Prologo
<< Sveglia,
dai è tardi, alzati. Abbiamo delle cose da fare oggi. >>
Odio
profondo. Ecco che cosa suscita in me la sveglia di mia madre, che irrompe in
camera interrompendo i miei sogni beati con tutta la sua fretta e le sue
regole.
Odio
che cresce esponenzialmente quando, come al solito, spalanca le finestre per
“farmi svegliare meglio” e “cambiare l’aria della stanza”.
<< Merlino
Pansy, un po’ di pietà! Devo ancora abituarmi al fuso orario! >> borbotto
assonnata. Mi rigiro nel letto e nascondo la testa sotto il cuscino, cercando
di proteggermi da quell’invasione di luce.
<< Non
tentare di arrampicarti sugli specchi, signorina. Un’ora di differenza tra qui
e la Francia la puoi superare benissimo. >>
Mi
chiamo Erin Lemaire ed ho una madre sadica.
Sbuffando,
mi libero dalle lenzuola aggrovigliate e scendo dal letto, sorvegliata a vista
da Pansy. Inarco un sopracciglio e porto il mento in avanti nella sua direzione,
invitandola silenziosamente ad andarsene. Senza aggiungere altro, mia madre esce
e mi lascia vestire in santa pace.
Reprimo
il desiderio di rimettermi a dormire: Pansy se ne accorgerebbe subito e
tornerebbe in camera come un falco sulla preda. Certe volte penso che mi tenga
costantemente sotto controllo con la Legilmanzia. Poi
mi convinco che non è possibile, perché se mia madre conoscesse tutti i miei pensieri a quel modo, ne
avrei prove ben diverse dalle mie ipotesi inconsistenti.
Lancio
un’occhiata alla sveglia sul comodino. Le otto e mezza. Stronza.
Non
che di solito Pansy rispetti il dovuto riposo estivo che mi spetta, in quanto
impegnata studentessa in momentanea pausa da Hogwarts, ma perlomeno di mattina generalmente mi lascia dormire.
Naturalmente
il generalmente non comprende i
giorni immediatamente successivi il mio ritorno dal tradizionale mese di vacanza
in Francia, ospite della famiglia di mio padre.
Pansy
disprezza quell’uomo. Vorrebbe che io semplicemente non lo considerassi, come
fa lei: ogni anno, quando torno da Hogwarts e subito pianifico le vacanze per
trascorrere il mio consueto mese in Francia, lei disapprova, e cerca di
dissuadermi.
Non
ho ancora capito se lo fa perché veramente è gelosa e ci tiene ad avermi sempre
con sé, o solamente perché nel suo strano modo di vedere la nostra - la sua –
famiglia, la figura paterna non è assolutamente significante o contemplata. Non
le è mai importato niente di mio padre quando si frequentavano, nemmeno quando
si è accorta di essere incinta. In un certo senso possiamo considerarci
entrambi degli errori di percorso nella vita della mia cara mammina, risalenti
al periodo nero che corrisponde al matrimonio del suo grande amore
adolescenziale. Draco Malfoy.
Buffo
considerare come la mia vita dipenda in gran parte da un uomo che a malapena
conosco.
Se
Draco Malfoy si fosse seriamente fidanzato con mia madre, lei in questo momento
sarebbe felicemente sposata con lui.
Oppure
lui avrebbe fatto lo stronzo, si sarebbero lasciati e lei si sarebbe felicemente
sposata con un altro uomo.
Ma
comunque, sarebbe stata felice.
Se
Draco Malfoy fosse morto in guerra, lei probabilmente sarebbe rimasta casta e
addolorata a vita e io non avrei mai visto la luce del sole.
Ma
Draco Malfoy non ha fatto niente di tutto questo. Lui è rimasto ambiguo fino
alla fine, tenendo mia madre sulle spine. Non si sono mai completamente
sbilanciati l’un con l’altro, non hanno mai chiarito i propri sentimenti, hanno
rimandato quel momento fino a quando è stato troppo tardi per farlo, quando la
Guerra Magica li ha separati, se non fisicamente, psicologicamente.
Forse
mia madre lo avrebbe dimenticato, se non ci fossero stati quei maledetti
processi dopo la Guerra. Allora si scoprì che Draco Malfoy si era isolato da
tutto e da tutti per compiere una missione da cui dipendevano la sua vita e
quella della sua famiglia, salvo poi fallire mantenendo intatta la sua bella
innocenza. Una specie di martire agli occhi di Pansy. E chi se lo dimentica,
l’innamorato martire? Solo che mentre lei languiva nel suo rinnovato amore,
l’oggetto delle sue attenzioni annunciava il fidanzamento con Astoria Greengrass. Boom.
