Crossover
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Autore: Jade MacGrath    10/09/2006    1 recensioni
Quando era ricoverato per l'aneurisma alla gamba, e stava lottando durante la crisi cardiaca, House vide una donna che non c'era. Cinque anni più tardi, la stessa donna gli riappare davanti. Il suo nome è Six, solo House la può vedere, e sconvolgerà la vita del dottore da cima a fondo... crossover House/Battlestar Galactica
Genere: Generale, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Telefilm
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Con tutto quello che gli era capitato, House avrebbe potuto dormire una settimana intera e anche di più.

Six però, che finalmente era riuscita nell’impresa di convincerlo, non era per niente d’accordo sul prendersela comoda… e se ne rese conto anche il dottore, quando risvegliò di soprassalto perché Six gli aveva urlato a pieni polmoni di svegliarsi all’orecchio destro.

“Così va meglio” disse come se niente fosse.

House ponderò per un istante l’omicidio, ma poi ripensò a come quell’angelo potesse trasformarsi in un demonio su tacchi a spillo, e l’idea gli passò subito.

“Che vuoi alle…” e tese una mano per afferrare la sveglia “…sette del mattino?!”

“Il tuo turno inizia alle otto e mezza.”

“Arrivo a mezzogiorno ogni giorno e non s’è mai lamentato nessuno. Beh, eccetto Cuddy, ma si lamenta sempre di tante cose… come si fa a dar retta a tutto quel che dice?”

“Ricomincio a urlare?” lo minacciò Six, sorridendo innocente.

House alzò gli occhi al cielo “Mi alzo, mi alzo…” bofonchiò. Sparito in bagno, Six ne approfittò per drappeggiarsi di traverso sul letto mezzo disfatto.

“Non capisco come un uomo tanto abile a distinguere menzogne e verità possa credere che una menzogna sia la verità.”

“Ma perché aspettavo che una bionda mozzafiato su tacchi a spillo inguainata in un abito rosso coordinato che vedo solo io venisse a dirmelo. Ovviamente.”

“Ovviamente” mormorò distratta Six, che controllava lo stato della manicure.

“E poi… se questa è una menzogna, come dici tu, perché devo seguire le regole? Potrei andare a rapinare banche, per dirne una, e non farebbe nessuna differenza nel mondo ‘reale’.”

“Tu hai creato questo mondo, tu hai creato le regole che lo regolano. Il mio compito è farti ritornare, non farti perdere nei meandri della tua psiche perché un bel giorno hai deciso di mutare l’ordinamento della tua dimensione.”

“Perché se lo facessi…?”

La stava prendendo in giro. Six scosse la testa e fece un respiro profondo.

“Continueresti a vivere in questa assurda fantasia. C’è un motivo particolare per cui hai scelto di vivere a Caprica quarant’anni nel passato?”

House uscì dal bagno, non rasato e arruffato esattamente com’era prima di entrare.

Caprica? E che diavolo è Caprica?”

Questa volta fu il turno di Six di ridere in faccia ad House. Rise quasi fino alle lacrime, mettendosi a sedere e poi alzando lo sguardo sull’espressione stranita del dottore.

“Non ci credo… il dottor Gregory House, genio della diagnostica, primario di Medicina Diagnostica all’ospedale universitario di Caprica City… non sa cosa sia Caprica! Leoben aveva proprio ragione, aver a che fare con la mente umana è proprio divertente… ma come fate ad andare avanti con quei piccoli cervelli umani che vi ritrovate?”

“Sono contento di farti ridere. Che cos’è Caprica?”

Six fece un respiro profondo per calmarsi, e con tono più serio iniziò a spiegare cosa fosse Caprica, anche se la tentazione di rimettersi a ridere era forte.

“In principio c’era Kobol. Ci sei fin qui? E le Dodici Tribù di Kobol…”

“E i sette nani, e la bella addormentata…”

Six lo ignorò e proseguì “Poi un giorno avete lasciato il pianeta, e da lì siete venuti in questo sistema. Avete trovato dodici pianeti, che sono diventate le Dodici Colonie di Kobol. Caprica è il pianeta più evoluto, sede del governo federale, e Caprica City è la sua capitale.”

