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Autore: shotmedown    30/01/2012    2 recensioni
No, lei non ci credeva più. Inutile negarlo, c'era qualcosa che non andava nella sua vita, e non poteva far altro che crogiolarsi nella sua ignoranza; un giorno, forse, qualcuno le avrebbe fatto capire quanto contasse, e le avrebbe donato un mondo fatto di sicurezza e passione, ma per ora, si limitava a partire, ad andare lontano. Boston le stava stretta, Montréal era la libertà.
Genere: Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Cinque amici e un paio di chitarre.'
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Okay, ho scritto questo capitolo sul Blackberry. Tutto per colpa di una professoressa di scienze inacidita , convinta che anziché essere al quarto anno di classico, noi poveri esseri etichettati come alunni siamo al terzo anno di università, facoltà medicina. Sono stressata e vorrei solo prendere a calci qualcuno che le somigli, anche solo minimamente (= 

~ P.S I love you.







Mi chiesi perché fosse cosi ansioso e cosi distaccato, e iniziai a temere che intendesse dirmi qualcosa che avrebbe potuto rovinare il nostro rapporto. E infatti...
"Ti ho mentito" Sussurro'. "Io...Io non sono un giornalista..." 
"Cosa vuol dire?" Ero confusa, non ancora arrabbiata.
"Quello che ho detto." 
"Ora mi permetterai di chiederti cosa fai di tanto scandaloso da non aver avuto il coraggio di dirmelo in tre anni?" Dissi, restando calma.
"Io ho...una band." Sussultai, chiedendomi come avesse fatto, come fosse riuscito a nascondermi una cosa simile per tutto quel tempo. In un primo momento fui sul punto di non credergli e scoppiare a ridere, ma poi fu come se i pezzi di un puzzle che neanche credevo di aver iniziato avessero preso la giusta direzione per essere incastrati. Mi tornò alla mente la sua voce, quella sera nella grotta...Poi ebbi una sorta di flash, e l'anticamera della memoria mi ricordò chi in realtà  fosse il possessore di quella voce.
"Sei tu..." 
"Se per 'tu' intendi il cantante che ascoltavi una volta, si, sono io." Si porto' una mano sulla nuca e sorrise, per le circostanze in cui eravamo, forse per sdrammatizzare. Eppure, io, quell'effetto proprio non riuscivo a sentirlo.
"Non ci posso credere. Cos'altro mi hai tenuto nascosto?" Tornò serio, e fisso' i suoi occhi nei miei, parlandomi con un tono di cui non credevo la sua voce fosse capace. 
"Ho una fidanzata." Non seppi perché proprio quello mi fece più male, perché sentii di non potergli perdonare proprio quella menzogna.  Più di tutto, mi chiesi perché non me lo avesse mai detto. 
"Non lo so, esattamente." Mi detestavo quando pensavo ad alta voce. "O forse si, ma mi spaventa pensarla in quei termini." Sollevai il volto e lo guardai, cercando di apparire quanto meno persa potessi. 
"Non mentirmi anche stavolta..." Poso' una mano sulla mia guancia e si avvicinò, con un ghigno disegnato sulle labbra. 
"Sto mentendo anche a me stesso, in questo momento." 
"E allora smettila, dannazione!" Mi alzai di scatto, scostandomi i capelli dal volto e tenendo gli occhi fissi sulla finestra che dava sulla camera da letto. "Forse e' meglio che tu vada via." Mormorai.
"Ho rovinato tutto?" Rientrai in casa e chiusi a chiave la porta della mia camera, lasciandomi scivolare lungo la parete. Se dovevo stare male, doveva essere per il fatto che in tre anni in cui aveva più volte ribadito quanto fossi importante per lui non aveva fatto altro che raccontarmi bugie. Sfidavo non avessi trovato suoi articoli in giro, ma quel che pi§ mi tartassava la mente era come avesse fatto a spiegare alla sua fidanzata dove avesse passato più volte la notte, quando a furia di giocare ai videogames con Jack si era addormentato sul nostro divano. Mi sollevai da terra e spalancai l'armadio; scostai i vestiti e cercai la scatola gialla contenente i miei ricordi. Quando la trovai, sollevai il coperchio e cercai i CD che tanto da ragazzina avevo bramato e ottenuto solo con i sacrifici. Sulla copertina, il suo volto corrucciato, serio... Come avevo fatto a non riconoscerlo?  

