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Autore: La sposa di Ade    01/02/2012    3 recensioni
Volute di fumo si innalzavano dalla macerie di quella che una volta era stata la capitale più fiorente del mondo degli Umani, l’ immensa e sfarzosa Ethis era ora ridotta a un campo di battaglia per un’ ultima guerra.
Una figura, pallida e barcollante, affacciata alla finestra della sua stanza osservava con occhi di pece quello scenario troppo familiare, così poco era passato; quel breve periodo di dopoguerra in cui chiunque si trascinava in cerca di una luce, seppur effimera, era finito. Sostituito da ciò che di peggio si poteva immaginare.
Il suono della battaglia, cozzare di armi, schizzi di sangue e morte si era diffuso ovunque, un requiem caotico risvegliava una sete di sangue che da tempo sperava di aver abbandonato, sperava di averla lasciata in quella cella due anni prima insieme a tutto quel sangue che aveva versato solo per il desiderio di uccidere. Con una daga legata al polso e ciò che restava dell’ Ala d’ Argento avrebbe combattuto, gustandosi tutto il sangue che sarebbe riuscita a versare.
6° Classificata
al contest ‘Aboliamo gli Happy Endings!’ indetto da
WodkaEiffel
Genere: Angst, Fantasy, Horror | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Dirty souls'
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Ringrazio tutti quelli che sono arrivati a leggere fino a qui; Homicidal Maniac, Jo Shepherd, Smollo05 e tutti i lettori silenziosi.
Questo è un periodo un po’ così… dopo aver pianto (più o meno come una fontana) per aver visto il finale dell’ anime Nabari No Ou per la seconda –o terza?- volta in tutta la mia vita non so cosa mi sia preso, davvero; ho iniziato a comprare anche il manga che piano piano sto leggendo –ovviamente il finale sarà lo stesso dell’anime quindi temo che piangerò di nuovo-.
Ho riguardato (per la terza volta in vita mia) l’ ultimo incontro tra Zero e Ichiru (dell’ anime/manga Vampire Knight) e di nuovo mi sono scese le lacrime (ovviamente ho il manga anche di questo, e ovviamente mi rileggerò il passaggio…).
Ho guardato poi l’ ultimo filmato di Crisis Core e… Dio se è straziante.  Si, esattamente… fontana…
Nabari: uno Shinigami mi ha rubato il cuore çAç
Naturalmente dopo questa maratona di drammaticità mi sono messa a cercare vari video riguardanti le… hmmm, cose… riportate sopra. Conclusione? Mi fa male il cuore ç_ç mi sembro una masochista D: grazie per aver letto questo sclero.
Chiedo scusa per tutti i puntini di sospensione (io li ho sempre detestati u.u).

Chiudendo questa grande parentesi devo AVVISARVI!!
Probabilmente da lunedì prossimo non avrò più il pc, per cause di forza MAGGIORE e a tempo INDETERMINATO ç_ç io comunque continuerò a scrivere, probabilmente sulle ‘note’ dell’ Ipod o su fogli alla cazzo… comunque godetevi il capitolo ç_ç

Comunque, ho trovate la colonna sonora per questa fic! :D è ‘Zombie’ dei The Pretty Reckless
E la canzone per questo capitolo? Ma si, un po’ di Moondance fa sempre bene! ;) -> http://www.youtube.com/watch?v=oopBMLaIxQk Nightwish ovviamente!
Lo so che in questo capitolo succede poco, però cercate di capirmi, stavo scrivendo quando a un certo punto mi sono accorta che avevo già scritto fin troppo e ho dovuto far finire il capitolo.
Finalmente posso lasciarvi leggere ;)
Buona lettura!

Capitolo 7. Svolta.