“No. Questo” e indicò tutto quello intorno a sé con enfasi “Questo è il pianeta Terra! È la Terra!”

“Sì… c’è questa leggenda su una tredicesima colonia chiamata Terra, ma nessuno l’ha mai trovata… forse neanche esiste.”

“No” disse House scuotendo la testa con veemenza. “No, questo è troppo. Tutto quello che mi hai detto… va bene, vuoi che ti dica che ci credo? D’accordo, ci credo! Ma a questo no! Questo sasso in orbita si chiama Terra, non Caprica!”

Six lo fissò con l’aria a metà tra il divertito e il compassionevole di una maestra che cerca di convincere un alunno testardo che due più due fa quattro e non cinque.

“Allora perché non ti guardi meglio attorno, quando vai al lavoro?”

House la fissò furente “Puoi giurarci che lo farò.”

E lo fece. Da casa sua fino al giardino d’ingresso dell’ospedale, guardò ogni singola indicazione, ogni manifesto, tutto quello che gli capitò a tiro. Ad ogni passo, si sentiva più euforico. Non c’era niente che potesse smentire il fatto che quel pianeta non fosse la Terra, e quella città Trenton, New Jersey.

Diede un’occhiata a destra, e Six era lì, senza la minima preoccupazione su quel viso di bambola.

“Non vedo scritto Caprica o Caprica City da nessuna parte” disse piano per non farsi sentire da altri, ma comunque in tono gongolante.

Six non rispose, e si limitò a indicare l’insegna sopra l’ospedale.

Il sorriso di House svanì lentamente, mentre quello di Six si faceva più grande. Camminò fino ad essergli dietro, e poi cinse le sue spalle in un abbraccio.

“Io leggo ‘Ospedale Universitario di Caprica City.’ Dici che ho le allucinazioni?” domandò poi in tono fintamente preoccupato.

“Tu ti stai divertendo enormemente, non è così?” sibilò House tra i denti.

Six si avvicinò al suo orecchio, sempre sorridendo.

 “Mentirei se dicessi di no…e so quanto odi i bugiardi...” sussurrò.

House si sciolse dall’abbraccio e si girò a guardarla, ma Six era già sparita. In compenso, varie persone lo stavano guardando in modo curioso.

Dopo averli mandati tutti a quel paese, fece la sua entrata in ospedale. Qualcosa gli diceva che Six era già nel suo ufficio ad attenderlo…

“House!” tuonò Cuddy uscendo dal suo ufficio. “Non credere di filartela così!”

Ecco, a quel punto mancava solo lei. House affrettò il passo.

“Ma non è il punto centrale del non avere più un dolore cronico, quello di potermela filare quando mi pare?” replicò House senza fermarsi, quasi correndo verso gli ascensori.

“E non è un punto del tuo contratto quello di dover fare ore di clinica come tutti gli altri medici?”

“Sì, ma non centrale” disse, infilandosi a passo di carica in un ascensore libero e premendo il tasto del suo piano.  “Il punto centrale era la tensione sessuale repressa tra di noi. O era la Diagnostica? La ketamina forse mi ha fritto la memoria a lungo termine, non ricordo…” fece poi fingendo di pensarci intensamente. Mentre le porte si chiudevano, poté vedere Cuddy nella sua migliore espressione di disapprovazione scuotere la testa e andarsene. Ridacchiò, congratulandosi con sé stesso, e andò dai suoi pargoli.

Come aveva previsto, Six era già lì, seduta alla sua scrivania con i piedi sul tavolo appoggiati sopra una pila di cartelle.

“Capisco lei” disse indicando Cameron, seduta davanti al suo portatile “Sull’orlo dell’anoressia ma ha un suo fascino… e anche lui” proseguì, indicando Foreman che si stava versando un caffè “L’unico che ti tiene testa… ma in nome dell’unico vero dio, lui che diavolo ci sta a fare qui?”

Andando per esclusione, l’unico che rimaneva era Chase, intento a fare le parole crociate.

“Sinceramente? Non lo so…” disse a voce normale, dimenticandosi che parlava a qualcuno che non era lì realmente.