Pierre p.o.v
Scesi lentamente le scale che mi avrebbero condotto fuori dal palazzo, lontano da lei e da quello che avevamo costruito in quegli anni. Mi ero accorto solo in quel momento che le basi che avevamo posto erano atte ad ospitare ben due palazzi; la messa a punto del mio era però ostacolata dai sensi di colpa. Che non riuscissi a starle lontano, era trasparente come il vetro, chiaro come il sole. E quello che ancora non riuscivo a capire era: perché lei? La mia vita era pressoché perfetta, fino al suo arrivo, con quell'abito azzurro totalmente inappropriato per un viaggio, in aeroporto. 
Rientrai in casa, facendo attenzione a non mostrare angoscia o sentimenti simili alla mia fidanzata. Difatti, Lachelle era al telefono, e non appena mi vide le si illuminò il volto.
"Ci sono grandi notizie!" La fissai con sguardo interrogativo, chiedendomi a cosa si riferisse di preciso. "Per te, ovviamente. A me toccherà starti lontana ancora una volta." 
"E' quello che penso?" Chiesi, sentendo già l'euforia.
"Sì! Farete qualche concerto in giro per spianare la strada all'uscita del nuovo CD. Partirete tra una settimana, è già tutto pronto!" Così presto? Sarei stato via a lungo, non avrei potuto mettere le cose a posto. Sorrisi, rispondendo all'euforia di Lachelle, poi decisi di fare una doccia per schiarirmi le idee. Lasciai che il getto d'acqua calda facesse tutto da solo e liberai la mente; con scarsi risultati, ovviamente. Quando dovevano essere passati circa trenta minuti, Lachelle bussò alla porta e mi chiese se andasse tutto bene. Indossai una t-shirt e un paio di calzoni e la raggiunsi in camera da letto. 
"Riposa, domani devi cantare tutta la giornata." Mi scoccò un bacio sulla guancia e si coprì con il piumone, voltandosi dal lato opposto. Fissai il vuoto qualche istante, prima di addormentarmi definitivamente.

