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Autore: Gipsy Danger    01/02/2012    2 recensioni
48+1.
Quarantotto frammenti di vita e un epilogo. Quarantotto voci (alterne) e una fuori dal coro.
Quarantotto momenti mancanti. Più uno che non sarà mai dimenticato.
[In corso: arc 2Hero - Forever we are].
1# È persa nelle strade di Kyoto, in balia della corrente.
2# Dieci sassolini. Ora sono pietre.
3# Non c'è nome per il fiotto di calore che le sboccia nel petto.
4# La salita è finita. La scalata comincia ora.

Fan fiction partecipante alla challenge "The Four Elements"
Genere: Generale, Introspettivo, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: Missing Moments, Otherverse, What if? | Avvertimenti: Spoiler!, Violenza
Capitoli:
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Land of Make-Believe
Part 1: Donten
-Forever we’ve been-


14.  Osservare:
[Because I'm also stuck in cowardice,
I look up to the sky]
Terra#04. Legno.

*
“(Everything falls apart, even the people who never frown eventually break down)
The sacrifice of hiding in a lie
(Everything has to end, you'll soon find we're out of time left to watch it all unwind)
The sacrifice is never knowing

Pushing me away, Linkin Park

*

Sul legno c'è una chiazza ovale. Il bordo sinistro è liscio e perfetto, una scottatura, l'impronta di una moneta; quello destro è una cresta frastagliata che s'inarca sulle venature.
Yamazaki l'osserva, corrucciato.

È arrivato a casa Yagi da mesi, ormai. Abbastanza a lungo per sapere che i Miburoshi preferiscono allenarsi all'aperto, qualunque tempo ci sia, perché chiusi tra quelle mura prima o poi si finisce per soffocare. Per sapere dove vengono tenute le (scarse) provviste e dove vanno la scopa e lo straccio.
Per poter andare a prendere quest'ultimo senza che nessuno gli dica nulla.

Si guarda intorno, indeciso. Non c'è nessuno, almeno a prima vista. Potrebbe mettersi in ascolto, potrebbe cercare di carpire qualcosa di più dei colpi secchi e dei “men!” che arrivano dal campo. Potrebbe. Dubita che ne ricaverebbe qualcosa.
Oggi non è giornata.

Yamazaki posa il secchio, si inginocchia e inzuppa lo straccio. Lo strizza, lo appoggia sul legno e comincia a sfregare. È un lavoro ingrato, un lavoro che spetterebbe alle donne di casa.
A quanto sembra, è anche l'unico che riesce a calmarlo.

La stoffa gratta sul legno. Nodi, imperfezioni, schegge. Tutte piallate, tutte rese invisibili dal tempo, dall'abilità del falegname.
La macchia, al centro dell'alone scuro, spicca come un occhio. Un occhio che vede tutto, un occhio che risponde al suo sguardo.

Yamazaki chiude la mente e si concentra su di essa.
Dentro la macchia c'è un mondo.

A volte ci vede una sbavatura d'inchiostro, come quelle che Okita – kun ha lasciato sul libretto di haiku di Hijikata. Altre, una stella esplosa. Con le viscere fumanti che ne interrompono la perfezione, l'addome squarciato – avrà fatto seppuku, sarà stato il Sole ad ordinarle di suicidarsi per il puro gusto di farlo?
È il fondo nero di un pozzo sfondato. O la sua bocca vista dall'annegato che vi è caduto dentro, il grembo tondo di una donna incinta.

È un trucco, e lo sa benissimo, ma fa niente. A lui va bene. È più costruttivo di osservare gli altri allenarsi, migliaia di gesti ripetuti all'infinito, o di stare tra i piedi a qualcuno dei comandanti.
Guarda la macchia e la mente scorre via con le gocce d'acqua. Intanto lui si perde nelle pieghe del legno, e ogni giorno quello gli presenta qualcosa di nuovo. Il gatto nero che ha rubato il pesce l'altro ieri, la luna piena di ieri.

Oggi è un giorno storto.
E adesso devo-
Oggi non fa che ricordargli quella cosa.
                                      - sciacquare.
Yamazaki tuffa la pezza nel secchio e la strizza. L'acqua si tinge di rosa. Chiaro, per ora. Ma l'alone per terra è scuro, così scuro.
Si romperà la schiena e l'acqua diventerà nera, prima di aver finito.