D’un tratto si trovò gli sguardi di Cameron, Chase e Foreman puntati addosso.

“Non lo so che vi pago a fare! Non certo per stare qui seduti a fare le parole crociate!” e ordinò al trio di andare in clinica a farsi le sue ore. Scuotendo la testa (Cameron), dandogli del pazzo schiavista (Foreman), o semplicemente guardandolo incredulo ad occhi sbarrati (Chase), i tre assistenti uscirono dalla sala riunioni. Six gli fece un piccolo applauso.

“Bel lavoro. Hai tramutato un errore in una frase di senso compiuto perfettamente in linea col tuo carattere. Bravo.”

“Grazie, faccio del mio meglio” disse House, facendo segno a Six di sloggiare dalla sua sedia. Six per tutta risposta si sistemò ancora meglio, e gli indicò la sedia di fronte alla sua scrivania.

“Esattamente quanto hai intenzione di trattenerti?”

“Gregory, io rimarrò fino a quando tu non deciderai di aprire gli occhi.”

“Per vedere...cosa?”

“Tu sai cosa.”

“Ma dai, così è facile! Non puoi essere un po’ più criptica?”

“Tutto ti sarà più chiaro, ma non è ancora il momento. Devi avere pazienza, Gregory.”

“D’accordo” disse House. “Avrò pazienza. Ma se mi chiami un’altra volta Gregory non rispondo di me.”

“Vedremo, Gregory, vedremo.”

Six a quel punto era certa di aver fatto breccia nella testa di House. Certa che da quel momento in poi lui le avrebbe creduto, e si sarebbe potuto iniziare a lavorare seriamente sul riportarlo alla realtà.

Ma ignorava un dettaglio: House era un manipolatore dannatamente bravo, e a breve se ne sarebbe accorta.

Dopo averlo visto al lavoro ed essersi divertita a tormentarlo e a vederlo tormentare gli altri, lo aveva seguito fino al parcheggio, dove la sua moto era ancora lì ad aspettarlo.

House si mise in sella e si infilò gli occhiali da sole.

“Vai dalla mia parte, baby?” disse nella sua migliore imitazione di un bullo anni Cinquanta.

Six lo guardò con aria annoiata, sollevando un sopracciglio.

“Sei veramente uno spasso, Six, bisogna ammetterlo. Vorrei offrirti un passaggio, ma sai com’è, non ho caschi invisibili o coordinati al tuo vestito.”

“Come se volessi salire con te. Ho cara la mia vita.”

“Mio mondo, mie regole. Non l’hai detto tu?” disse accendendo il motore e balzando in avanti con una forte accelerata. Per quando House fu all’imbocco dell’uscita, Six aveva realizzato cosa House avesse realmente intenzione di fare, e che lei era totalmente impotente.

 

Centoventi. Centotrenta.

House spinse la sua moto ancora più veloce. Amava la sensazione di libertà che la velocità gli faceva provare, quando guidava era felice… era guarito. Stacy non l’aveva mai ferito mortalmente all’anima, la sua gamba era ancora integra, la sua effettiva felicità non dipendeva da un narcotico, da una squillo o dall’alcol.

Centoottanta. Duecento.

Aveva quasi raggiunto il limite di velocità che quella moto poteva reggere, ed era stato fortunato a trovare una strada quasi completamente sgombra fino a quel momento. Non sarebbe mai stato in grado di frenare.

Il semaforo diventò rosso, ma House non frenò.

Un furgone, con il verde, riprese a muoversi, e attraversò l’incrocio.

House vide quel furgone solo quando fu a terra. Aveva solo sentito un impatto fortissimo con il mezzo, e poi l’altro, con l’asfalto. Solo una volta a terra aveva visto che si trattava di un furgone bianco, di una ditta di catering. C’era gente che si affollata intorno a lui, ma non li sentiva.

Sentiva dolore, probabilmente aveva delle ossa rotte nelle gambe e nel costato… forse anche un braccio… meno male che portava il casco…

Venne chiamata un’ambulanza, che lo riportò all’ospedale. Mentre lo portavano dentro su una lettiga, House fu certo d aver intravisto Six. Aveva le braccia incrociate sul petto, e un’aria di profonda delusione in viso. Delusione, e rabbia.