Uscii di buon mattino, sorprendendo anche me stesso. Arrivato allo studio di registrazione, mi armai di chitarra e strimpellai qualche nota della canzone che avevo scritto qualche giorno prima, colto da un'improvvisa ispirazione. Mi, Re... No, così non va, pensai. Provai a mettere insieme qualche altra nota, ottenendo come massimo risultato qualcosa di appena udibile.
"L'ideale sarebbe utilizzare questo sound facendo ricorso alle chitarre elettriche e al basso. Con la batteria, poi, migliora tutto." Salutai David, fermo sulla soglia. Fui felice di sapere che il suono poteva andare. "Tutto okay?" Annuii, posando lo strumento sul divanetto. 
"Ho parlato a Samantha." Affermai, giocherellando con i tasti per il controllo voce.
"E...?" 
"E, cosa? E' andata proprio come mi aspettavo. E' arrabbiata." Utilizzare quell'aggettivo, con lei, era riduttivo. Avrei potuto dire che fosse delusa, il che era decisamente peggio considerate le circostanze e il suo modo di fare. In tre anni avevo imparato che non perdonava facilmente, che a volte non lo faceva affatto, soprattutto se ferita da persone di cui si fidava ciecamente. L'unica magra consolazione era quella, per metterla in quei termini. 
"Dovresti darle tempo." Scossi il capo, lasciandomi cadere sulla sedia.
"Non a lei."
"Per come ne parli non sembra una tipa normale." Disse, sorridendo. 
"E' solo troppo umana, David." Mormorai. "Ricordi quello che ci diceva mio padre?" 
"Siamo tutti animali fino al momento in cui non ci pugnalano alle spalle?" 
"Proprio quello." Nell'esatto istante in cui mi alzai, fecero il loro ingresso Seb, Jeff e Chuck, ansiosi di provare. Bevvi un sorso d'acqua ed entrai in sala registrazione, indossando le enormi cuffie che da anni a quella parte utilizzavo. Provammo una canzone che l'anno precedente avevamo cantato all'I-day festival in Italia, dopodiché a Dave venne la grandiosa idea di concretizzare il mio pezzo. Dopo circa un'ora di battibecchi sulle note da mettere insieme, tirammo fuori una delle canzoni migliori che avessimo mai composto. 
"Come la chiamiamo?" Iniziarono a tirar fuori nomi improbabili, e mentre me ne stavo in silenzio ad ascoltare le loro idee, la semplicità mi fece parlare.
"Astronaut." 
"Che fantasia, Pierre." Commentò Chuck, continuando a pensare. 
"Pensateci. E' facile da ricordare, e al tempo stesso rende il tutto misterioso; chi potrebbe immaginare un testo così con un titolo del genere? E sarebbe un nome fenomenale da dare ai nostri fan, non credete?" Sembrarono convincersi. Qualche minuto dopo, stavamo definitivamente registrando quella che, me lo sentivo, sarebbe stata un grandissimo successo. Intorno alle undici e trenta, decidemmo di prenderci una pausa e riposare. Mi offrii di andare a prendere dei caffé di sotto, a patto che non iniziassero, al solito, a fare gli imbecilli chiedendomi cose impossibili quali: caffellatte tiepido, con molto zucchero, cacao amaro e chicci di caffé ma senza troppo caffé. Non volevano dire niente quelle parole. Nulla. Riempii sette bicchieri di carta e tornai di sopra, rischiando di ustionarmi proprio dinanzi alla porta. Spinsi il maniglione antipanico e mi aiutai con la schiena a spalancare il portone, dopodiché posai le bevande sul tavolino di legno. 
"Sono fantastiche!" Mi guardai intorno e notai che i ragazzi erano spariti, ma la voce di Seb era ancora chiara. Aprii la porta dell'ufficio del tecnico e trovai tutti intenti ad osservare qualcosa. "Pierre, guarda!" Prima ancora che i miei occhi si posassero sulle fotografie appena stampate, incontrai lo sguardo di Sam. Evidentemente a disagio, chinò il capo e rivolse un sorriso a David, che la stava ringraziando.
"Sono troppo figo." Affermò subito dopo, analizzando uno degli scatti. "Ragazzi, andiamo di là." 
"E perché mai?" Domandò Chuck, confuso.
"Perché la moquette mi ispira. E anche le mura marroni."
"Hai bevuto per caso?"
"Chuck, sta' zitto e muoviti." Guardandoli non potei fare a meno di ridere. Silenziosamente, ringraziai il mio amico, che chiusosi la porta alle spalle, lasciò me e Samantha da soli. Mi voltai lentamente, tenendo lo sguardo fisso sul pavimento e cercando di trovare qualcosa da dire. Qualsiasi cosa sarebbe andata bene, qualsiasi. Ovviò lei alla mia tomba di idee.
"E' simpatico, David." 
"Sì, lo è." Grandioso. Risposte tanto concise non avrebbero certo aiutato la conversazione. 
"Meglio che vada, Powell mi sta aspettando." Annuii, ma prima che si avvicinasse alla porta, imposi a me stesso di farmi avanti. 
"Potrà...Potrà mai tornare tutto com'era prima?" Un profondo ma loquace silenzio seguì quella mia domanda. 
"Quando entrambi vivevamo in una menzogna?" Mosse un passo in direzione dell'uscita, ma non potevo lasciarla andare proprio adesso. Le afferrai un braccio e glielo strinsi, avvicinandola a me. 
"Ti ho mentito solo sulla mia vita, Sam. Con te sono sempre stato me stesso; più di quanto potessi credere possibile." 
"Non è così semplice. Pensa...Come ti sentiresti se improvvisamente ti dicessi che a scrivere gli articoli non ero io, ma qualcun altro e che invece che rompere con Ben io ci fossi tornata insieme?"
"Non lo so, non so come mi sentirei."
"Fa stare da schifo. Mi fidavo di te, Pierre. Mi sono affezionata troppo, è stato un errore." Allentai la presa, scosso da quelle parole.
Se solo lei avesse saputo cosa mi stesse torturando da troppo tempo. Dal suo arrivo, praticamente. Se solo avesse saputo quanto io tenessi a lei...Se solo io avessi accettato quella situazione.  
  
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