Mia
madre allora si è buttata in una travagliata relazione con un francese
momentaneamente impiegato al Ministero. Mio padre. Che poi si è scoperto aver
moglie e figlioletta in Francia, anche se i felici coniugi stavano
attraversando un periodo di crisi durante il soggiorno di lui in Inghilterra.
Comunque,
qui entro in scena io. La vendetta di mia madre, se vogliamo metterla in questi
termini. La prova vivente che lei può sopravvivere senza Draco Malfoy. Circa.
Di mio padre, l’ho già detto, non le interessava e non le interessa minimamente:
lui se n’è tornato in Francia poco dopo la mia nascita, a rimettere insieme i
pezzi della sua vera famiglia, lei si è presa cura di me. Assieme a nonna
Parkinson mi ha cresciuta senza farmi mancare nulla, ma era sempre distante,
sempre seria, rigida. Mai uno scherzo, un gesto affettuoso, spontaneo.
Da
piccola provavo a compiacerla. Ce la mettevo tutta per renderla orgogliosa di
me, mi sforzavo di comportarmi come lei, di parlare come lei, di pensare come lei.
Crescendo,
chiamatela ribellione adolescenziale, chiamatela disillusione, ho smesso di
cercare di avvicinarmi a mia madre. Per un periodo l’ho quasi odiata, adorando
contemporaneamente il paparino lontano. Ma neanche il suo affetto contenuto mi
era più sufficiente: il mio quinto anno ad Hogwarts passavo le giornate a tormentarmi,
ero arrabbiata con il mondo intero, maledicevo il Destino e la famiglia
sconclusionata che mi aveva affibbiato.
Poi,
poco prima dei GUFO, come se lo stress per gli esami avesse preso in me il
sopravvento, impedendo a qualsiasi altro pensiero di turbarmi, il mio mondo
impazzito si è riassestato, calmandosi nuovamente e permettendomi di riordinare
i pensieri.
Cominciavo
a rivalutare la mia vita, la mia famiglia, a dare loro il giusto peso. Scoprivo
che potevo sopravvivere anche se mio padre e mia madre non erano i genitori
ideali, sapevo badare a me stessa. Ritrovavo il mio equilibrio, e dopo
quell’anno fatidico sono sempre stata ben attenta a tenermelo stretto, a non
incrinarlo neanche minimamente.
Adesso,
ormai quasi diciassettenne, comincio a comprendermi, a capire chi e cosa sono
veramente, anche se spesso ancora mi nascondo dietro le maschere, gli schemi
del passato. Non ho ancora acquisito una tale fiducia in me stessa da esibirla
quotidianamente al mondo, sfidandolo a farmi vacillare.
Convivo
con i miei familiari, con mia madre in Inghilterra e con mio padre in Francia.
Evito nonna Parkinson. Per lo più preferisco prendere le distanza da tutti
loro, e sono ben contenta di rifugiarmi a scuola ogni anno. È più facile essere
libera, lontano da tutti loro.
***
Pansy
ed io passiamo quelle che sembrano delle ore da Madama McClan
a scegliere un abito da cerimonia ciascuna.
Normalmente
non mi dispiacerebbe affatto provare decine di abiti eleganti, specie se, come
oggi, Pansy è disposta a sborsare una quantità di denaro non indifferente. È
l’occasione per cui lo fa che mi rende tanto insofferente: stasera ci sarà una
cena formale con tutti i parenti di mia madre. Nonna Parkinson, mio zio Charles
e famiglia e tutti i cugini di mia madre di cui non ho voglia nemmeno di
imparare i nomi. Trascorrere con tutti loro un’intera serata mette a dura prova
il mio limite di sopportazione.
Ad
ognuna delle tradizionali cene di famiglia, nonna Parkinson tiene banco
(aiutata dal vino elfico, di cui brandisce sempre un bicchiere ben colmo)
disquisendo sull’importanza del sangue puro e del mantenimento delle antiche
famiglie, e non manca mai di raccomandarsi con tutte le nipoti di scegliere
intelligentemente il futuro consorte. E con intelligentemente
intendo accertandosi che sia ricco, facoltoso ed influente. E Purosangue
ovviamente.
Mi
guarda sempre male quando parla così. È convinta che il mio sangue francese mi
possa portare a fare le scelte più sbagliate.
Io spero vivamente che lei abbia ragione, considerando i suoi criteri di giusto
e sbagliato.
Quando
Pansy finalmente si è decisa su quale tonalità di crema si sposi meglio con la
mia carnagione, usciamo dal negozio, lei con un raffinato abito blu notte, io
con una veste un tantino meno classica della sua, color crema, appunto.
