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Autore: Avion946    30/01/2012    1 recensioni
Un anziano giornalista viene inviato a bordo del piroscafo Titanic per svolgere una importante delicatissima missione, a proposito della quale, alcune inforamzioni gli sono state volutamente taciute. Dovrà riuscire il protagonista a trovare una soluzione, muovendosi a bordo della nave e vivendo tutte le vicende collegate con il viaggio, dalla partenza al drammatico naufragio. Solo alla fine verrà fuori la soluzione attraverso un imprevisto, incredibile epilogo a sorpresa.
Genere: Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Per rendere più agevole la lettura si consiglia di visitare questa pagina Capitolo XI L'impatto

Cap XI^

 

14 aprile 1912 – Tempo del Titanic, ore 21.00

 

Erano le 21.00 e Russel fece appena in tempo a vedere di sfuggita il Comandante che, lasciata la festa in suo onore al Ristorante A la Carte, si recava al ponte di comando. (Il giornalista sapeva che  avrebbe dato le ultime disposizioni della giornata al personale in servizio, ossia il primo ufficiale Mc Master Murdoch, assistito dal quarto ufficiale Groves Boxhall. Malgrado gli avvisi sul ghiaccio, non dette alcuna particolare istruzione  circa la velocità che quindi sarebbe rimasta invariata. Il giornalista si recò in sala fumatori di prima classe per  vedere come si comportavano i suoi compagni di viaggio. La scena che gli si presentò era quella consueta di alcune persone di buon livello che, dopo una lauta cena, aspettavano l'ora di andare a dormire, concedendosi il lusso di una buona conversazione, con l'aggiunta di un buon sigaro ed un piacevole bicchiere di liquore. Ad uno dei tavoli vide  un gruppo  formato dal sig Hays, dal colonnello Gracie  e dal capitano Edward Crosby. Il sig  Hays stava dicendo agli altri che era convinto che le grandi dimensioni di un mezzo di trasporto, come quello su cui si trovavano, secondo lui pregiudicavano la sicurezza invece di aumentarla. Il colonnello Gracie, accettava in parte la tesi dell'altro ma affermava che il viaggio che stavano facendo sarebbe stato comunque indimenticabile e dovevano ritenersi fortunati per aver potuto partecipare a quell'evento di cui si sarebbe parlato a  lungo. Diversi passeggeri erano intenti a giocare a carte come tutte le altre sere. Il giornalista notò al lavoro i 'sig.ri' George Brereton e Harry Homer, per citarli con il loro vero nome,  che in coppia, stavano tentando di 'mettere in mezzo' il sig. Rotschild che però sembrava un osso veramente duro. Si mosse per tutto il salone indugiando con lo sguardo su tutte quelle cose belle che fra poco sarebbero finite nel buio dell'oceano. In particolare giunse al caminetto in fondo al salone e volle poggiare le mani sulla sommità in marmo, e passare delicatamente le dita sui profili della statuetta di Artemide che lo adornava. Questi gesti gli trasmisero una notevole soddisfazione e poteva capire il sig  Andrews che indugiava quasi sempre la sera in quel luogo particolare, considerando un po' la nave come una sua creatura.  Si recò nel posto dove in quei giorni aveva vissuto dei bei momenti con piacevoli sensazioni. Entrando nel Cafè Parisienne,  rimase un attimo sorpreso. Non lo aveva mai visto così affollato. Ciò perchè lui aveva frequentato quel locale solo per  fare colazione al mattino. Ma il Cafè Parisienne era in realtà un ristorante dove si potevano consumare le stesse vivande della sala da pranzo, ma dall'ora di pranzo, senza interruzione, almeno fino alle ore 23.00. Il cameriere, riconosciutolo, lo condusse ad uno dei pochissimi tavoli liberi e prese la sua ordinazione relativa ad un caffè forte. Attorno a lui c'erano diverse persone conosciute che commentavano i fatti della giornata, terminando di cenare, assaporando i gustosissimi sorbetti caratteristici