica?!”, esclamò la cliente fulminando Maaya con uno sguardo inceneritore, ma senza ottenere un gran risultato, poiché l’altra sostenne con grande tranquillità quella occhiata, e lo fece fino a quando i due non cominciarono a mangiare, in un silenzio di tomba.

A quel punto Maaya se ne ritornò in cucina e rimase appoggiata alla porta, per godersi lo spettacolo di quel duo così particolare.

In realtà il giovane sembrava desideroso di parlare, ma l’atteggiamento della sua compagna prometteva fuoco e fiamme se avesse provato anche solo a fiatare.

Pareva, semmai, aver fretta: finì gli spaghetti per prima, e quando posò sul tavolo le posate, piuttosto bruscamente, il suo accompagnatore sobbalzò e fece cadere il contenuto del suo piatto in parte per terra e anche sui suoi pantaloni.

“Bah, ma guarda cosa hai combinato!”, tuonò lei.

“Ma… ma io…”, provò a obiettare lui cercando di raccogliere il piatto.

Un dito minaccioso indicò la porta dei bagni. “Niente ma! Vai a sciacquarti! Subito!”

Il poverino, rassegnato, obbedì.

Rimasta sola, la ragazza andò a sedersi al bancone. “Un bicchiere d’acqua”, chiese con fare scocciato, e fu prontamente esaudita.

“Il tuo lui non sembra andarti molto a genio”, osservò la ristoratrice iniziando a mettere in ordine tra i bicchieri che stavano sotto il bancone.

La cliente scoppiò a ridere. “Il mio lui?! Tsk, quello è un povero stupido che mi ha fatto compassione, tutto qui!”

“Se tratti così quelli di cui hai compassione, allora tremo all’idea di cosa fai a quelli che odi”.

“Si può sapere perché ti prendi tutta questa confidenza?”, domandò allora la cliente squadrandola.

“Io cerco sempre di prendere confidenza con chi viene nel mio locale. Specie se lo fa più di una volta”.

L’altra sbuffò. “Spero che non tenterai di prendere confidenza anche con quell’idiota che mi porto appresso. Quello rischia solo di attaccarti la sua stupidità. Fai attenzione!”

“Farò attenzione.” Maaya ammiccò con lo sguardo. “Ho una certa esperienza nello scegliere gli uomini”.

“Gli uomini? Per favore! Gli uomini sono soltanto degli stupidi pervertiti che pensano solo a cose sconce”.

“Guarda, il tizio che ti accompagna non mi sembra uno stupido pervertito. Magari è un bravo ragazzo”.

“Non lo è. Ne sono sicura!”

“Su che ti basi?”

“Sul mio istinto femminile. Gli uomini sono porci e basta!”

Maaya la guardò con interesse. “Ne hai avuto un esempio?”

“Certo! Una volta, ad esempio, mi stavo cambiando sotto una scala, e uno di quei pervertiti si è messo a spiarmi dalla rampa superiore!”, spiegò indignata la ragazza.

“Non è detto che l’abbia fatto per quei motivi. Forse era solo curioso di sapere cosa stessi facendo”.

“E’ impossibile!”

“Perché? Tu gli avevi detto cosa stavi facendo?”

“Be, no”.

La cliente abbassò per un momento lo sguardo. Ma solo per un momento. “Comunque sono sicura che volesse spiare una bella ragazza che si cambiava. D’altronde, solamente un ingenuo non avrebbe capito cosa stavo facendo lì sotto!”

Maaya si portò una mano al mento. “E se invece il tizio in questione fosse davvero un ingenuo?”

La cliente poggiò un braccio sul bancone, e con una mano prese a giocherellare col bicchiere, facendolo scivolare sulla superficie di legno. “In effetti, sì. E’ probabilmente la persona più ingenua che conosco”.

“Colpa dell’educazione subita in famiglia?”

“Non l’ha mai avuta una famiglia quello lì. La madre è morta quando aveva solo quattro anni, e il padre, un bastardo, l’ha abbandonato subito dopo come si fa con i cani per strada”.

“E allora che colpa ne ha lui? Se ha sbagliato a causa dei problemi per la sua situazione famigliare…”

La cliente sembrò restare scandalizzata. “Ma ha comunque sbagliato! Ed è sbagliato voler assolvere sempre!”

