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Autore: ethelincabbages    31/01/2012    18 recensioni
[...] raccolse il biglietto che Leo gli aveva lasciato sul tavolo. Una grafia piccola e tonda aveva scribacchiato il suo nome frettolosamente, la ‘H’ piegava sulla destra e mancava la solita nitidezza che la contraddistingueva. Era diventato bravo a capire la sua scrittura. Ogni pensiero sulla partita evaporò quando vide le due lacrime che avevano sciolto l’inchiostro e macchiato il messaggio all’interno:
Harry, vieni appena puoi. Grattastin------, per favore!

Fanfiction partecipante all' OTP Tournament ~ I Edizione, indetto dal « Collection of starlight », saidMr Fanfiction Contest, « since 01.06.08 », Girone III, Harmony.
Genere: Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Harry Potter, Hermione Granger, Katie Bell, Ron Weasley | Coppie: Harry/Hermione
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
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Fanfiction partecipante all' OTP Tournament ~ I Edizione, indetto dal « Collection of starlight », saidMr Fanfiction Contest, « since 01.06.08 », Girone III, Harmony.

 

Titolo della fanfiction:Un grosso gatto o una tigre piccola
Personaggi: Harry Potter, Hermione Granger, Ron Weasley, Katie Bell, Grattastinchi
Generi: Slice of life
Credits: Personaggi e ambientazione appartengono a J.K.Rowling, Warner Bros e chiunque altro ne detenga i diritti. Il nome Frankenstein Junior appartiene a Mel Brooks, alla 20th Century Fox e chiunque altro ne detenga i diritti. I personaggi di Bert e Mary Poppins appartengono a Pamela Lyndon Travers, alla Walt Disney Pictures e chiunque altro ne detenga i diritti.
Note personali:Il titolo rimanda alla prima impressione di Harry su Grattastinchi. In Harry Potter e il prigioniero di Azkaban, Grattastinchi salta addosso a Crosta e quando Ron chiede “Cos’è stato?” Harry risponde “O un grosso gatto o una tigre piccola”, una definizione/descrizione piuttosto calzante e illuminante.
Beta-reader:Kukiness

Un grosso gatto o una tigre piccola

Puff. Uno sbuffo di Polvere Volante. Harry Potter non amava viaggiare tramite Metropolvere, riempirsi di fuliggine, sballottare di qua e di là, ma non poteva negare che fosse il metodo più rapido per rientrare al Quartier Generale, fare rapporto a Jethro, chiudere quella giornata infinita e godersi il Puddlemere allo stadio.
Si lasciò indietro una fiamma di luce verde, scivolando di poco sull’ossidiana del pavimento del Ministero. Neanche l’Accademia aveva migliorato la sua capacità di rapportarsi ai mezzi di viaggio magici. L’Atrium era semideserto, Harry accennò a un saluto verso l’addetto alla sicurezza. Solo il vecchio Dave arricciava i baffi sulla sua copia del Profeta. “ ‘Sera, auror Potter,” borbottò tra un articolo e l’altro. Harry si diresse con passo svelto verso l’ascensore, non voleva rischiare di incontrare qualcuno più chiacchierone di Dave sulla via verso il Secondo Livello.
“Ohi, Harry,” lo accolse Katie, dal suo piccolo cubicolo. Mangiucchiava quello che sembrava uno snack al cioccolato, dettava dei dati a una Penna Prendiappunti, che svolazzava sotto i suoi occhi sulle pergamene degli ultimi verbali, e controllava poi di malavoglia che il foglio venisse compilato in maniera corretta. I fogli passavano da una pila all’altra con elegante rapidità, finché Katie non interruppe il contatto per dedicarsi a Harry. “Il Grande Capo è andato via,” lo informò. Harry imprecò tra i denti, alzando gli occhi al cielo. Solo lui finiva il sabato sera in ufficio per parlare con un capo che non c’era. “Chiamata del Ministro,” continuò Katie, ignorandolo. “Può aggiornarmi domattina, Potter!” abbassò di qualche ottava il tono, tentando in malo modo di imitare Jethro.
Harry si limitò a fare un verso di stizza e a grugnire un “Grazie.”
“Oh, e mentre non c’eri, ti è arrivato un memo, e il gufo imbecille di Ron ti ha lasciato qualcosa sulla scrivania.” Leotordo. Cosa dovevano fare per insegnare a quel gufo come portare la posta?
“Grazie, Katie,” ridacchiò piano, “sei meglio di un’assistente personale.” Con tutta la ricopiatura e il controllo certificato dei verbali dell’ultimo anno, stava messa peggio della segretaria di un avvocato penalista Babbano.
“Arriverà il giorno in cui mi farai tu da assistente, Potter.”
Harry continuò a sorridere dirigendosi verso il suo piccolo angolo: tre pannelli divisori, una scrivania. Tutto quello di cui gli Auror avevano bisogno. Ignorò il russare di Sangster, nel cubicolo accanto al suo, e afferrò il piccolo aeroplanino di carta che gironzolava intorno alla testa di Teddy tra le foto sparse sulla sua scrivania. Era di Ron. Diceva solo:

Pronto alla sconfitta?