Di nuovo la macchia. Oggi gli dà fastidio, oggi lo disgusta. La nasconde con lo straccio e sfrega più forte che può. Le mani gli fanno già male.
Le sue stupide mani. Mani da figlio di agopuntori, mani di un marmocchio che voleva diventare samurai.
La macchia, la macchia.
Yamazaki sussulta e molla lo straccio. Si guarda il palmo. L'ombra della scheggia è nera sotto la sua pelle.
Brucia. L'afferra e la sfila e sta a guardare la goccia di sangue che si gonfia sulla sua mano

e sgorga

e cade

e là!
Sul pavimento.


Sciacquare.
La macchia lo fissa. Come ha fatto l'occhio cieco di quella cosa, la notte prima.

*

“Hijikata – san, che cos'è successo?!”
Saitou si gira con la mano che vola all'elsa della katana appena ringuainata, ma si ferma.
“Yamazaki – kun.” mormora. Che sia un riconoscimento, che sia solo per avvertire Hijikata, Yamazaki non saprebbe nemmeno dirlo.
Perché non ha importanza, adesso. La risposta è davanti a lui.

Non è il corpo a fargli più impressione. Ha visto corpi di condannati a morti dilaniati da ferite molto peggiori: questo non è né più ne meno di un fantoccio. Attraverso gli strappi delle vesti la pelle è una colata di cera, elastica e imperlata di sudore – ne avverte il puzzo, penetrante. Le membra giacciono scomposte, come quelle di un burattino. Le gambe, spezzate durante il loro ultimo passo. Le mani irrigidite in artigli. Le braccia piegate ad un angolo assurdo, quasi buffo.
E poi, sopra le spalle, la voragine.

Non si accorge di essere indietreggiato finché non sente il tonfo della fusuma alle spalle e sente il legno contro le spalle.
Il legno è coperto da una pozza nera. Nera, perché nera? Ma naturale, la luce non basta – altrimenti vedrebbe, vedrebbe tutto.
Il filamento dell'esofago stritolato dagli ultimi spasmi dei nervi, gli spuntoni d'osso – netti: come dita protese – che emergono dalla massa molle, gli anelli schiacciati della trachea. Il baluginare del midollo, il rosso scuro della carne che si schiude, oscena al pari di una vulva spalancata, pronta ad ingoiare il mondo intero. Tutto.
Anche il sangue che dilaga sul pavimento – non avresti mai detto che è così colloso, vero?
Anche il ghigno osceno sul volto del morto.

Quel volto che è spiccato dal corpo e sembra capitato lì per caso.
Quel volto rivolto verso di lui.

Quel volto. Con un sorriso nascosto dai capelli sfuggiti al nodo tradizionale e la pelle rattrappita, così falsa. Con un occhio ridotto in una poltiglia sanguinolenta lì dove una lama ha sfondato l'orbita e l'altro – l'altro – dei del cielo, l'altro-

“Le spiegazioni dopo,” afferma Hijikata, secco, il respiro completamente calmo. “Yamazaki – kun, chiama San'nan – san e digli di venire qui. Subito.”
Yamazaki non lo sente. Guarda il morto e il morto guarda lui, attraverso l'unico occhio rimasto.

Spalancato.
ROSSO.

*

Rosso.
Ieri notte tutto era di quel colore. Quando ha vomitato era sicuro che perfino la cena fosse scarlatta, una colata di sangue scesa sul mondo intero.
Ciò che può fare la suggestione, gli borbotta la voce del padre all'orecchio, familiare. Yamazaki strizza con rabbia lo straccio, bagna, sfrega, sciacqua.
Suggestione, paranoia.

Lui sa solo che quello che è successo  dopo è dipeso solo da lui. Rimanere inchiodato al suo posto, farsi riprendere da Hijikata, farsi vedere da Ibuki mentre lo stomaco lo ha tradito di nuovo e Hijikata, San'nan e Saitou facevano sparire il corpo: tutta colpa sua.

La macchia lo guarda,
“Se una quantità tale di sangue ti fa impallidire e star male così, non sarai in grado di combattere.” ha sentenziato Hijikata.
Ma non è il sangue, avrebbe voluto dire.
È quell'occhio.

Bagnare.
Strizzare.
Sfregare.
Sciacquare.
Ancora e ancora.


