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Autore: _diana87    03/02/2012    7 recensioni
[Possibile alzamento di rating per i temi trattati]
"Qualcuno dice che la guerra più grande da combattere è quella interiore, contro noi stessi."
Un pacco bomba esplode al 12esimo distretto. Un caso o un attentato? Fatto sta che quello stesso giorno Castle viene inviato dalla sua casa editrice in Israele per scrivere qualcosa di diverso, un racconto-reportage sulla primavera araba in corso; nel frattempo Beckett, Ryan ed Esposito vengono scelti per addestrarsi insieme ai marines in Iran. Separati dalla guerra che irrompe all'esterno, Castle e Beckett riusciranno a ritrovarsi? Ma sopratutto la battaglia più grande per Beckett sarà quella interiore: combattere contro i suoi demoni che le riportano alla mente quando rischiò di morire.
Storia narrata dal punto di vista di Kate Beckett.
Storia classificata all'11° Turno dei CSA al 1° posto nella categoria "Sad".
Genere: Drammatico, Guerra, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Quasi tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Quarta stagione
Capitoli:
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CAP

Olè manca poco alla fine... in compenso fa un freddo cane!! 
Buona lettura :)

ps: capitolo un po' crudo all'inizio, stavolta vi avverto prima...non impressionatevi XD per questo ho alzato di nuovo il rating :)

 

 

 

Questa non è più la tua guerra, Kate.

 

 

 

C'è rimasto ben poco dell'ospedale del campo. Le tende insanguinate, sopratutto ai bordi, le barelle posate un po' da una parte e un po' dall'altra.

Le "armi" dei chirurghi buttate e impiastrate di rosso... si gioca alla vita come se fosse un gioco.

Odore di morfina.

Quante storie si potrebbero raccontare in questo campo... sono sicura che Rick le inserirà nel suo reportage.

A un giovane soldato era state amputate entrambe le gambe; non avrebbe più camminato, non avrebbe più corso, il giovane soldato Harold. Lui gridava che voleva morire in battaglia, morire come un eroe, perchè voleva che lo si ricordasse così. Invece ora si lamenta perchè dovrà portare il fardello di essersi ridotto ad essere una nullità; senza arti inferiori, senza servizio militare, a cosa avrebbe significato la sua vita? Mi hanno detto che stanotte ha tentato il suicidio, il giovane soldato Harold. Lui urlava che preferiva morire piuttosto che vivere così in agonia. Allora l'hanno sollevato da terra, e con adagio l'hanno messo sul lettino. Si lamenta, Harold.

E stamane lo guardo senza farmi notare. Ha gli occhi rossi. Rossi di rabbia o rossi perchè ha pianto? Stringe le mani, Harold, mentre un'infermiera gli prepara le medicine.

Un altro soldato, già sulla trentina, ha fatto Rambo la scorsa notte, lanciandosi contro uno scontro a fuoco. Si è ridotto ad uno straccio, il povero John. Aveva messo perfino la giacca in pelle sopra la tuta mimetica, perchè faceva più effetto. Ha urlato, un urlo di guerra, prima di scagliarsi contro quel campo... non l'avesse mai fatto, povero John. Le mine antiuomo gli hanno strappato metà del viso. L'altra metà è ancora intatta per miracolo, perchè correndo è riuscito a coprirsi col braccio, il quale è ridotto a brandelli. L'esplosione è stata talmente forte che gli ha tolto la gamba sinistra, mentre l'altra è viva per miracolo, perchè mentre saltava, per evitare un'altra mina, la sinistra era più in alto della destra. Povero John. Stamane guarda il cielo limpido, con metà viso, e piange. Il soldato John piange.

 

Ritorno nella mia tenda, perchè Rick si lamenta e chiama il mio nome. Ha la fronte sudata. Si tocca la gamba; gli fa molto male. Apre lentamente gli occhi.

"Buongiorno mia musa... sono in Paradiso?"

Sorrido dolcemente e lo bacio sulle labbra.

"Ma se non mi sono neanche lavata ancora!" gli sussurro mordicchiandogli l'orecchio.

"E allora vai... perchè non voglio una fidanzata che puzza!" mi dà una botta al braccio e iniziamo a "lottare" con le mani.

Poi ci blocchiamo rendendoci conto di cosa è appena successo.

Guardandoci intensamente negli occhi, lui mi ha appena detto che sono la sua fidanzata.

Per la prima volta, abbiamo ammesso di stare insieme, di essere una vera coppia. Del resto, cosa fanno le coppie innamorate? Si alzano la mattina dopo aver dormito insieme, fanno colazione e chiacchierano del più e del meno, lasciandosi andare di tanto in tanto a qualche coccola.