Puddlemere United vs Cannoni di Chudley. Nessun bookmaker l’avrebbe considerata la partita della stagione, ma Ron ci teneva in maniera particolare. Aveva pregato Kingsley per avere tre biglietti in tribuna d’onore e contava di vedere i suoi amati eroi arancioni battere la squadra migliore del campionato. Sperava lui!
Otto e ventisei. Aveva ancora mezz’ora di tempo per prepararsi mentalmente a trascorrere una serata al campo da Quidditch in compagnia di un Ron eccitato come un bambino e di un George disposto a tutto pur di dar fastidio al fratello.
Pensando ai ‘diversivi’ che George avrebbe tirato fuori quella sera, raccolse il biglietto che Leo gli aveva lasciato sul tavolo. Una grafia piccola e tonda aveva scribacchiato il suo nome frettolosamente, la ‘H’ piegava sulla destra e mancava la solita nitidezza che la contraddistingueva. Era diventato bravo a capire la sua scrittura. Ogni pensiero sulla partita evaporò quando vide le due lacrime che avevano sciolto l’inchiostro e macchiato il messaggio all’interno:

Harry, vieni appena puoi. Grattastin------, per favore!

--

I riccioli scappavano dalla treccia. Non c’era niente di nuovo in questo, ma Harry si ritrovò a fissare quelle ciocche ribelli sul collo della sua migliore amica. Succedeva un po’ troppo spesso ultimamente, sospirò, scacciando il pensiero pericoloso che stava per formarsi nella sua mente.
Hermione, agitata, marciava dalla propria scrivania fino alla libreria nell’angolo opposto dello studio. Stava martoriandosi le mani, mugugnando frasi sottovoce, probabilmente in attesa di Harry.
“Hermione,” la chiamò, rimanendo sull’uscio.
“Oh, Harry!” sussurrò lei, tirando un sospiro di sollievo e buttandogli le braccia al collo. Era da un po’ che non sentiva quegli abbracci stritola costole che tanto gli facevano bene da ragazzo. Gli erano mancati. Ma questa volta era Hermione ad aver bisogno di conforto, non viceversa. Un po’ insicuro, ricambiò l’abbraccio e scorse la mano contro la schiena di lei. Quando la sentì rilassata, l’allontanò piano per riuscire a guardarla in viso.
Era pallida, tanto pallida, qualche lacrima secca le luccicava sulle guance e gli occhi arrossati tremavano d’ansia. “Io, Harry, ti prego… Son tornata dal Ministero e l’ho trovato così. Non potevo chiamare Ron, a lui non… io non riesco a… toccarlo. So che è stupido ma, Harry, ti prego.” Balbettava mangiando le parole dalla fretta di spiegarsi.
“Ehi,” Harry le accarezzò il volto e le sorrise piano. “Portami da lui.”
Hermione annuì e, acciuffata la mano di Harry, fece strada verso il salotto. D’istinto, lo sguardo di Harry si portò sul cantuccio, tra i cuscini del divano, che sapeva essere il preferito di Grattastinchi. Più di una volta il gatto, infatti, aveva scacciato via sia lui che Ron da quell’angolo. L’azzurro pastello dei cuscini faceva risaltare la pelliccia fulva. Grattastinchi se ne stava lì, come appisolato: una grossa palla di pelo addormentata.
Hermione era come rimpicciolita. La sua forza d’animo aveva ricevuto uno scossone. La morte improvvisa del suo gatto, il suo compagno di infanzia e di sempre, l’aveva turbata più di quanto Harry si sarebbe mai aspettato, più di quanto Hermione stessa avrebbe voluto. Così fragile.
“Che ne dici di salutarlo degnamente?” Harry si avvicinò e le posò la mano sulla spalla. Siamo insieme in questo, i suoi occhi le stavano dicendo. Siamo insieme. Come sempre. Come quando era lei a infondergli il coraggio.
Hermione annuì, poi raccolse la copertina colorata, marchiata dai graffi di Grattastinchi, e la diede in mano a Harry. Lui avvolse con calma il gatto nel plaid e lo affidò alle braccia di Hermione che aveva appena ricominciato a piangere in silenzio.
La luce dei lampioni dalla strada illuminava di poco il piccolo giardino nel retro dell’appartamento: c’erano un dondolo e un’aiuola di campanule viola. Tutto quello che Hermione aveva sempre desiderato per la sua casetta.
Nell’angolo che lei gli indicò, Harry incominciò a scavare. Ricordò Dobby, quella notte di così tanti anni fa, quando spalava la sabbia con la stessa determinazione, ma tanta rabbia in più. Ripensò a Edvige, che mai aveva avuto una giusta sepoltura, dispersa nell’aria e nel vento. E poi una ferita ancora più dolorosa: le braccia stanche di Arthur Weasley sulla tomba di Fred. Non aveva permesso a nessuno dei suoi figli di aiutarlo. L’amara determinazione del padre nel preparare il letto eterno per il figlio era un ricordo che Harry non avrebbe mai abbandonato, e gli tornava in mente ora, mentre ricopriva di un po’ di terra il vecchio, caro Grattastinchi.
Hermione aveva smesso di singhiozzare, guardava la piccola tomba con una maschera di tristezza, rassegnazione e, forse,  la convinzione che il gatto, dovunque fosse, ora stesse bene. Era vecchio, Grattastinchi, era stanco, aveva combattuto una guerra con loro, insieme a loro.