“Avevo tutto, opportunità per l'eternità. E avrei potuto appartenere alla notte”

[The Pretty Reckless – Make Me Wanna Die] 

Non sapeva cosa fosse cambiato in lei da quel giorno, quando aveva sporcato l’ altare del tempio della dea Andhera. Aveva sentito suo padre parlare di un certo ‘Potere’ ma tutto in lei sembrava essere normale, solo una cosa era anomala; la sete.
Proprio in quel momento che si trovava in una stanza stretta e puzzolente, con il pavimento coperto da un tappeto di sangue e cadaveri la gola ardeva come fuoco.
Mentre le ferite si rimarginavano velocemente i suoi occhi vennero catturati dal liquido rosso che le copriva gli abiti mentre qualcosa sotto lo sterno premeva per uscire.
Il suo sguardo vagò sui corpi a terra, si soffermò su uno in particolare che portava al moncone che aveva al posto della testa un lungo laccio di cuoio e come ciondolo una rosa di cristallo rosso, un materiale assai pregiato e difficile da trovare. Quello non era un gioiello qualunque, una rosa di cristallo rosso rappresentava il fiore della vita. Neah non ne ricordava bene tutte le caratteristiche ma sapeva che quello era il simbolo della vita eterna o qualcosa del genere.

Chiudi gli occhi, respira.
“Dobbiamo andare via.” Beh, su quello non c’ era alcun dubbio.
“Naturalmente, l’ Ala d’ Argento ha svolto il suo lavoro alla perfezione, ma il suo ruolo non è ancora giunto al termine.”
“Ha davvero intenzione di usarla come sacrificio alla dea Andhera questa notte?”
“Certamente, devo assolutamente appropriarmi di quel potere.”

Quale potere, si chiedeva lei in continuazione.
Scesero le scale di corsa, lei con la spada che aveva riesumato dalle macerie del letto e lui che si teneva la spalla destra, ferita.
Giunsero nella hole e videro il tizio che li aveva accolti seduto sulla sua consunta poltrona dietro al suo vecchio tavolo con la testa riversa all’ indietro, la gola squarciata e un mucchio di sangue che impregnava la camicia un tempo bianca.
Di nuovo sulle tempie della vampira si strinsero sue aste di metallo mentre la gola prendeva fuoco mozzandole il respiro.
Fissò il suo sguardo sul quel colore ipnotico, mentre i suoi occhi lo catturavano, lasciando immutate le sue tonalità.
“Esci.” Sentì dire da qualcuno, si accorse dopo che era stata lei stessa ad averlo detto, rivolto al ragazzo che la guardava con aria preoccupata.
“Dobbiamo andare.” Disse senza smettere di fissare la schiena della vampira.
Lei si girò e lo fissò con astio, mentre il suo corpo tremava.
Aveva ragione però, dovevano andarsene subito, chiunque li cercasse sapeva dove erano, ma la sete non andava via. Il suo sguardo si posò sulla spalla ferita di Rhies, il quale continuava a guardarla con aria seria.
No, non poteva, anzi non doveva fargli del male; aveva bisogno di un posto dove stare e di qualcuno di cui nutrirsi… Era un pensiero cattivo, però in che altro modo avrebbe potuto metterla?
Scrollò lievemente la testa scacciando quel pensiero, perché si preoccupava tanto per Rhies? Era stato lui a fargli quella stupida offerta tempo addietro, ma ora la sete le bruciava il corpo e la tentazione era forte. Sentiva ancora l’ odore del sangue marcio delle arpie.
“Adiamo via.”
Si, doveva andare via, aveva già mangiato quella stessa notte, la sete di sangue non doveva controllarla.
Uscirono all’ aria aperta e la brezza fresca della notte fu come uno schiaffo in pieno viso, l’ aria all’ interno della locanda si era fatta soffocante e calda, irrespirabile e ora anche la sete di sangue di Neah sembrava essersi alleviata.
Portava nella mano destra il fodero con la sua spada e nell’ altra la collana che aveva preso all’ arpia. Se la rigirò tra le mani osservandone le sfaccettature che riflettevano la pallida luce della luna.
“L’ hai mai vista da qualche parte?” Gli chiese lei, alzando all’ altezza del volto la collana. Lui sembrò pensarci un attimo, dopo alcuni istanti il suo volto si illuminò.
“Certo, ce ne sono due sull’ insegna di una nota locanda appena prima della Foresta Nera, è sulla strada, basta seguire il fiume, possiamo arrivarci in mezza giornata.”
“Bene,” Si mise la collana, per non doversela portare in mano per tutto il tempo “partiamo subito, così potremmo darci una ripulita. Spero solo che questa persona sia davvero così stupida, ci ha detto esattamente dove si trova.” Sospirò scuotendo la testa, per poi pulirsi con il dorso della mano il mento ancora sporco di sangue.
Rhies aveva sorvolato sul suo aspetto in quel momento, ma non avevano di che preoccuparsi di come erano conciati, tanto a quell’ ora non c’ era nessuno per strada, no?
Un urlo lacerò la notte, un gruppo di persone era radunato all’ imbocco di un vicolo.
“Che cosa è successo?” Chiese il principe.
“Niente che ci possa interessare.” Rispose lei frettolosamente incamminandosi verso il confine di quella piccola città.
All’ imbocco del vicolo un gruppo di prostitute e baristi si era raggruppato intorno a un morto, era completamente dissanguato, lo conoscevano quasi tutti, era un buon medico. 