del locale o sorbendo un liquore. Ad un tavolo vicino vide lo scultore Romain Chevre che giocava tranquillamente a bridge con i suoi amici Pierre Merechal, Alfred Fernand Aumont e Lucien Smith. Russel, sorseggiando il suo buonissimo caffè, lontano 1000 miglia da quella gente, ripensava a quanto vissuto in quei favolosi giorni. Non aveva mai avuto un'esperienza simile nella sua vita e di questo doveva certo essere grato a Marcus. Ma sapeva che ora la 'vacanza' sarebbe terminata e il conto da pagare sarebbe stato salatissimo. Era abbastanza sicuro che la sua missione non era stata ancora portata a termine. Aveva conosciuto tante persone, ascoltato tante conversazioni, visitato praticamente ogni angolo interessante della nave. Poi si era imbattuto in gente strana, che probabilmente aveva addirittura cercato di farlo fuori ma che poi, inspiegabilmente, era semplicemente sparita. Lo rafforzava nella sua convinzione il fatto che avrebbe dovuto vivere il naufragio fino in fondo. Egli sperava solamente che quanto vissuto sul Titanic, magari negli ultimi istanti, lo mettesse in grado di agire nel modo giusto. Erano ormai le 22.00 e immaginò che in terza classe, come tutte le sere, il personale avesse iniziato a spengere le luci ed a chiedere ai passeggeri di raggiungere le loro cabine o i dormitori per andare a dormire. Mancava un'ora e mezza circa all'impatto. Doveva trovare il modo di occupare quel tempo o sarebbe diventato matto. Era in questi momenti che avvertiva i cambiamenti intervenuti con l'età. Suo malgrado aveva preso atto di essere diventato emotivamente più fragile di tanti anni prima. In altri tempi aveva assistito a scene di incredibile violenza e barbarie, limitandosi a registrare ciò che accadeva attorno a lui. Ora si trovò a chiedersi dove fosse in quelle circostanze la sua umanità. Si chiedeva addirittura chi fosse quella persona capace di assistere a certe scene con così totale distacco. Forse era questa la fama che si era fatta e questo era il motivo che aveva indotto Marcus a scegliere proprio lui per un incarico del genere. Bene! Al suo ritorno avrebbe messo in chiaro che si erano sbagliati sul suo conto. Lui era un essere umano, ora, ben contento di esserlo, di essere capace di commuoversi, di soffrire per la sorte di quelle persone e con molta probabilità, che ciò che l'avevano mandato a fare, gli sarebbe costata l'anima. Ritenne che sarebbe stato piuttosto importante poter assistere all'imbarco sulle scialuppe di salvataggio e quindi si recò sul ponte delle lance. Dall'alto, da prua a poppa, lo scenario del Titanic illuminato era grandioso. L' effetto era tanto più sensibile quanto più si prendeva atto che attorno, il mare, nella notte senza luna, era nero come l'inchiostro. Lo stellato fitto che  si vedeva in cielo, era incredibile e caratteristico di un mondo più pulito e senza smog, insufficiente però ad illuminare il mare sottostante. Dal blocco dei locali del ponte di comando non giungevano segni di particolare attività. Di certo ci si preparava ad una lunga notte di guardia in un mare che  si riteneva deserto, attenti più che altro a mantenere la rotta, a dispetto delle correnti marine ed a mantenere la velocità quasi al massimo. Sul ponte non c'era molta gente. Un po' per il freddo e un po' perchè era stata una giornata piuttosto impegnativa e densa di emozioni. Russel sapeva che da lì a poco quel posto sarebbe stato il centro di una attività frenetica e poi addirittura disperata. Si sarebbero svolti in quel luogo atti di coraggio, di generosità ma anche di violenza, vigliaccheria e brutalità. I passeggeri non si sarebbero potuti imbarcare sulle scialuppe da quel ponte. Infatti non c'era via di accesso alle barche che erano sollevate rispetto al livello di passeggiata di almeno un metro e mezzo. Per l' imbarco erano previsti dei