Suo padre ha sempre detto che c'è fin troppo legno dentro di lui. Una sovrabbondanza di radici che lo tengono ancorato al suo posto come un solido sakura, che l'hanno portato in giro così come l'edera si protende verso una nuova casa, che non gli fanno temere le frane provocate dai commenti derisori sul loro conto.
Ma il legno, per quanto possa galleggiare, finisce per farsi impregnare prima o poi. E allora marcisce. Si riempie di vermi, di tarli.
Irreversibilmente.

La macchia è diventata il suo tarlo.
Hai visto, oh, hai visto? Sì che l'hai visto, sì, l'hai visto e lui hai visto te. Si chiama morte. Morte. Succederà anche a te, prima o poi. Sarai aperto allo stesso modo. Più nudo di così davvero non si può, vero? Più esposto al mondo non si può.

Sciacquare...

Yamazaki si ferma per un istante. Ha le mani rosse e sul dorso si stanno aprendo minuscoli tagli. Quando stacca lo straccio dai suoi palmi – com'è difficile! Come se qualcuno l'avesse cucito – vede il tremore che li percorrono.

Il sangue del morto è ancora lì. È un alone impercettibile, davvero, Hijikata – san non avrebbe mai permesso di mettere in allarme gli abitanti di casa Yagi. Ai suoi occhi, tuttavia, è una pozza senza fine.
E sa che ogni volta che passerà di qui finirà per ricordarsi quel cadavere, l'acciaio macchiato, quell'espressione ferina sul volto di Hajime.

Quell'occhio nella macchia.

Abbassa lo sguardo: è ancora lì, beffardo, a scrutarlo dal piccolo sole esploso. Un'orbita vuota. Un bulbo scoppiato.

Yamazaki stringe le labbra e si impone di non vomitare di nuovo. Immerge lo straccio, lo strizza, lo appoggia sul legno. Ci preme sopra il palmo.
Sfrega.

C'è un'altra cosa che dicono del legno – che alcuni tipi si spezzano ma non si piegano.
E ancora. Che le bambole Daruma, che di legno sono fatte, cadono sette volte per rialzarsi otto.
Che il legno cresce nella direzione dettata dal vento e dal sole, e che rami rimasti attaccati al tronco a volte rivivono.
A volte.

Non è il suo caso. Qualcosa si è spezzato, e lui lo sa. Una parte di lui spera ancora di poter diventare un samurai, di poter combattere fianco e fianco con gli altri alla luce del giorno.
Un'altra gli ricorda che non lo sarà mai. Non dopo il discorsetto fatto con Hijikata dopo l'incidente, non dopo il suo sguardo dubbioso.

Sfrega, bagna, strizza, sfrega.
Sciacquare.

La macchia lo guarda, lui risponde allo sguardo. Lo disgusta, ma resterà lì ancora un po'. E forse tornerà anche domani, e dopodomani.

Finché non riuscirà a sostenere quell'occhiata di accusa. Finché non capirà in che modo può essere utile.
Verrà la Morte e avrà i suoi occhi, ma almeno lui avrà imparato a guardarla di rimando.


[1540 words]


***

N\A.

Meno due!
La shot è basata sulla route di Hijikata in Reimeiroku, che è la più vicina a Yamazaki. Hijikata e Saitou hanno a che fare con un Rasetsu "sperimentale" creato da Niimi, e Susumu ha la brutta idea di andare a controllare cosa sia successo a massacro avvenuto. Inutile dire che la sua reazione non mette esattamente Hijikata a proprio agio con l'idea di avere Yamazaki tra le possibili future file di ronin.
Avevo una mezza idea di farla sulla morte imminente di Serizawa, ma come al solito i piani vanno a puttane, quindi ho smesso di farmi problemi V.v.
Poi. Che altro? Oh, sì. Credits ai Linkin Park, senza il cui album non avrei scritto un bel niente. E il discorso di "Sciacquare" è un piccolo omaggio a King. Quel che succede quando si scrive poco tempo dopo essersi messi a leggere Misery.

Prossima settimana, Praga e Monaco :3. Spero di tornare con tutte le dita dei piedi ancora attaccate, dato che prevedono minime di - 30 e massime di - 13.

Rinnovo i ringraziamenti ai recensori, ai lettori, a chi inciampa per caso. -w-

Kei






 
   
 
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