L’elfa
domestica di famiglia si è già occupata dei miei acquisti per la scuola, quindi
io e mia madre stiamo per lasciare Diagon Alley quando una slanciata sagoma
familiare ci viene incontro, salutando educatamente.
Jack
Zabini, come me Serpeverde, come me iscritto al settimo anno. Una delle poche
persone su cui posso realmente fare affidamento.
Lui
è più estroverso e solare di me, anche se con mia madre nasconde abilmente la
sua esuberanza, comportandosi da elegante damerino come gli è stato insegnato a
fare fin da piccolo. La convince a lasciarmi sola con lui, assicurandole di
portarmi a casa ad un orario ragionevole con la smaterializzazione congiunta.
Compiendo gli anni in febbraio lui ha già fatto l’esame lo scorso anno
scolastico, io dovrò aspettare almeno fino a dicembre.
Pansy
si lascia abbindolare rapidamente dai modi gentili di Jack, e si congeda
sorridendo.
<< Salutami
Blaise! >> si raccomanda.
Inutile,
penso io, a Zabini Senior non interessano minimamente i saluti di mia madre.
Sua moglie Daphne invece la manda sempre a salutare quando mi incrocia, ma lei
finge di non conoscerla nemmeno. Evidentemente il cognome Greengrass
pesa sulla madre di Jack più dei lunghi anni trascorsi in dormitorio con Pansy.
Non
appena mia madre scompare dietro l’incrocio che porta al paiolo magico, Jack mi
abbraccia, affettuoso come sempre.
Anche
se ci dimostriamo sempre freddi, non è vero che noi Serpeverde non sappiamo
dimostrare calore, solo che alcuni, come Jack, lo dimostrano meglio di altri,
come me.
Jack
ed io gironzoliamo senza meta per Diagon Alley, lui a raccontarmi della sua
mirabolante vacanza in Egitto, io a ridere, contagiata dal suo entusiasmo.
Dobbiamo
sembrare fratelli agli occhi della gente: stessa carnagione olivastra, stessi
capelli e occhi scuri, stessi modi aggraziati. Siamo fisicamente molto simili,
ed è evidente l’affetto che ci lega.
Solo
quando passiamo affianco ai Tiri Vispi
Weasley Jack si zittisce un momento, lo vedo rivolgere un’occhiata strana
all’interno della vetrina del negozio.
Ma
tira dritto, come facciamo sempre, e ricomincia a parlare. A scuola io e i miei
amici evitiamo di venire a contatto con i membri del clan Weasley-Potter, a
maggior ragione evitiamo i loro genitori. Forse i fantasmi dei nostri parenti
ci influenzano più di quanto vogliamo dare a vedere.
Curiosamente,
l’unico ad avere un minimo di rapporto con gli Weasley e affini è Scorpius.
Jack
mi trascina letteralmente da Accessori di
Prima Qualità per il Quidditch, dice che deve assolutamente mostrarmi il
nuovo modello di Firebolt uscito: spera che i suoi
glielo regalino per il compleanno. Un’occhiata al prezzo e
<< Uomini >> mormoro scuotendo la testa. So bene che gli Zabini
possono permettersi una spesa del genere, io stessa potrei permettermela, ma
anche se il Quidditch mi piace, preferisco investire una tale somma di galeoni
in altro.
Anche
se al momento non so dire con precisione a Jack in che altro.
Abbiamo
appena tempo per un gelato da Florian che Jack deve riaccompagnarmi a casa, non
vuole violare gli orari di miss Parkinson.
Ci
ritroviamo davanti alla villa con dieci minuti di anticipo, e a malincuore mi
separo da Jack.
Nuovamente
sola, respiro profondamente, cercando di trovare la forza di non darmela a
gambe.
Mi
rincuora il pensiero che, se riuscirò a sopravvivere alla cena di stasera,
domani rivedrò Jack e gli altri miei amici.
Domani
sarò di nuovo libera.
Nda
Dunque! Mi è venuto lo
spunto per questa storia all’improvviso, e non ho potuto trattenermi dal buttarla
giù. Quindi, ecco questo prologo. Magari ora le dinamiche, i rapporti che
legano i personaggi vi sono poco chiari, ma state tranquilli: verranno
“sciolti” e spiegati nei prossimi capitoli.
Se qualcuno di voi
seguisse l’altra mia fanfiction, comunque, non si
preoccupi: vedrò di aggiornare alternativamente le due storie, in modo di non
lasciarle in sospeso. Tutto sommato, ho sempre lavorato meglio con un po’ di
pressione J
Baci, Lu
P.S Sappiate che le
recensioni non mi fanno schifo ^^