Addio, vecchio amico.

Cerca di non litigare troppo con Edvige quando la incontri.

Salta addosso a Felpato appena lo vedi.

Coccola un po’ Lunastorta e saluta Tonks.

Non rovinare i giochi di Forge.

Harry si ritrovò a fissare la terra appena smossa, così diversa dall’erbetta lì accanto. Hermione gli strinse la mano. “Grazie,” sussurrò. 
Harry percepì un po’ di solletico alla base del collo. “Dovere,” bisbigliò di rimando. Dovere era restituirle almeno una piccola parte del sostegno che lei gli aveva donato in tutti quegli anni di guerra e paura. Dovere era farle ritornare il sorriso sulle labbra, sempre. “Mi prepari qualcosa da mangiare?” chiese, spezzando di fatto la tensione bizzarra che si era creata nell’aria. 
Hermione non poté non ricambiare il sorriso; non erano un segreto le sue poco brillanti doti culinarie e Harry amava provocarla su quel tasto dolente. Propose un compromesso. Harry era pronto ad accettare qualsiasi cosa lei preferisse. “Riscaldiamo una pizza?”

--

“Che fai? Canti?” ridacchiò Harry, per poi lanciarsi a dare un ultimo morso alla sua capricciosa. Hermione stava ripetendo il motivetto della colonna sonora, insieme ai personaggi del film, ehm, musical, mentre giocava con l’orlo del suo bicchiere. Harry, dal suo lato, creava composizioni con i noccioli delle olive sul cartone della pizza. “Lo dicevo io che era meglio vedere Frankenstein Junior,” borbottò, tra il serio e il faceto.
Hermione era nuovamente serena, e questo più di ogni altra cosa tranquillizzò Harry. “È che tu non apprezzi il valore intrinseco di Bert e dei suoi amici spazzacamini. Loro diffondono felicità,” dichiarò convinta. Sorseggiò piano il suo succo di zucca e arricciò la fronte, come quando pensava a qualcosa di importante. “Mary Poppins è come,” mordicchiò il labbro, “l’infanzia. Quante altre occasioni avrai di saltare in un dipinto di strada? Lo puoi fare solo a sei anni. Voglio dire, ne abbiamo visto di cose assurde e fantastiche da quando siamo entrati a Hogwarts, no? Eppure non è la stessa cosa. Non è così… magico.”
“Ehi, Luna, bel travestimento. Ora dimmi dove hai messo Hermione.”
La ragazza, per tutta risposta, afferrò in fretta il cuscino che aveva sottobraccio e lo sbatté sulla testa dura di Harry. “Posso permettermi di essere infantile per una sera,” affermò. C’era indignazione nel suo tono, l’indignazione di una persona costretta ogni giorno ad agire secondo aspettative altrui. Era una vita intera che Hermione Granger sentiva di dover dimostrare le sue capacità, il suo essere degna del Mondo Magico.
“Puoi permettertelo tutte le volte che vuoi,” rispose Harry, facendo spallucce. A lui Hermione non doveva dimostrare proprio niente: era la miglior strega che avesse mai conosciuto, la miglior donna. Punto.
“Sai, Harry, penso che tutti i bambini dovrebbero sapere che vuol dire, dovrebbero conoscere Mary Poppins,” disse e gli lanciò un’altra cuscinata in faccia.
Harry le rubò il cuscino dalle mani prima che potesse riprovarci. Lei alzò le braccia in segno di resa e si rituffò nel divano e nei suoi sospiri. “In un mondo perfetto tutti i bambini potrebbero.”
In un mondo perfetto nessun bambino dormirebbe in un sottoscala, in un mondo perfetto a nessun bambino sarebbe negato il diritto di immaginare e sognare. Dal suo ciglio e dalla carezza che gli dedicò, Harry immaginò che il corso dei pensieri di Hermione avesse preso la stessa direzione del suo.
“Prometto che educherò ogni futuro piccolo Potter a pizza surgelata e Supercalifragilistichespiralidoso,” disse per deviare l’attenzione lontano dal suo passato. “E anche ogni futura piccola Granger.”
“Futura? Già,” mormorò Hermione, dando appena segno di aver compreso la battuta. C’era un sorriso strano adesso sul suo viso, un sorriso che Harry non aveva mai visto. Quasi luminoso, ma spaventato. Le sue dita giocherellavano con i bottoncini della sua camicia e accarezzavano piano il tessuto bianco sul suo ventre. “Harry,” incominciò, un velo di timore nel suo sguardo.
E Harry ebbe paura del dubbio che lo colpì.
“Grattastinchi era un grande gatto,” concluse lei, dandogli l’impressione che avesse cambiato d’improvviso idea su quello che aveva da dire. Propose poi un brindisi, facendo incontrare il suo succo di zucca con il vino elfico di lui. “Era estremamente perspicace.”
“ Mezzo Kneazle,” continuò Harry, come se lo spiegasse.
“E un grande amico. Era affezionato. Ti ricordi quando, al quinto anno, Sirius provava a chiamarti con la Metropolvere e lui voleva tuffarsi nel camino per salutarlo?”
Harry annuì, ricordando l’affetto che legava Felpato a quella palla di pelo rosso. “E tutte le volte che faceva cadere dalla sedia me e Ron mentre studiavamo perché lui doveva andare dalla sua padroncina?”
Hermione sorrise al ricordo e poi spiegò. “Ci gironzolava sempre intorno perché voleva capire cosa combinavamo.”
Harry lasciò scivolare nella sua memoria un po’ di quegli anni andati. Era stato difficile superare la scuola e superare una guerra. Non era riuscito a sopravvivere intero, nessuno c’era riuscito, ma lui aveva Hermione, e Ron, e Ginny, e Teddy… e Hermione che lo guardava con i suoi occhi grandi, grandi e gli si accoccolava sulla spalla. “Sai, quando non c’eri, mi saltava sulle gambe e mi guardava con quei suoi occhi da gatto. Voleva sempre essere coccolato,” bisbigliò, prendendola un po’ in giro. Le strinse il braccio intorno alle spalle e iniziò ad accarezzarla piano. Sospirò. Era difficile capire chi traeva più vantaggio da quelle coccole improvvise.