Avevano camminato per tutta la notte, o almeno per quel che ne rimaneva.
Il crepuscolo li aveva colti di sorpresa tingendo il cielo di toni chiari, mancava poco al fiume, ne sentivano lo scrosciare in lontananza.
I loro passi risuonavano nel silenzioso boschetto, le foglie macie crepitavano sotto i loro piedi mentre timidi uccellini salutavano il mattino.
L’ aria era fresca e frizzante, leggera e pulita.
Ancora un paio di metri e si trovarono sulla sponda del fiume dalle acque limpide che scorrevano placide.
Si pulirono il viso e gli abiti,  medicarono le ferite, più precisamente la ferita, quella di Rhies alla spalla, che si era rivelata estesa ma non molto profonda. Con non poco stupore notò che la pelle una volta pulita di Neah non aveva neanche un graffio, neanche il taglio all’ attaccatura dei capelli che era certo di aver visto bene, eppure si era accorto che l’ arpia che l’ aveva travolta l’ aveva ferita più volte, le Creature Oscure erano piene di sorprese e non sempre spiacevoli.
“Non mi aiuti?” Era pericoloso stuzzicare un vampiro, soprattutto mentre ci si stava ricucendo una ferita.
“Non giocare con il fuoco.” Disse lei serena mentre si sciacquava il viso con l’acqua fredda del fiume.
Tra loro era cambiato qualcosa, c’ era più leggerezza e il senso di gelo era quasi svanito del tutto, quasi. Forse era la consapevolezza di dover viaggiare insieme per parecchio tempo, forse era l’ impazienza di muoversi e scoprire perché quelle arpie li avevano attaccati, forse lui aveva capito che si sarebbe dovuto abituare ad averla vicina, visto che la stava per ospitare nella sua casa, se poi una reggia si può chiamare realmente casa.
Ma il turbamento restava, non tanto per il fatto di dover viaggiare con una Creatura Oscura, quanto subire le ire di suo padre, non aveva idea di come avrebbe reagito, non ne aveva proprio idea e di certo non avrebbe mai voluto saperlo, piuttosto altri dieci viaggi con la vampira dagli occhi ingannevoli, che in quel momento erano dello stesso colore delle acque limpide.
Si, nonostante la lunga camminata e l’ attacco alla locanda si sentivano decisamente meglio, era il fatto di dover condividere qualcosa, li faceva sentire sicuri, leggeri e sereni, anche se sapevano ben poco della persona che si portavano appresso.
Ma la fiducia si ottiene piano piano, in cambio di altra fiducia.
Anche se il suo cuore era circondato da quello che lei credeva essere un ghiaccio perenne si stava lentamente sciogliendo, non aveva paura di questo nuovo cambiamento.
“Pronto?” Chiese lei alzandosi e asciugandosi il volto.
“Andiamo.” Indossò di nuovo la maglia, ora pulita, e si alzò.
Il bruciore alla gola era svanito insieme alla sete, le fitte alla schiena dovute alla grossa cicatrice non si facevano sentire da un po’, la solitudine si era allontanata vedendo tutti piccoli segni chiari sulle braccia del ragazzo, di certo non era solo lei a soffrire, ma era tanto presa dal suo dolore da non accorgersi di quello altrui, non era l’ unica a portare cicatrici dolorose.
 