portelloni sulle fiancate del ponte sottostante, il ponte A, per cui le scialuppe sarebbero prima state abbassate all'altezza di questo ponte e poi, una volta al completo, calate in mare. Russel scese sul ponte A e cercò un modo, una via che gli consentisse di spostarsi con una certa facilità sui due lati della nave per documentare le operazioni di imbarco dei passeggeri. La necessità di spostarsi sia a tribordo che a babordo derivava dal fatto che erano accaduti eventi particolari sui due lati, specie perchè i due ufficiali addetti a controllare le operazioni di imbarco, il sig William McMaster Murdock sul lato sinistro ed il sig Charles Herbert Lightoller  sul lato destro, dalle testimonianze dei superstiti, non avrebbero seguito le stesse direttive o non avrebbero comunque seguito lo stesso metro di giudizio. Infatti, mentre McMaster Murdock fece osservare scrupolosamente, salvo rarissime eccezioni, la norma "prima le donne e i bambini", Lightoller si dimostrò assai più elastico, badando più che altro a calare le scialuppe più in fretta possibile. Peccato che comunque tutti e due abbiano avuto lo stesso comportamento nel far ammainare le lance prima che fossero completamente piene. Avrebbero di certo consentito a molte più persone di salvarsi. Trovò un passaggio abbastanza diretto all'altezza degli scaloni di prima e seconda classe. Decise che si sarebbe servito di quello della prima classe finchè fosse stato possibile e poi con il salire dell'acqua a prua, avrebbe iniziato ad usare l'altro passaggio, quello a poppa. Consultò l'orologio e vide che erano le 22.45. Un'ora, ancora un'ora da trascorrere, un'ora di pace per chi si apprestava ad andare a dormire dopo una bella giornata, un'ora per dormire sonni tranquilli, un'ora per passeggiare al chiaro delle stelle, per fare progetti, per scambiarsi confidenze, per stare insieme. Il giornalista sentiva il cuore che gli martellava in petto, come se il suo movimento e l'intensità del suo battito crescessero all'avvicinarsi di quel mostro di ghiaccio che li aspettava nell'ombra da lì a poche miglia. E loro che ci stavano filando contro a piena velocità! Che pazzia, che stupido gioco!  Ma poi perchè, visto che non avrebbero mai potuto battere nessun record? Infatti ciò era stato realizzato dal piroscafo Mauritania della compagnia concorrente, la Cunard Line, nel settembre del 1909. Il record era stato ottenuto mantenendo in permanenza la velocità di 26 nodi. Visto che il Titanic procedeva ad una velocità massima di 23 nodi, ogni tentativo era completamente inutile. Sembra che però il sig. Ismay fosse convinto che sarebbe stato di grande impatto riuscire a raggiungere New York con un giorno di anticipo rispetto alla data prevista. Pensò a quali locali avrebbe potuto visitare nell'attesa,  per documentare quegli ultimi minuti. Sarebbe stato sufficiente per trovare quelle risposte che ci si aspettavano da lui? Scartò decisamente la terza classe, A quell'ora le luci erano state spente e la gente era stata invitata a dormire e poi, se qualcosa fosse andata storta, avrebbe rischiato di restare intrappolato con gli altri in fondo alla nave. Nervosamente tornò nel salone fumatori di prima classe. Se qualcosa di importante doveva accadere, forse, visto il calibro dei presenti, era lì che l'avrebbe notata. Ad un tavolo vide ancora  seduti il sig. Hays, il col Grace ed il capitano Edward Crosby che stavano ancora discutendo sull'argomento di poco prima. Hays insisteva nel definire la nave come troppo grande e pericolosa. Faceva notare, infatti, che se alla partenza non fosse stato evitato l'incidente con la nave New York, sarebbero colati a picco già nel canale di Southampton. Ascoltando quei discorsi che testimoniavano come parecchi dei passeggeri prevedessero qualcosa di pericoloso e drammatico, malgrado i suoi buoni