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Puff. Uno sbuffo di Polvere Volante distrasse Harry dalla sua contemplazione. Pensava e guardava Hermione dormire, guardava Hermione dormire e pensava. E aveva voglia di carezzarle il braccio, la spalla, il collo, la guancia, le labbra e non lo faceva – non poteva, non poteva, non poteva –, e pensava e guardava Hermione dormire.
“Cosa cazzo pensi di fare?”
“Ron?” Harry realizzò all’improvviso l’ambiguità della posizione in cui si trovava. Delicatamente si staccò da Hermione, pregando che non si svegliasse. Si alzò dal divano e tentò di calmare l’amico, posando piano la mano sul braccio. “Abbassa il tono, non la vorrai svegliare? Dove sei stato?”
Harry sentiva il braccio di Ron tendersi di rabbia e non dovette spostare lo sguardo dal suo viso nero per sapere che la mano era stretta a pugno.
 “Mi prendi in giro?” sibilò Ron, accordandosi al tono di voce di Harry ma non alla sua cordialità. “La partita, Harry, la partita.”
 “Dannazione!” Con tutto quello che era successo quella sera Harry l’aveva dimenticata del tutto. “Mi dispiace, l’ho scordata, completamente scordata. Vedi-”
“Fare l’amiche-”
“Grattastinchi è morto.” Harry continuò, preoccupandosi di non dare peso all’interruzione di Ron, qualsiasi cosa avesse da dire, era qualcosa che Harry non aveva voglia di sentire. Il ritorno di Ron gli aveva ricordato perché frequentasse così poco quella casa.
Ron si fermò a guardare Harry negli occhi come a chiedere conferma delle sue parole. Tutta la rabbia che prima traspariva dal suo viso sembrava essere stata risucchiata da un cono di delusione. Rivolse poi lo sguardo sul corpo addormentato di Hermione e bisbigliò piano. “Ha chiamato te?”
Harry afferrò un pugno di Polvere Volante, lasciando andare il braccio di Ron. “Prenditi cura di tua moglie. Riportala a letto,” consigliò, prima di spostarsi nel camino, borbottare Grimmauld Place, e sparire tra le fiamme.

--

Ron con delicatezza la posò sul letto e le baciò piano le tempie.
“Buonanotte, amore,” sussurrò, osservandola nel suo sonno leggero.
Ancora addormentata, lei lo avvicinò a sé stampandogli un bacio sulle labbra. “Grazie, Harry.”
 

   
 
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