La locanda era praticamente deserta, tranne per un paio di ballerine che si muovevano al ritmo di strumenti scordati e qualche gruppo di persone sedute a tavoli differenti, l’ ambiente era decorato con una quantità esagerata di rose rosse.
Il tavolo più appartato era occupato da sei persone, cinque delle quali incappucciate con mantelli scuri e con un bicchiere completamente pieno sotto il naso. La sesta persona invece era praticamente sdraiata sul tavolo, e attorno alla sua testa si ergeva una quantità spropositata di bicchieri, ovviamente vuoti.
Il suo viso dai tratti affilati e le guance scavate rivelavano la sua sofferenza.
“Ho la testa che scoppia, fateli smettere per pietà!” Disse lamentandosi l’ elfo riverso sul tavolo. Sentì ridere uno degli uomini seduto accanto a lui.
“Non credevo che un elfo sbronzo potesse essere così divertente.” Ma lui ovviamente non li ascoltava, era troppo impegnato a tentare di alzarsi per andare a fermare quello che a lui sembrava un baccano assordante.
Dopo alcuni tentativi riuscì ad alzarsi ma un capogiro e una mano pensante sulla sua spalla lo costrinsero a sedersi di nuovo.
“Ah, la mia testa.” Si lamentò di nuovo, allungando furtivamente la mano verso il drink di uno dei tizi in nero, magari se avesse mandato giù qualcosa di fresco si sarebbe sentito meglio.
Raggiunse il bicchiere, lo afferrò e sotto gli occhi stupefatti dei suo compagni lo mandò giù tutto d’ un sorso.
“Allora Zephit,” Iniziò uno trattenendo a stento le risate “non ti sembra il caso di fare una pausa?” l’ elfo lo guardò male.
“Ma che! Non sono neanche ubriaco.” Rispose lui con la bocca impastata.
“Allora perché hai chiesto a noi di svolgere il lavoro che avresti dovuto fare te?”
“Perché ero ubriaco, semplice.” Rispose l’ elfo con un’ alzata di spalle. “Come faccio a lavorare da ubriaco? Piuttosto, spero che le vostre arpie abbiano svolto il lavoro come si deve, non voglio trovarmi l’ Ala d’ Argento puntata alla gola!” Prese un’ altro bicchiere da sotto il naso di uno dei tizi vestiti in nero e lo bevve a metà prima di fermarsi e trattenere un conato, poi mandò giù quello che rimaneva del drink.
“Mi raccomando, tenete la bocca chiusa, non voglio che lui venga a sapere che per trovare sua figlia ho fatto lavorare per me dei Generatori, mi mozzerebbe la testa di certo.” Continuò sbuffando, naturalmente stava parlando a vanvera.
“Si, si lo sappiamo bene.” Rispose uno con un gesto lascivo della mano.
“Sai pensavo che avresti tentato di avvelenarci con questi drink.” L’ elfo ubriaco lo guardò come se il tizio in nero avesse appena detto: ‘io non sono qui in questo momento, ora stai parlando con il muro’.
“E perché mai avrei dovuto? Avete svolto il lavoro per me, per di più questo non mi sembra il posto adatto per ammazzare qualcuno, pieno di rose di cristallo rosso e di, cosa sono quelle, ballerine?” Disse stringendo gli occhi per distinguere le figure che ballavano.
“Spero solo che lo abbiate fotto come si deve, non voglio farmi tagliare a fettine dall’ Ala d’ Argento.” In alcuni rari momenti in cui era ubriaco si poteva scorgere in lui la serietà che lo caratterizzava quando era sobrio, cioè quando si trattava di lavoro, per la maggior parte delle volte.
Si portò una mano allo zigomo gonfio che era stato colpito dal licantropo il giorno prima, gli faceva ancora male. Teneva lo sguardo puntato sulla porta, aspettandosi di vederlo entrare e abbattersi su di lui con furia.
E fu più o meno quello che successe, solo che dalla porta non entrò quello stupido licantropo. 

P.S. Con ‘Ala d’Argento’ intendo sia Neah, sia la sua spada che la sua cavalcatura.

  
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