E' esattamente quello che è appena successo, tranne per la colazione.

Un brontolio imbarazzante di stomaco ci distoglie... dò un'occhiata fugace alla sveglia del campo: direi che è ora di colazione!

Senza dire nulla, lui mi dice "Caffé caldo e cornetto, come sempre!"

Gli sorrido e lo bacio per l'ultima volta prima di uscire.

 

Odio le macchinette del caffé. Oppure sono loro che odiano me? Fatto sta che ogni volta che tento di usarle, queste fanno immediatamente a fuoco. E ne ho appena rotta un'altra. Tossisco per il fumo, per fortuna il caffè è intatto. Poi sento dei passi pesanti che si avvicinano. Mi volto solo per vedere Esposito e Ryan con le loro pistole puntate verso di me...

"Oh è solo la macchinetta del caffè che va a fuoco!" dice Ryan tra un colpo di tosse e un altro.

Faccio segno ai miei colleghi di allontanarsi prima di svenire. 

Dopo aver raggiunto l'uscita, mi guardo i vestiti: puzzano di fumo, direi che è il caso di una doccia.

"Che volevate fare lì dentro con quelle pistole?"
"Pensavamo ci fosse un altro attentato, qualche bomba, sai... qui non si può mai essere sicuri!" risponde Esposito, sempre composto e ordinato, anche a prima mattina. Il mio dubbio se nella sua vita precedente fosse stato un marine sta quasi per diventare certezza.

"Castle come sta?" chiede Ryan guardando la colazione per due che ho tra le mani.

"Direi meglio... è solo affamato!"

"E' solo Castle!" rispondono i due in coro.

Ci lasciamo andare ad una fragante risata che ci fa ricordare i tempi al distretto... se solo ci penso che dovremo andare in una nuova struttura... mi viene da piangere. Dopo l'attentato al 12esimo distretto, non era rimasto praticamente più nulla. Poi il mio pensiero si sposta su Rick. Nelle sue condizioni, dovrà stare a casa al riposo per un bel po'. Il che significa niente casi da risolvere insieme sul campo... forse niente più caffè la mattina... in ogni caso, lui deve tornare al più presto a New York.

 

Le mie preoccupazioni sono fondate anche stavolta. McNeil ci ha riunito per parlare degli ultimi avvenimenti e ha preso la decisione di far ritornare in patria alcuni dei militari, almeno quelli gravi, per farsi curare, dato che l'ospedale del campo ha quasi esaurito i kit di emergenza. Si arrabbia con i soccorsi perchè sono arrivati in ritardo. Poi chiama il Pentagono; è agitato, lo vedo dalla mano che regge il telefono, tremolante. Parla con uno dei nostri traduttori, poi gli tocca la spalla per consolarlo. Questo si congeda e va via.

Lentamente si avvicina a me, finalmente, e inizio ad agitarmi perchè non so cosa i suoi occhi, più freddi che mai, vogliano dirmi.

"Kate... ho analizzato la situazione e gli ultimi avvenimenti di questi giorni e sono giunto ad una conclusione..." fa qualche pausa prima di riprendere parola e questo non può che rendermi ancora più nervosa. Mordo il labbro e ora anche le unghie per quanto sono impaziente. "Tu e la tua squadra, Rick compreso, dovete tornarvene a New York."

E poi arrivano quei momenti in cui dentro di te, prendi un piccone e inizi a buttar giù quel muro che tanto ti dà fastidio. Anche se quel piccone è pesante e tu ti senti debole, sai che puoi farcela... e ce l'hai fatta... quel muro è solo un brutto ricordo. Ma qualche mattone credo mi sia ancora rimasto.

Scuoto la testa, non realizzando del tutto la cosa.

"Cosa? Come? Non capisco..."

Dovrei essere felice. Tornare a casa dopo tutto questo tempo. Sentirmi veramente libera. Vedere un orrore diverso da questo qui, vedere un sangue diverso rispetto a questo che sgorga da ogni pezzo di tuta militare. Eppure...

"Questa non è più la vostra guerra, Kate. E poi avete Rick Castle da curare... da male, Kate..."

Continua a ripetere il mio nome. E lo fa con quel tono snervante.

"Non agitarti, Kate. E' per il tuo bene, Kate."

Finchè poi esplodi come una di quelle tante mine anti uomo che circondano la zona di guerra.

"La smetti di chiamarmi per nome?! E' insopportabile!" metto le mani sulle tempie... la testa mi sta scoppiando... sto esplodendo. "Perchè mi mandi via? Non vuoi che scopra più altre cose che tenete nascosto?? Perchè mi stai facendo questo?"

E poi scopri perchè non sei del tutto felice all'idea di andartene.