“Infatti. Ma se i suoi errori derivano dalle sue esperienze del passato, allora significa che la sua ingenuità non è propria della sua natura. Quindi vuol dire che non è destinato a essere così per sempre. Può migliorare. Magari con una persona forte al suo fianco”.

“Ed è qui un altro esempio della sua ingenuità! Si è messo con una ragazza ingenua come lui! Ti sembra che una coppia del genere possa funzionare?!”

“Oh no! Sono gli opposti che si attraggono!”, rispose prontamente Maaya.

“Esatto!” La giovane con i capelli rossi piantò le mani sul bancone e si sporse sempre più in avanti. “Una coppia del genere non può funzionare, non può esistere! Quegli stupidi finirebbero solo col rovinarsi a vicenda! Un ingenuo come lui ha bisogno di una compagna adatta, sempre ammesso che riesca veramente a trovare qualche disperata che lo voglia. Ha bisogno di una forte, che parli senza peli sulla lingua, che non si lasci intimidire da nessuno, che sappia alzare le mani quando occorre per difenderlo!”

“Giusto!” assentì Maaya “E magari questa compagna dovrebbe anche avere una sensibilità nascosta che gli permetta di capire veramente il ragazzo!”

“Sì. Perché hanno avuto esperienze similari!”

“Brava!” applaudì la ristoratrice: finalmente la sua sempre più infervorata cliente, che ormai sporgeva così tanto in avanti da essere quasi faccia a faccia con lei, era giunta alla giusta conclusione.

In quel momento si sentì un tenue segnale sonoro, la ragazza tornò a sedersi correttamente, guardò nella borsetta, bofonchiò un’imprecazione, lasciò alcune banconote sul bancone, corse nel bagno, degli uomini, e trascinò il suo accompagnatore fuori dal locale.

Maaya recuperò i soldi e prese a contarli. “Forse avrei dovuto aprire un’agenzia per cuori solitari. Certo che quella ragazza anziché quattordici, sembra averne solo dieci di anni. Se ne esce con discorsi così stereotipati sugli uomini…”

Quando terminò il conto, un’espressione birichina si disegnò sul suo volto, e cominciò subito a chiudere il locale.


Arrivò infine la sera, e Maaya, che aveva riaperto il suo ristorante, vide rientrare la cliente con cui aveva discusso quel pomeriggio.

La ragazza con i capelli rossi aveva un’aria sconsolata.

“Buonasera, chica”, salutò la proprietaria, intenta a pulire il bancone. “Com’è andata la giornata?”

“Male”, rispose la cliente. “Ricordi la coppia di ingenui di cui ti ho parlato? Forse sta davvero nascendo qualcosa…”

Maaya sospirò volgendo gli occhi al cielo, e la invitò a sedersi davanti al bancone, allo stesso posto del pomeriggio.

L’altra obbedì senza fare obiezioni. “Hanno passato tutto il pomeriggio insieme, e sono andati un po’ dappertutto. Per ultimo, al parco”.

“E il ragazzo che ti accompagnava?”

“L’ho mollato davanti alle giostre”.

Maaya inarcò un sopracciglio. “Capisco… Però può darsi che corri troppo. Non hanno fatto altro che parlare, tranne per quel bacio sulla guancia quando si sono salutati”.

La cliente la fissò sorpresa. “Come… come fai a saperlo?!”

“Sai, ti devo ringraziare. I soldi che mi hai dato prima erano molto più di quelli che mi dovevi. Con quell’extra, senza toccare i soldi in cassa, sono potuta andare in quella gelateria, poi in quel cinema e infine in quel parco. Il tutto è stato davvero molto divertente!”

“Tu…. Tu ci hai spiati!”

Maaya fece un sorriso birbone. “Mi sa di sì”.

La cliente strinse i pugni. “E come…. Come ti sei permessa?!”

“Adesso ti arrabbi, ma ti faccio i miei complimenti per l’autocontrollo che hai dimostrato mentre pedinavi quella coppia d’ingenui. Temevo che potessi compiere qualche sciocchezza”.

La cliente arrossì. “Non… non lo avrei mai fatto!”