propositi, il giornalista si fece portare un' altro bicchiere di whisky che ingoiò in un fiato e poi, vista l'ora, uscì e si recò alla balaustra posta in corrispondenza della parte anteriore della passeggiate del ponte A. Sotto di lui, lo spazio aperto del ponte C, riservato alla terza classe. Notò nella scarsa luce proveniente dalle lampade della nave in quel posto, che sedute ai tavoli c'erano alcune persone, segno che qualcuno era sfuggito al coprifuoco e si godeva la nottata con i compagni di viaggio. Alle  ore 23.40, ora della nave, Russel fissò il suo sguardo a prua. Voleva vedere con i suoi occhi l'iceberg che li avrebbe spediti in fondo al mare. Lui era avvantaggiato rispetto alle vedette, perchè, a differenza di loro, sapeva che l'ostacolo c'era ed era proprio lì, davanti a loro. Con il passare dei secondi, aguzzava lo sguardo, notando con disappunto che si era alzata una leggera nebbiolina. Le mani serrate sul  parapetto sembravano voler affondare nel legno del mancorrente. "Dove sei, maledetta montagna di ghiaccio, lo so che sei lì, fatti vedere!" Gli avevano detto che la presenza di un iceberg veniva segnalata da un odore particolare, che si avverte anche a grande distanza, derivante dai vegetali che il ghiaccio ingloba e che a contatto con l'acqua di mare marciscono. Ma non sentiva nulla, non sentiva e non vedeva nulla. Poi all'improvviso, tre tocchi di campana gli annunciarono che gli eventi stavano precipitando e da ora sarebbe stata una corsa per la sopravvivenza. Dalla coffa dell'albero di trinchetto, vide un uomo che scendeva precipitosamente. Si trattava di un delle vedette, il marinaio Frederik Fleert, una delle famose vedette dalla vista d'aquila, che, avvistato l'iceberg aveva suonato la campana, per indicare con  il segnale convenuto la presenza di un ostacolo a prua, ed ora si recava di corsa in sala comando per riferire. L' altra vedetta, Reginald Robinson Lee, a quell'ora stava facendo la stessa cosa, ma utilizzando l'apparecchio telefonico della coffa. Ed eccolo là! Ora lo vedeva anche lui. Imponente, massiccio, sinistro, se ne stava lì davanti, come a sfidare quel gioiello della tecnica, come per far vedere chi era il vero padrone del mare. E per questo avrebbe preteso un tributo di vite altissimo. Percepì una variazione nel moto della nave, una forte vibrazione, un rallentamento, ma rallentare quella massa non era un' impresa da poco. Sapeva che durante le prove in mare, ad una velocità di venti nodi, per fermare il Titanic ci erano voluti 950 metri. Ora invece, a 22 nodi, ne avevano a disposizione ormai meno di quattrocento, per evitare il disastro. Poi vide l'iceberg, lentamente, spostarsi sulla destra. Ed ora gli erano addosso. La cima della montagna di ghiaccio era alla loro destra e probabilmente almeno per un attimo, in plancia dovevano aver tirato un sospiro di sollievo, ma non avevano fatto i conti con la parte sommersa. Un suono terribile derivò dall' impatto. Una miscela di suoni, quali un rumore di lamiere lacerate, un suono simile ad un lamento profondo, un tambureggiare violento, uno stridio di metalli violentemente sfregati fra loro che durò per dieci secondi interminabili. Lo scafo ebbe un sobbalzo e per un attimo sembrò inclinarsi leggermente sulla sinistra. Era chiaro a tutti coloro che avevano assistito all'evento che l'impatto c'era stato. Vista la sequenza degli ordini che erano stati impartiti in sala comando, ossia : “macchine indietro tutta, turbina ferma e timone tutto a sinistra”, lo scafo era andato ad urtare l'ostacolo sbandando in frenata. La manovra peggiore in assoluto che poteva essere eseguita. Al momento solo in sala macchine sapevano di quale entità fosse il danno. Dalla sala comando, per precauzione, sarebbe stato dato l'ordine di abbassare le saracinesche e di soffocare i fuochi delle caldaie, in attesa