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Autore: sakura_tan    01/02/2012    3 recensioni
"Io sono l'Amore che non osa pronunciare il suo nome" (Alfred Douglas)
Genere: Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Neal Caffrey
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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de profundis

De Profundis




Ciao Peter.

Mi manchi.

Sai, comincio seriamente a pensare di non potercela fare ad andare avanti senza di te. Ma è proprio per questa mia fatale dipendenza che non posso tornare. Tuttavia, al di là dell'amara dimensione razionale, vorrei che tu fossi qui.
Spero che, per tutta la vita, il ricordo di quello che siamo stati non ti abbandoni mai. Se ciò accadesse, sappi che mi perderai per sempre.

Mi dispiace che sia finita in questo modo. Non avrei mai dovuto fare quello che ho fatto.
Eppure non è del tutto colpa mia, Peter. Renditene conto. Avresti dovuto respingermi con più convinzione invece che assecondare i miei capricci e poi accusarmi di averti costretto a compiere quello che, in fondo, eri tu stesso a desiderare.
 Non negarlo.

Pur sperando con tutto il cuore che Elizabeth stia bene, non ti chiederò di lei. Con quale faccia potrei farlo? Con quali parole? Niente potrà mai assolvermi dal dolore di averla ferita.
Ma ora parliamo di Noi, Peter. O almeno di quello che eravamo.
Ti ricordi di quella foto scattata assieme? Quella dove siamo vestiti uguali? Mi piacerebbe che in qualche modo me ne facessi avere una copia, oppure l'originale, nel caso non te ne importasse più nulla o ti facesse troppo male.
A quei tempi tutto era perfetto, vero? Ma io -Noi- abbiamo sentito il bisogno di abbandonarci a quell'istinto,a quella famelica voglia.
Eppure non era solo lussuria. Lo sappiamo entrambi.
Io ti amavo -ti amo- davvero.
Tu forse non te ne rendevi conto -non te ne rendi conto- o non volevi ammetterlo -non vuoi ammetterlo-, ma mi hai amato anche tu.
E adesso? Non so quello che provi. Ho chiesto espressamente a Mozzie di non parlarmi delle conseguenze che la mia assenza sta avendo su di te. Forse ho paura di trovarmi davanti ad una realtà troppo amara da sopportare.
Spero, in una piccola ma non insignificante parte di me, che tu soffra.
Voglio mancarti così tanto da toglierti il fiato.
Ma ho come la sensazione che tu non voglia più fare spazio per me nel tuo cuore.
Non ti condanno per questo.
Non lo farei mai.
Voglio solo farti sapere che, qualcunque sforzo tu faccia, non ti libererai mai del mio ricordo.
E, se vuoi, odiami pure. Lo preferirei a questa agoniante indifferenza.


Sai, di notte a volte mi rigiro nel letto cercando il tuo abbraccio. Non trovandolo mi si lacera l'anima e annego in una straziante disperazione.
La verità è che mi manca ogni cosa da te, anche quell'espressione colpevole che ti si disegnava sul volto dopo essere stati assieme.
Ma quello che mi sta uccidendo davvero è l'aver perso la nostra quotidianità.
Sogno spesso di entrare in ufficio e trovarti a sorseggiare il caffè, intento ad esaminare qualche caso. Poi alzi lo sguardo e mi vedi. Le tue labbra si arricciano in un sorriso trattenuto e i tuoi occhi si perdono nei miei per qualche secondo.
 Ricordo con nostalgia anche il modo in cui mi sfioravi, cercando, quasi inconsapevolmente, il calore della mia pelle. Ma il tuo corpo si allontanava da me velocemente, per paura che qualcuno vedesse o, peggio, capisse.
Amavo quando ti arrabbiavi per il mio ennesimo pasticcio, consapeole del fatto che quella fragile ira sarebbe presto mutata in morbosa preoccupazione.

Mi avevi detto che sarei stato tuo per quattro anni, e così è stato.
Sebbene fosse un ordine, mi è sempre suonato come un giuramente solenne.
Il giorno in cui mi fu tolta la cavigliera le mie ali, che fino a quel momento erano state ripiegate sotto il tuo autorevole sguardo, si aprirono, e mi resi conto che chi davvero mi teneva in catene non eri tu, ma il mio stesso ego, la mia arroganza e la convinzione di poter fare qualsiasi cosa, ignorando le conseguenze delle mie azioni. Così mi sono alzato in volo, senza accorgermi che le mie ali erano di cera e che più mi avvicinavo al sole, più quelle si scioglievano.
E poi sono caduto,  e tu non c'eri.

Ed ora eccomi qui, Peter. In una stanza di un lussuoso albergo,a sorseggiare un costosissimo vino, avvolto in un accappatoio di seta pregiata.
Eppure, sembra assurdo, non so che farmene di questo. Preferirei mille volte starmene seduto con te sul tuo scomodo divano a sorseggiare birra e guardare la partita.
L'avresti mai detto?
Non trovo via d'uscita da questa agonia.


Il vuoto che hai lasciato in me è devastante, in tutti i sensi.
A volte ho così fame del tuo corpo che esco in strada e inizio a correre in direzione dell'aeroporto.
Poi mi fermo.
Posso sentire ancora la tua mano, ferma e gentile, che mi allenta la cravatta, stando attenta a non lasciare insfiorata nessuna porzione del mio collo. Ricordo i tuoi occhi che si smarrivano in me, come se non esistesse altro.
I tuoi baci, inizialmente dolci e deboli, con l'aumentare dell'eccitazione, in un climax vorticoso, si facevano sempre più violenti e spudorati, fino a quando ti imploravo di farti mio.
Nessuno è mai arrivato a farmi implorare.

Scommetto che stai arrossendo.
Ora è inutile che arricci le labbra e sospiri, indispettito dal fatto che ho ragione.
D'altronde ti conosco meglio di chiunque altro.




E' tardi ora e, se fossi qui, mi daresti una pacca sulla spalla e mi diresti di riposare.
Ma tu non ci sei, e io non riesco più a dormire.













  
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