Dopo essere stato stabilizzato, lo tennero in uno dei letti del Pronto Soccorso in attesa che venisse trasferito per fare altri esami. House era pieno di antidolorifico, e pertanto era molto felice e indulgente con il prossimo. Si domandava dove fosse Six. Smise di chiederselo quando vide la donna in fondo al corridoio venire verso di lui. Aveva accanto un uomo vestito con una orrenda camicia a maniche corte, sopra una maglia a maniche lunghe. Aveva capelli biondi corti, e uso sguardo glaciale e penetrante, come Six. A differenza di lei, aveva un sorrisetto divertito in faccia.

“Hai portato un amico?”

“Non provocarmi” sussurrò Six. “Non darmi un motivo per farti del male, più di quelli che già avrei.”

“Mio mondo, mie regole” sussurrò House. “Lui chi sarebbe?” disse indicando con la testa il compagno silenzioso di Six.

“Sai, potrebbe funzionare ugualmente” sussurrò Leoben, senza staccare gli occhi da House. “Simon non ha specificato cosa avrebbe potuto fare la differenza. La psiche è qualcosa di complicato da manipolare.”

“E tu sei esperto al riguardo. Peccato abbia chiesto tardi il tuo aiuto, forse non saremmo qui. Hai suggerimenti?”

“Sì. Non intervenire. Dio è misterioso, e anche il suo disegno. Siamo solo all’inizio del viaggio.”

House intanto aveva chiuso gli occhi, trovava stancante tenere gli occhi aperti. Se così non fosse stato, li avrebbe stralunati appena sentite le parole dell’uomo che Six aveva chiamato Leoben… e che razza di nome era Leoben, comunque?

Si stava per addormentare, lo sentiva… dovevano averlo sedato più pesantemente di quello che aveva pensato all’inizio…

“Non combattere, abbandonati completamente” sussurrò Leoben all’orecchio di House. “Tra breve sarà finito tutto. Sei nelle mani di Dio.”

House sollevò leggermente le palpebre. Miseria, quant’era difficile… Guardò Six, e la rivide identica a quando l’aveva vista la prima volta… quando stava morendo…

Morendo?

L’allarme delle macchine fece entrare medici e infermiere. Leoben e Six guardavano immobili in un angolo, con un’aria indecifrabile.

Furono le ultime cose che vide.

 

Spalancò gli occhi di colpo, facendo un gran respiro.

“Sono morto” sussurrò. “Sono morto, sono morto, sono morto…”

“Magari” borbottò un vecchio medico che spense una sigaretta in una bacinella di metallo sul tavolo e si avvicinò al suo letto. “Almeno avrei un letto disponibile in più.”

Nonostante lo stato di confusione, non potè fare a meno di sentirsi lievemente urtato. D’accrordo che neanche le sue maniere erano da manuale, ma non era mai arrivato a dire una cosa del genere.

Il vecchio dottore che gli passò davanti agli occhi una luce che per poco non lo accecò disse di chiamarsi Cottle, e gli fece anche qualche domanda, a cui House però non sapeva cosa rispondere.

“Ah, le gioie del coma e della commozione cerebrale… I Cylon ci hanno quasi sterminato, le Colonie sono distrutte, lei è stato raccattato dal tenente Valerii su Caprica e ha perso conoscenza durante il tragitto, probabilmente colpa del salto iperluce e di un trauma cranico dovuto all'attacco nucleare. Ci siamo fino a questo punto?”

“E dove sono qui?”

“Non qui” disse Cottle tornando verso la sua scrivania per accendersi un’altra sigaretta. “Non è in un posto con delle coordinate.”

“E allora dove diavolo sono?” quasi urlò House.

Cottle lo guardò quasi divertito.

“Una bella botta davvero, dottor House, complimenti. Lei è a bordo della Battlestar Galactica.”

House lo guardò come se fosse impazzito, e Cottle ringraziò gli dei di essere stato previdente. Prima che potesse dare di matto, agguantò una siringa di sedativo e gliela inserì nella flebo, rispedendolo nell’incoscienza.

  
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