di valutare la situazione. Era previsto che fosse comunque mantenuto il tiraggio sufficiente per produrre l'energia elettrica necessaria all'illuminazione della nave. Russel sapeva che malgrado le scalette a chiocciola previste per far mettere in salvo i fuochisti e i macchinisti, quelli delle prime due sezioni, a causa del tremendo flusso d'acqua che entrava dalla micidiale  falla che si era prodotta, non avevano avuto scampo. Inoltre per alcuni minuti si poterono avvertire suoni cupi e profondi provenire dalla prua,dovuti al fatto che pur avendo soffocato i fuochi, l'acqua gelida si trovò a contatto con elementi arroventati, producendo diverse esplosioni di vapore. Per i disgraziati che si trovavano lì sotto doveva essere stato un inferno. Diversi passeggeri intanto, si affacciavano alla murata di destra per vedere l'iceberg che, compiuta la sua micidiale missione, e lasciati sul ponte della nave alcuni pezzi di ghiaccio, staccatisi durante l' impatto, silenziosamente scivolava nel buio così come ne era venuto. Infatti, la nave, obbedendo alla fine agli ordini che aveva ricevuto, iniziò a indietreggiare e continuò ancora, causa l'abbrivio, per circa dieci minuti. A quel punto, ore 23.55, l'acqua nei compartimenti allagati, aveva raggiunto i 4 metri e stava iniziando ad allagare il quinto compartimento, fatto questo che dette il via agli eventi che portarono alla perdita della nave. L'altezza del ponte dalla superficie del mare e le scarse condizioni di luce, non permettevano a dei profani  che si erano affacciati al parapetto, di valutare se c'era un danno reale e quanto questo poteva essere grave. In quel momento, intanto, il sig. James Paul Moody, sesto ufficiale, era andato a svegliare personalmente il comandante, visto che non c'era linea telefonica fra la sala comando e la sua cabina. Fra coloro che erano ancora svegli, la notizia dell'incidente si era andata diffondendo. All'inizio veniva presa come un interessante argomento di conversazione, perchè nessuno poteva immaginare la reale portata dell' evento che li aveva colpiti. Finalmente comparve il comandante sul ponte C assieme al sig Andrews e tutti e due, affacciati alla murata di dritta, osservarono a lungo lo scenario visibile poi, parlando animatamente fra loro, accompagnati dal sig Hanry Tingle Wilde, comandante in seconda,  e da due marinai, si avviarono verso lo scalone di prima classe per scendere e valutare  con i loro occhi il danno. In realtà non riuscirono a vedere un granchè, questo Russel lo sapeva dalle nozioni che gli erano state trasferite in sede di addestramento. Infatti il gruppo scese fino al ponte F e poi procedette verso prua per raggiungere le scale che portavano al ponte G. Da lì, avanzarono ulteriormente per raggiungere la sala caldaie. Rimasero invece letteralmente impietriti dall'orrore quando, giunti all' altezza dell'ufficio postale, lo trovarono in parte allagato, con gli impiegati preoccupatissimi per mettere in salvo i sacchi della posta. La constatazione del danno, si rivelò per tutti come una mazzata. La nave era perduta! L'acqua, alle ore 00.10 del 15/4 aveva superato nella sezione allagata il livello di 14 metri, quindi aveva debordato dalle saracinesche e, fatto un rapido calcolo, il progettista dello scafo era giunto alla conclusione che la prua aveva già imbarcato almeno 8000 metri cubi d'acqua. Al Titanic restava non più di un'ora e mezza prima di finire in fondo all'oceano! Due fuochisti della sala caldaie n 4, una delle meno danneggiate, neri di fuliggine e con serie ustioni, che erano stati mandati dal sig. Edward Dodd, 3^ ingegnere  di macchina, per farsi medicare, e che risalivano da quell'inferno, confermarono l' incredibile, atroce verità. La falla era terribile e non c'era nulla da fare. L' acqua entrava senza controllo da una serie di squarci sovrapposti, se ne erano prodotti  almeno 6, e le pompe elettriche potevano solo ritardare l'inevitabile, almeno finchè fossero rimaste in funzione.  