“Ah no?”

Maaya con passo deciso si avvicinò alla ragazza, le strappò la borsetta a tracolla e vi frugò dentro, tirandovi fuori quello che sembrava un piccolo schermo portatile.

Cominciò a rigirarselo tra le mani. “Un mio amico era molto esperto di queste cose. Questo è un rilevatore di posizione, di quelli che si usano per le auto in caso di furto. Non m’interessa dove l’hai rubato, ti basti sapere che, avendo fatto questo, è normale sospettare che tu possa spingerti molto più in là”.

L’altra ragazza abbassò lo sguardo e fece per andarsene.

“Quell’ingenuo non si accorgerà mai di te, se non ti fai notare”, le disse infine Maaya.


Asuka sedeva nella sua camera, fremente di rabbia e rossa in volto.

Il piccolo microfono direzionale piazzato nella finestra che quegli stupidi dovevano pulire… Il rilevatore di posizione con relativo micro segnalatore rubato dall’auto di Misato, quella Ferrari che non usava quasi mai perché l’Alphine le piaceva troppo… Il pedinamento a distanza grazie al rilevatore…

“Che merdata! Che vergogna! E che ingenua che sono stata! Come ho fatto a non capire che le ho spifferato tutto davanti a quel maledetto bancone!?”

Qualcuno bussò alla sua porta.

“Chiunque tu sia, fila via!”, tuonò la ragazza.

“Asuka, sono io”, disse Shinji dall’altro lato della porta. “Volevo chiederti se avevi visto la cintura della mia divisa scolastica”.

Asuka si alzò e aprì la porta con violenza.

Shinji sobbalzò, e quando la vide infuriata, con la sua cintura in mano, temette il peggio. “Prenditela, la tua maledetta cintura!”, gridò lanciandogliela addosso. “E guai a te se mi fai fare un’altra figura vergognosa come oggi!”

“Eh? Di che parli?”

“Idiota!!”, sbottò Asuka chiudendogli la porta in faccia.

Shinji rimase interdetto, preferì non pensarci e andò a letto, passando affianco alla stanza di Misato, caduta in un sonno profondissimo dopo il suo ritorno dal matrimonio, accompagnata dal signor Kaji.

****

Qualcosa era cambiato.

Da quanto tempo si trovava lì?

Da circa sei mesi.

Era ormai da sei mesi che stava in quella cella vuota dalle pareti bianche.

Perché si trovava lì?

Perché aveva ucciso alcuni dei suoi fratelli, e gli scienziati dei suoi padri lo avevano rinchiuso non per punizione, ma perché temevano che potesse fare la stessa fine, ignorando quindi che era lui il colpevole.

Chi era lui?

Era se stesso, perché ora ricordava il suo nome e il suo passato.

Chi lo aveva rinchiuso lì?

Questo lo sapeva già da qualche tempo…

Chi lo aveva creato, deluso dal risultato finale, non credendo che sarebbe stato all’altezza.

Sarebbe uscito da lì?

Oh sì.

Ci avrebbero pensato le sue sorelle.


“Ehi, si è sdraiato”, comunicò l’addetto ai rapporti.

Il suo collega dei monitor si era alzato per prendersi un caffè, quindi lui l’aveva sostituito per un momento.

Sentendo quelle parole, l’uomo tornò subito al suo posto per controllare.

“Sì, si è sdraiato per dormire. Meglio così, vorrà dire che sta tornando normale”.

L’altro non era dello stesso parere. “Era da sei mesi che non lo faceva. Dormiva sempre restando in posizione meditativa, e chissà come faceva e a cosa pensava da sveglio”.

“Non dirmi che sei preoccupato! Non starai andando in paranoia?”, domandò l’uomo dei monitor.

“Spero di no. Dico solo che mi sembra… sospetto”.

“Sì, stai diventando paranoico”, concluse il collega.


*Forse sembrerà strano che si utilizzi un walkman in una storia ambientata nel 2015, quando già adesso i walkman manco li fanno più e gli Ipod dominano. Però io ci tengo a rispettare il più possibile la serie base, e siccome nella serie Tv si utilizzano regolarmente, ho deciso di farlo anche io.

 

  
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