Ti stai affezionando a quel posto, Kate, che te lo ammetta oppure no.

"Pensavo di farti un favore, di aiutarti... perchè non vuoi andartene, piuttosto..." anche Samuel è preoccupato per me... non capisce la mia reazione, o forse sì?

"Ma che ne sarà degli altri poliziotti... di Laura e la sua squadra?"

Le lacrime stanno scendendo da sole. Il battito cardiaco è incontrollabile.

"Se ne andranno quando lo dirò io. Vai a prepararti, domani tu e gli altri partirete." mi accompagna fuori dal suo "ufficio", prendendomi per il braccio, come un padre con sua figlia.

"Ma---"

"Che c'è?"

Gli occhi di Samuel sono ancora freddi. C'è quel luccichio lontano però, in profondità, che ti fissa e sembra dirti di farti coraggio, di dire la verità.

"Non ti starai mica... affezionando a questo posto?"

Scuoto la testa e mi asciugo le lacrime. Poi dò un'occhiata alla tenda di Samuel. Non mi sono mai accorta che oltre ad essere piena di mappe, è composta anche da foto di militari... diverse foto, scattate nei diversi anni in cui è stato in servizio. Ce ne sono un paio anche di lui e Tacker. Lui segue il mio sguardo ed entrambi lo posiamo sulla foto di una famiglia felice... quella di Samuel con quella che era sua moglie e sua figlia. Un quadretto felice, almeno in apparenza. Quasi ignaro di ciò che li avrebbe separati: la guerra, un nemico invisibile che mai verrà sconfitto.

"Kate, la guerra più grande da combattere è quella contro noi stessi. So che ora ti senti parte di questo posto, che senti gli altri militari come una tua famiglia... ma questo è il mio mondo ormai. Tu hai ancora una possibilità di avere una vera famiglia... amici veri... affetti reali."

Di nuovo quella sensazione di avere gli occhi lucidi. Lui ha ragione. Me ne rendo solo conto adesso.

Questa non è più la tua guerra, Kate.

Samuel mi prende il viso, voltandolo verso di sé e poi mi asciuga gli occhi con un fazzoletto, preso a casa dalla sua tasca.

"Torna a casa, Kate."

 

Sono ancora con il broncio.

Sto con Esposito, Ryan e con Rick seduti in aeroporto, in attesa del nostro volo... ma mi sento strana. E' come se una parte di me non avesse abbandonato del tutto il campo di battaglia.

Abbiamo salutato Laura e gli altri prima di andar via, di lasciare per sempre queste terre mediorientali. Laura era abbastanza preoccupata, ma doveva apparire sicura perchè la sua squadra conta su di lei. McNeil ed io ci siamo salutati con un cenno di mano: lui è sicuro di ritornare dalla guerra, sa che vincerà anche stavolta.

Rick zompetta, a fatica si tiene in piedi, aiutandosi con delle stampelle che ci hanno dato sul campo. Ha preso molta morfina. Javi e Kevin gli hanno detto di appoggiarsi a loro, ma lui è testardo: vuole camminare da solo e ce la farà. Questo è lo spirito giusto. Lo guardo, sorrido e non posso fare a meno di essere fiera del mio uomo. Anzi, del mio fidanzato.

"Becks, tutto okay?" la voce di Ryan mi riporta sui miei pensieri.

"...sì." esito un po' prima di rispondere, incerta persino sulle mie parole.

"Bugiarda!"

Sospiro.

"E va bene. Vuoi sapere che c'è? Ce l'ho ancora un po' con McNeil."

Kevin annuisce e guardiamo Javier e Rick che litigano alla macchinetta delle merendine.

"Sai credo che lui ci abbia mandato via per salvarci la vita. Sopratutto la tua."

Lo guardo e quasi quasi non riesco a riconoscere Kevin Ryan in questo momento. Da quand'è che è diventato così saggio?

"Io e gli altri abbiamo notato i continui momenti di tensione, prima con i militari morti, poi con il ferimento di Castle... lui ti ha detto che fa parte del protocollo e ci ha mandato via per dimostrarti che non voleva ferirti, ma il contrario... questa è solo la mia spensierata opinione, Becks!"

Ricordo la sindrome dei marines. Samuel aveva capito che stavo diventando parte integrante della guerra, l'ha capito e mi ha mandato via.

Il nostro volo sta per arrivare.

Mentre ci affrettiamo a prendere i nostri bagagli, io aiuto Rick a stare in piedi, penso alle parole di quell'agente che ho paragonato tante di quelle volte a Royce Montgomery... anche in questo ultimo gesto, non ho potuto fare a meno di pensare al mio ex capitano.

   
 
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