Occorse qualche minuto al comandante e agli altri per accettare la realtà. Per impedire il diffondersi del panico sui ponti inferiori, non dissero nulla, però, delle loro conclusioni al personale del ponte G. Gli impiegati dell'ufficio postale, nel tentativo di mettere al sicuro il maggior numero possibile di sacchi di posta, persero tutti e cinque la vita. Il comandante e gli altri del gruppo,  risaliti al ponte di comando, dettero ordine agli ufficiali di disporre per l'abbandono della nave. Intanto furono messi al lavoro i radiotelegrafisti per cercare aiuto da chiunque lo potesse fornire. Inoltre si sapeva che la nave Californian era piuttosto vicina e sarebbe potuta intervenire in modo efficace. Purtroppo la nave in questione, che era effettivamente  a breve distanza, e che si era fermata per la notte per paura dei ghiacci, aveva l'impianto radio spento. Questo ,vuoi perchè il capo-radiotelegrafista del Titanic aveva detto all'altro operatore di togliersi di mezzo, che aveva da spedire un sacco di telegrammi importanti e non voleva interferenze nei segnali, vuoi perchè sul Californian c' era un solo radiotelegrafista che, fatta eccezione per casi particolari, la notte dormiva. Erano le ore  00.25. Fu organizzato un servizio di informazione per avvisare tutti i passeggeri, poichè la nave non era dotata di altoparlanti. Fu disposto di avvertire anzitutto i passeggeri della prima classe e poi quelli della seconda. Tutti sapevano che le scialuppe non erano sufficienti che per la metà circa dei passeggeri. Se la terza classe avesse conosciuto immediatamente la reale gravità del danno, si sarebbe riversata in coperta per cercare di salvarsi, mettendo così a repentaglio la vita dei passeggeri di prima e di seconda, ritenuta più preziosa. Per evitare che il panico facesse perdere il controllo delle operazioni all'equipaggio, fu comunque fatta circolare la notizia che l'imbarco sulle scialuppe era più che altro una iniziativa legata ad un eccesso di prudenza poichè la situazione era tutt'ora sotto controllo. Fu quindi mandato del personale in terza classe, rassicurando tutti che non ci sarebbe stato alcun problema e che intanto indossassero, solo per cautela, il salvagente, e aspettassero tranquillamente di venire chiamati. Contemporaneamente l'equipaggio avrebbe verificato che i cancelli di separazione fossero accuratamente chiusi, almeno in quella prima fase dell'emergenza. In quel momento intanto il primo radiotelegrafista, sig John Philips, stava ancora disperatamente cercando di contattare chiunque fosse in grado di recare loro aiuto. La nave più vicina. che rispose all'appello fu purtroppo il Carpatia, che mettendo le macchine a tutta forza, li avrebbe potuti raggiungere però solo in tre, quattro ore. Avrebbe comunque fatto del suo meglio, se non altro per soccorrere i naufraghi. Malgrado la situazione di allarme, l' incredulità sul possibile affondamento della nave e la voce che l'imbarco fosse più che altro una precauzione, non invogliò più di tanto i passeggeri di prima classe ad imbarcarsi. Subito dopo l'ordine di abbandono nave, le squadre di marinai addetti alle scialuppe, ognuna costituita da dieci elementi, si era recata sul ponte delle lance e, agli ordini dei due nostromi appositamente addestrati, sgg. ri Albert Haines e Nichols Alfred, le aveva calate fuori bordo fino all'altezza del ponte A sottostante. In quel luogo, altri marinai addetti all'imbarco, avevano spalancato dei portelloni nella murata, permettendo così un migliore accesso alle barche. D' improvviso, dal ponte superiore, si udirono due esplosioni, seguite da un lampo di luce intenso.

  
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